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Attualità

L’Agenzia delle Entrate definisce i criteri di determinazione della tassazione effettiva estera e della tassazione virtuale domestica ai fini CFC

22 Settembre 2016

Alessandro Giannelli, Dottore di ricerca in diritto tributario, Studio Pirola, Pennuto Zei e Ass.; Federica Pitrone, Dottore di ricerca in diritto tributario, Intesa Sanpaolo

Di cosa si parla in questo articolo

Il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 16 settembre 2016, n. 143239 (cfr. contenuti correlati), emanato in attuazione dell’art. 167, comma 8-bis, del Tuir completa – idealmente – gli aspetti più di dettaglio della disciplina CFC di cui al citato art. 167 e si aggiunge, quindi, alle indicazioni di più ampio respiro già fornite dall’Agenzia delle Entrate con la precedente circolare n. 35/E del 4 agosto 2016 a commento delle modifiche a tale disciplina apportate dal “decreto internazionalizzazione” (D.Lgs n. 147/2015) e dalle leggi di stabilità 2015 (L. 190/2014) e 2016 (L. 208/2016).

Il quadro delle “novità” in tema di CFC dovrebbe, quindi, ritenersi completo; senonché, come si apprende dalla relazione governativa al “decreto internazionalizzazione” – che come noto ha introdotto alcune importanti modifiche alla disciplina de qua –, la realtà risulta ben diversa poiché tutto potrebbe nuovamente cambiare, ovvero arricchirsi di ulteriori dettagli (e complessità), in esito alle conclusioni che raggiungerà l’OCSE rispetto all’Action 3 del progetto BEPS che si occupa proprio dei regimi CFC.

Ciò posto, va ricordato che l’attuale assetto della disciplina CFC prevede che nell’ipotesi in cui i soggetti controllati non residenti (società, imprese o altri enti) siano localizzati in Stati o territori diversi da quelli black list (di cui ai commi 1 e 4 dell’art. 167) o in Stati appartenenti all’Unione Europea e aderenti allo Spazio economico europeo, la disciplina de qua troverà applicazione soltanto qualora – come previsto dall’odierno co. 8-bis dell’art. 167 – il soggetto controllato (direttamente o indirettamente) risulti, da un lato, ex lett. a) del suddetto co. 8 bis, assoggettato a tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbe risultato soggetto se fosse stato residente in Italia e, dall’altro, ai sensi di quanto previsto dalla lett. b) del medesimo comma, qualora il soggetto controllato non superi il cosiddetto “passive income test”[1].

Ebbene, rispetto a questo quadro, il provvedimento in esame si occupa di definire i criteri per determinare con modalità semplificate l’effettivo livello di tassazione applicabile al soggetto controllato localizzato all’estero. Ciò risulta necessario in quanto l’art. 167 non precisa cosa debba intendersi per “tassazione” e “livello effettivo” ai sensi della citata lett. a) del predetto co. 8 bis.

Entrando nel merito del contenuto del provvedimento, quest’ultimo può essere idealmente suddiviso in 3 parti: la prima descrive e definisce le imposte estere da considerare ai fini della determinazione della tassazione effettiva estera; la seconda indica le imposte italiane da considerare ai fini della determinazione della tassazione virtuale domestica; la terza ed ultima identifica i criteri di determinazione della tassazione effettiva estera e della tassazione virtuale domestica.

Partendo proprio dalla nozione di imposte estere, l’Agenzia delle Entrate ha previsto che rilevano le imposte sul reddito effettivamente dovute nello Stato di localizzazione del soggetto controllato. Si tratta, più nello specifico, in linea con quanto già sostenuto nella Circolare 35/E/2016, delle imposte indicate dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni e di quelle aventi natura identica o analoga che abbiano sostituito quelle originariamente indicate nella Convenzione stessa, nonché di tutte quelle imposte aventi natura reddituale federali e locali (si pensi alle imposte statali e locali americane) che non trovano espressa inclusione nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni. Tali imposte devono essere considerate al lordo di eventuali crediti d’imposta ricevuti relativamente ai redditi prodotti in Stati diversi da quelli di insediamento e devono trovare evidenza nel bilancio o rendiconto di esercizio del soggetto controllato, nella dichiarazione dei redditi, nelle ricevute di versamento e nella documentazione relativa alle eventuali ritenute subite. Peraltro, il provvedimento stabilisce che si considerano le imposte sul reddito di competenza del soggetto controllato assunto stand alone anche qualora lo stesso sia parte di una qualsivoglia forma di tassazione di gruppo.

Per quanto riguarda le imposte italiane, vengono in rilievo – come già previsto dalla circolare n. 51/E/2010 – l’IRES e le eventuali addizionali anche qui al lordo di eventuali crediti d’imposta per i redditi prodotti in uno Stato diverso da quello di localizzazione.

Per quanto riguarda il calcolo della tassazione virtuale domestica è necessario partire dai dati risultanti dai bilanci di esercizio o dal rendiconto del soggetto controllato localizzato all’estero, come redatti sulla base dei principi contabili adottati da quest’ultimo. L’Agenzia delle Entrate senza soluzione di continuità rispetto a quanto già previsto nella C.M. 23/E del 2011, ha ribadito che qualora il bilancio o il rendiconto siano redatti sulla base dei principi contabili internazionali, il soggetto controllante deve determinare il reddito della controllata estera “virtualmente” imponibile in Italia sulla base delle disposizioni appositamente previste per i soggetti IAS/IFRS adopter. Inoltre, da un punto di vista generale, non vengono in rilievo i regimi fiscali opzionali cui il soggetto controllato avrebbe potuto aderire qualora fosse stato residente in Italia.

Per quanto concerne la base imponibile, vengono considerate irrilevanti le variazioni non permanenti della stessa che abbiano un riversamento certo e predeterminato, tra cui ad esempio gli ammortamenti. Inoltre, – ed è questa una precisazione da accogliere con favore – viene confermata la rilevanza dell’ACE e più in generale di tutti quei metodi di notional interest deduction esistenti nello Stato dove di localizzazione del soggetto controllato. Inoltre il provvedimento sottolinea, da un lato, che le perdite fiscali pregresse, sia in Italia che all’estero, rilevano senza alcun limite di utilizzo delle stesse e, dall’altro, che, rispetto alle ricadute del regime di participation exemption (pex),l’imposizione italiana pari al 5% del dividendo o della plusvalenza rileva quale esenzione totale in assenza di integrale indeducibilità dei costi connessi alla partecipazione. Sul punto merita di essere segnalato che la precedente circolare n. 51/E/2010, che aveva già affermato la sussistenza della suddetta equivalenza, aveva tuttavia precisato quanto segue rispetto al caso delle società holding detentrici di partecipazioni soggette alla pex: “tenuto conto che secondo la giurisprudenza comunitaria il carico fiscale effettivamente applicato in Italia sui redditi (plusvalenze e dividendi) derivanti da tali partecipazioni deve essere considerato pari all’1,375 per cento, si ritiene che le holding in questione ricadano comunque nell’ambito applicativo della norma in commento (cfr. sentenza della Corte di Giustizia 19 novembre 2009, Causa C-540/07, parr. 32 e 33, nonché conclusioni dell’avvocato generale presentate il 16 luglio 2009, par. 30, ove si fa riferimento all’analoga posizione espressa dalla Commissione europea). Le stesse, pertanto, qualora intendano disapplicare la CFC rule, dovranno presentare apposita istanza di interpello, nel cui ambito sarà adeguatamente valutata la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della menzionata equivalenza di regimi impositivi”. Considerato che di tale aspetto non v’è traccia nel provvedimento in esame c’è da chiedersi se l’esigenza dell’interpello sia ancora attuale; una simile lacuna non sembra del tutto in linea con i dichiarati scopi di semplificazione del provvedimento in esame e andrebbe sicuramente risolta.

Infine, nella sezione conclusiva del provvedimento si specifica che solo le agevolazioni di carattere non strutturale riconosciute alla generalità dei contribuenti dallo Stato estero per un periodo non superiore a 5 anni non producono alcun effetto sul calcolo del reddito imponibile o delle imposte, mentre lo hanno tutte le ulteriori “forme di riduzione di imposte” e quelle ottenute attraverso i ruling concesse ai singoli contribuenti; sfortunatamente, il provvedimento non indica che cosa debba intendersi per “agevolazioni di carattere strutturale” o per “ulteriori forme di riduzione di imposte” e ciò potrebbe costituire un aggiuntivo ostacolo allo scopo di semplificazione ricercato dal provvedimento.

In conclusione il provvedimento in esame, pur pregevole negli intenti e in talune puntualizzazioni (ad es. in tema di ACE e perdite pregresse), contiene indubbiamente delle zone d’ombra e sembrerebbe introdurre pochi significativi profili di novità rispetto a quanto già indicato in precedenti documenti di prassi pubblicati dalla medesima Agenzia.

 


[1] I soggetti controllati hanno conseguito proventi derivanti per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica, nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari.

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