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Sentenza Lexitor: quali risvolti alla luce degli inadempimenti degli intermediari alle decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario?

20 Agosto 2020

Biagio Campagna, Cultore di diritto Bancario, Università “La Sapienza” di Roma

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario. 1. Premessa: il principio di diritto stabilito dal Collegio di Coordinamento ABF n. 26525 del 2019 – 2. Il tema “decidendum” o meglio della discordia? – 3. Rimborsabilità della commissione di intermediazione: in quanto scelta commerciale dell’intermediario non sussiste alcuna ragione per limitare o escludere il diritto alla riduzione. – 4. Gli inadempimenti degli intermediari alle decisioni Abf.– 4.1. Le strategie e i comportamenti degli intermediari nei confronti dei consumatori. – 5. La latitanza del legislatore italiano: a quando un intervento normativo? – 6. I recenti orientamenti dei Tribunali italiani.

 

1. Premessa: il principio di diritto stabilito dal Collegio di Coordinamento ABF n. 26525 del 2019

Il Collegio di Coordinamento con decisione n. 26525 del 2019 ha sancito il seguente articolato principio di diritto: “A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art.125 sexies TUB deve essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front”. “Il criterio applicabile per la riduzione dei costi istantanei, in mancanza di una diversa previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF”. “La ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”[1].

2. Il tema “decidendum” o meglio della discordia?

Il tema decidendum si è concentrato sulla rimborsabilità degli oneri cd. “up front” (es: spese di istruttoria, costi di apertura della pratica, commissioni all’agente, etc.) che rappresentano gli esborsi pagati dal consumatore per gli adempimenti preliminari alla concessione del finanziamento e che prescindono dalla durata del contratto di credito. Tali oneri, secondo l’orientamento dell’ABF stesso fino alla pronuncia della succitata sentenza, non sarebbero stati retrocedibili in caso di estinzione anticipata del finanziamento.

Gli oneri ricorrenti, cc.dd. “recurring” (costi ripetibili ex lege secondo regole di diritto comune, anche, prescindendo dalla previsione dell’art.125 sexies TUB) rappresentano i costi continuativi finalizzati a remunerare il finanziatore quale corrispettivo delle attività di gestione del rapporto, in tutta la fase successiva alla conclusione del contratto, quindi non dovuti in caso di estinzione anticipata del finanziamento, proprio perché tali compensi sono privi di giustificazione causale (es. polizze assicurative, costo di incasso rata e simili connesse al finanziamento).

La Corte di Giustizia Europea ha richiamato la necessità di un’interpretazione estensiva della norma, alla luce del suo contesto e degli obiettivi perseguiti, al fine di assicurare al consumatore una piena tutela del rapporto contrattuale predisposto unilateralmente dalla banca, con l’esplicito riconoscimento, tra l’altro, della insussistenza di qualsiasi potere negoziale del finanziato.

Le sentenze della CGE hanno, come noto, natura dichiarativa per cui sono vincolanti e ad effetto retroattivo per il Giudice nazionale.

Quindi, per effetto della sentenza “Lexitor”, l’art.16 della Direttiva deve interpretarsi nel senso che tutti i costi del credito, correlati o non alla durata residua del contratto, ad eccezione delle spese notarili e degli oneri erariali, sono riducibili nel caso di estinzione anticipata del finanziamento, sicché ogni diversa interpretazione del principio di diritto enunciato dalla Corte appare interdetta.”

Poiché l’art. 16 della Direttiva 2008/48/CE non stabilisce il metodo di calcolo da utilizzare e la sentenza in argomento si è limitata a indicare la necessità che il criterio di riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito sia comunque basato su una regola di proporzionalità, con il sistema del pro rata temporis, secondo l’ABF, pertanto, “… non resta che il ricorso alla integrazione “giudiziale” secondo equità (art.1374 c.c.) per determinare l’effetto imposto dalla rilettura dell’art.125 sexies TUB, con riguardo ai costi up front, effetto non contemplato dalle parti né regolamentato dalla legge o dagli usi.”

Come affermato dalla giurisprudenza univoca della Corte di Cassazione, i principi espressi dalla Corte di Giustizia costituiscono una regula iuris applicabile dal giudice nazionale in ogni stato e grado del giudizio. La sentenza della Corte di Giustizia è quindi fonte di diritto oggettivo[2].

Tali conclusioni sono del resto condivise dalla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia che in diverse occasioni ha affermato che l’obbligo per gli Stati membri di conseguire il risultato previsto dalle direttive e il dovere di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari idonei a garantire l’adempimento di tale obbligo si impone a tutte le autorità degli Stati membri, comprese, nell’ambito delle loro competenze, quelle giurisdizionali. I giudici nazionali sono quindi tenuti a prendere in considerazione l’insieme delle norme dell’ordinamento interno e ad applicarle con ogni possibile sforzo ermeneutico al fine di interpretare il diritto interno in conformità al diritto dell’Unione.

E’ poi del tutto pacifico che l’obbligo di interpretazione conforme riguardi anche le direttive che disciplinano rapporti tra privati ed imponga al giudice ogni sforzo necessario per evitare un contrasto con il diritto dell’Unione. L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale è infatti immanente al Trattato stesso, in quanto permette al giudice nazionale di assicurare, nel contesto delle proprie competenze, la piena efficacia delle norme comunitarie.

Proprio la preminente funzione dell’interpretazione conforme ha portato la Corte di Giustizia ad individuare margini molto ampli di applicazione di tale principio.

L’interpretazione conforme deve riguardare non solo le norme interne introdotte per recepire la Direttiva, bensì tutto il diritto nazionale per giungere ad una lettura conforme alla Direttiva e obbliga il giudice a seguire ogni canone interpretativo che consenta di interpretare il diritto interno in modo da consentirne un’applicazione conforme agli scopi della Direttiva.

La Grande Sezione della Corte di Giustizia ha ancora recentemente confermato che il giudice nazionale deve adoperarsi e ricorrere ad ogni possibile interpretazione conforme alla Direttiva, con il solo limite di non arrivare ad un’interpretazione oggettivamente contra legem, che rappresenta l’unico limite che non può essere travalicato.

L’applicabilità del principio di riduzione di tutti i costi, affermato dalla sentenza Lexitor non pare in alcun modo incompatibile con la formulazione dell’art. 125-sexies t.u.b. Anzi una corretta interpretazione letterale, teleologica e storico sistematica possono confermarne un’interpretazione del tutto conforme al diritto comunitario.

3. Rimborsabilità della commissione di intermediazione: in quanto scelta commerciale dell’intermediario non sussiste alcuna ragione per limitare o escludere il diritto alla riduzione.

L’art. 125 sexies del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia – TUB – (D.lgs. n. 141/2010) non lascia dubbi nel disporre che “Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore” e che“In tal caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”.

Tra l’altro, la norma sopra invocata discende dal disposto dell’art. 8 della direttiva87/102/CEE (poi ripreso dal D.M. dell’8.7.92), ai sensi del quale “il consumatore deve avere la facoltà di adempiere in via anticipata agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito” e “in conformità delle disposizioni degli stati membri, egli deve avere diritto a una equa riduzione del costo complessivo del credito” e tale disposizione è stata a sua volta ribadita dalla Direttiva 2008/48/CE del 23.4.2008, recepita dal D.Lgs. n. 141/2010, in base alla quale, in casodi estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore “[…] ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”.

In ultimo, le Disposizioni di Vigilanza del 29 luglio 2009 e s.m.i. – “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti, alla Sezione VII, par. 5.2.1 – Contratti di credito” (come aggiornato ai fini del recepimento della Direttiva sul credito ai consumatori) hanno poi ribadito che “I contratti di credito indicano in modo chiaro e conciso: […] q) il diritto del consumatore al rimborso anticipato previsto dall’articolo 125-sexies, comma 1, del T.U.”.

Ciò chiarito, occorre distinguere le varie tipologie di costi accessori che possono essere richiesti nel contesto di un’operazione di cessione del quinto, per poi individuare le varie voci di costo rimborsabili.

Una tipologia di costi accessori è rappresentata dalle commissioni di intermediazione, ovvero dalle provvigioni dovute all’agente finanziario che abbia promosso la stipula del contratto tra il cliente e l’istituto erogante. Si osservi sul punto che talvolta l’agente finanziario non si limita a favorire la conclusione del contratto ma svolge altresì un importante ruolo di intermediazione anche nel corso del rapporto di credito, vale a dire nel periodo successivo alla conclusione del contratto stesso.

Nel contesto delle commissioni di intermediazione, sono poi rimborsabili gli addebiti riconducibili alle attività eventualmente svolte dall’agente finanziario, anche in tal caso soltanto in riferimento al periodo successivo alla stipula del contratto.

Infatti, non è detto che l’attività dell’agente si esaurisca con la conclusione dell’accordo contrattuale ben potendo, quest’ultimo, svolgere ulteriori attività di intermediazione anche nel corso del rapporto di credito.

In secondo luogo, ci si chiede se un’eventuale clausola inserita nel contratto di finanziamento –la quale escluda la debenza di rimborsi in caso di estinzione anticipata del finanziamento- possa o meno reputarsi legittima.

Anche in questo caso, la giurisprudenza ha ravvisato l’illegittimità di una clausola siffatta –anche se sottoscritta dal cliente per approvazione specifica- rilevando la nullità della stessa in quanto contraria alla norma imperativa di cui all’art. 125 sexies del Testo Unico Bancario.

La norma succitata, infatti, nel disporre che in caso di estinzione anticipata del finanziamento “[…] il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”, non consente alle parti alcun potere dispositivo, rendendo nulla ogni pattuizione contraria (v. ancora sul punto la decisione del Collegio di coordinamento ABF n. 6167/2014).

Più in particolare l’applicazione di costi di intermediazione, è da riconoscersi come una scelta commerciale dell’intermediario, e pertanto se è la filiera distributiva ad applicare dei costi di mediazione non sussiste alcuna ragione per limitare il diritto alla riduzione o all’equa riduzione di detta commissione.

Del resto, se cade la distinzione tra costi up-front e costi recurring, non rileva più né il titolo né la causa, né la circostanza che il costo sia stato pagato interamente o meno dall’intermediario, in quanto tutti i costi devono ricadere nella riduzione.

Gli è infatti che i costi della cessione del quinto, già a partire dal 2010 hanno raggiunti livelli di costi altissimi che non pare giustificato rispetto al livello di default dei consumatori, in quanto detto prodotto va alla fascia più debole della popolazione e comportano la sottrazione del reddito disponibile per esigenze primarie per trasferirlo all’intermediario per far fronte agli impegni creditizi.

La soluzione più plausibile sarebbe quella di disincentivare il ricorso a questi intermediari o fare in modo che il costo complessivo del credito sia incorporato nel tutto tan (bankitalia) in modo tale da avere un maggiore confronto tra le offerte sul mercato, e dare di riflesso uno stimolo alla stessa concorrenza, e conseguentemente avere ab origine una riduzione del costo del credito.

4. Gli inadempimenti degli intermediari alle decisioni Abf

A seguito della sentenza Lexitor, e nonostante le tante decisioni dei Collegi dell’ABF che hanno disposto rimborsi a favore dei consumatori, si sta assistendo oggi, ad un atteggiamento ostruzionistico da parte di numerosi istituti finanziari e banche che non adempiono alle disposizioni dell’organo di Banca d’Italia.

Numerosi intermediari non riconoscono il dispositivo della sentenza della CGUE “Lexitor” che ha statuito che il rimborso dovuto in caso di estinzione anticipata del finanziamento include tutti i costi posti a carico del consumatore, ovvero, sia i costi c.d. up front che i costi c.d. recurring, in quanto a loro giudizio, la sentenza Lexitor non avendo carattere self executing, non può trovare diretta applicazione nei rapporti interprivatistici ordinamentali.

A parere di chi scrive al contrario questa sentenza si applica all’ordinamento italiano a prescindere dalla questione dell’interpretazione conforme, anche perché l’ordinamento italiano, evidenzia molte lacune sotto il profilo dell’effettività della tutela del consumatore in sede di estinzione anticipata.

Del resto, gli istituti finanziari negli ultimi anni hanno adottato la prassi di porre a carico dei consumatori solo costi up front, per loro natura non rimborsabili, e di azzerare i costi recurring, soggetti invece a rimborso secondo l’orientamento che l’ABF ha seguito sino al mese di gennaio 2020.

Al momento si pongono pertanto due grandi problematiche: la prima concernente il rischio di esautorare il ruolo dell’Arbitro Bancario Finanziario e la seconda inerente la mancata tutela dei consumatori, sia pur al cospetto di una sentenza della Corte di Giustizia Europea che, in virtù del primato del diritto comunitario, deve essere applicata nei rapporti interni.

4.1. Le strategie e i comportamenti degli intermediari nei confronti dei consumatori.

La strategia adottata ad oggi dagli intermediari finanziari (solo una parte di essi) è quella di ostacolare l’orientamento di Bankitalia, non adempiendo alle decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario e di chiedere un intervento da parte del legislatore che tenga indenne le banche dal rischio di dover corrispondere quanto illegittimamente trattenuto dai consumatori in tutti i contratti di finanziamento e di cessione del quinto stipulati negli ultimi dieci anni.

In virtù degli inadempimenti degli intermediari alle decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario, l’unica strada percorribile per ottenere i rimborsi da parte dei consumatori sarà dunque quella di adire le vie giudiziali che, in questo primo periodo di applicazione della sentenza, hanno già riconosciuto l’obbligo del rimborso.

Si segnalano inoltre ad oggi, comportamenti scorretti di alcuni intermediari che a seguito di inoltro da parte del consumatore del preventivo reclamo, si vedono recapitare congiuntamente alla risposta al reclamo, una citazione in giudizio.

Detta pratica, è sicuramente stata messa in atto come deterrente da parte degli intermediari nei confronti dei consumatori, in modo tale da “costringere” il consumatore (ricordiamolo già parte debole del contratto) ad accettare offerte irrisorie o comunque molto lontane dall’effettiva pretesa.

Conseguentemente, con la notifica della citazione, viene inoltre precluso al consumatore la possibilità di accedere al ricorso ABF; sarebbe quindi auspicabile al riguardo un intervento della stessa Banca d’Italia per far cessare detti comportamenti.

5. La latitanza del legislatore italiano: a quando un intervento normativo?

Ad oggi il legislatore italiano, non si è pronunciato al riguardo, né con riferimento al decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, coordinato con la legge di conversione 24 aprile 2020, n. 27 (denominato Cura Italia), né con il decreto Legge Rilanci, né è stata previsto un intervento normativo da parte del governo che riguardi la cessione del quinto e il credito personale e al consumo.

Al riguardo, altro problema da affrontare, che non sarà oggetto del presente scritto, sarà quello di come gestire le procedure di sovraindebitamento per inadempimento della cessione del quinto del lavoratore per crisi di impresa del datore di lavoro.

Si segnala un’interrogazione parlamentare in Commissione Finanze, la n. 5-04106 sottoposta al Sottosegretario al MEF circa “chiarimenti in ordine alle procedure di ristoro in caso di estinzione anticipata di un finanziamento”.

Al riguardo è stato evidenziato che una eventuale soluzione normativa non potrà prescindere da un corretto bilanciamento degli interessi individuali contrapposti, tenendo conto delle esigenze di certezza del diritto, di tutela del legittimo affidamento e anche di minimizzazione del rischio per lo Stato.

6. I recenti orientamenti dei Tribunali italiani.

A favore degli intermediari si è pronunciato il Tribunale di Milano (sezione VI civile), dove nei mesi scorsi è stato condannato a risarcire le spese di giudizio e le spese generali un consumatore che aveva estinto in via anticipata un prestito cessione del quinto, contratto diversi anni prima, con una nota finanziaria.

Nel caso di specie il primo motivo d’appello accolto dal Tribunale di Milano è l’erronea interpretazione dell’art 125 comma 2 del TUB, al fine della elaborazione dei conteggi finalizzati alla estinzione del prestito.

La società finanziaria aveva calcolato in conformità al contratto, il costo complessivo del finanziamento ridotto degli interessi e degli eventuali costi recurring, senza prevedere alcun rimborso dei costi upfront come contrattualmente convenuto.

Contrariamente alle decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario e del giudice di primo grado che avevano invece riconosciuto il rimborso dei costi upfront.

Con questa sentenza, è stata riformata integralmente, la pronuncia del giudice di pace di Milano a favore della società finanziaria.

Al contrario di tutt’altro avviso il Tribunale di Napoli che, con sentenza del 29 giugno 2020 n. 4433 del 2020, in sede di appello dice “si” all’applicazione della sentenza Lexitor, rilevando la non sussistenza della distinzione tra costi up front e costi recurring, e conseguentemente il consumatore in caso di estinzione anticipata della cessione del quinto ha diritto ad ottenere il rimborso di tutti i costi sostenuti al momento della stipulazione del contratto di finanziamento.

In base alla sentenza dell’undici settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea emessa a conclusione del giudizio 383/2018, “L’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europe e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi a carico del consumatore”, senza distinguere tra costi up front (sostenuti per attività svolte completamente quanto il contratto è concluso) e recurring (relativi a benefici per il mutuatario destinati a prolungarsi per tutta la durata del rapporto).

L’art. 16.1 della Direttiva 2008/48/CEE recita: “il consumatore ha il diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, e tale testo sostanzialmente coincide con quello dell’art. 125 sexies. 1 TUB: “Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore. In tale caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”.

Al riguardo il Tribunale di Napoli rileva che si è visto che legittimamente l’art. 125.2 TUB nel testo vigente quando venne stipulato il contratto per cui è causa, va interpretato alla luce della norma sopravvenuta, il cui testo è perfettamente compatibile con quello della norma previgente, ma più specifico.

Del resto, nella sentenza della Corte di Giustizia Europea dell’undici settembre 2019 si precisa: “occorre ricordare che l’articolo 8 della direttiva 87/102, che è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2008/48, stabiliva che il consumatore, “in conformità alle disposizioni degli Stati Membri, (…) deve avere diritto ad una equa riduzione del costo complessivo del credito”.

Dunque occorre constatare che l’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 ha concretizzato il diritto del consumatore ad una riduzione del costo del credito in caso di rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di “equa riduzione” quella più precisa, di “riduzione del costo totale del credito” e aggiungendo che tale riduzione deve riguardare “gli interessi e i costi”; dunque la precedente normativa europea, che nell’ordinamento italiano era stata trasfusa dall’art. 125.2 TUB nel testo ante 2010, ha trovato precisazione nell’attuale direttiva, trasfusa nell’ordinamento italiano nel vigente art. 125 sexies TUB: il che vuol dire, come sopra evidenziato, che la portata dell’art. 125.2 previgente TUB, è stata precisata dall’attuale art. 125 sexies, il quale non ha innovato la precedente disciplina, ma ne ha soltanto chiarito ed esplicitato il contenuto.

Sempre in termini di pronunce a favore dell’orientamento espresso dall’Arbitro Bancario Finanziario, il Giudice di Pace di Torino con sentenza dell’11 maggio 2020 n. 862, ha aderito alla sentenza Lexitor, rilevando in aggiunta la nullità delle clausole contrattuali, in quanto contrarie a norme imperative.

Il Giudice di Pace di Torino ha asserito che: “Non vi sono ragioni per discostarsi dal costante orientamento giurisprudenziale, del Collegio di Coordinamento di ABF e dei singoli Collegi, pertanto, l’attore compete la restituzione delle somme richieste, che risultano correttamente calcolate in modo proporzionale alla durata residua del finanziamento, al momento dell’anticipata estinzione. Ne deriva che l’art. 2 delle condizioni di contratto è illegittima nella parte in cui stabilisce che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, “resta espressamente convenuto che…” “…gli importi indicati alle lettere A), B), D), F), e le spese di gestione documentale del prospetto economico non saranno rimborsabili”, e deve essere considerato nullo per contrarietà a norme imperative”.

 



[1] Tra i primi commenti cfr. Conciliatore Bancario Finanziario, La sentenza della Corte di Giustizia dell’11 settembre 2019 (C383/18). Considerazioni giuridiche e relativi effetti, 30 settembre 2019; W.G. CATURANO, Estinzione anticipata e diritti del consumatore: l’impatto della Corte di Giustizia sul “Caso Italiano”, 18 ottobre 2019, consultabile all’indirizzo www.expartecreditoris.it/provvedimenti/estinzione-anticipata-e-diritti-del-consumatore-limpatto-della-corte-di-giustizia-ue-sul-casoitaliano; F. MAIMERI, Credito al consumo: quali commissioni sono rimborsabili, in FCHub, 15 ottobre 2019, consultabile all’indirizzo https://fchub.it/wpcontent/uploads/2019/10/credito_al_consumo.pdf; A.A. DOLMETTA, Estinzione anticipata della cessione del quinto: il segno della Corte di Giustizia, in www.ilcaso.it.

[2] Cfr. Cass., 8 febbraio 2016, n.2468: “La Corte di giustizia della UE è l’unica autorità giudiziaria deputata all’interpretazione delle norme comunitarie, la quale ha carattere vincolante per il giudice nazionale, che può e deve applicarla anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa. Ne consegue che a tali sentenze, sia pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito effetto retroattivo, salvo il limite dei rapporti ormai esauriti, e “ultra partes”, di ulteriore fonte del diritto della UE, non nel senso che esse creino “ex novo” norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia “erga omnes” nell’ambito dell’Unione; nello stesso senso cfr. Cass., Cass. 17994/15; Cass. 1917/12; Cass. 4466/05; Cass. 857/95; La Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 19 del Trattato UE deve garantire l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione presso tutti gli Stati membri e la legittimità degli atti del diritto dell’Unione. Qualsiasi sentenza che applica o interpreta una norma comunitaria ha la natura di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, in quanto la Corte di Giustizia, come interprete qualificato, ne precisa autoritariamente il significato e, per tal via, ne determina, in definitiva, l’ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative (Cass. 4466/05).

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