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Approfondimenti

Rischi finanziari legati al clima: una prospettiva sulle misure prudenziali europee

4 Febbraio 2021

Giuseppe Quaglia, Partner, Alessio Mastroianni, Senior Manager, Daniela Donato, EY Advisory; Nicolò Ceruti, Politecnico di Milano

Di cosa si parla in questo articolo
ESG

Introduzione

Di fronte ad una coscienza sociale più matura la questione del riscaldamento globale è balzata in primo piano nelle recenti discussioni e nei dibattiti delle principali economie di tutto il mondo. Tuttavia, all’uomo, inteso come umanità collettiva, il pericolo del cambiamento climatico appare ancora astratto e sfuggente. Il riscaldamento globale, d’altra parte, è, e resta, una minaccia diversa dalle altre, sia per la sua portata e la sua scala, sia perché sostanzialmente, è un problema che riguarda le generazioni successive alle nostre. In questo quadro si inserisce la politica del cambiamento climatico: vari attori politici hanno preso coscienza della dimensione e dell’urgenza del problema sociale e, altresì negli ultimi anni molti Paesi hanno introdotto politiche ambiziose per la mitigazione del cambiamento climatico. Riguardo a ciò, la comunità internazionale è all’opera. La conferenza sul clima di Parigi (COP21) rappresenta una pietra miliare negli sforzi internazionali per creare una risposta efficace ai cambiamenti climatici. Il trattato siglato dalle Nazioni Unite, limitatamente alle riduzioni volontarie delle emissioni di gas serra, stabilisce un obiettivo a lungo termine per mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali entro la fine di questo secolo e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi richiederà un passaggio su larga scala verso tecnologie a basse emissioni di carbonio. Tuttavia, le transizioni socio-tecnologiche spesso comportano adattamenti dirompenti, anche quando sono in ultima analisi benefiche per il “benessere umano”. Questo processo di “distruzione creativa” avverrà probabilmente anche durante la transizione verso economie a basse emissioni di carbonio, con ripercussioni potenzialmente significative sulle dinamiche economiche e sulla stabilità finanziaria. Le società devono quindi affrontare il difficile compito di realizzare un rapido passaggio strutturale verso un’economia a basse emissioni di carbonio, evitando al contempo eccessive perdite economiche e salvaguardando la stabilità del sistema finanziario. Sin dall’istituzione del gruppo di esperti di alto livello sulla finanza sostenibile (“High-Level Expert Group on Sustainable Finance” – HLEG) nel 2016, l’Unione Europea si è posizionata come leader nella finanza sostenibile a livello mondiale. Sono stati compiuti rapidi progressi nell’integrazione dei cambiamenti climatici nel settore finanziario, indirizzandoli contemporaneamente da diverse angolazioni. Nel contesto politico dell’UE, la finanza sostenibile assume un ruolo chiave da svolgere nella mobilitazione del capitale necessario verso il conseguimento e la realizzazione degli obiettivi politici di sviluppo delineati all’interno del “Green Deal europeo”, il quale mira ad incanalare gli investimenti privati nella transizione verso un’economia neutrale dal punto di vista climatico, resiliente al clima ed efficiente sotto il profilo delle risorse. A tale scopo, nel 2018, la Commissione Europea ha sviluppato un programma politico globale in materia di finanza sostenibile come enunciato nel piano d’azione per il finanziamento della crescita sostenibile (“the action plan on financing sustainable growth” nel quadro dell’accordo verde europeo. Le raccomandazioni del gruppo di esperti di alto livello(HLEG) sulla finanza sostenibile costituiscono la base del sopracitato piano d’azione sulla finanza sostenibile adottato dalla Commissione nel marzo 2018. In particolare, il presente piano si prefigge di“riorientare i flussi di capitale verso investimenti sostenibili al fine di ottenere una crescita sostenibile e inclusiva”,di “integrare la sostenibilità nella gestione del rischio” e infine di “promuovere la trasparenza e il lungo termine nell’attività finanziaria ed economica”. Tuttavia, il processo di transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio comporta al tempo stesso rischi e opportunità per tutto il sistema economico e per le istituzioni finanziarie. Gli organismi di vigilanza, tra cui Banca Centrale Europea (BCE), monitorano da vicino gli sviluppi che avranno verosimilmente un impatto per gli enti dell’area dell’euro, in particolare l’Autorità bancaria europea (ABE) è stata incaricata di valutare in vari ambiti come integrare i rischi ambientali, sociali e di governance nei tre pilastri della vigilanza prudenziale.

Lo stato attuale

Tramite l’utilizzo di modelli climatici avanzati per lo studio di scenari futuri (si veda – Climate Action Tracker, 2019), è possibile prendere in considerazione almeno quattro diverse traiettorie riguardanti i processi di riscaldamento globale, la maggior parte delle quali risultano in livelli di temperature di 2°C o più al di sopra dei livelli preindustriali entro il 2100. Considerando un primo scenario di base caratterizzato da una completa assenza di politiche di mitigazione, secondo l’IPCC, esso implicherebbe un innalzamento delle temperature di 4,1-4,8°C. Un secondo scenario, caratterizzato dalle politiche attuali risulta in grado di mitigare il fenomeno del riscaldamento globale ad una base di 3,2°C. Il terzo percorso, invece, considera le politiche favorevoli al clima pianificate, ma non ancora attuate, che si traducono in un percorso di riscaldamento globale mediano di 2,8°C. L’ultimo percorso prende in considerazione procedure aggiuntive per soddisfare gli impegni e gli obiettivi sul clima, che si traduce in un livello di riscaldamento globale ancora superiore al punto di accordo di 2°C. I quattro percorsi sopracitati suggeriscono che le politiche attuali sono incompatibili con l’Accordo di Parigi che limita il riscaldamento globale a 1,5°C. Il passaggio a un tale percorso di allineamento sul clima richiede un forte rafforzamento delle politiche climatiche non nei decenni che seguono, ma per i prossimi anni. In tale contesto, mentre diverse banche e istituti finanziari riconoscono che il cambiamento climatico comporta gravi rischi finanziari, le informazioni accessibili in materia di dati aggregati suggeriscono che solo recentemente alcune di esse hanno iniziato a considerare gli effetti più immediati di questi rischi nei loro modelli di business. In diversi casi, il cambiamento climatico appare ancora come una questione di responsabilità sociale d’impresa – CSR, e quindi per lo più connessa a un rischio reputazionale piuttosto che a rischi di credito o di mercato. Contrariamente agli shock del sistema finanziario globale con effetti economici potenzialmente rilevanti, la determinazione dei prezzi dei rischi climatici sul mercato finanziario appare eterogeneo nel migliore dei casi e assente nel peggiore dei casi. È chiaro a questo punto che il pricing del mercato dei rischi legati al clima è estremamente complicato a causa della sua natura di lungo termine e della mancanza di dati. Una potenziale sottovalutazione del rischio di transizione potrebbe emergere se l’orizzonte strategico degli investitori è più breve dell’orizzonte su cui si aspettano che la transizione avvenga. Infatti, una corretto – pricing – del rischio climatico riduce il rischio di un’improvvisa svalutazione degli assets e quindi di conseguenza dei costi relativi ad un percorso di adattamento e transizione, che in tal caso sarebbe probabilmente più ordinato e trasparente. Allo stesso tempo, il pricing del mercato è ostacolato dalla mancanza di informazioni granulari e comparabili sui rischi legati al cambiamento climatico. Tale problema deriva da questioni di fondo relative alla divulgazione dei dati e alle rendicontazioni non finanziarie, che rimangono insufficienti, incomplete e incoerenti favorendo processi come quelli di “greenwashing”. Questo approccio può essere corretto standardizzando ulteriormente i requisiti di informazione. A tale scopo, la plenaria del Parlamento europeo ha confermato l’accordo sul regolamento che istituisce un sistema di classificazione comune per incoraggiare gli investimenti privati nella crescita sostenibile. La cosiddetta tassonomia, il cui profilo è stato delineato nel report elaborato dagli esperti assoldati dalla Commissione europea – pubblicato insieme a quello relativo ai green bond, realizzato dallo stesso gruppo di lavoro, e che sarà utilizzato come base per la definizione di uno standard UE in materia. La norma, approvata senza votazione perché in seconda lettura e già concordata con i governi UE, entrerà in vigore dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. La tassonomia consentirà agli investitori di reindirizzare gli investimenti verso tecnologie e imprese più sostenibili e sarà determinante per rendere l’UE climaticamente neutra entro il 2050 e raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030 dall’accordo di Parigi. Difatti, una corretta circolazione di informazioni garantirebbe al mercato di riconoscere tali esternalità negative ed integrarle nel processo di determinazione dei prezzi, garantendo così al mercato di fare ciò che tende a fare meglio, ovvero ad allocare correttamente ed in modo efficiente i flussi finanziari.

Il quadro attuale del regime normativo ESG dell’UE

Le misure adottate dell’UE possono essere suddivise in due tipi: prudenziali e regole basate sulla condotta. Le misure prudenziali riguardano sia gli istituti di credito che le società di investimento e prevedono l’integrazione del rischio ESG nel più ampio quadro di gestione del rischio prudenziale insieme ai rischi di credito, di mercato, di liquidità, operativi e di altro tipo. Le nuove misure prudenziali prevedono anche l’integrazione del rischio ESG nell’informativa del “Terzo Pilastro”. Come si vedrà in seguito, la maggior parte di queste regole prudenziali sarà introdotta gradualmente a partire dal 2021, con una serie di misure aggiuntive da attuare su base continuativa per il resto del prossimo decennio. Per quanto riguarda le misure in termini di “regole di condotta”, esse derivano, in ultima analisi, dalla Politica di Finanza Sostenibile del Consiglio Europeo, che stabilisce le ambizioni politiche di alto livello dell’élite politica dell’UE. Questa politica è integrata da una serie di corrispondenti programmi europei di iniziative di Green Finance della Commissione, la più immediata delle quali è il Piano d’azione per la finanza sostenibile. Il primo testo legislativo relativo ai fattori ambientali, e in particolare nel suo più ampio spettro in materia di ESG – Environmental, Social and Governance – ad essere promulgato è stata la Direttiva sull’informativa non finanziaria (Direttiva 2014/95/UE – Non-Financial Reporting Directive – NFRD), entrata in vigore nel 2017, la quale impone alle grandi aziende operanti all’interno dell’EU (incluse le società di servizi finanziari) di divulgare, tra gli altri requisiti, i dati sull’impatto della loro azienda sui fattori ESG e viceversa. A tal riguardo, la Commissione Europea ha pubblicato nuove Linee guida non vincolanti (Non-binding Guidelines – NBG) per l’integrazione del rischio climatico nella direttiva sulla rendicontazione non finanziaria (NFRD) nel mese di giugno 2019. Le nuove linee guida fanno riferimento alle raccomandazioni della Task-force sulle informazioni finanziarie relative al clima (Taskforce on Climate-related Financial Disclosures -TCFD). Le informazioni rendicontate tramite NFRD, insieme ad altri set di dati, saranno utilizzate per valutare se un investimento soddisfa i criteri di “sostenibilità ambientale” stabiliti nella proposta di regolamento sulla Tassonomia europea. Nel giugno 2019 difatti, l’UE ha pubblicato la relazione del gruppo di esperti tecnici (TEG) su una tassonomia universale al fine di standardizzare le attività definite come “green” ovvero che contribuiscono alla mitigazione di attività climatiche avverse. La tassonomia mira ad aiutare gli investitori e i responsabili politici a comprendere quali attività economiche contribuiscono alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, sia attraverso la mitigazione che l’adattamento. Essa delinea criteri di screening qualitativi per identificare la resilienza di attività economiche, fornendo esempi specifici di attività per classificazione settoriale. Oltre ai criteri ambientali, i requisiti di classificazione tassonomica includono rigorosi “minimi” sociali e di governance in materia di “salvaguardia dell’ambiente” e aderiscono al principio di “non nuocere” agli altri “principi ambientali” stabiliti dalla proposta di regolamento tassonomico.Le aziende, i cui prodotti soddisfano i criteri della tassonomia e che commercializzano i loro prodotti come sostenibili dal punto di vista ambientale e le aziende che promuovono le caratteristiche ESG dei loro prodotti e servizi finanziari saranno soggette al regolamento sulla sustainability disclosure regulation (regolamento (UE) 2019/2088 – SDR), che introduce una rigorosa divulgazione per i prodotti commercializzati in questo modo. L’SDR prevede anche regole più generali per l’informativa ESG a livello di prodotto e di impresa che richiedono alle società di investimento di analizzare i rischi che gli investimenti da esse gestiti presentano per i fattori ESG e viceversa (la “prospettiva della doppia materialità”). La maggior parte di queste regole entrerà in vigore nel 2021.Dove applicabile, molte delle informazioni relative alle SDR devono presentare i risultati ESG relativi rispetto ai parametri di riferimento rilevanti, compresi, i parametri climatici. Il nuovo Regolamento sui Climate Benchmarks dell’UE (regolamento (UE) 2019/2089 – CBRs), impone agli amministratori dei parametri di riferimento una metodologia rigorosa e obblighi di rendicontazione dei medesimi, che devono essere classificati come parametri di riferimento allineati agli obiettivi sul clima di Parigi (Paris-Aligned Benchmarks – PABs) o i meno ambiziosi “parametri di transizione climatica” (CTBs).In contemporanea al Report finale sulla Tassonomia, è stata pubblicata la “Guida all’uso del EU Green Bond Standard” con cui il TEG ha presentato nuove linee guida per l’introduzione e l’applicazione del Green Bond Standard europeo (EU GBS). Il documento recepisce diversi aggiornamenti legati all’accordo politico sulla Tassonomia raggiunto a dicembre 2019 dal trilogo (Commissione, Consiglio e Parlamento europeo) e al Green Deal lanciato dalla Commissione. La regolamentazione relativa ai EU GBS fa parte delle iniziative del Piano d’Azione che prevede la “creazione di norme e marchi per i prodotti finanziari sostenibili”. Uno degli intenti dell’Action Plan è orientare i flussi di capitali verso gli investimenti sostenibili e i EU GBS sono uno strumento finanziario completamente votato a tale scopo. Infine, in termini di misure di condotta, le aziende buy-side devono integrare le considerazioni ESG nelle loro strategie di investimento e nell’attività di engagement ai sensi della Seconda Direttiva sui diritti degli azionisti (Direttiva (UE) 2017/828 – SRD II), entrata in vigore a metà del 2019.

I rischi climatici e i relativi impatti sulla stabilità finanziaria

La transizione a un’economia a basse emissioni di carbonio e più circolare comporta al tempo stesso rischi e opportunità per tutto il sistema economico e per le istituzioni finanziarie, mentre i danni fisici causati dai cambiamenti climatici e dal degrado ambientale possono avere un impatto significativo sull’economia reale e sul settore finanziario (BCE, 2020). Quando si parla di rischi climatici, si fa riferimento a mutamenti strutturali inerenti ai cambiamenti climatici, i quali influiscono sull’attività economica e, di conseguenza, sul sistema finanziario in generale. I rischi legati al clima si riferiscono dunque ai rischi finanziari derivanti dall’esposizione di attori finanziari e istituzioni ai cosiddetti rischi climatici. Per quanto riguarda i canali di trasmissione dei rischi climatici al settore finanziario, due aspetti principali sono ormai comunemente intesi come tali. In primo luogo, il cambiamento climatico può influire direttamente sulla stabilità finanziaria a seguito dell’impatto di eventi naturali estremi sull’economia reale. In secondo luogo, i mercati finanziari possono essere influenzati negativamente dalle incertezze legate sia ai tempi che alla velocità dell’intero processo di adeguamento verso un’economia a basse emissioni di carbonio grazie all’impatto di azioni politiche volte alla mitigazione dei rischi climatici e del progresso tecnologico potenzialmente dirompente sui prezzi degli asset dei settori ad alta intensità di carbonio. In letteratura, questi rischi sono tipicamente indicati rispettivamente come rischi fisici e di transizione, ed entrambi sono fonte di rischi finanziari. I rischi fisici possono essere classificati come sia “acuti” – se derivano da eventi climatici e meteorologici – sia “cronici” – se derivano da spostamenti progressivi dei modelli climatici e meteorologici. I rischi fisici includono i costi economici e le perdite finanziarie derivanti dalla crescente gravità e frequenza di eventi meteorologici estremi legati al cambiamento climatico (come ondate di calore, siccità, frane, inondazioni, incendi e tempeste), così come i progressivi cambiamenti climatici a lungo termine (come l’acidificazione degli oceani, l’innalzamento del livello del mare e le temperature medie) (NGFS, 2020). I rischi fisici, quando si concretizzano, possono erodere in modo significativo i valori delle garanzie e delle attività reali e hanno un impatto in particolare sulle passività assicurative. D’altro canto, i rischi di transizione sono rischi finanziari che possono derivare dal processo di adattamento verso un’economia a basse emissioni di carbonio, determinati ad esempio dall’introduzione di politiche ambientali e climatiche, innovazioni tecnologiche o dal mutare della fiducia e delle preferenze dei mercati che potrebbe influenzare il prezzo di prodotti energetici sostitutivi, la profittabilità di alcune imprese e la relativa svalutazione di assets. Considerando che le emissioni devono raggiungere rapidamente lo “zero netto” per evitare ulteriori cambiamenti climatici, è probabile che il processo di riduzione delle emissioni abbia un impatto significativo sull’economia globale, influenzando così il valore degli asset finanziari, in particolare quelli di alcuni settori ad alta intensità di carbonio. Mentre sono urgentemente necessarie azioni determinate, è necessario un approccio credibile a lungo termine basato su misure efficaci, poiché una transizione brusca potrebbe anche avere un impatto sulla stabilità finanziaria e sull’economia in senso più ampio. Diviene rilevante e cruciale il ruolo delle Banche Centrali e dei decisori politici. I rischi climatici e ambientali hanno caratteristiche peculiari che devono essere tenute in particolare considerazione dalle autorità di vigilanza e dagli enti. Tali caratteristiche includono la vastità dell’impatto in termini di portata ed entità, un orizzonte temporale incerto ed esteso nonché la dipendenza da interventi a breve termine (ECB, 2020). Di conseguenza, i rischi fisici e di transizione rappresentano fattori di rischio prudenziale, con particolare riferimento ai rischi di credito, operativo, di mercato e di liquidità. I costi associati ai rischi fisici e di transizione variano a seconda della traiettoria scelta per la riduzione delle emissioni di carbonio. Poiché i costi legati al rischio fisico aumentano quando le emissioni si accumulano e si concentrano maggiormente, un ritardo nell’azione da parte delle autorità politiche aumenterà l’entità dei costi di reazione e di adeguamento necessari in futuro. Al contrario, una transizione ordinata consentirebbe una graduale rivalutazione dei beni, mentre un intervento tempestivo ridurrebbe al minimo i danni causati dal rischio fisico.

Le misure prudenziali nel sistema europeo di vigilanza finanziaria

Come già anticipato, la transizione a un’economia a basse emissioni di carbonio comporta rischi e opportunità per il sistema economico e per le istituzioni finanziarie, mentre i danni fisici causati dai cambiamenti climatici possono avere un impatto significativo sull’economia reale e sul settore finanziario. Il loro impatto, dunque, e la probabilità di manifestazione attraverso i canali di trasmissione finanziaria, hanno reso i rischi climatici una priorità nelle agende delle principali Banche Centrali, Autorità di Regolamentazione e di Organismi di Vigilanza, responsabili del monitoraggio e del mantenimento della stabilità finanziaria.Per quanto riguarda nello specifico il settore creditizio, l’Autorità bancaria europea (ABE) è stata incaricata di valutare in vari ambiti come integrare i rischi ambientali, sociali e di governance nei tre pilastri della vigilanza prudenziale. Su queste basi l’ABE ha quindi pubblicato un piano d’azione sulla finanza sostenibile, nel quale rivolge messaggi di policy fondamentali agli enti creditizi sul piano della strategia e della gestione dei rischi, dell’informativa, dell’analisi di scenario e delle prove di stress a fronte dell’integrazione dei rischi climatici. Gli obiettivi del lavoro dell’ABE sulla finanza sostenibile sono legati agli obiettivi generali di contribuire alla stabilità e all’efficacia a breve, medio e lungo termine del sistema finanziario e includono; i) migliorare l’attuale quadro normativo per le istituzioni al fine di favorire il loro funzionamento in modo sostenibile (contribuendo agli obiettivi di sviluppo sostenibile e gestione dei rischi ESG) e introdurre considerazioni sulla sostenibilità nelle istituzioni in materia di strategia e gestione del rischio; e ii) fornire ai supervisori strumenti adeguati per comprendere, monitorare e valutare i rischi ESG nelle loro pratiche di vigilanza. Nello specifico:

In linea con l’aspettativa che la considerazione dei fattori ESG sarà incorporata in tutti i prodotti normativi, l’ABE ha incluso riferimenti al – green lending – e ai fattori ESG nelle linee guida sulla concessione e il monitoraggio dei prestiti (“final report guidelines on loan origination and monitoring” del 29 maggio 2020) che si applicheranno alla governance interna e alle procedure relative ai processi di concessione del credito e alla gestione del rischio a partire dal 30 giugno 2021. Sulla base di tali linee guida, le istituzioni saranno tenute a includere i fattori ESG nelle loro politiche di gestione del rischio, incluse le politiche e le procedure di gestione del rischio di credito. In relazione a ciò, le banche nello specifico dovranno, in primis fornire un elenco di progetti verdi e i criteri che l’istituzione medesima prende in considerazione nel giudicare l’idoneità e ammissibilità di tale progetto come parte della sua politica di “green lending”. In tale contesto, gli istituti di credito dovranno inoltre specificare il processo attraverso il quale l’ente:

  • valuta che i proventi ottenuti dalla concessione di linee di credito – verdi siano propriamente utilizzati, tramite la raccolta di informazioni sul clima e sull’ambiente inerente all’attività di business delle controparti
  • valuta la conformità del progetto di finanziamento della controparte
  • assicura che la controparte abbia la volontà e la capacità di monitorare e rendicontare l’allocazione delle risorse verso progetti sostenibili
  • monitora su base regolare che gli introiti siano allocati correttamente

Il pacchetto CRR II/CRD V rivisto comprende tre mandati per l’EBA nell’area della sostenibilità finanziaria. Sulla base del primo mandato previsto dall’articolo 98, paragrafo 8, della CRD V, l’ABE valuta l’elaborazione di una definizione uniforme dei rischi ESG, l’elaborazione di criteri e metodi per comprendere l’impatto dei rischi ESG sulle istituzioni, le disposizioni e le strategie che le istituzioni devono attuare per valutare e gestire i rischi ESG e la potenziale inclusione dei rischi ESG nel processo di revisione e valutazione da parte delle autorità di vigilanza (SREP). L’ambito di questo mandato è molto ampio e comprende infatti una proposta completa, sotto forma di relazione, per la gestione dei rischi ESG e la loro integrazione nella governance, nella gestione del rischio (inclusa l’analisi di scenari e stress test) e nella supervisione. A tal fine, la valutazione dell’ABE deve comprendere, inter-alia:

  1. lo sviluppo di una definizione uniforme dei rischi ESG che includa i rischi fisici e i rischi di transizione;
  2. lo sviluppo di criteri per comprendere l’impatto dei rischi ESG sulla stabilità finanziaria delle istituzioni a breve, medio e lungo termine;
  3. le disposizioni, i processi, i meccanismi e le strategie che le istituzioni devono attuare per identificare, valutare e gestire tali rischi; e
  4. i metodi e gli strumenti di analisi per valutare l’impatto dei rischi ESG sull’attività creditizia e di intermediazione finanziaria delle istituzioni.

Il secondo mandato si riferisce all’articolo 449a della CRR II, il quale richiede alle grandi istituzioni con emissioni quotate in borsa di divulgare informazioni sui rischi ESG, sui rischi fisici e sui rischi di transizione, come definiti nella relazione di cui all’articolo 98 della CRD V. A seguito di questo mandato, l’ABE specificherà le informazioni sui rischi ESG come parte dello standard tecnico completo di terzo pilastro.

Infine, il Regolamento (UE) 2019/2033 (Investment Firm Regulation – IFR), del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 novembre 2019 relativo ai requisiti prudenziali delle imprese di investimento e che modifica i regolamenti (UE) n. 1093/2010, (UE) n. 575/2013, (UE) n. 600/2014 e (UE) n. 806/2014, comprende una serie di calcoli basati sul rischio che formano parte di un più ampio quadro di requisiti patrimoniali per le società e gruppi bancari d’investimento. L’Articolo 34 inerente al “trattamento prudenziale delle attività esposte ad attività associate ad obiettivi ambientali o sociali”, impone all’ABE di valutare, previa consultazione del Comitato europeo per il rischio sistemico, sulla base dei dati disponibili e delle conclusioni del gruppo di esperti ad alto livello sulla finanza sostenibile della Commissione, se un trattamento prudenziale dedicato delle attività esposte ad attività sostanzialmente associate ad obiettivi ambientali o sociali, sotto forma di fattori K adeguati o di coefficienti applicati a fattori K adeguati, sia giustificato da una prospettiva prudenziale. In particolare, l’ABE valuta gli elementi seguenti:

  1. le opzioni metodologiche per valutare le esposizioni delle classi di attività verso attività sostanzialmente associate ad obiettivi ambientali o sociali;
  2. i profili di rischio specifici delle attività esposte ad attività sostanzialmente associate ad obiettivi ambientali o sociali;
  3. i rischi collegati al deprezzamento delle attività dovuto a modifiche normative quali la mitigazione dei cambiamenti climatici;
  4. i potenziali effetti sulla stabilità finanziaria di un trattamento prudenziale dedicato delle attività esposte ad attività sostanzialmente associate ad obiettivi ambientali o sociali.

L’articolo 66(c) dell’Investment Firm Directive – IFD, tuttavia, richiede che la Commissione Europea, in stretta collaborazione con l’ABE e l’ESMA, valuti e presenti una guida al Parlamento e al Consiglio Europeo entro il 26 giugno 2024, tenendo conto della relazione dell’ABE di cui all’articolo 35 della IFD e “la tassonomia sulla finanza sostenibile”, sull’eventuale rischio ESG:

  1. considerato per la governance interna di una società di investimento;
  2. considerato per la politica retributiva di una società di investimento;
  3. considerato per il trattamento dei rischi;
  4. incluso nel processo di revisione e valutazione da parte delle autorità di vigilanza.

Per quanto concerne infine direttive in materia di analisi di scenario e stress testing, l’ABE, ha pubblicato all’interno del piano d’azione sulla finanza sostenibile, specificatamente all’articolo 23 (“Identification and measurement of systemic risk”) uno specifico riferimento al potenziale rischio sistemico legato al cambiamento climatico da riflettere nel regime di stress-testing. A tal riguardo, l’ABE dovrebbe sviluppare metodologie comuni per valutare l’effetto di scenari economici avversi sulla situazione finanziaria di un istituto tenendo conto, tra l’altro, dei rischi climatici derivanti dall’esposizione di attori finanziari ai rischi fisici e dall’impatto dei rischi di transizione derivanti da cambiamenti turbolenti della politica ambientale. Il mandato di cui all’articolo 98 della CRD V richiede inoltre all’ABE di sviluppare adeguati criteri qualitativi e quantitativi, come le prove di stress test e analisi di scenario, per valutare l’impatto dei rischi ESG in diversi scenari a cui corrispondono diverse temperature espresse in gradi centigradi.

Anche la BCE segue da vicino gli sviluppi che avranno verosimilmente un impatto per gli enti dell’area dell’euro. A tal riguardo, BCE ha pubblicato il 27 novembre 2020 il testo definitivo di “Guida sui rischi climatici e ambientali” all’interno della quale espone la propria visione in merito a una gestione sicura e prudente dei rischi climatici e ambientali nell’ambito del quadro prudenziale vigente, descrivendo le sue aspettative riguardo a come gli enti dovrebbero tenere conto di tali rischi (quali fattori determinanti per le categorie di rischi prudenziali già stabilite) nella formulazione e attuazione delle strategie aziendali e dei sistemi di governance e di gestione dei rischi. Illustra inoltre come, secondo la BCE, gli enti dovrebbero accrescere la propria trasparenza rafforzando l’informativa sugli aspetti climatici e ambientali. All’interno di tale guida, si riscontrano indicazioni dettagliate in merito all’integrazione dei rischi climatici e ambientali nella gestione dei rischi di credito, operativi, di mercato e di liquidità, nonché nell’ambito dell’ICAAP, inclusa la quantificazione dei rischi mediante analisi di scenario e prove di stress. A tal riguardo BCE esplicita come nell’ambito dell’ICAAP ci si attende che gli enti svolgano un esame mirato e approfondito delle proprie vulnerabilità mediante prove di stress. Gli scenari di stress dovrebbero includere tutti i rischi rilevanti che potrebbero intaccare il capitale interno o avere un impatto sui coefficienti patrimoniali regolamentari e dovrebbero essere utilizzati nell’ambito del programma di prove di stress di ciascun ente in una prospettiva sia economica che normativa. Tra le aspettative di BCE si riscontra inoltre come “gli enti includano esplicitamente i rischi climatici e ambientali nel quadro di riferimento per la determinazione della propensione al rischio”. Ovvero gli enti dovrebbero disporre di un quadro di riferimento per la determinazione della propensione al rischio (risk appetite framework, RAF), sottoposto a regolare riesame, che tenga conto di tutti i rischi rilevanti a cui sono esposti in un’ottica prospettica, in linea con l’orizzonte di pianificazione strategica. L’integrazione dei rischi climatici e ambientali nel RAF accresce la resilienza degli enti in relazione ad essi e migliora la loro capacità di gestirli, ad esempio attraverso la definizione di massimali di credito per settori e aree geografiche altamente esposti.

Esposizioni del sistema bancario italiano ai rischi climatici di transizione

Riconoscendo l’impatto che il manifestarsi di eventi climatici avversi o di nuove politiche climatiche stringenti potrebbero avere sul sistema finanziario, l’organismo di vigilanza europeo (BCE) ha svolto un primo esercizio di valutazione delle esposizioni dirette(in termini di Equity, Bonds)del sistema finanziario europeo ai rischi climatici di transizione. Complessivamente, le esposizioni nette verso i venti maggiori emittenti (imprese) catturano il 20 per cento del totale delle esposizioni lorde, ovvero l’1,8 per cento del totale delle attività delle banche del campione in esame da BCE. Tuttavia, l’analisi del settore bancario svolta da BCE risente del fatto che i prestiti non sono inclusi nell’oggetto di studio. Al fine di complementare tale analisi, si procede a replicare il modello BCE svolgendo una valutazione inerente all’esposizione indiretta del sistema bancario Italiano ai rischi climatici (esposizioni indirette via prestiti). Il focus sull’esposizione indiretta tramite prestiti fornisce una giusta proxy dell’esposizione ai rischi climatici del settore bancario italiano: l’esposizione delle banche attraverso i loro portafogli (equity-bonds) non è particolarmente significativo in Italia data la predominanza di prestiti e obbligazioni sovrane nei bilanci delle banche (68 e l’11 per cento del loro attivo a fine 2019). Le classificazioni esistenti dei settori economici come la NACE Rev2 non sono state concepite per tenere conto dell’impatto climatico e quindi non possono essere applicate direttamente per stimare le esposizioni finanziarie ai settori rilevanti per il clima. Si procede dunque a rimappare tutti i settori a livello di NACE2 in cinque nuovi settori sensibili alle politiche climatiche, combinando criteri quali le emissioni di carbonio e il ruolo del settore nella catena di approvvigionamento (metodologia Climate Policy Relevant Sectors – CPRSs). Le prime stime ottenute fanno riferimento al fatto che: i) I prestiti concessi ai settori potenzialmente esposti ai rischi climatici di transizione, sono in costante diminuzione dal 2011 (43,56 per cento) e rappresentano il 36,72 per cento del totale dei prestiti nel 2019, ii)L’esposizione del sistema bancario italiano nel 2019 ha raggiunto il 36,72 per cento del totale dei crediti, pari al 21,56 per cento dell’attivo totale delle banche.

Conclusioni

L’analisi presentata in questo studio mostra come il rischio climatico può influire negativamente sui bilanci degli istituti finanziari e, per questo motivo, può essere rilevante per la stabilità finanziaria. Considerando questi aspetti, il seguente articolo conferma l’importanza dei rischi legati al clima e la necessità per le banche di trattare i rischi climatici non solo come rischi reputazionali, ma come un puro rischio finanziario, integrando le considerazioni sul clima nei propri quadri di gestione del rischio finanziario, nonché identificati nell’approccio che BCE ha presentato nelle sue Guide. La gestione del rischio climatico è dunque un esercizio nuovo e continuerà ad evolversi. Poiché il settore dei servizi finanziari adotta approcci solidi e analitici per la comprensione del rischio climatico, è ritenuto che l’integrazione dei medesimi rischi diventerà un argomento significativo per la governance e la gestione del rischio. A tale input, gli investitori risponderanno come tale, poiché le informazioni rese disponibili sulle rendicontazioni sul clima guideranno le loro allocazioni di capitale. Un ambiente di dati più vasto può alimentare mercati dei capitali più efficienti. Grazie a tutti questi cambiamenti, la crescente consapevolezza del rischio climatico all’interno del settore dei servizi finanziari genererà in ultima analisi benefici ad ampio raggio per altri settori e per la società nel suo complesso. È giusto ricordare come la crisi finanziaria del 2008 ha portato allo sviluppo di nuovi strumenti per garantire la solidità e la stabilità del sistema finanziario. Una dinamica simile può essere intravista per lo sviluppo di strumenti di vigilanza sostenibili per minimizzare i rischi finanziari associati ai rischi di transizione economica. Inoltre, le misure sopra descritte sono solo la punta dell’iceberg, che comprende principalmente un “framework” di testi legislativi (Lamfalussy, livello 1). Nel corso del prossimo mezzo decennio e oltre, queste misure saranno integrate da un’abbondanza di testi delegati di livello 2 più dettagliati e materiale di supporto di livello 3, dopo di che le norme saranno probabilmente ricalibrate ed estese. L’entità del fenomeno normativo ESG è tale da essere in procinto di modificare le categorie tradizionali della regolamentazione finanziaria, attualmente così separate:

  • Regole prudenziali
  • Regole di condotta
  • Regole sulla criminalità finanziaria
  • Pagamenti e regole per le infrastrutture di mercato

Con l’attuale serie di regolamenti e iniziative proposte, sembra tuttavia che il “framework” ESG diventerà inesorabilmente il quinto pilastro della regolamentazione finanziaria.

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Banche e intermediari Governance e controlli

Rischi finanziari legati al clima: una prospettiva sulle misure prudenziali europee

4 Febbraio 2021

Giuseppe Quaglia, Partner, Alessio Mastroianni, Senior Manager, Daniela Donato, EY Advisory; Nicolò Ceruti, Politecnico di Milano

Di fronte ad una coscienza sociale più matura la questione del riscaldamento globale è balzata in primo piano nelle recenti discussioni e nei dibattiti delle principali economie di tutto il mondo.
Attualità
Crisi bancarie Governance e controlli

BRRD: il nuovo Recovery Playbook

28 Maggio 2020

Alessio Mastroianni e Alessandra De Bellis, EY

Al fine di creare una disciplina uniforme a livello europeo, armonizzando le regole per prevenire e gestire le crisi delle banche e delle imprese di investimento, il 15 maggio 2014 è stata introdotta la Bank Recovery and Resolution Directive (Direttiva
Di cosa si parla in questo articolo
ESG
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