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Giurisprudenza

Coniugi residenti in Comuni diversi: non applicabile l’esenzione IMU per l’abitazione principale

9 Marzo 2022

Matteo Mancini, Avvocato

Cassazione Civile, Sez. V, 17 gennaio 2022, n. 1199 – Pres. Luciotti, Rel. Cataldi

Di cosa si parla in questo articolo
IMU

Ai fini del riscontro dei presupposti per godere dell’esenzione dall’Imposta Municipale Propria (“IMU”) per l’abitazione principale prevista ai sensi dell’art. 13 Decreto-Legge 6 dicembre 2011, n. 201 (di seguito “DL 201/2011”), occorre verificare la coesistenza dei requisiti di residenza anagrafica e dimora abituale non solo con riferimento al singolo contribuente, ma rispetto all’intero suo nucleo familiare.

L’agevolazione non spetta, pertanto, al contribuente proprietario (ovvero titolare di altro diritto reale) di un immobile laddove il relativo coniuge, non legalmente separato, abbia fissato la propria residenza anagrafica e dimora abituale presso un’altra abitazione situata in un differente Comune.

Nell’affermare tali principi, conformemente ad una serie di pronunce emanate nell’ultimo biennio, la Corte di Cassazione – con l’ordinanza in oggetto – ha sostenuto come tale conclusione interpretativa rispetti pienamente i principi costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva, non ostando alla sua applicazione le diverse indicazioni fornite in taluni documenti della prassi amministrativa intervenuti precedentemente sul tema, sull’assunto che “il documento di prassi non costituisce fonte di diritto, né comporta vincoli per l’Amministrazione finanziaria”.

Riepilogando sinteticamente i fatti di causa, i giudici di legittimità sono stati chiamati a pronunciarsi sull’impugnazione – operata dal Comune ricorrente – della sentenza emessa dalla competente Commissione Tributaria Regionale (i.e. “CTR”) con cui veniva respinto l’appello proposto dallo stesso ente territoriale avverso la pronuncia del giudice di prime cure.

La competente Commissione Tributaria Provinciale (i.e. “CTP”), infatti, accoglieva il ricorso del contribuente per l’annullamento dell’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti attraverso cui il citato Comune procedeva al recupero dell’IMU non assolta ed asseritamente dovuta sulla base del fatto che l’immobile oggetto di imposizione non potesse considerarsi – contrariamente a quanto ritenuto dal contribuente – “esente quale abitazione principale”, visto, nello specifico, il possesso da parte del coniuge non legalmente separato del soggetto accertato della residenza anagrafica e della dimora abituale presso un differente territorio comunale.

Ricorrendo in Cassazione, il Comune – parte soccombente del giudizio di appello – lamentava, con unico motivo, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 13, comma 2, DL 201/2011, nella misura in cui la competente CTR – ad avviso dell’ente territoriale – aveva omesso di tener conto, nella formulazione della sua decisione, dell’ormai consolidata giurisprudenza secondo cui la norma che disciplina l’esenzione in questione debba essere interpretata rigorosamente, non potendosene estendere tout court l’applicazione all’ipotesi in cui i coniugi non legalmente separati non dimorino e non risiedano abitualmente nel medesimo immobile.

Nell’esaminare la censura operata dal ricorrente, i giudici di legittimità hanno anzitutto richiamato quanto precedentemente sostenuto dalla stessa Corte di Cassazione con una serie di pronunce emanate nell’ultimo periodo, ossia che nel caso in cui due coniugi abbiano la propria abitazione in due differenti immobili siti in diversi Comuni, restando “unico” il nucleo familiare, viene meno l’”abitazione principale” ad esso riferibile. In conseguenza di ciò, il coniuge che dimori e risieda anagraficamente in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale) non avrà diritto all’esenzione dall’IMU a meno che il citato immobile costituisca contestualmente la dimora abituale e la residenza anche dei suoi familiari, qualificandosi, dunque, quale abitazione principale dell’intero nucleo familiare (cfr. ex multis, Cass. 17 giugno 2021, n. 17408, Cass. 1° febbraio 2021, n. 2194; Cass. 24 settembre 2020, n. 20130; Cass. 19 febbraio 2020, n. 4166).

Nel proseguire la disamina, è stato poi evidenziato come le norme di natura agevolativa (come quelle relative alle esenzioni) abbiano natura “eccezionale” in quanto emanate in deroga al principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost. posto che, incidendo sul presupposto dell’imposta (“an debeatur”), sottraggono dall’applicazione del tributo fatti o soggetti che, di norma, farebbero parte della sua definizione generale.

In ragione di tale caratteristica, l’interpretazione che riguarda tale tipologia di disposizioni deve necessariamente essere rigorosa (cfr. anche art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, c.d. “preleggi”) non potendosi ammettere l’estensione per analogia del suo campo di applicazione a casi differenti da quelli espressamente previsti dal dato testuale.

Facendo leva su tali considerazioni e richiamando sempre le pronunce citate, la Suprema Corte ha poi evidenziato come la rigorosa interpretazione emersa con il richiamato orientamento giurisprudenziale nell’ultimo biennio debba considerarsi costituzionalmente orientata, considerato che, diversamente opinando, si realizzerebbe il venir meno di principi costituzionali sia sotto il profilo dell’uguaglianza che della capacità contributiva.

Su questo tema – per completezza – val bene segnalare che, proprio dubitandone la conformità ai citati principi, la CTP di Napoli, con ordinanza emessa il 18 ottobre e depositata il 22 novembre 2021, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del citato art. 13, comma 2, del Dl 201/2011 “nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’imposta per l’abitazione adibita a dimora principale del nucleo familiare nel caso in cui uno dei suoi componenti sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in altro comune, per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, anche in relazione agli articoli 1, 29, 31, 35 e 47 della Costituzione”.

Passando oltre, i supremi giudici hanno poi sottolineato come sia del tutto irrilevante la circostanza secondo cui il contribuente abbia ritenuto applicabile l’esenzione in commento affidandosi alla posizione assunta sul tema dall’Amministrazione finanziaria, la quale, con la Circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze 18 maggio 2012, n. 3/DF– contrariamente a quanto affermato dalla giurisprudenza posta a sostegno della presente pronuncia – affermava come l’ubicazione degli immobili in differenti Comuni sterilizzi il rischio di elusione della norma agevolativa, in presenza di effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro territorio, determinando così la possibilità di applicare, per entrambe le abitazioni, il regime di esenzione.

La prassi dell’Amministrazione finanziaria – infatti – “in materia tributaria non costituisce fonte di diritti ed obblighi, non discendendo da essa alcun vincolo neanche per la stessa Amministrazione finanziaria” (cfr. Cass. 17408/2021 cit. e Cass. 20819/2020 cit.). Con riferimento a tale tematica, nonostante il palese contrasto fra i citati chiarimenti propri della prassi amministrativa e quelli della giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte – con la pronuncia in oggetto – non prende posizione per quanto attiene la possibile disapplicazione delle sanzioni amministrative previste per le violazioni in esame.

In definitiva, dunque, con la pronuncia in oggetto i giudici di legittimità hanno inteso dare continuità all’orientamento richiamato sancendo – anche attraverso la conferma dell’irrilevanza delle posizioni della prassi ministeriale assunte sul punto – l’applicazione dell’IMU con riferimento a entrambi gli immobili in cui ciascuno dei due coniugi non legalmente separati abbia fissato la propria residenza anagrafica e la propria dimora abituale.

Posto tutto quanto sopra, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e cassato la decisione impugnata.

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