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Attualità

La cessione di crediti in blocco e il nodo (ir)risolto della prova

12 Dicembre 2025

Margherita Domenegotti, Partner, La Scala Società tra Avvocati
Francesco Concio, Partner, La Scala Società tra Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema dell’onere della prova della titolarità del credito bancario in capo alla cessionaria in caso di cessione di crediti in blocco, anche nel caso in cui non sia possibile produrre in giudizio il contratto di cessione.


Nell’ambito della nostra economia finanziaria, le operazioni di trasferimento dei crediti rappresentano strumenti centrali per la gestione del rischio e l’ottimizzazione della liquidità di aziende e di istituti di credito, tant’è che nella credit management strategy le cessioni di crediti in blocco e le cartolarizzazioni sono ormai considerate due pilastri.

Queste operazioni, pur condividendo la funzione economica di trasferire la titolarità dei crediti dal cedente al cessionario, sono in realtà molto diverse e si distinguono profondamente per struttura giuridica, finalità e disciplina normativa.

Per quanto diverse, entrambe rispondono ad esigenze comuni di efficientamento patrimoniale e sostenibilità del sistema finanziario, assumendo un ruolo cruciale tanto nelle strategie di impresa quanto nella stabilità del sistema bancario, in un contesto sempre più attento alla qualità degli attivi e del bilancio.

In questo panorama, l’obiettivo delle società che acquistano i crediti è però un altro, ossia quello di recuperare il credito ceduto con rapidità e senza troppe complicazioni, soprattutto in un eventuale giudizio, ove “La titolarità della posizione soggettiva è un elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda, che l’attore ha l’onere di allegare e di provare” (cfr. Cass., SS. UU., sentenza del 16 febbraio 2016, n. 2951).

Per questa ragione, possiamo senz’altro affermare che, nel caso in cui non sia possibile produrre in giudizio il contratto di cessione, sarà indispensabile provare il trasferimento della titolarità del credito in capo alla cessionaria con altri mezzi.

E ciò, anche in ragione del fatto che la parte che agisce affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la disciplina di cui all’art. 58 del D.Lgs. 1 dicembre 1993, n. 385, ha l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, fornendo in tal modo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che non sia stata esplicitamente o implicitamente riconosciuta (cfr. ex multis: Cass. nn. 25547/2025, 4277/2023, 5877/2022 e 24798/2020).

Ed è proprio questo il tema.

Nel corso degli anni, infatti, la giurisprudenza è intervenuta sul punto ridisegnando più e più volte il perimetro degli elementi necessari per fornire la prova del trasferimento della titolarità del credito azionato in sede giudiziaria dalle cessionarie, ma senza mai abdicare ad un principio chiave ben preciso.

Da qui la regola in forza della quale per dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario è sufficiente produrre l’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, ma solo se questo consenta di individuare i rapporti oggetto di cessione senza incertezze (cfr., tra le tante: Cass. nn. 28335/2025, 25547/2025, 15088/2025, 9073/2025, 841/2025, 28790/2024, 5478/2024, 13289/2024, 4277/2023, 17944/2023, 10200/2020, 15884/2019 e 31118/2017).

Questa, dunque, la linea guida da seguire per la giurisprudenza di Legittimità, il cui orientamento in materia possiamo ormai definire come perfettamente allineato e consolidato, fatte salve eventuali eccezioni.

Sono proprio le eccezioni, infatti, a confermare la regola tutte le volte in cui l’avviso di pubblicazione in GU ai sensi dell’art. 58 T.U.B. non consenta di ricondurre con certezza il credito tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco.

Ed è quindi proprio questo il caso in cui, laddove non sia possibile produrre il contratto ed i relativi elenchi di crediti, sarà necessario provare in altro modo l’inclusione del credito dedotto in giudizio tra quelli oggetto di cessione.

Il che è esattamente quanto accade con la dichiarazione di cessione rilasciata dalla cedente, poiché “secondo la giurisprudenza di legittimità il contratto di cessione di crediti in blocco non risulta soggetto a forme sacramentali o comunque particolari al fine specifico della sua validità” (Cass. 28/2/2020 n. 5617), dunque la prova della cessione può essere fornita con ogni mezzo e, quindi, anche mediante testimonianze o presunzioni.

In questa direzione, peraltro, la Cassazione ha ammesso da tempo la possibilità che la dichiarazione del cedente comunicata dal cessionario al debitore ceduto mediante la produzione in giudizio sia, al pari della disponibilità del titolo esecutivo, un “elemento documentale importante, potenzialmente decisivo” (Cass. n. 10200/2021).

Sennonché, in sede di merito, ancora oggi si continuano a registrare provvedimenti contrastanti, che delineano il volto di un panorama giurisprudenziale sempre più instabile e governato da una profonda incertezza.

Una parte della giurisprudenza, infatti, ammette che: “la dichiarazione del cedente notiziata dal cessionario intimante al debitore ceduto con la produzione in giudizio, al pari della disponibilità del titolo esecutivo o dello stesso contratto in capo alla cessionaria, costituiscono elementi documentali rilevanti ai fini sopra evidenziati non essendovi ostacolo a che la stessa prova della cessione avvenga con documentazione successiva alla cessione ed alla sua notizia, offerta in produzione nel corso del giudizio innescato proprio dall’intimazione al ceduto notificata dal cessionario” (cfr. Trib. Napoli, Sent. del 3 marzo 2022, n. 2289. Nello stesso senso anche: Trib. Verona, Sent., Sent. 14 novembre 2020; Trib. Vicenza, Sent., 29 giugno 2022, n. 131; Trib. Napoli, Sent., 26 luglio 2022, n. 7487; Trib. Patti, Sent., 24 ottobre 2022; Trib. Firenze, Sent., 5 dicembre 2022, n. 3401; Trib. Nuoro, Sent., 15 dicembre 2022, n. 630; Trib. Novara, Sent., 18 gennaio 2023; App. Milano, Sent., 24 gennaio 2023, n. 220; Trib. Firenze, Sent., 1° gennaio 2023, n. 612; Trib. Spoleto, Sent. 11 luglio 2023, n. 532; e Trib. Ragusa, Sent., 28 gennaio 2025, n. 144).

Altro orientamento, invece, muove le premesse da presupposti diametralmente opposti: “la dichiarazione del cedente non può avere valenza sostitutiva del contratto di cessione o dell’elenco recante le posizioni cedute che allo stesso avrebbero dovuto essere allegate. Il Tribunale di Milano, sul punto, ha ritenuto che “non si tratta in senso proprio di una confessione, non essendo proveniente da parte alcuna, né di un documento, trattandosi di atto predisposto per la causa in esame” (Trib. Milano 16.9.2021). In definitiva, dunque, la dichiarazione del cedente è priva di valenza probatoria e avrebbe potuto, al più, essere utilizzata per corroborare la valenza di prove tipiche fornite dalla resistente” (cfr. Trib. Brescia, Sent., 21 dicembre 2022, n. 3086. Nello stesso senso anche: Trib. Treviso, Sent., 16 settembre 2021; Trib. Treviso, Sent., 12 ottobre 2021; Trib. Avezzano, Sent., 17 febbraio 2022, n. 44; Trib. Brescia, Sent., 5 ottobre 2022, n. 7626; Trib. Ravenna, Sent., 15 maggio 2023, n. 337; Trib. Brescia, Sent., 16 agosto 2023; Trib. Brescia, Sent., 19 dicembre 2024, n. 5235; Trib. Massa, Sent., 4 febbraio 2025; Trib. Lecce, Sent., 17 febbraio 2025, n. 529; Trib. Lecce, Sent., 4 marzo 2025; e Trib. Palmi, Sent., 27 marzo 2025, n. 171).

Il che è chiara dimostrazione di come il contrasto giurisprudenziale innescato sul tema sia ancora molto accesso.

E allora la conclusione è inevitabile: ai fini della prova, la produzione del contratto di cessione e dei relativi elenchi di crediti, opportunamente omissati nelle loro componenti sensibili, costituisce ancora oggi l’opzione migliore.

Il tutto senza dimenticare che, nell’eventualità in cui la contestazione riguardasse l’esistenza della cessione di crediti, e non l’inclusione del credito contestato tra quelli oggetto di cessione, in realtà tale opzione sarebbe l’unica percorribile.

Paradigmatica, in questa direzione, la seguente pronuncia di Legittimità: “ove sia oggetto di specifica contestazione da parte del debitore ceduto la stessa esistenza del contratto di cessione, detto contratto deve essere oggetto di prova e, a tal fine, di regola non può ritenersi sufficiente una mera dichiarazione della parte cessionaria (cfr. provvedimento del 17 febbraio 2025 con cui la Corte di Cassazione, aderendo al proprio orientamento in materia, ha proposto la definizione accelerata di un giudizio di Legittimità ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., per manifesta infondatezza).

Del pari le tre decisioni del 25 agosto 2025 con le quali la Cassazione, nel ritenere inidonea a provare la vicenda traslativa del credito la pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale e la dichiarazione del cedente, ha precisato, tuttavia, che nel caso in cui sia contestata l’esistenza del contratto di cessione, il mero possesso da parte del cessionario della copia dei documenti idonei a provare l’esistenza del credito non equivale a dimostrare l’effettiva titolarità del diritto del quale si discute (cfr. Cass. nn. 23834/2025, 23849/2025 e 23852/2025).

E infine, il seguente intervento: “ove non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé, ma solo l’inclusione dello specifico credito controverso nell’ambito di quelli rientranti nell’operazione conclusa dagli istituti bancari, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, pertanto, di ricondurre la pretesa con certezza tra quelle comprese nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete (cos’, Cass., n. 17944/2023; Cass. n. 9412/2023). Diverso è, invece, il caso in cui sia oggetto di specifica contestazione la stessa esistenza del contratto (ovvero dei vari contratti) di cessione: in tale ipotesi, detto contratto deve essere certamente oggetto di prova e, a tal fine, non può ritenersi sufficiente una mera dichiarazione della parte cessionaria e neppure la mera “notificazione” della cessione da questa effettuata al debitore ceduto, neanche se tale notificazione sia avvenuta mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 T.U.B., dalla società cessionaria di rapporti giuridici individuabili in blocco: “..una cosa è l’avviso della cessione – necessario ai fini dell’efficacia della cessione – un’altra, la prova dell’esistenza di un contratto di cessione e del suo contenuto; di conseguenza, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale esonera sì la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto, ma, se individua il contenuto del contratto di cessione, non prova l’esistenza di quest’ultima” (così espressamente Cass. n. 22151/2019). Ciò non esclude, tuttavia, che tale avviso, unitamente ad altri elementi, possa eventualmente essere valutato come indizio dal giudice del merito, sulla base di adeguata motivazione, al fine di pervenire alla prova presuntiva della cessione (così, sempre: Cass., n. 17944/2023)” (Cass., Sez. I, sentenza del 24 ottobre 2025, n. 28355).

Nella stessa direzione tracciata dalla giurisprudenza di Legittimità, anche la giurisprudenza di merito: “Diverso il caso in cui sia contestata la stessa esistenza del contratto di cessione, che deve necessariamente essere oggetto di prova. A tal fine, secondo l’orientamento della Suprema Corte, non può ritenersi sufficiente una mera dichiarazione della cessionaria e, quindi, come tale, la mera notificazione, neanche se effettuata mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 58 TUB. È stato, però, precisato che tale avviso, unitamente ad altri elementi, può essere valutato come indizio dal giudice di merito al fine di pervenire alla prova presuntiva della cessione” (App. Messina, Sez. I, Sent. del 31 ottobre 2024, n. 950. Nello stesso senso, solo per citarne alcune: Tribunale di Cosenza, Sent. del 9 giugno 2025, n. 996; Tribunale di Ragusa, Sent. del 23 maggio 2025, n. 731; Tribunale di Roma, Sent. dell’11 marzo 2025, n. 3780; Tribunale di Catanzaro, Sent. del 14 febbraio 2025, n. 286, e Tribunale di Pesaro, Sent. del 2 dicembre 2024, n. 850).

Inevitabile, pertanto, concludere per un approccio cautelativo, che sia in grado di mettere in sicurezza il credito di fronte ad ogni tipo di eccezione e di contestazione, soprattutto se la contestazione verte sull’esistenza del contratto di cessione.

Dopodiché, per l’eventualità in cui non fosse possibile produrre il contratto e controparte dovesse contestare la sua esistenza, occorrerà capire se tale contestazione sia stata sollevata tempestivamente, oppure no.

Solo in quest’ultimo caso, infatti, potrà farsi ricorso al seguente rimedio: “se è vero che l’eccezione di carenza di titolarità attiva del rapporto controverso può essere proposta dal convenuto in ogni fase del giudizio, essendo una mera difesa (e non un’eccezione in senso stretto), e che grava sull’attore l’onere della prova della titolarità attiva del rapporto controverso, è anche vero che tale prova può ritenersi raggiunta anche in forza del comportamento processuale del convenuto. Ed in tal senso, in giurisprudenza è stato affermato che: – “in materia di verifica della titolarità del diritto di credito azionato in via esecutiva, la proposizione di un’opposizione ad esecuzione da parte del debitore e la condotta processuale di mancata contestazione di quella titolarità da questi tenuta fino al momento di maturazione delle preclusioni assertive o di merito esclude la necessità per il creditore di provare la relativa circostanza (cfr. Cass. 16904/2018)” (Tribunale di Ragusa, Sent., 28 gennaio 2025, n. 144).

Il che, è decisione che si inserisce perfettamente nel solco già tracciato dal Tribunale di Monza qualche anno prima: in mancanza di contestazioni specificamente dirette a negare l’esistenza del contratto di cessione, quest’ultimo non deve essere affatto dimostrato (in quanto i fatti non contestati devono considerarsi al di fuori del c.d. thema probandum): il fatto da provare è costituito soltanto dall’esatta individuazione dell’oggetto della cessione (più precisamente, della esatta corrispondenza tra le caratteristiche del credito controverso e quelle che individuano i crediti oggetto della cessione in blocco) e, pertanto, sotto tale limitato aspetto, le indicazioni contenute nell’avviso di cessione dei crediti in blocco pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in relazione ad una operazione da ritenersi certamente esistente in quanto non contestata, possono ben essere valutate al fine di verificare se esse consentono o meno di ricondurre con certezza il credito di cui si controverte tra quelli trasferiti in blocco al preteso cessionario” (Trib. Monza, Sez. III, Sent. del 16 novembre 2024).

Diversamente, ossia per il caso in cui la contestazione circa l’esistenza del credito fosse invece sollevata nel corso della fase conclusiva, con conseguente sentenza in punto di carenza della titolarità sostanziale della cessionaria, non rimarrà altra scelta che produrre il contratto di cessione debitamente omissato e comprensivo di annex in sede di gravame.

Pregevole, in tal senso, la seguente decisione delle Sezioni Unite: “se indispensabili sono le nuove prove la cui necessità emerga dalla stessa sentenza impugnata, prove delle quali non era apprezzabile neppure una mera utilità durante il giudizio di primo grado, va da sé che rispetto ad esse la parte si è trovata, per causa che non le è imputabile, nell’impossibilità di proporle. Invero, non si può addebitare alla parte di non aver previsto la rilevanza di prove che solo la sentenza di primo grado, in forza di una propria ricostruzione di fatto e/o di diritto, ha fatto emergere e ciò anche ove non si tratti propriamente di una sentenza c.d. della terza via” (Cass., Sezioni Unite, Sent., 4 maggio 2017, n. 10790).

Ovviamente si tratta pur sempre di rimedi processuali utilizzabili unicamente al ricorrere di determinate circostanze e, comunque, nel caso di contestazione sull’esistenza del contratto di cessione non tempestiva.

Pertanto, in tutti gli altri casi, per poter assolvere al proprio onere probatorio sarà necessario produrre in giudizio il contratto.

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