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Attualità

La vessatorietà delle clausole penali nei contratti di autonoleggio

18 Novembre 2025

Filippo Andrea Chiaves, Senior Counsel, Hogan Lovells

Niccolò Edoardo Sciortino, Associate, Hogan Lovells

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il problema della vessatorietà delle clausole penali nei contratti di autonoleggio stipulati da società di noleggio che spesso operano all’interno di gruppi bancari o assicurativi.


1. I termini del problema

Nel panorama italiano numerose sono le società di noleggio che, operando all’interno di gruppi bancari o assicurativi, forniscono servizi integrati a privati e aziende.

Tali soggetti sono stati sensibilmente toccati dalla modifica dell’art. 196 del Codice della Strada (d.lgs. 285/1992), che — dopo la riforma del 2021 — ha eliminato la responsabilità solidale della società di noleggio in caso di sanzioni amministrative, attribuendo al solo utilizzatore la responsabilità per le violazioni commesse durante il periodo di locazione del veicolo.

Coerentemente con tale impostazione, nei contratti di noleggio — a breve o lungo termine — è frequente la previsione di una clausola che impone, in caso di sanzione amministrativa, l’addebito automatico di una somma fissa (di norma tra € 40 e € 60) a titolo di “penale per gestione verbale”.

Tale importo è spesso prelevato direttamente dalla carta di credito del cliente, senza possibilità di contestazione preventiva.

Rispetto alle suddette clausole penali nei contratti di autonoleggio si pone il problema di valutarne la vessatorietà ai sensi dell’articolo 33, Cod. cons. (d.lgs. 206/2005), il quale, come noto, prevede che nei contratti conclusi tra un consumatore ed un professionista debbano considerarsi vessatorie le clausole che – malgrado la buona fede – determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

Al riguardo le maggiori criticità in termini di vessatorietà sono rinvenibili: i) nella forfetizzazione del corrispettivo che prescinde dai costi effettivamente sostenuti; ii) nell’automatica operatività della clausola, anche in caso di contestazione della multa o di errore materiale; iii) nel trasferimento dal professionista al consumatore degli oneri inerenti all’organizzazione interna dell’impresa noleggiatrice.

2. Le tutele previste dall’ordinamento

Al fine di contrastare l’inserimento di clausole vessatorie nei contratti conclusi con i consumatori, sono previste  una serie di tutele, di stampo civilistico ed amministrativo.

Per quanto concerne le prime, l’articolo 36, Cod. cons. prevede che le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle.

La nullità opera solo a vantaggio del consumatore (c.d. nullità di protezione) e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Rispetto al rilievo ufficioso, novità importanti sono connesse al consolidarsi a livello nazionale dell’orientamento della Corte di Giustizia UE in materia di giudicato implicito (v. infra paragrafo 2.1).

2.1 Il principio delle Sezioni Unite: controllo d’ufficio e motivazione rafforzata

Le Sezioni Unite (Cass., SS.UU., 6 aprile 2023, n. 9479) hanno stabilito che il giudice è tenuto a verificare d’ufficio la presenza di clausole abusive anche in sede monitoria, e che tale controllo deve essere esplicitato nella motivazione del decreto ingiuntivo. In particolare, il decreto ingiuntivo deve: i) dare conto, sia pure sinteticamente, della valutazione sulla non abusività delle clausole poste a fondamento della pretesa creditoria, con conseguente espunzione dal quantum ingiunto della quota di credito azionato che si fonda su clausola vessatoria; e ii) contenere l’avvertimento al consumatore che la mancata opposizione precluderà la successiva eccezione di vessatorietà[1].

In assenza di motivazione sul punto, il giudice dell’esecuzione ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo, e, ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine. Dopo di che, a esito del controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – il G.E. informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo. Pertanto, fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione ex art. 649 c.p.c., il giudice dell’esecuzione non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito[2].

I principi enunciati dalle SS.UU. sono coerenti con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”) (cause riunite C-693/19 e C-831/19, cause singole C-600/19, C-725/19 e C-869/19), che impone al giudice nazionale di assicurare un controllo effettivo e non meramente formale delle clausole abusive. I principi in parola vengono utilizzati dagli Ermellini per definire un vero e proprio prontuario per i giudici di cognizione e della fase di esecuzione.

2.2 (segue) il Vademecum del Tribunale di Milano

Il documento nasce dall’attività di un gruppo di lavoro misto (giudici e avvocati) istituito dal Presidente del Tribunale di Milano ed è volto, da un lato, a fornire ai giudici del giudizio monitorio strumenti operativi per il controllo d’ufficio delle clausole abusive nei contratti consumeristici, e, dall’altro, a orientare gli avvocati ricorrenti a indicare e documentare sin dal deposito del ricorso gli elementi utili per tale controllo.

Il Vademecum recepisce integralmente i principi enunciati da Cass., SS.UU., 6 aprile 2023, n. 9479.

Quanto alla fase monitoria, il vademecum stabilisce che il giudice monitorio deve: i) verificare se il contratto è consumeristico; ii) motivare nel decreto ingiuntivo l’esito del controllo sulle clausole, e; iii) avvertire il consumatore che, in mancanza di opposizione, non potrà più far valere l’abusività delle clausole. Il vademecum chiarisce, inoltre, che ove il creditore ometta di allegare, unitamente al ricorso, il contratto o l’indicazione delle clausole su cui si fonda la domanda, il giudice monitorio potrà invitare il ricorrente a integrare la prova ex art. 640, c. 2, c.p.c..

Quanto alla fase esecutiva, viene sottolineato che in assenza di motivazione nel decreto, il giudice dell’esecuzione deve: i) controllare la presenza di clausole abusive; ii) avvisare il debitore della possibilità di proporre opposizione tardiva, e; iii) sospendere la vendita o assegnazione fino alla decisione sull’opposizione.

Nel prontuario allegato, sono segnalate come abusive — tra le altre[3] — le clausole che prevedono penali manifestamente eccessive (art. 33, co. 2, lett. f, Cod. cons.) o che attribuiscono al professionista la facoltà di modificare unilateralmente condizioni essenziali del contratto.

2.3 Prospettive comparatistiche

Il percorso avviato dalle SS.UU. e consolidato dal Vademecum del Tribunale di Milano ha segnato una svolta verso una più concreta tutela giurisdizionale del consumatore.

A livello europeo, si osserva una convergenza.

Spagna – L’art. 552 della Ley 1/2000 de Enjuiciamiento Civil spagnola impone al giudice di verificare d’ufficio, anche nella fase esecutiva, la presenza di eventuali clausole abusive nei contratti stipulati tra professionista e consumatore. La disposizione, modificata dalla Ley 42/2015, recepisce l’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e costituisce uno dei modelli più avanzati di controllo giudiziale preventivo, che si colloca sullo stesso piano del principio affermato in Italia dalla Cass. SS.UU. n. 9479/2023.

Francia – Con la sentenza Cass. civ. 2, 12 giugno 2025, n. 22-22.946 resa in una vicenda relativa a un mutuo la Cour de Cassation ha ribadito che l’autorità di cosa giudicata non può impedire al giudice di esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale, qualora tale esame non sia mai stato effettuato in un precedente giudizio. Riprendendo i principi della CGUE (sentenza Banco Primus, C-421/14, 26 gennaio 2017), la Suprema Corte francese ha affermato che né la prescrizione né l’irrevocabilità di una decisione possono ostacolare l’effettività del diritto dell’Unione in materia di tutela dei consumatori[4].

Francia – Un altro caso di assoluto rilievo è quello affrontato dalla Corte d’Appello di Aix-en-Provence, Chambre 1-9, 28 marzo 2024, 23/13094.[5] La corte d’Oltralpe ha sollevato d’ufficio la questione del carattere abusivo della clausola contrattuale di “exigibilité du prêt” (esigibilità immediata del mutuo), contenuta nel relativo contratto. Per giungere a tale esito, la Corte d’appello ha applicato l’Articolo L. 132-1 del Code de la Consommation, che definisce come abusive le clausole che creano un disequilibrio significativo tra i diritti e gli obblighi delle parti a danno del consumatore. Inoltre, è stata richiamata la stessa giurisprudenza europea alla base della sentenza SS.UU. menzionata nel presente contributo, cioè le sentenze Ibercaja Banco (C-600/19), ove la CGUE ha affermato che il giudice deve poter esaminare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole anche in fase esecutiva e la sentenza SPV Project 503 Srl (C-693/19), in cui il giudice di Strasburgo ha sancito che l’autorità di cosa giudicata non può impedire il controllo giudiziale delle clausole abusive. La Corte d’appello francese, quindi, ha adottato un approccio proattivo nella tutela del consumatore, in linea con il diritto europeo, sollevando d’ufficio la questione delle clausole abusive e garantendo il rispetto del principio del contraddittorio.

3. Sanzioni amministrative e casistica rilevante sulla vessatorietà della clausola

Oltre alle tutele civilistiche sopra descritte, il nostro ordinamento attribuisce all’AGCM uno specifico potere sanzionatorio (esercitabile anche d’ufficio[6]) nei confronti di operatori che pongono in essere pratiche commerciali scorrette, tra cui può rientrare l’inserimento, nei contratti di autonoleggio, delle summenzionate clausole vessatorie.

Sul punto si segnala come, con il recepimento della Direttiva (UE) 2019/2161 (“Direttiva Omnibus”) mediante il d.lgs. 26/2023, tale potere sia stato sensibilmente intensificato.

Per i casi a rilevanza principalmente nazionale il tetto massimo delle sanzioni amministrative pecuniarie è stato infatti elevato da €5 milioni a €10 milioni (art. 27, c. 9, Cod. cons.). Per le violazioni che hanno rilevanza a livello dell’Unione, il regime prevede sanzioni calcolate sul fatturato: fino al 4% del fatturato annuale realizzato in Italia o negli Stati membri interessati (con una soglia alternativa massima, se il fatturato non è determinabile) (art. 27, c. 9 bis, Cod. cons.).

Le segnalazioni all’AGCM e le pronunce dei giudici amministrativi hanno dato luogo a un filone giurisprudenziale di crescente rilievo sul punto.

Tra le pronunce recenti dell’AGCM, del TAR Lazio e del Consiglio di Stato, si segnalano:

Stato, Sez. VI, 16/04/2025, n. 3324

Una società operante nel noleggio di auto e furgoni senza conducente, aveva impugnato dinanzi al TAR Lazio un provvedimento dell’AGCM, la quale riteneva vessatoria una clausola contrattuale che imponeva al cliente il pagamento di € 60 per la gestione delle contravvenzioni al Codice della Strada occorse durante il periodo di noleggio. La clausola prevedeva l’addebito anche in caso di contestazione o illegittimità della multa.

Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello della società, ritenendo errata la valutazione dell’AGCM, sottolineando che la penale si applicava solo in caso di inadempimento del cliente (omesso pagamento o mancata comunicazione) e che l’attività richiesta all’operatore comportava costi organizzativi reali, giustificando la somma richiesta. Di conseguenza, la clausola non è stata considerata né manifestamente eccessiva né vessatoria, legittimando l’addebito previsto dal contratto.

A.R. Lazio, Sez. I, 13/02/2025, n. 3207

Una società operante nel noleggio di veicoli senza conducente aveva contestato la sanzione di € 2.200.000 inflitta dall’AGCM per l’uso di una clausola che prevedeva l’addebito automatico di € 48,80 a titolo di “servizio di gestione e rinotifica dei verbali” per ogni multa, pedaggio o parcheggio non pagato.

Il TAR Lazio ha respinto il ricorso e confermato la vessatorietà della clausola, affermando che: i) le attività di gestione dei verbali rientravano nella normale operatività contrattuale; ii) l’addebito forfettario non era giustificato dai costi effettivamente sostenuti; iii) il sistema di addebito automatico comprometteva la possibilità del consumatore di contestare la sanzione; e, iv) la società non aveva più obblighi di pagamento solidale verso l’ente accertatore (art. 196 CdS), rendendo l’onere a carico del consumatore sproporzionato.

Stato, Sez. VI, 12/12/2024, n. 10039

La controversia riguardava una clausola contrattuale che imponeva al cliente una penale di €45/€56 per la gestione di multe e pedaggi non pagati durante il noleggio.

L’AGCM ha dichiarato la clausola vessatoria ex artt. 33 e 34 Cod. cons. e il TAR Lazio ha confermato la decisione. La società ha quindi proposto ricorso al Consiglio di Stato, il quale ha accolto il ricorso, annullando sia il provvedimento dell’AGCM sia la sentenza del TAR, motivando che: i) la penale copriva costi gestionali reali e aveva funzione deterrente legittima; ii) l’istruttoria dell’AGCM non aveva dimostrato la “manifesta eccessività” della somma; iii) numerose amministrazioni continuano a notificare i verbali direttamente alla società, rendendo necessaria l’attività gestionale e la trasmissione dei dati del conducente ex art. 196 CdS, nonostante la responsabilità solidale sia stata eliminata dalla riforma del CdS del 2021; iv) la penale non si applicava in tutti i casi (ad esempio, pagamento immediato da parte del cliente), e; v) il criterio utilizzato dall’Autorità per valutare la sproporzione (costo giornaliero del noleggio) era inadeguato.

TAR Lazio, Sez. I, 13/02/2025, n. 3203

Il TAR Lazio ha confermato la sanzione di €9.000.000 inflitta dall’AGCM a un operatore del settore di noleggio auto per aver inserito nei contratti di autonoleggio una clausola che prevedeva l’addebito automatico di una “fee” fino a €48,80 per ogni sanzione amministrativa (multe, pedaggi, parcheggi) incorsa dal cliente.

L’Autorità aveva ritenuto la clausola vessatoria in quanto: i) l’importo era automatico e non proporzionato all’attività effettivamente svolta; ii) la società, a seguito della riforma dell’art. 196 CdS (novembre 2021), non è più solidalmente responsabile per le multe, essendo obbligata solo a comunicare i dati del conducente; iii) le attività di gestione (invio email, gestione PEC) erano minime e svolte nell’interesse della società, e; iv) l’addebito produceva uno squilibrio contrattuale significativo, in violazione dell’art. 33 Cod. cons.

La difesa della società, fondata sul carattere di corrispettivo della fee e sulla copertura di costi reali, non ha convinto il TAR, il quale ha sottolineato: i) l’impossibilità di trasferire al consumatore costi organizzativi minimi; ii) che la clausola è vietata a prescindere dall’importo richiesto, e; iii) che il criterio dell’addebito automatico limita la libertà contrattuale del consumatore (art. 33 Cod. cons.).

Le decisioni sopra menzionate mostrano come il giudizio sull’abusività della clausola dipenda da due variabili principali. Cioè, da un lato, la proporzionalità della penale rispetto ai costi effettivamente sostenuti dalla società di noleggio per la gestione della sanzione amministrativa, e, dall’altro, la trasparenza informativa con cui essa è portata a conoscenza del consumatore.

La giurisprudenza amministrativa tende quindi a legittimare la clausola ove correlata a costi documentati.

Per gli operatori del settore — incluse le divisioni di credito al consumo e mobilità delle banche — la questione presenta risvolti prudenziali e reputazionali rilevanti. L’inserimento di clausole abusive in contratti conclusi con i consumatori espone infatti gli operatori al significativo rischio di incorrere nelle sanzioni menzionate in precedenza.

 

[1] Infatti, come ricordato dalle SS.UU. nella sentenza attenzionata nel presente contribuito, l’art. 641, comma 1, c.p.c. rende necessario che il decreto ingiuntivo contenga l’avvertimento che, nel termine di 40 giorni, può essere proposta opposizione “e che, in mancanza di opposizione, si procederà ad esecuzione forzata” e tale disposizione deve essere interpretata in senso conforme al diritto eurounitario (Direttiva 93/13/CEE) e alla giurisprudenza dalla CGUE (sentenza Ibercaja Banco, causa C-600/19). Pertanto, quell’avvertimento dovrà, altresì, rendere edotto il consumatore che in assenza di opposizione, “decadrà dalla possibilità di far valere l’eventuale carattere abusivo” delle clausole del contratto.

[2] Ove poi il debitore proponga opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. per far valere l’abusività delle clausole del contratto assunto quale causa petendi del credito, il giudice di cognizione adito in sede di opposizione all’esecuzione la riqualificherà in termini di opposizione tardiva al decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione di questa al giudice monitorio, attraverso una vera e propria translatio iudicii.

[3] Clausole abusive più frequenti: deroga al foro del consumatore; penali manifestamente eccessive; interessi di mora sproporzionati; decadenza dal beneficio del termine per una sola rata; compensi orari non determinati o non prevedibili.

[4] Nel caso concreto, un mutuatario in franchi svizzeri, posto in liquidazione giudiziale, aveva contestato il carattere abusivo di alcune clausole del suo contratto di credito. La corte d’appello aveva ritenuto la domanda preclusa dall’autorità di cosa giudicata di una decisione precedente che ne aveva dichiarato la prescrizione. Tuttavia, poiché il giudice originario non aveva esaminato nel merito la natura abusiva delle clausole, la Cassazione ha stabilito che il giudice commissario era tenuto a procedere a tale verifica. Solo qualora una clausola abusiva sia già stata oggetto di un esame sostanziale da parte di un giudice, l’autorità di cosa giudicata può essere validamente invocata.

[5] La Caisse Régionale de Crédit Agricole Mutuel Alpes Provence ha avviato una procedura di esecuzione forzata su beni immobili per il recupero di una somma dovuta in base a un contratto di mutuo. Il giudice di primo grado aveva annullato la procedura per mancanza di titolo esecutivo definitivo, ma la banca ha impugnato la decisione.

[6] Cfr. Art. 27, c. 2, Cod. cons.

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