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Attualità

Composizione negoziata e minor rischio nella concessione del credito

13 Novembre 2025

Bruno Fondacaro, Partner, Head of Dispute & Resolution, ADVANT Nctm

Riccardo Torni, Associate, ADVANT Nctm

Il presente contributo analizza il tema del rischio correlato alla concessione di credito alle imprese, temperato dal progressivo consolidamento, a livello giurisprudenziale, degli elementi costitutivi della fattispecie di abusiva concessione, nonché dal ricorso sempre più frequente alla procedura di composizione negoziata della crisi.


1. Premessa e linee evolutive

Frequentemente gli istituti di credito si trovano di fronte a scelte complesse, da cui possono derivare rischi significativi sia dal punto di vista economico, in ragione della mancata restituzione di quanto erogato, che dal punto di vista legale, in ragione

  1. della revoca delle linee di credito nel momento di difficoltà; ovvero,
  2. dalla erogazione di credito a un’impresa che si trova ormai in una situazione di crisi irreversibile.

Nel primo caso viene contestato alla Banca di non aver operato secondo buona fede per aver “tolto sostegno” al cliente in difficoltà (cfr., recentemente, Trib. Catanzaro, 17 agosto 2023, in Giurisprudenza delle Imprese; nonché Cass., 16 aprile 2021, n. 10125; Cass., 24 agosto 2016, n. 17291); mentre nel secondo caso, al contrario, si contesta il fatto di aver “dato sostegno” a imprese che, in verità, avrebbero dovuto accedere senza ulteriore ritardo alla liquidazione giudiziale (cfr., recentemente, Trib. Venezia, 17 luglio 2025, in Ristrutturazioni aziendali; Trib. Napoli, 15 luglio 2025, in ilcaso.it).

In entrambe le ipotesi le conseguenze per la banca possono essere rilevanti. E infatti, al rischio di risarcimento dei danni (presente in entrambi i casi), si aggiunge la possibile declaratoria di nullità del finanziamento, concesso abusivamente, in ragione della contrarietà all’ordine pubblico economico ovvero del difetto o illiceità della causa concreta (cfr. Trib. Ferrara 3 maggio 2024, in ilcaso.it, in relazione a una proroga di una linea di credito).

In questi casi, da un lato, vi è l’esigenza di tutelare l’impresa cliente preservandone la continuità aziendale; mentre, dall’altro lato, ci si pone l’obiettivo di tutelare il mercato e, nello specifico, la posizione degli altri creditori che, proprio in ragione del sostegno garantito dalla banca, potrebbero fare affidamento su una situazione finanziaria solo apparentemente solida e, di fatto, non corrispondente al vero.

In altre parole, la banca, in quanto operatore particolarmente soggetto all’obbligo della sana e prudente gestione, sostenendo finanziariamente l’impresa di cui dovrebbe avere correttamente valutato il merito creditizio, fornirebbe agli altri creditori (attuali o anche solo potenziali) una prospettazione inesatta circa la solvibilità o risanabilità del soggetto finanziato.

Il rischio per la banca è dunque elevato anche se, relativamente a tali fattispecie, il quadro complessivo sta cambiando, in ragione di due elementi: da un lato, (i) il progressivo consolidamento, a far data dal 2021, di un orientamento della giurisprudenza di legittimità volto a meglio definire gli elementi costitutivi della concessione abusiva di credito; e, dall’altro lato, (ii) il sempre più frequente ricorso, nella prassi, alla procedura di composizione negoziata della crisi, procedura che, come noto, ha introdotto regole specifiche per la posizione delle banche e, quindi, anche minori incertezze (e conseguentemente minori rischi) sul piano del sostegno finanziario a imprese in crisi [1].

2. Il requisito della ragionevolezza e le logiche sottese alla composizione negoziata della crisi

Come anticipato, secondo la Suprema Corte, è dunque possibile ridurre il rischio di incorrere in un illecito, laddove sussistano i presupposti per l’applicazione del seguente principio di diritto: «[n]on integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell’impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell’intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un’impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi» (in questi termini, Cass., 30 giugno 2021, n. 18610, da ultimo ripresa in Cass., 4 novembre 2024, n. 28320).

La parola chiave è “ragionevolezza”, dovendo considerarsi non irragionevole la valutazione – in buona fede e in una prospettiva ex ante – di dati oggettivi che portino a credere nella verosimiglianza del risanamento aziendale. D’altronde, «sovente il confine tra finanziamento “meritevole” e finanziamento “abusivo” si fonderà sulla ragionevolezza e fattibilità di un piano aziendale»» (ancora Cass., 30 giugno 2021, n. 18610) [2].

La Suprema Corte si è resa dunque interprete della logica sottesa agli strumenti di risoluzione della crisi, volti a favorire il sostegno finanziario alle imprese e a scongiurarne la liquidazione giudiziale, massimizzando così, di fatto, la soddisfazione dei creditori. La medesima logica è stata recepita dal Codice della crisi d’impresa (D.lgs. 14/2019) e, in particolare, nella disciplina della composizione negoziata della crisi che, all’art. 16 comma 5 CCII, dispone che «l’eventuale sospensione o revoca delle linee di credito determinate dalla applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale deve essere comunicata agli organi di amministrazione e controllo dell’impresa, dando conto delle ragioni specifiche della decisione assunta. La prosecuzione del rapporto non è di per sé motivo di responsabilità della banca e dell’intermediario finanziario». Proprio quest’ultimo inciso conferma dunque la volontà del legislatore di privilegiare il sostegno finanziario dell’impresa. Ecco dunque che, all’interno dei margini tipizzati di una forma di sostegno alle imprese volta al loro risanamento (mediante l’attivazione degli strumenti di risoluzione della crisi), la Corte individua un possibile bilanciamento tra finanziamento “lecito” e finanziamento “abusivo”. Nello specifico, deve ritenersi lecito quel finanziamento concesso, previa approfondita valutazione circa le prospettive di un effettivo risanamento, nell’ambito di un piano che introduca meccanismi procedimentalizzati e fondati su precisi presupposti e controlli volti al recupero della continuità aziendale («in ipotesi di procedura formalizzata e sottoposta a controlli esterni, i margini di tale responsabilità saranno, in concreto, alquanto ristretti»).

In altre parole, per decidere se concedere o meno credito, non basta fare una “fotografia” dello stato attuale dell’impresa ma occorre anche una valutazione prospettica, tramite “controlli esterni”, delle effettive possibilità di risanamento e superamento della crisi.

Ebbene, anche nell’ambito della composizione negoziata della crisi, pur trattandosi di un percorso di negoziazione volontario e stragiudiziale (e non di procedura concorsuale), è dunque possibile avvalersi di “controlli esterni”. E infatti, in particolare, da un lato, l’imprenditore potrebbe rivolgersi al Tribunale, ai sensi dell’art. 22 CCII, per chiedere l’autorizzazione alla concessione di nuovi finanziamenti; mentre, dall’altro lato, è possibile fare riferimento alla figura dell’Esperto che, pur non attuando un controllo in senso tecnico, può comunque contribuire a valutare la posizione dell’impresa anche con riferimento a nuovi finanziamenti, essendo egli tenuto a verificare la “coerenza complessiva delle informazioni fornite dall’imprenditore” (art. 16, comma 2, CCII) e a valutare la sussistenza di “concrete” «prospettive di risanamento» cui abbinare «possibili strategie di intervento» (art. 17, comma 5, CCII).

L’Esperto, dunque, pur non potendo garantire una piena deresponsabilizzazione (come, invece, può fare l’Autorità Giudiziaria), offre, pur sempre, un’occasione per depotenziare le eventuali responsabilità della Banca, secondo la citata recente definizione della fattispecie di concessione abusiva operata dalla Suprema Corte [3].

D’altronde, l’avvio del percorso di composizione negoziata “assorbe” anche la prima fattispecie esaminata, ossia l’interruzione improvvisa delle linee di credito. Difatti, a fronte della previsione secondo cui «[l]a notizia dell’accesso alla composizione negoziata della crisi e il coinvolgimento nelle trattative non costituiscono di per sé causa di sospensione e di revoca delle linee di credito concesse all’imprenditore né ragione di una diversa classificazione del credito» (art. 16, comma 5, CCII), sorge un obbligo in capo alla banca di motivare una diversa scelta e tale motivazione deve necessariamente riguardare, in base alla medesima norma, la «applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale». Ne consegue che la mancata motivazione, ovvero una motivazione non pertinente, dovranno intendersi in violazione di detta norma, con applicazione dei relativi presìdi.

3. Conclusioni

Dalla convergenza tra il nuovo approccio della Suprema Corte, nella definizione dell’illecito della concessione abusiva di credito, da un lato, e la diffusione di strumenti di risoluzione della crisi connotati dal rispetto di processi valutativi e dalla presenza di soggetti terzi dotati di professionalità e indipendenza, dall’altro lato, può dedursi un significativo restringimento del perimetro di responsabilità della Banca nella erogazione del credito alle imprese in crisi.

Tale considerazione può estendersi anche alla composizione negoziata che – pur non avendo natura di procedura concorsuale, bensì di percorso di negoziazione volontario e stragiudiziale – integra pur sempre un processo valutativo condotto in presenza di un soggetto terzo (i.e. l’Esperto) dotato dei predetti requisiti di professionalità e indipendenza.

La condivisione tra Esperto e Banca circa la sussistenza di concrete prospettive di risanamento, riduce quindi inevitabilmente anche il rischio di incorrere in un illecito, previa partecipazione della medesima Banca «alle trattative in modo attivo e informato» (come previsto dall’art. 16, comma 5, CCII), nonché previa valutazione della documentazione nel rispetto delle proprie regole volte alla sana e prudente gestione.

Di conseguenza, pur non potendosi considerare la composizione negoziata della crisi un safe harbour per la banca, essa comporta comunque di per sé una navigazione in acque (molto) più sicure.

 

[1] In argomento, cfr. L. Ardizzone – L. Orsi, L’incidenza della composizione negoziata della crisi sul rischio a carico del banchiere per erogazione di credito, in Riv. Guardia di Finanza, in corso di pubblicazione.

[2] Cfr. L. Benedetti, La ridefinizione della fattispecie della concessione abusiva di credito ad opera della Cassazione, in Banca Borsa, 2022, II, p. 173 ss.

[3] Contra, E. Staunovo-Polacco, Concessione abusiva di credito e responsabilità delle banche nella composizione negoziata della crisi d’impresa, in Ristrutturazioni aziendali, 27 maggio 2025, p. 14 (nel «contesto della composizione negoziata, [la] valutazione [delle chances del superamento della crisi] è lasciata sic et simpliciter alle analisi degli istituti bancari»).

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