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Attualità

L’operatività delle banche di Paesi terzi nello schema di recepimento CRD VI

Tra armonizzazione europea e approccio domestico

10 Novembre 2025

Francesco Di Carlo, Managing Partner, Fivers

Debora Gobbo, Partner, Fivers

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza le scelte dello schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva CRD VI relative all’operatività delle banche di Paesi terzi nell’accesso al mercato italiano.


Lo schema di decreto legislativo (“Schema di Decreto”) di recepimento della direttiva (UE) 2024/1619 (“CRD VI”) e del regolamento (UE) 2024/1623 (“CRR III”), trasmesso al Parlamento italiano il 10 ottobre 2025 (Atto del Governo n. 320), rappresenta uno degli interventi più rilevanti sul Testo Unico Bancario (TUB) degli ultimi anni, in particolare con riguardo all’accesso al mercato italiano delle banche extracomunitarie.

Uno degli obiettivi del provvedimento è, infatti, quello di adeguare l’ordinamento nazionale al nuovo quadro europeo delineato dalla CRD VI in materia di operatività delle banche di Paesi terzi negli Stati Membri. In particolare, lo Schema di Decreto elimina – in via generale e fatte salve alcune eccezioni – la possibilità per gli enti creditizi extra-UE di svolgere attività bancaria “core (ossia, raccolta di depositi, concessione di prestiti e rilascio di garanzie, di seguito “Core Banking Services”) in regime di libera prestazione di servizi, recependo al contempo i requisiti prudenziali e di vigilanza applicabili alle succursali di Paesi terzi introdotti – per finalità di armonizzazione – dalla CRD VI.

Nel contesto dell’attuazione della Direttiva, a livello europeo, il 3 novembre scorso l’EBA ha avviato una pubblica consultazione sugli orientamenti relativi all’autorizzazione delle succursali di banche di Paesi terzi [1], passaggio fondamentale per le banche extracomunitarie che decideranno di stabilire branch in Italia o in altri Stati membri entro il termine del 10 gennaio 2027 (decorso il quale, determinati servizi potranno essere prestati soltanto attraverso succursali) [2].

Da una prima analisi dello Schema di Decreto emergono, tuttavia, alcuni profili di apparente disallineamento rispetto alla CRD VI, che rischiano di compromettere il pieno conseguimento dell’obiettivo, perseguito dal legislatore europeo, di garantire un livello uniforme di armonizzazione in materia di operatività transfrontaliera delle banche di Paesi terzi e prevenire fenomeni di arbitraggio regolamentare tra gli Stati membri [3].

1. L’obbligo di stabilimento e le esenzioni: possibili modelli operativi per la prestazione di servizi a clienti retail o professionali su richiesta

In termini generali, in coerenza con le previsioni della normativa europea (cfr. art. 21-quater della CRD VI), lo Schema di Decreto stabilisce, con riguardo alle banche di Paesi terzi, l’obbligo di istituire una succursale ai fini dell’esercizio dei Core Banking Services nel territorio della Repubblica.

Tuttavia, con riguardo alle esenzioni da tale obbligo, l’art. 14-bis (aggiunto al TUB per effetto dell’art. 1, c. 1, e) dello Schema di Decreto) diverge dall’art. 21-quater della CRD VI, riducendo di fatto i casi di esonero dall’obbligo di succursale previsti dalla Direttiva. Più precisamente, mentre i casi di esenzione dall’obbligo di operare per il tramite di una succursale previsti dal comma 3 del nuovo art. 14-bis del TUB [4] riflettono la previsione di cui al paragrafo 2 dell’art. 21-quater della CRD VI, il comma 2 dell’art. 14-bis del TUB non risulta allineato ed è maggiormente restrittivo rispetto al paragrafo 4 dell’art. 21-quater della CRD VI. Infatti, mentre la norma comunitaria stabilisce che “L’obbligo di cui al paragrafo 1 del presente articolo non si applica ai servizi o alle attività di cui all’allegato I, sezione A, della direttiva 2014/65/UE, compreso qualsiasi servizio accessorio di facilitazione, come la relativa raccolta di depositi o la concessione di crediti o prestiti il cui scopo è prestare servizi a norma di tale direttiva”, il comma 2 del nuovo art. 14-bis del TUB recita che “Fermo quanto previsto dall’articolo 29-ter, comma 6, del decreto legislativo n. 58 del 1998, l’esercizio nel territorio della Repubblica di una o più delle attività di cui all’articolo 1, comma 2, lettera f), numeri 1), 2) e 6), da parte di una banca di Stato terzo è soggetto all’obbligo di stabilire una succursale ai sensi del presente articolo”, riunendo in un unico comma l’obbligo di operare per il tramite di succursali di cui al paragrafo 1 dell’art. 21-quater della CRD VI e quello che dovrebbe essere l’esonero di cui al successivo paragrafo 4 nonchè facendo un rinvio all’art. 29-ter, comma 6 del TUF che altera il senso della norma comunitaria. L’utilizzo delle parole “fermo restando”, in luogo di “non si applica”, unitamente al riferimento al comma 6 dell’art. 29-ter del TUF, non individua chiaramente l’ambito di esclusione dall’obbligo di prestare determinati servizi bancari (la raccolta di depositi e la concessione di finanziamenti funzionali a prestare servizi di investimento) per il tramite di una branch, ma richiama la possibilità, per le banche di Paesi Terzi, di prestare servizi di investimento senza stabilimento di una succursale a favore di controparti qualificate e clienti professionali di diritto [5].

La ratio dell’esenzione di cui al paragrafo 4 dell’art. 21-quater della CRD VI è chiaramente indicata nel considerando 6 della Direttiva, che motiva l’esclusione dell’obbligo di stabilire una succursale con l’applicazione del regime autorizzativo già previsto dalla MiFID II per la prestazione dei servizi di investimento e di specifici servizi bancari ad essi accessori e funzionali [6].

Se la formulazione dell’art. 14-bis del TUB fosse volta a limitare il c.d. carve out MiFID alla sola ipotesi in cui la raccolta di depositi e la concessione di finanziamenti prestati in via accessoria e funzionale alla prestazione di servizi di investimento siano rivolte a clienti professionali e controparti qualificate, la previsione dello Schema di Decreto avrebbe l’effetto di ridurre l’ambito della (e confliggerebbe con la) richiamata esenzione prevista della CRD VI. Tuttavia, la CRD VI non sembra lasciare spazio ad un’estensione delle fattispecie con riguardo alle quali le banche extracomunitarie sono obbligate ad operare nella UE attraverso succursali, con la conseguenza che estendere tale obbligo alla raccolta di depositi e concessione di crediti o prestiti funzionali e accessori alla prestazione di servizi di investimento contrasterebbe con la Direttiva e con il suo obiettivo di armonizzazione. Al riguardo, come sopra accennato, la relazione di accompagnamento alla proposta di direttiva CRD VI, nell’evidenziare l’esigenza di un quadro armonizzato per le succursali di banche di Paesi terzi, individuava nelle discipline (allora) disorganiche degli Stati membri rischi “… di pretesti di arbitraggio normativo che è necessario risolvere con un nuovo quadro armonizzato per tali succursali”.

Un disallineamento rispetto alla Direttiva sarebbe, peraltro, immotivato, alla luce delle ragioni della scelta del legislatore comunitario: l’obbligo di prestazione dei Core Banking Services negli Stati Membri attraverso succursali trova la sua ragione nell’esigenza di assoggettare gli stessi ai nuovi requisiti prudenziali, oltre che di vigilanza, previsti dalla CRD VI per le branch, ragione che tuttavia non sussiste con riguardo alla raccolta di depositi e alla concessione di crediti o prestiti il cui scopo è prestare servizi di investimento] …”, poiché tali attività – in quanto prestate in via accessoria e funzionale alla prestazione dei servizi di investimento – rientrano già nell’ambito di applicazione dei requisiti prudenziali e della vigilanza stabiliti dalla MiFID II.

Il richiamo all’art. 29-ter, comma 6, del TUF proposto nello Schema di Decreto introduce una previsione che, oltre ad essere di difficile comprensione, altera il senso e limita la finalità della norma comunitaria. Nell’esame parlamentare, lo Schema di Decreto potrebbe essere emendato, riproponendo l’impostazione contenuta nella previsione comunitaria, ossia sancendo, in via generale, l’obbligo di stabilimento per la prestazione dei Core Banking Services ai sensi della normativa attuativa della CRD VI e prevedendo la disapplicazione dello stesso con riguardo ai servizi o alle attività di cui all’allegato I, sezione A, del D.Lgs. 58/98, compreso qualsiasi servizio accessorio di facilitazione, come la relativa raccolta di depositi o la concessione di crediti o prestiti il cui scopo è prestare servizi a norma dell’art. 29-ter del TUF (si sottolinea, non soltanto del relativo comma 6, che pare in ogni caso un riferimento errato).

Fermo restando l’auspicio che il testo definitivo del decreto contenga una previsione allineata a quella contenuta nella CRD VI o che l’attuale disallineamento sia risolto in via interpretativa, sulla base di un’interpretazione letterale dell’attuale formulazione dello Schema di Decreto sembra emergere che l’unico modello operativo per la prestazione delle attività di raccolta di depositi, erogazione di finanziamenti e concessione di garanzie da parte delle banche extracomunitarie a favore di clienti al dettaglio o professionali su richiesta consista nell’insediamento in Italia di una succursale, tanto con riguardo all’ipotesi in cui la banca intenda svolgere tali attività in via principale, quanto nell’ipotesi in cui voglia prestare, in aggiunta ai servizi di investimento (in conformità alla disciplina propria dei servizi stessi) “qualsiasi servizio accessorio di facilitazione [rispetto ai servizi di investimento], come la relativa raccolta di depositi o la concessione di crediti o prestiti il cui scopo è prestare servizi” di investimento. Ne consegue l’esigenza, per le branch italiane di banche extracomunitarie istituite per la prestazione di servizi di investimento, di curare dalla sede italiana anche le attività di raccolta di depositi e erogazione di finanziamenti eventualmente svolte in via accessoria.

In assenza di succursali in Italia, alle banche extracomunitarie resta esclusivamente la possibilità di prestare Core Banking Services nei confronti di clienti italiani al dettaglio o professionali su richiesta che “si rivolgano di propria iniziativa esclusiva alle stesse banche di Stato terzo”. Al riguardo, preme innanzitutto evidenziare che la reverse solicitation non può costituire un modello di business, in quanto la possibilità di prestare in Italia i servizi in argomento risulterebbe totalmente rimessa alla speranza che i clienti italiani si rivolgano spontaneamente ad esse. Va, inoltre, considerato che, sebbene la reverse solicitation consenta alle banche di Paesi terzi di operare al di fuori del regime autorizzativo, la stipulazione di rapporti contrattuali attraverso tale modalità non risulta del tutto sottratta alla vigilanza delle autorità nazionali e dell’EBA. L’articolo 48-duodecies della CRD VI prevede, infatti, specifici obblighi di reporting a carico delle succursali di banche di Paesi terzi nei confronti delle autorità di vigilanza competenti, riguardanti informazioni sull’impresa principale, tra cui anche “le informazioni sui servizi prestati dall’impresa principale, su iniziativa esclusiva di clienti, a clienti stabiliti o situati nell’Unione, conformemente all’articolo 21-quater” della Direttiva. A ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 21 quater, paragrafo 2, secondo capoverso della CRD (introdotto dalla CRD VI), gli Stati Membri, nel recepire la Direttiva, devono attribuire alle autorità di vigilanza nazionali il potere di esigere informazioni per il monitoraggio dei servizi prestati in reverse solicitation dall’impresa principale non solo da parte delle succursali, ma anche degli enti creditizi stabiliti nel loro territorio e appartenenti al medesimo gruppo di appartenenza della banca extracomunitaria [7]. Pertanto, per le banche di Paesi terzi sarà sufficiente avere una succursale in uno Stato Membro o che un ente creditizio del medesimo gruppo sia residente in uno Stato Membro per essere soggetti a richieste di informazioni dell’autorità di vigilanza di tale Stato in relazione ai servizi prestati in reverse solicitation, con conseguente rafforzamento del potere delle autorità della UE e dell’EBA di monitoraggio su tale modalità di acquisizione della clientela e di individuazione di ipotesi di utilizzo abusivo di tale modalità operativa [8].

2. Servizi bancari in libera prestazione di servizi

Il nuovo articolo 16, commi 4 e 5-bis, del TUB (introdotto dall’art. 1, c. 1, g) dello Schema di Decreto) disciplina la residuale possibilità per le banche di Paesi terzi di operare in Italia senza stabilire una succursale.

La portata innovativa e di discontinuità di tale disposizione, rispetto al quadro attuale, risiede nel fatto che essa sostituisce al regime autorizzativo, ad oggi ancora vigente, un meccanismo di comunicazione preventiva alla Banca d’Italia per l’avvio dell’operatività in regime di libera prestazione di servizi, salva la facoltà per quest’ultima di avviare d’ufficio un provvedimento di divieto [9].

Merita una riflessione la clausola di salvaguardia – “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 14-bis, commi 2 e 3, e dall’articolo 29-ter del decreto legislativo n. 58 del 1998 (TUF)” – contenuta nella disposizione. Sembrerebbe corretto interpretare la norma nel senso che – fermo restando che (i) i Core Banking Services devono essere prestati, dalle banche extracomunitarie nei confronti di clientela al dettaglio e professionale su richiesta, per il tramite di una succursale in Italia (riferimento al comma 2 dell’art. 14-bis del TUB), (ii) la succursale non è tuttavia richiesta nei casi di esenzione previsti dallo stesso comma 2 e dal comma 3 dell’art. 14-bis del TUB e (iii) con riguardo alla prestazione di servizi di investimento e servizi ad essi accessori trova applicazione la disciplina si cui all’art. 29-ter del TUF (in questo caso, correttamente richiamato per intero, e non con riguardo al solo comma 6) – per quanto attiene ai servizi differenti dai Core Banking Services, dai servizi di investimento e dai servizi accessori, è sufficiente effettuare una comunicazione preventiva alla Banca d’Italia.

Viene, quindi, da chiedersi con riguardo a quali servizi “le banche di Stato terzo possono operare in Italia senza stabilirvi succursali previa comunicazione alla Banca d’Italia e al ricorrere delle condizioni da essa stabilite”. Al riguardo, sembrerebbe corretto fare riferimento – per differenza – ai servizi elencati all’articolo 1, comma 2, lettera f), del TUB [10], con la sola eccezione di quelli di cui ai numeri 1, 2 e 6 e degli altri servizi contenuti nell’elenco che, tuttavia, rientrino nella nozione di servizio di investimento (quali, ad esempio, le “operazioni per proprio conto o per conto della clientela”, quando hanno ad oggetto strumenti finanziari).

Si sottolinea, infine, che il riferimento alla “previa comunicazione alla Banca d’Italia” contenuto nel nuovo comma 4 dell’art. 16 del TUB non deve essere interpretato letteralmente, ossia nel senso che l’Autorità di vigilanza deve essere semplicemente informata preventivamente della decisione di avviare la prestazione di tali servizi in Italia. La comunicazione ha, nella sostanza, la natura di una richiesta di autorizzazione, considerato che “La Banca d’Italia può vietare l’avvio o la prosecuzione dell’operatività qualora tali condizioni non siano soddisfatte”.

3. Il regime transitorio e le tempistiche di applicazione

Lo Schema di Decreto introduce un regime transitorio per l’entrata in vigore e l’applicazione delle disposizioni di recepimento della CRD VI, che, pur risultando allineato alle tempistiche di entrata in vigore e di applicazione previste dalla Direttiva, presenta un rilevante elemento di disallineamento rispetto alla disciplina transitoria europea.

Come previsto dalla CRD VI, anche lo Schema di Decreto stabilisce che le disposizioni relative all’obbligo di stabilire una succursale in Italia per la prestazione dei Core Banking Services si applichino a decorrere dall’11 gennaio 2027, continuando fino ad allora a trovare applicazione la disciplina vigente. Prima di tale termine, anche le banche di Paesi terzi già operanti in Italia saranno tenute a presentare domanda di autorizzazione o di rinnovo dell’autorizzazione, ai sensi del nuovo quadro normativo.

Lo Schema di Decreto si discosta, tuttavia, dalla CRD VI con riferimento al trattamento dei contratti preesistenti, ossia stipulati fino al 10 luglio 2026: mentre l’articolo 21-quater, paragrafo 5, della CRD (introdotto dalla CRD VI) prevede una salvaguardia generale per tutti i contratti conclusi dalle banche di Paesi terzi fino a tale data, lo Schema di Decreto limita tale salvaguardia sotto due diversi profili: da un lato stabilisce che le banche interessate potranno continuare a esercitare, senza stabilimento di succursale, esclusivamente le attività strettamente necessarie alla gestione dei contratti conclusi prima dell’11 luglio 2026, escludendo ogni possibilità di novazione o rinnovo; dall’altro lato, con riguardo ai contratti a tempo indeterminato, consente di mantenere in essere tali contratti unicamente fino al 10 gennaio 2028, specificando che decorso tale termine, le banche di Paesi terzi prive di succursale saranno tenute a cessare i rapporti con la clientela, oppure a trasferirli a intermediari autorizzati.

La prima limitazione introdotta appare comprensibile rispetto alla ratio della clausola di salvaguardia, volta a preservare i diritti già acquisiti dai clienti nell’ambito dei contratti preesistenti, senza tuttavia consentire la prestazione di nuovi servizi bancari in assenza della relativa autorizzazione. Si tratta, in sostanza, di una previsione di carattere antielusivo, finalizzata a prevenire un utilizzo distorto del regime transitorio e ad assicurare la coerenza sistematica con i principi sottesi alla CRD VI.

Diversamente, la seconda limitazione di natura temporale aggiunta dallo Schema di Decreto appare contraria alla ratio della norma della CRD VI di preservare i diritti già acquisiti dai clienti nell’ambito di contratti preesistenti al nuovo regime normativo. Né appare idonea a risolvere tale criticità la previsione secondo cui “è fatta salva la possibilità di prosecuzione del rapporto su iniziativa esclusiva del cliente”, peraltro ripetitiva della possibilità, per le banche extracomunitarie, di prestare i Core Banking Services a clienti italiani in regime di reverse solicitation prevista dal nuovo art. 14-bis, comma 3, lett. c) del TUB.

4. Considerazioni conclusive

Le criticità richiamate, oltre a poter determinare una procedura di infrazione ai sensi dell’art. 258 TFUE in ipotesi di accertato contrasto della normativa domestica con la CRD VI, generano dubbi interpretativi per le banche di Paesi terzi che intendono mantenere o riorganizzare la propria presenza in Italia e rischiano di assoggettare le stesse a regole ulteriori e maggiormente stringenti rispetto a quelle stabilite dalla CRD VI.

Appare, quindi, auspicabile una revisione del testo dello Schema di Decreto – in sede di parere parlamentare e di approvazione definitiva del provvedimento – volta a garantire la piena coerenza con il diritto dell’Unione e la chiarezza degli obblighi alle imposti alle banche extracomunitarie, nonché a tutelare la certezza dei rapporti in essere tra le stesse e i relativi clienti italiani e a preservare la capacità del mercato italiano di attrarre operatori esteri nel rispetto del principio di level playing field.

 

[1]Consultation Paper – Draft Guidelines On the authorisation of third country branches in accordance with Article 48c(8) of Directive 2013/36/EU” (EBA/CP/2025/22 del 3 novembre 2025)

[2] Si ricorda, al riguardo, che l’EBA è chiamata ad emanare le proprie linee guida entro il 10 luglio 2026.

[3] Cfr. Relazione di accompagnamento alla “Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2013/36/UE per quanto riguarda i poteri di vigilanza, le sanzioni, le succursali di paesi terzi e i rischi ambientali, sociali e di governance, e che modifica la direttiva 2014/59/UE” pubblicata dalla Commissione Europea il 27 ottobre 2021.

[4] L’obbligo di succursale non trova applicazione quando i servizi bancari sono prestati nei confronti di banche, quando sono prestati nei confronti di altre imprese appartenenti al medesimo gruppo della banca di Paese terzo e quando i servizi sono resi a clienti al dettaglio, clienti professionali o controparti qualificate – come rispettivamente definiti dall’articolo 1, comma 1, lettere m-duodecies) e m-undecies), e dall’articolo 6, comma 2-quater, lettera d), del decreto legislativo n. 58 del 1998 – che si rivolgano di propria iniziativa esclusiva alle stesse banche di Stato terzo, c.d. reverse solicitation.

[5] L’art. 29-ter, comma 6 del TUF stabilisce che “Le banche di paesi terzi possono prestare servizi e attività di investimento, con o senza servizi accessori, a controparti qualificate o a clienti professionali (…) anche senza stabilimento di succursali nel territorio della Repubblica, in mancanza di una decisione della Commissione europea a norma dell’articolo 47, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 600/2014, oppure ove tale decisione non sia più vigente, sempreché ricorrano le condizioni previste dall’articolo 28, comma 1, lettere b), c), d) ed e), e venga presentato un programma concernente l’attività che si intende svolgere nel territorio della Repubblica. L’autorizzazione è rilasciata dalla Banca d’Italia, sentita la Consob”.

[6] Ricordiamo che il Considerando 6 della CRD VI recita “fatto salvo il regime di autorizzazione di cui alla direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (5) e al regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio (6), l’obbligo di stabilire una succursale non dovrebbe applicarsi ai casi in cui enti creditizi di paesi terzi prestano nell’Unione i servizi e le attività di investimento di cui all’allegato I, sezione A, della direttiva 2014/65/UE e qualsiasi servizio accessorio di facilitazione, come la relativa raccolta di depositi o la concessione di crediti o prestiti il cui scopo è prestare servizi a norma di tale direttiva, compresi i servizi di negoziazione di strumenti finanziari o la gestione di patrimoni privati”.

[7] Ai sensi dell’art. 21 quater, par. 2, secondo capoverso, della CRD (introdotto dalla CRD VI), “Gli Stati membri assicurano che alle autorità competenti sia conferito il potere di esigere che gli enti creditizi e le succursali stabiliti nel loro territorio forniscano loro le informazioni di cui necessitano per monitorare i servizi prestati su iniziativa esclusiva del cliente stabilito o situato nel loro territorio o della controparte stabilita o situata nel loro territorio, ove tali servizi siano prestati da imprese stabilite in paesi terzi appartenenti allo stesso gruppo”.

[8] Sul punto si rileva che l’art. 21 quater, par. 2, secondo capoverso, prevede che “Gli Stati membri assicurano che alle autorità competenti sia conferito il potere di esigere che gli enti creditizi e le succursali stabiliti nel loro territorio forniscano loro le informazioni di cui necessitano per monitorare i servizi prestati su iniziativa esclusiva del cliente stabilito o situato nel loro territorio o della controparte stabilita o situata nel loro territorio, ove tali servizi siano prestati da imprese stabilite in paesi terzi appartenenti allo stesso gruppo”. Si evidenzia come l’obbligo di reporting sia riferito non solo alle succursali di Paesi Terzi autorizzate in uno Stato Membro, ma anche ad enti creditizi (autorizzati ai sensi della CRD) e alle succursali in generale (quindi, ad esempio, anche alle succursali di enti creditizi autorizzati in uno Stato Membro appartenenti a Gruppi Extra-UE).

[9] Il nuovo comma 5 bis dell’art. 16 TUB, introdotto dallo schema di decreto, precisa che Banca d’Italia potrà emanare le disposizioni attuative riferite alla disciplina in materia di libera prestazione di servizi.

[10] I servizi elencati nell’art. 1, comma 1, lett. f) del TUB includono – in aggiunta alla raccolta di depositi, alle operazioni di prestito (compreso in particolare il credito al consumo, il credito con garanzia ipotecaria, il factoring, le cessioni di credito pro soluto e pro solvendo, il credito commerciale incluso il «forfaiting») e al rilascio di garanzie e di impegni di firma – 1) il leasing finanziario; 2) la prestazione di servizi di pagamento; 3) l’emissione e gestione di mezzi di pagamento (“travellers cheques”, lettere di credito), nella misura in cui quest’attività non rientra nel rilascio di garanzie e di impegni di firma; 4) operazioni per proprio conto o per conto della clientela in: i) strumenti di mercato monetario (assegni, cambiali, certificati di deposito, ecc.); ii) cambi; iii) strumenti finanziari a termine e opzioni; iv) contratti su tassi di cambio e tassi d’interesse; v) valori mobiliari; 5) partecipazione alle emissioni di titoli e prestazioni di servizi connessi; 6) consulenza alle imprese in materia di struttura finanziaria, di strategia industriale e di questioni connesse, nonché consulenza e servizi nel campo delle concentrazioni e del rilievo di imprese; 7) servizi di intermediazione finanziaria del tipo “money broking“; 8) gestione o consulenza nella gestione di patrimoni; 9) custodia e amministrazione di valori mobiliari; 10) servizi di informazione commerciale; 11) locazione di cassette di sicurezza;12) altre attività che, in virtù delle misure di adattamento assunte dalle autorità dell’Unione europea, sono aggiunte all’elenco allegato alla seconda direttiva in materia creditizia del Consiglio delle Comunità europee n. 89/646/CEE del 15 dicembre 1989.

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