Il presente contributo analizza il tema del trattamento IVA italiano delle cessioni di partecipazioni cross-border, alla luce dei disallineamenti tra normativa nazionale ed europea, nonché della giurisprudenza formatasi in materia.
Il corretto trattamento IVA italiano di un trasferimento di partecipazioni può risultare non immediatamente individuabile qualora almeno una delle parti coinvolte nell’operazione non sia identificata ai fini IVA in Italia.
La difficoltà deriva, in primo luogo, dal fatto che nella normativa italiana IVA in tema di presupposto oggettivo dell’imposta non è dato riscontrare la presenza di specifiche disposizioni che consentano in modo inequivocabile di includere i trasferimenti di partecipazioni nell’ambito delle cessioni di beni piuttosto che in quello delle prestazioni di servizi.
1. La normativa italiana
L’art. 2 del DPR 633/72 (Cessioni di beni) prevede, infatti, una definizione piuttosto ampia e di derivazione civilistica del concetto di bene, che ricomprende i beni materiali ed i beni immateriali (c.d. generici) che non siano esplicitamente considerati prestazioni di servizi dal successivo art. 3 (Prestazioni di servizi).
In tale ottica deve, probabilmente, essere collocato l’unico (seppur non inequivocabile) riferimento ai trasferimenti di partecipazioni a titolo oneroso quali cessioni di beni che è riscontrabile nel dettato dell’art. 1 del DM 75/2004[1].
2. La normativa comunitaria
Di diverso tenore sono gli esiti derivanti dall’analisi delle disposizioni contenute nella Direttiva 2006/112 CE (la “Direttiva IVA”).
Più in dettaglio, l’art. 14 della Direttiva citata dispone (a differenza dell’art. 2 del DPR 633/72) che “Costituisce «cessione di beni» il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario”.
L’art. 15, comma 1, lettera c) della medesima Direttiva prevede altresì che gli Stati membri possono considerare beni materiali “le quote d’interessi e le azioni il cui possesso assicura, di diritto o di fatto, l’attribuzione in proprietà o in godimento di un bene immobile”.
Ai sensi dell’art. 24 della Direttiva “Si considera «prestazione di servizi» ogni operazione che non costituisce una cessione di beni”. In tale definizione residuale ricadono, dunque le cessioni relative a tutti i beni immateriali, sia quelle che vengono esplicitamente nominate nell’art. 3 del DPR 633/72 ed annoverate tra le prestazioni di servizi, sia quelle relative a beni immateriali generici che, alla luce dell’ampia portata dell’art. 2 del DPR 633/72, a stretto rigore di termini dovrebbero essere qualificate come cessioni di beni.
A completamento del quadro normativo comunitario pare opportuno considerare anche quanto riportato dal comma 2 dell’art. 19 della Direttiva: “In caso di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri possono considerare che non è avvenuta alcuna cessione di beni e che il beneficiario succede al cedente”.
Alla luce delle disposizioni di cui sopra una cessione di partecipazioni dovrebbe essere considerata quale prestazione di servizi, salvo il caso che nel Paese in cui l’operazione risulti imponibile ai fini IVA la normativa domestica consenta di applicare le eccezioni di cui agli articoli 15, comma 1, lettera c)[2] e 19[3] della Direttiva IVA.
Per quanto riguarda l’Italia, con riferimento alla prima delle due eccezioni citate, non è dato riscontrare la sua attuazione in alcuna disposizione emanata ai fini IVA, con riferimento ai trasferimenti di partecipazioni.
In merito alla seconda delle due, salvo ovviamente che l’operazione non sia strutturata anche formalmente quale trasferimento d’azienda (escluso dal campo di applicazione dell’IVA), non appare possibile trattare ai fini IVA una cessione di partecipazioni come cessione di azienda, alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione[4].
3. Confronto tra l’orientamento comunitario e quello domestico
Con riferimento alle cessioni transfrontaliere di partecipazioni la dicotomia tra normativa italiana e normativa comunitaria ha potenzialmente effetti di non poco conto.
Se si adotta, infatti, l’approccio comunitario[5], alla luce delle considerazioni sopra riportate, una cessione transfrontaliera di partecipazioni pare doversi assimilare, sotto il profilo IVA, ad una prestazione di servizi. In quanto tale e non ricadendo in alcuna delle eccezioni di cui agli articoli da 7 quater a 7 octies del DPR 633/72, sotto il profilo della territorialità l’operazione in esame sarebbe soggetta al disposto degli artt. 44 e 45 della Direttiva citata, il cui contenuto è stato (parzialmente) trasfuso nell’art. 7 ter del DPR 633/72.
Nel caso in cui il cedente fosse residente e l’acquirente no, si avrebbe pertanto che, ai fini IVA:
- qualora l’acquirente non residente non fosse un soggetto passivo IVA, ed il cedente italiano, invece, lo fosse, l’operazione si considererebbe effettuata in territorio italiano;
- qualora, invece, il cedente italiano non fosse un soggetto IVA, l’operazione non sarebbe rilevante ai fini IVA in Italia.
Se, infine, entrambe le parti fossero soggetti passivi IVA, la cessione sarebbe imponibile ai fini IVA nello Stato di stabilimento dell’acquirente attraverso l’applicazione del meccanismo del c.d. reverse charge (laddove applicabile).
Nel caso in cui, al contrario, una cessione di partecipazioni transfrontaliera rientrasse nell’alveo delle cessioni di beni, secondo quella che appare un’interpretazione più allineata alle disposizioni domestiche, l’operazione risulterebbe imponibile in Italia secondo criteri non sempre sovrapponibili, quando non totalmente differenti rispetto a quelli applicabili nell’ipotesi in cui si seguisse il trattamento previsto per le prestazioni di servizi.
A titolo esemplificativo si consideri il caso in cui l’acquirente fosse soggetto identificato ai fini IVA residente in Italia, il cedente fosse non residente nella UE e la cessione di partecipazioni venisse perfezionata al di fuori del territorio italiano senza materiale trasferimento dei titoli: in tale ipotesi, adottando l’approccio comunitario, l’operazione sarebbe imponibile in Italia; adottando i criteri previsti, invece, dalla normativa domestica, dovrebbe essere considerata fuori campo IVA.
4. Regime IVA applicabile in Italia e pro-rata
Da ultimo si consideri che nell’ipotesi in cui l’operazione risultasse imponibile ai fini IVA in Italia, la stessa rientrerebbe tra quelle esenti di cui all’art. 10, comma 4, del DPR 633/72 e, quindi, potrebbe, in linea di principio, influenzare il pro-rata di detraibilità IVA del soggetto su cui ricadono gli obblighi di fatturazione e registrazione della cessione.
In relazione al pro-rata è necessario, più nel dettaglio, verificare se l’eventuale cessione o acquisizione sia da considerarsi operazione occasionale o meno.
Sul punto la Corte di Cassazione[6], richiamando quanto statuito dalla Corte di Giustizia Europea con Sentenza 29 ottobre 2009, SKF, relativa alla causa C-29/08, ha affermato il seguente principio di diritto: “Le operazioni di cessione relative ad azioni o partecipazioni in una società non rientrano nella sfera di applicazione dell’Iva, salvo che sia accertato che sono state effettuate nell’ambito di un’attività commerciale di acquisizione di titoli per realizzare un’interferenza diretta o indiretta nella gestione delle società di cui si è realizzata l’acquisizione di partecipazioni o che costituiscono il prolungamento diretto, permanente e necessario, dell’attività imponibile”.
Con riferimento alle società, la Suprema Corte ha, altresì, evidenziato che al fine di identificare se una cessione di partecipazioni rientri nell’ambio di applicazione dell’IVA (e ciò anche ai fini dell’applicazione del pro-rata di detraibilità di cui all’art. 19-bis del DPR 633/72) occorre avere riguardo, non già all’attività previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall’impresa[7].
Ai fini dell’IVA, rileva, infatti, il volume d’affari del contribuente, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dallo stesso effettuate, e quindi l’attività in concreto esercitata.
Senza volersi addentrare nell’analisi del principio di diritto sopra citato e delle valutazioni in merito all’occasionalità o meno di una cessione di partecipazioni, è di tutta evidenza che le incertezze in merito al trattamento IVA dei trasferimenti di partecipazioni a titolo oneroso, soprattutto con riferimento ad operazioni effettuate da società italiane che non svolgono esclusivamente o prevalentemente attività esente, possono avere un impatto ai fini IVA che travalica quello della singola compravendita.
Nel contesto sopra delineato, sarebbe, pertanto, auspicabile un chiarimento normativo o interpretativo (o meglio, un esplicito allineamento della normativa italiana a quella comunitaria), che consenta di evitare l’insorgenza di potenziali conteziosi.
[1] Di seguito il testo dell’art. 1 del DM 75/2004: “Le fatture relative alle prestazioni di servizi di cui all’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e quelle relative alle cessioni di beni esenti di cui all’articolo 10, primo comma, n. 4), dello stesso decreto, escluse le operazioni di cui al successivo n. 11) del medesimo articolo 10, che le banche sono tenute a rilasciare a richiesta della controparte, possono essere emesse dalla sede centrale, dal centro elettrocontabile, dalle dipendenze, dai servizi ed uffici e possono comprendere tutte le operazioni effettuate con lo stesso soggetto in periodi di tempo non superiori al mese solare, a condizione che siano consegnate o spedite entro il mese solare successivo a quello in cui le suddette operazioni si considerano effettuate ai sensi dell’articolo 6 del predetto decreto, fermo restando quanto stabilito nell’articolo 3, comma 2”.
[2] La disposizione in oggetto prevede che gli Stati membri possono considerare beni materiali le quote d’interessi e le azioni il cui possesso assicura, di diritto o di fatto, l’attribuzione in proprietà o in godimento di un bene immobile o di una sua parte.
[3] L’articolo 19 della Direttiva IVA dispone che “In caso di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri possono considerare che non è avvenuta alcuna cessione di beni e che il beneficiario succede al cedente”.
[4] Cfr. in senso conforme Cassazione Civile, Sez. Tributaria. nn. 7470 e 7495 del 20 marzo 2024.
[5] Sul punto si noti che la Corte Costituzionale nella sentenza n. 389/1989, ha previsto che l’eventuale conflitto tra diritto interno e comunitario, produce l’effetto di disapplicazione del primo; inoltre, la medesima Corte ha stabilito con sentenza n. 168/1991 che quando una Direttiva comunitaria contiene disposizioni incondizionate e sufficientemente chiare e precise, e lo Stato membro non ha recepito (correttamente) la Direttiva stessa nei tempi prestabiliti, “i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato”.
[6] Cfr. Cassazione Civile – Sez. Tributaria Ordinanza n. 5156 del 25 febbraio 2020, pubblicata il 25 febbraio 2021
[7] Cfr. Cassazione Civile – Sez. Tributaria Sentenza n. 4613 del 9 marzo 2016; Cassazione Civile – Sez. Tributaria Sentenza n. 5970 del 14.03.2014.

