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Giurisprudenza

Sulla preclusione probatoria di documentazione non prodotta in sede accertativa

19 Settembre 2025

Fabio Povegliano, Avvocato Praticante del Foro di Treviso 

Corte Costituzionale, 23 giugno 2025, n. 137 – Pres. Amoroso, Rel. Antonini

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza n. 137/2025 la Corte Costituzionale si è espressa sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, co. 4 e co. 5 del D.P.R. n. 600/1973, nella misura in cui prevede la non utilizzabilità in sede amministrativa e contenziosa della documentazione non prodotta dal contribuente su richiesta degli accertatori.

Nella vicenda la CGT di primo grado di Roma era chiamata ad esprimersi in relazione alla plusvalenza accertata in capo alla contribuente che, solo a seguito dell’emissione dell’avviso di accertamento e senza dare prova di un impedimento oggettivo e incolpevole che ne giustificasse la mancata consegna in fase accertativa, aveva prodotto nel corso del giudizio delle fatture idonee a dimostrare che l’aumento del valore dei terreni edificabili era conseguenza delle spese incrementali dalla stessa sostenute

Il Giudice delle leggi, preliminarmente, ha rammentato come la Cassazione abbia già fornito un’interpretazione restrittiva della norma in questione, tracciando gli adempimenti richiesti a carico dell’Amministrazione Finanziaria affinché la disposizione possa trovare applicazione senza pregiudicare il diritto di difesa del contribuente (cfr. Cass. n. 20731/2019; n. 3254/2021; 15021/2017; 6275/2023; 8299/2014).

Segnatamente, è stato evidenziato che “l’invito alla esibizione o consegna degli elementi informativi di cui all’art. 32, co. 4 del d.P.R. n. 600/1973 può produrre la preclusione al loro utilizzo in sede processuale a condizione che la richiesta dell’Amministrazione Finanziaria: a) sia stata rivolta specificamente al contribuente o a un suo ausiliare, e non a un terzo […]; b) sia stata specifica e puntuale, non potendo operare la limitazione innanzi a una generica richiesta di informazioni o documenti […], secondo la tecnica della cosiddetta “pesca a strascico”; c) preveda un congruo termine per rispondere, in relazione alla tipologia di richiesta e in ogni caso non inferiore a quindici giorni, in ossequio al principio di buona fede […]; d) non riguardi documenti o informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria”.

Successivamente, dopo aver osservato come sia cambiata la prospettiva rispetto al passato pre-costituzionale, in cui ad assumere centralità erano lo Stato ed il potere tributario, essendo ora al centro “altre categorie concettuali che attengono alla persona situata dentro la comunità, ai rapporti che derivano dai legami sociali in cui è immersa, ai vincoli di solidarietà che ne conseguono e che spetta al legislatore definire, ispirandosi alla progressività e nel rispetto della capacità contributiva”, ha statuito che “la previsione dell’inutilizzabilità degli elementi informativi non consegnati in sede di controllo, per potere trovare giustificazione all’interno di questa dimensione costituzionale, deve essere interpretata in senso fortemente restrittivo, non solo confermando interamente quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ma riducendone ulteriormente la portata applicativa”. 

In particolare, è stato chiarito come “la preclusione probatoria operi solo per gli elementi informativi che hanno un contenuto univocamente «a favore del contribuente», da intendersi come quelli che, ove immediatamente consegnati, avrebbero potuto impedire un accertamento ovvero ridurre la portata dell’eventuale pretesa dell’amministrazione finanziaria, rimanendo esclusi dall’ambito applicativo della sanzione dell’inutilizzabilità “quegli elementi che rivestono […] un contenuto, per così dire, misto, ovvero anche parzialmente suscettibile di produrre effetti sfavorevoli per il contribuente.

La Corte è addivenuta a tale conclusione anche sulla base del fatto che siccome dall’applicazione delle disposizioni censurate possono derivare […] sanzioni amministrative sostanzialmente punitive o anche sanzioni formalmente penali, la loro interpretazione deve renderle del tutto estranee alla portata del principio nemo tenetur se detegere, che «costituisce un “corollario essenziale dell’inviolabilità del diritto di difesa”, riconosciuto dall’art. 24 Cost. (ordinanze n. 202 del 2004, n. 485 e n. 291 del 2002» (sentenza n. 84 del 2021), e del giusto processo”.

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