Con l’ordinanza n. 10705/2025 la Suprema Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’obbligo di instaurazione del contraddittorio preventivo in caso di contestazione di operazioni abusive, statuendo che tale onere compete all’Amministrazione, tanto nel caso in cui quest’ultima applichi il principio generale di divieto di abuso del diritto, quanto laddove ritenga di fondare la contestazione sulla norma antielusiva tipizzata all’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973.
Nella vicenda, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento, relativo all’annualità 2008, con il quale contestava a un contribuente l’indebito utilizzo di componenti negativi di reddito, derivanti da utili spettanti all’associato in partecipazione nella propria attività di rivendita di tabacchi.
L’Ufficio riteneva, infatti, tale operazione abusiva evidenziando come, per l’esercizio ti tale attività, sussista un divieto di stipulare contratti di associazione in partecipazione essendo necessario disporre di una licenza personale intestata al titolare.
I Giudici, allineandosi ad un orientamento consolidato, hanno ribadito che la Cassazione “in via interpretativa e costituzionalmente orientata, ha esteso il contraddittorio endoprocedimentale specifico nelle forme rigorose dell’art. 37-bis citato anche all’abuso (innominato) del diritto”.
In particolare sono state richiamate le n. 2439/2017, n. 16546/2019 e 28676/2019 nelle quali si legge che “in tema di imposte sui redditi, l’applicazione della disciplina antielusiva di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 (ratione temporis applicabile) postula l’osservanza del contraddittorio procedimentale sancito dai commi 4 e 5 e, in particolare, una richiesta di chiarimenti nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2, pena la nullità dell’avviso di accertamento emesso: sanzione, quest’ultima, reputata non in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost dalla Corte Costituzionale, nella sentenza del 7 luglio 2015, n. 132, in considerazione delle peculiarità dell’accertamento e del ruolo decisivo degli elementi forniti dal contribuente in vista della valutazione dell’Amministrazione circa l’esistenza, o meno, di valide ragioni economiche sottese alle operazioni esaminate”.
Infine, è stato ritenuto inammissibile il tentativo esperito dall’Agenzia di ricondurre il recupero alla diversa contestazione della mancata documentazione di componenti negativi del reddito, posto che tale immutazione avrebbe inciso direttamente sull’elemento essenziale della causa petendi sottesa alla pretesa erariale come manifestata nell’avviso di accertamento.