L’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF) si è pronunciato, per la prima volta, con la decisione n. 8066, del 25 giugno 2025, sulla questione della meritevolezza causale (in senso lato) di un contratto di credit lombard, sottoscritto da un investitore di un primario Istituto di credito nazionale, definendone alcune criticità, in relazione alla disciplina regolamentare in tema di trasparenza nella vendita di prodotti abbinati, di natura finanziaria e assicurativa.
Come noto, il finanziamento de quo (credit lombard) rappresenta un’operazione finanziaria strutturalmente complessa, essendo scindibile in un contratto di mutuo (nella specie, a tasso variabile), su una linea di credito soggetta a scadenza di pari vincolo, e la cui somma erogata andrà utilizzata per investimenti che dovrebbero asseritamente ingenerare plusvalenze tali da compensare il costo totale del finanziamento.
Al contempo, l’operazione viene solitamente garantita da un pegno (il più delle volte, omnibus; nella specie, costituito su una polizza sottoscritta due anni prima dallo stesso investitore).
Ebbene, ad avviso di parte ricorrente, la combinazione di operazioni necessariamente interdipendenti (finanziamento, sottoscrizione di fondi e SICAV, acquisto di strumenti finanziari assicurativi e contestuale costituzione in pegno dei medesimi titoli), rappresentando un surplus rispetto a una tipica operazione di finanziamento, avrebbe implicato uno “squilibrio abnorme” tra le controprestazioni, dal momento che, a fronte dell’immediata acquisizione (da parte dell’intermediario) della disponibilità della somma erogata a mutuo, da destinare a investimenti finanziari senza vincoli di mandato (e degli interessi restitutori), vede il sottoscrittore posticipare ogni utilità alla scadenza del contratto (sempre che l’investimento abbia ingenerato gli utili preventivati).
La lettura è stata pienamente condivisa dal Collegio, che, in via preliminare, ha premura di rilevare come la fattispecie in esame configuri una pratica di vendita abbinata, sussumibile nell’ambito di operatività dell’art. 44 Regolamento Intermediari.
Invero, «attesa anche la contiguità temporale tra il finanziamento e i successivi investimenti effettuati dal Ricorrente a distanza di pochi giorni dall’apertura della linea di credito – non appare revocabile in dubbio, nei fatti, il collegamento funzionale tra il finanziamento e gli investimenti e l’unitarietà dell’operazione considerata nel suo complesso».
Le pratiche cc.dd. abbinate non soggiacciono, chiaramente, a un divieto ordinamentale, laddove realizzano interessi meritevoli di tutela sul piano causale, dovendo essere «attentamente presidiate dagli intermediari sia sotto il profilo della trasparenza dei prodotti/servizi abbinati che vengono offerti, sia sotto il profilo dell’adeguatezza/appropriatezza del pacchetto raccomandato».
Nel caso di specie, l’intermediario non ha posto in essere nessuna delle due valutazioni, non apprestando alcuno dei presidi prescritti dalla normativa di settore, «né in termini di disclosure, né in termini di valutazione di adeguatezza/appropriatezza del pacchetto di servizi e prodotti rispetto alle esigenze del cliente».
Sul punto, l’ACF rammenta come non possa ritenersi correttamente effettuata una valutazione di adeguatezza per il tramite di una consulenza generica, apodittica e standardizzata, inidonea a fornire al cliente la spiegazione delle ragioni per cui l’investimento sia coerente con le caratteristiche personali e in linea con gli obiettivi di investimento da perseguire, tanto più in precipua considerazione della c.d. “adeguatezza rafforzata”, prevista dall’art. 135, comma 1, Regolamento Intermediari, per la consulenza su prodotti di investimento assicurativi.