Il presente contributo affronta il tema della clausola di vincolo o vincolo di polizza, alla luce del recente orientamento della Corte d’Appello di Milano che si è espressa sulla sua natura giuridica e sui conseguenti obblighi e diritti per le parti, soffermandosi quindi sugli impatti pratici di tale qualifica.
La recente sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 1123/2025 offre un interessante contributo al dibattito sulla disciplina delle clausole vincolatarie nelle polizze assicurative collegate a contratti di finanziamento (leasing, nel caso di specie). La decisione, qualificando come delegazione il vincolo di polizza, individua una distribuzione delle responsabilità tra i soggetti coinvolti (concedente, utilizzatore, compagnia assicurativa) foriera di significative ricadute operative e pratiche.
La vicenda trae origine dalla perdita totale di un’imbarcazione da diporto concessa in leasing a causa di un incendio verificatosi nel giugno 2010 nelle acque antistanti Porto Santo Stefano. In sede di sottoscrizione del contratto di leasing, il concedente aveva posto, quale condizione necessaria per il finanziamento, la stipula da parte dell’utilizzatore di una polizza assicurativa con apposito vincolo in proprio favore. La polizza assicurativa, poi stipulata dall’utilizzatore con una nota compagnia di assicurazione, include una clausola di vincolo in favore della società concedente, ai sensi della quale l’assicurazione si obbliga a non liquidare alcun indennizzo senza il consenso della vincolataria.
A seguito del sinistro, regolarmente comunicato all’assicurazione, il concedente risolve il contratto di leasing e ottiene un decreto ingiuntivo per i canoni non pagati: non riuscendo a soddisfarsi su altri beni, il concedente deposita istanza di fallimento dell’utilizzatore, poi accolta dal Tribunale di Roma.
Per quanto più interessa in questa sede, l’assicurazione nega l’indennizzo ai sensi della citata polizza, sostenendo che il diritto si sia prescritto per decorso del termine annuale previsto dall’art. 547 del codice della navigazione: in particolare, la compagnia eccepisce l’assenza di validi atti interruttivi della prescrizione.
L’utilizzatore, una volta tornato in bonis, cita dunque in giudizio la società concedente, sostenendo che quest’ultima, in qualità di vincolataria, era responsabile della mancata attivazione dei diritti di polizza e, in particolare, della conseguente prescrizione dell’indennizzo.
In primo grado, il Tribunale di Milano rigetta integralmente le domande dell’utilizzatore, osservando come il termine di prescrizione sia decorso e come l’utilizzatore rivesta la posizione di contraente-assicurato, visto che la clausola di vincolo si limita a subordinare la liquidazione al consenso o svincolo della vincolataria, ragion per cui grava sull’utilizzatore l’onere di interrompere la prescrizione con atto valido. L’utilizzatore, non condividendo la decisione, propone appello avanti alla Corte d’Appello meneghina, la quale, tuttavia, rigetta l’impugnazione con motivazione articolata, che è opportuno ripercorrere.
Il Giudice d’appello fornisce un’apprezzabile ricostruzione sistematica dell’istituto del vincolo di polizza, distinguendo, in primo luogo, tra due ipotesi: il vincolo semplice, che impone il divieto all’assicuratore di corrispondere l’indennità al beneficiario senza il consenso del vincolatario, e il vincolo complesso, che fissa l’obbligo dell’assicuratore di effettuare il pagamento direttamente al terzo vincolatario.
In secondo luogo, la Corte, stimolata dall’appellante, si interroga sulla qualificazione giuridica della clausola vincolataria.
La Corte esclude che la clausola vincolataria possa configurare un’assicurazione per conto altrui ai sensi dell’art. 1891 c.c., presupponendo tale modello una dissociazione soggettiva tra contraente e assicurato: al contrario, nel caso di specie, l’utilizzatore mantiene la qualità di soggetto assicurato. Analogamente, la Corte esclude che la clausola possa essere qualificata come contratto a favore di terzo, perché essa è incompatibile con il principio indennitario che caratterizza le assicurazioni contro i danni, secondo cui l’assicurato deve tanto avere interesse al risarcimento quanto essere titolare dell’indennizzo quale soggetto gravato dal rischio. Né la clausola vincolataria appare sussumibile sotto il tipo cessione di credito futuro, perché ciò determinerebbe una scissione tra diritto all’indennizzo e titolarità dell’interesse al risarcimento e si determinerebbe un’incompatibilità il già citato principio indennitario.
La Corte giunge quindi a individuare nello schema della delegazione di pagamento il paradigma più appropriato per qualificare la clausola vincolataria. Premesso che la clausola crea un collegamento tra contratto di assicurazione e contratto di finanziamento, attribuendo al finanziatore il diritto esclusivo di percepire l’indennizzo, in tale ricostruzione, il vincolatario non assume la qualità di soggetto assicurato, l’assicuratore può opporre al vincolatario i vizi inerenti sia al rapporto con l’assicurato sia a quello assicurativo e il vincolatario è mero destinatario del pagamento dell’indennizzo.
Come è evidente, il punto cruciale della decisione riguarda l’identificazione del soggetto assicurato. La Corte chiarisce che l’utilizzatore del bene in leasing mantiene la qualità di soggetto assicurato, essendo il titolare del rischio e colui che è chiamato a rispondere della perdita del bene nei confronti del concedente. Questa conclusione si fonda su considerazioni strutturali del rapporto: l’utilizzatore ha interesse a garantirsi contro la perdita del cespite, il premio è parametrato al rischio incombente sul bene e l’utilizzatore è titolare del rischio. Il concedente mantiene un interesse concorrente ma non assume la qualità formale di assicurato. La conseguenza più rilevante di questa ricostruzione riguarda la distribuzione degli oneri relativi all’attivazione dei diritti di polizza. Come stabilito dalla Corte, l’utilizzatore, quale soggetto assicurato, è onerato dell’attuazione dei diritti di polizza e deve porre in essere, fra gli altri, gli atti interruttivi della prescrizione.
Proprio tale ultima considerazione fonda il rigetto dell’impugnazione, posto che, nel caso indagato dalla Corte ambrosiana, l’utilizzatore non aveva posto in essere alcun valido atto interruttivo della prescrizione, nonostante fosse onerato di tale adempimento secondo la citata qualificazione del vincolo.
La sentenza qui commentata interpreta il vincolo di polizza seguendo quanto suggerito da parte della dottrina che si è espressa sul punto, mentre è noto che altra parte della dottrina propende per inquadrare la clausola quale contratto a favore di terzi, quale pegno di crediti o quale cessione del credito (per una più ampia disamina., v. M. Mazzola, La clausola di vincolo nei contratti di assicurazione: profili qualificatori, in Rivista di diritto bancario, 2022, III/I, 455 ss.). In giurisprudenza, l’orientamento prevalente sembra qualificare il contratto di assicurazione con appendice di vincolo quale contratto a favore di terzo (fra le altre, Cassazione Civile n. 36127/2023; Corte d’Appello di Catanzaro n. 347/2025, Corte d’Appello di Roma n. 5514/2024; Corte d’Appello di Napoli n. 2103/2023; Tribunale di Alessandria n. 556/2022; Tribunale di Lamezia Terme n. 1209/2017). Pare opportuno rilevare, peraltro, che in una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 5990/2025), il Giudice di legittimità ha precisato come, nella prassi commerciale, la destinazione dell’indennizzo possa realizzarsi mediante tipi contrattuali diversi, ragion per cui sta all’interprete qualificare tale patto nel caso concreto e a seconda delle clausole convenute dalle parti, non essendo possibile una qualificazione generale e astratta a priori.
L’interpretazione proposta dalla Corte d’Appello è certamente idonea a generare significativi impatti operativi che potrebbero ridefinire le prassi contrattuali e la gestione dei rapporti tra i soggetti coinvolti nei contratti di leasing (o comunque di finanziamento) con polizze vincolate.
Un primo impatto che si può ipotizzare riguarda la necessità di una rivalutazione delle clausole contrattuali nei contratti di leasing/finanziamento. Una maggiore chiarezza su obblighi e responsabilità dell’utilizzatore sembra auspicabile per evitare contenziosi futuri. È ipotizzabile l’inserimento di clausole specifiche che disciplinino chiaramente gli obblighi dell’utilizzatore in caso di sinistro coperto dall’assicurazione, ivi incluso l’obbligo di provvedere alla notificazione immediata alla compagnia assicurativa e di compiere atti idonei all’interruzione della prescrizione (profilo quest’ultimo, peraltro, di non semplice attuazione pratica, soprattutto in presenza di utilizzatori di natura non professionale).
Sotto altro profilo, si può ipotizzare che il concedente/finanziatore includa, se non già presente, un obbligo di ottenere il proprio assenso sul testo contrattuale della polizza che l’utilizzatore contrae con l’assicurazione o comunque di richiedere la presenza di talune clausole contrattuali nell’assicurazione. Inoltre, il concedente potrebbe essere spinto a includere previsioni contrattuali volte a vincolare l’utilizzatore a fornire un’informativa completa sul rapporto assicurativo sottoscritto con l’assicurazione, non solo in fase precontrattuale ma anche in fase di esecuzione del medesimo.
Si può ipotizzare, che siano definiti con maggiore dettaglio gli obblighi informativi che l’utilizzatore è tenuto a rispettare nei confronti del finanziatore, anche nell’ottica di mitigare il rischio per il finanziatore di non poter ottenere la restituzione del capitale concesso. Tali obblighi informativi potrebbero anche essere assistiti da previsioni volte definire la responsabilità dell’utilizzatore in caso di inerzia.
Un secondo impatto che si può ipotizzare è la revisione delle politiche di pricing applicate del soggetto finanziatore /concedente. La consapevolezza che l’utilizzatore rimane il soggetto assicurato principale, con tutti gli oneri connessi, è destinata ad avere un impatto sulle condizioni economiche che il finanziatore è disposto a offrire alla platea degli utilizzatori ed è prevedibile che le condizioni diventino più onerose.
Infatti, la circostanza che il solo utilizzatore sia titolare dei diritti di cui alla polizza – e dunque il concedente non abbia la legittimazione attiva per agire verso la compagnia assicurativa per ottenere l’indennizzo – è circostanza idonea ad aumentare il rischio per il finanziatore di non poter rientrare dall’investimento iniziale qualora si verifichi un sinistro che pregiudichi gravemente il bene (che ricordiamo essere nelle mani dell’utilizzatore). Si pensi anche alle difficoltà che potrebbero insorgere nel caso in cui l’utilizzatore entri in una procedura concorsuale. Quanto precede è destinato ad aver un impatto sui costi del finanziamento e potrebbe altresì determinare il finanziatore a rafforzare le attività di due diligence sull’utilizzatore in fase precontrattuale, con inevitabile aumento dei costi di istruttoria, e, se del caso, a pretendere garanzie aggiuntive.
In conclusione, la qualificazione data dalla Corte d’Appello di Milano potrebbe produrre un disincentivo sostanziale per il mercato delle operazioni di finanziamento come quelle oggetto del contenzioso analizzato, a causa dell’innalzamento dei costi del finanziamento quale naturale conseguenza dell’assunzione di un rischio più elevato per il finanziatore di perdere il capitale impiegato.