Il presente articolo analizza l’ultimo orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione in tema di danno al locatore da mancato guadagno in caso di risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore.
Con sentenza n. 4892/2025 del 25 febbraio 2025, risolvendo una vexata quaestio in materia di risoluzione anticipata del contratto di locazione per fatto e colpa del conduttore, le Sezioni Unite hanno sancito la risarcibilità del danno dal locatore per i canoni che avrebbe incassato sino alla naturale scadenza del contratto; a condizione, però, che dimostri di essersi in buona fede attivato per una nuova locazione a terzi e restando in ogni caso esclusa l’applicabilità dell’art. 1591 c.c.
1. Il caso
A causa della morosità del conduttore B.S., il locatore I.C. chiedeva ed otteneva la convalida del relativo sfratto. Il locatore rientrava così nella disponibilità dell’immobile nel settembre 2010 mentre la scadenza naturale del contratto sarebbe decorsa nel 2011.
I.C. aveva quindi convenuto il conduttore avanti al Tribunale di Roma per essere risarcita dei danni subiti, consistenti in canoni di locazione non corrisposti fino alla data di scadenza del contratto.
Il Tribunale e la Corte d’Appello avevano rigettato le domande del locatore ritenendo che la materiale riconsegna dell’immobile locato fosse valsa a escludere ogni pregiudizio a carico della locatrice, dovendo ritenersi che il patrimonio dell’attore fosse stato adeguatamente reintegrato, appunto, attraverso il ripristino del materiale godimento dell’immobile.
Avverso la pronuncia della Corte territoriale, C. proponeva ricorso in Cassazione.
2. Il contrasto: contratto di locazione e danno da risoluzione anticipata
Con ordinanza interlocutoria n. 31276 del 9 novembre 2023, il ricorso veniva rimesso al Primo Presidente della Corte di Cassazione per la risoluzione, a sezioni unite, della seguente questione di diritto, su cui risultava esservi contrasto: se al locatore al quale il conduttore inadempiente abbia riconsegnato l’immobile prima della naturale scadenza del contratto vada riconosciuto o meno «il diritto al risarcimento del danno consistente nella mancata percezione dei canoni di locazione eventualmente dovuti per il periodo successivo a detta riconsegna fino alla naturale scadenza del contratto, o all’eventuale precedente data di conclusione di una nuova locazione».
Sussistevano, infatti, due distinti orientamenti tra loro contrastanti.
Secondo un primo indirizzo – quello seguito dalle Corti territoriali pronunciatesi sul caso in esame – tale diritto risarcitorio derivante dalla risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore andrebbe appunto negato [[1]]. Detto orientamento muove dal presupposto che la natura del canone sia quella di un “corrispettivo” spettante al locatore a fronte della sua rinuncia a godere direttamente dell’immobile. Di tal ché, una volta ripristinato tale godimento mediante la materiale riconsegna del bene, detto corrispettivo cesserà a sua volta di esser dovuto, anche sotto forma di risarcimento. In altri termini, il carattere corrispettivo del canone rispetto alla privazione del godimento fa sì che, una volta riottenuto il bene, il patrimonio del creditore venga a trovarsi nella medesima consistenza in cui si trovava prima che il conduttore si rendesse inadempiente, escludendosi – da quel momento – la configurabilità di una sua diminuzione (risarcibile) in termini di “mancato guadagno”.
Unica ipotesi in cui possa parlarsi di «un danno correlato alla mancata percezione del canone dopo il rilascio» potrebbe semmai in configurarsi – anche secondo l’orientamento in discorso – solo «se, per le concrete condizioni in cui si trova l’immobile, la restituzione del bene non abbia consentito al locatore di poter esercitare, né in via diretta né in via indiretta, il godimento di cui si era privato concedendo il bene in locazione». Anche in tale ipotesi, peraltro, bisogna considerare che il risarcimento sarà la conseguenza, non tanto dell’inadempimento del conduttore al mancato pagamento del canone, bensì della sua violazione all’obbligo ex art. 1590 c.c. di restituire il bene nel medesimo stato in cui l’ha ricevuta, con la conseguenza che non potrà esser sic et simpliciter pari al canone non percepito sino alla naturale scadenza del contratto (o sino alla stipula di un contratto nuovo) ma dovrà bensì essere “commisurato”, caso pe caso, «alla perdita al tempo occorrente per il relativo ripristino quale conseguenza dell’inesatto adempimento dell’obbligazione di rilascio nei sensi dell’art. 1590 cod. civ.» [[2]].
Vi era poi un secondo indirizzo, più risalente e tendenzialmente prevalente, secondo cui la mera restituzione del bene immobile, ancorché anticipata rispetto alla naturale scadenza del contratto, non neutralizzerebbe il danno da mancata ricezione dei canoni sino alla scadenza stessa, che andrebbe quindi risarcito [[3]]. La riconsegna del bene, infatti, varrebbe idealmente a ripristinare il godimento diretto del bene stesso; mentre il locatore in quanto tale è colui che si è determinato a trarre dal bene un godimento indiretto, non essendo interessato all’immobile in sé ma ai suoi frutti (civili). In quest’ottica, l’anticipata risoluzione del contratto di locazione pregiudica – per usare le parole della Suprema Corte – il “programma di godimento” del locatore; e il danno, in questo senso inteso, si protrae o fino a quando la funzione economica assegnata all’immobile dal suo proprietario non sia stata ripristinata con una nuova locazione oppure finché non giunga la data in cui sarebbe comunque venuta meno, e cioè l’originaria data di scadenza del contratto di locazione oggetto di risoluzione anticipata. Sino a questi momenti, l’intervenuta restituzione del bene risulterà del tutto ininfluente rispetto al danno subito e subendo: il vantaggio economico cui il locatore mirava sarà comunque, nel frattempo, andato perso e, pertanto, gli andrà risarcito. Anche in tale arresto, peraltro, si è precisato che il danno risarcibile non corrisponderà automaticamente a tutti i canoni di locazione concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore essendo sempre e comunque necessario un apprezzamento da parte del giudice del merito delle circostanze del caso concreto ivi comprese l’eventuale, negligente inerzia del creditore-locatore nel perseguire un vantaggioso reimpiego del bene nel periodo in questione[[4]].
3. La soluzione delle Sezioni Unite
Quest’ultimo orientamento, già prevalente, è quello condiviso dalle Sezioni Unite, ancorché con taluni correttivi di cui si dirà subito appresso.
La Corte, infatti, non ritiene condivisibile il primo degli indirizzi esposti, stigmatizzando come lo stesso muova dall’erroneo assunto che il canone rappresenti un “corrispettivo” sostitutivo del possibile godimento diretto del bene da parte del locatore, fungendo da contropartita della sua rinuncia al godimento stesso. Secondo le Sezioni Unite, però, non è dato sostenere che la causa del contratto di locazione debba rinvenirsi nello scambio di un prezzo verso la “rinuncia al godimento diretto del bene” operata dal locatore: una simile impostazione, infatti, non considera che non necessariamente in capo al locatore risiede un interesse al godimento diretto del proprio immobile, com’è, ad esempio, in tutti i casi in cui lo abbia acquistato al solo fine di trarne un reddito.
Insomma, l’interesse del locatore al godimento diretto del bene non è tipizzato né tipizzabile essendo il locatore colui che, all’esatto opposto, è semmai per definizione interessato al godimento indiretto (frutti civili) dell’immobile. Per usare le parole della Suprema Corte: l’interesse portato dal locatore, e per il quale si è determinato alla stipula del contratto, è quello di conseguire «la trasformazione in una definitiva disponibilità monetaria della temporanea utilizzabilità del bene».
E, se così è, allora l’anticipata restituzione del bene, non soltanto non potrà mai ripristinare il danno subito per tale mancata “trasformazione” ma anzi rappresenta, «piuttosto l’attestazione del fallimento (per responsabilità del conduttore) del programma contrattuale» che a tale trasformazione mirava. La restituzione del bene, insomma, è essa stessa l’empirica estrinsecazione del danno subito dal locatore, danno che infatti perdura sinché (non giunga la data di scadenza originaria ovvero sinché) questi mantenga il godimento del bene restituitogli e non rinvenga un altro conduttore con cui realizzare “il programma contrattuale” prematuramente fallito a causa del conduttore precedente.
Ciò posto, in punto di concreta risarcibilità di tale danno, vale però lo stesso correttivo di cui si è detto testé – ribadito nei precedenti orientamenti – ed anzi ulteriormente enfatizzato dalle Sezioni Unite in esame: quello secondo cui tale danno non potrà esser senz’altro riconosciuto come “risarcibile” e tanto meno in misura automaticamente pari ai canoni residui non percepiti (la Corte parla di «rifiuto di ogni prospettabile automatismo in ipotesi volto a identificare, di necessità, il danno del locatore con l’insieme dei canoni non percepiti»). Né un simile automatismo potrebbe discendere – spiega la Corte – dall’applicazione analogica dell’art. 1591 c.c. il quale prevede sì che, in caso di inadempimento del conduttore, al locatore spetti «il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno» ma l’inadempimento cui la norma si riferisce è solo quello inerente alla ritardata riconsegna e non anche al mancato pagamento del canone, senza che si giustifichi una lettura interpretativa diversa ed estensiva.
Il danno di cui alla fattispecie esaminate dalle Sezioni Unite si configura infatti come un danno-conseguenza che soggiace alla regola generale di cui dall’art. 1223 cod. civ., a norma del quale il “mancato guadagno” del locatore in tanto potrà ritenersi risarcibile, in quanto appaia configurabile alla stregua di una «conseguenza immediata e diretta» dell’inadempimento del conduttore.
Tale nesso di causalità è oggetto di un onere probatorio necessariamente e interamente incombente sul locatore ai sensi dell’art. 2697 c.c. In quest’ottica, in particolare, questi dovrà dimostrare «d’essersi convenientemente attivato, non appena ottenuta la riconsegna del proprio immobile, al fine di rendere conoscibile con i mezzi ordinari la disponibilità dell’immobile per una nuova locazione. Un atteggiamento di persistente ingiustificata inerzia del locatore nel riattivare le possibilità di recupero della redditività del proprio bene a seguito della sua riacquistata disponibilità (in tesi confidando sul diritto a conseguire, a titolo risarcitorio, tutti i canoni convenuti fino alla naturale scadenza del contratto), non potrà non legittimare, secondo l’id quod plerumque accidit, la prospettazione dell’eventuale riconducibilità della cessata redditività del bene alla responsabilità dello stesso locatore».
Deve pertanto ritenersi gravante sul locatore l’onere di comprovare che, nonostante la restituzione dell’immobile prima della scadenza del contratto da parte del conduttore inadempiente, il danno costituito dalla mancata percezione del canone fino a detta scadenza, o fino alla stipulazione di una nuova locazione, si è ugualmente verificato. E va da sé, quasi specularmente, che una negligenza in tal senso del locatore potrà essere eccepita dal conduttore convenuto per il risarcimento ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c.
4. Il principio di diritto sul danno da risoluzione anticipata del contratto di locazione
Alla luce di tutto quanto sopra, il principio di diritto dettato dalle Sezioni Unite Civili è il seguente: «Il diritto del locatore a conseguire, ai sensi dell’art. 1223 c.c., il risarcimento del danno da mancato guadagno a causa della risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore non viene meno, di per sé, in seguito alla restituzione del bene locato prima della naturale scadenza del contratto, ma richiede, normalmente, la dimostrazione, da parte del locatore, di essersi tempestivamente attivato, una volta ottenuta la disponibilità dell’immobile, per una nuova locazione a terzi, fermo l’apprezzamento del giudice delle circostanze del caso concreto anche in base al canone della buona fede e restando in ogni caso esclusa l’applicabilità dell’art. 1591 c.c.».
[1] Cassazione civile, 20 gennaio 2017, n.1426
[2] Tra le altre: Cassazione civile, 10 dicembre 2013, n. 27614;
[3] Tra le altre: Cassazione civile, 5 gennaio 2023, n. 194, secondo cui: «il danno da risarcire non può non ritenersi rappresentato dall’ammontare dei canoni dovuti per la durata ulteriore della locazione ormai sciolta per inadempimento, senza che si possa prendere in considerazione la ripresa disponibilità della cosa, perché questa, finché non viene locata di nuovo, per il soggetto che aveva scelto di ricavare dal bene un reddito locatizio, non può rappresentare – o quanto meno non può a priori presumersi rappresenti – un effettivo e reale vantaggio a quello paragonabile»;
[4] Cassazione Civile, 7 febbraio 2020, n. 8482.