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Attualità

Rientro dei cervelli: il nuovo regime di agevolazione fiscale

2 Novembre 2023

Paolo Ronca, Counsel, Legance

Andrea Bracchi, Managing Associate, Legance

Michele Barcellona, Senior Associate, Legance

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza le modifiche contenute nello schema di decreto legislativo di attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale al regime di agevolazione fiscale dei lavoratori impatriati funzionale al c.d. rientro dei cervelli.


1. Introduzione: le modifiche all’agevolazione per il rientro dei cervelli

Lo schema di decreto legislativo di attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale (“Schema di Decreto”) ridimensiona significativamente la portata del regime dei lavoratori impatriati, circoscrivendone l’ambito soggettivo di applicazione e riducendo la misura dell’agevolazione per il c.d. “rientro dei cervelli”.

Più nel dettaglio:

  • i redditi agevolabili sono solamente quelli di lavoro dipendente (o assimilato) e di lavoro autonomo [1] prodotti in Italia;
  • l’agevolazione è rivolta ai lavoratori che soddisfano tutte le seguenti condizioni:
    1. trasferiscono la residenza fiscale in Italia;
    2. non hanno avuto la residenza fiscale in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il trasferimento [2];
    3. si impegnano a risiedere in Italia per almeno cinque anni [3];
    4. instaurano un nuovo rapporto di lavoro con un soggetto diverso da quello presso cui erano impiegati all’estero prima del trasferimento nonché da quelli appartenenti al suo stesso gruppo;
    5. prestano l’attività lavorativa per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato;
    6. sono in possesso di alcuni requisiti di elevata qualificazione o specializzazione;
  • l’agevolazione consiste in una detassazione dei redditi agevolabili nella misura del 50% [4], entro un limite massimo (di nuova introduzione) di 600.000 euro;
  • il nuovo regime si applica a favore dei soggetti che conseguono la residenza fiscale in Italia a decorrere dal periodo d’imposta 2024 [5].

La disposizione pone diverse questioni interpretative, alcune delle quali meriterebbero di essere risolte prima dell’approvazione del testo normativo.

2. Novità del rapporto di lavoro e trasferimenti infragruppo

Tra le condizioni di accesso al nuovo regime per il rientro dei cervelli, è previsto che l’attività lavorativa in Italia venga svolta dal lavoratore impatriato “[…] in virtù di un nuovo rapporto di lavoro con un soggetto diverso da quello presso il quale il lavoratore era impiegato all’estero prima del trasferimento, nonché da quelli appartenenti al suo stesso gruppo […]”[6].

Il requisito in esame è ispirato da una evidente finalità antielusiva: si vuole così evitare che un lavoratore impiegato in Italia, al solo fine di beneficiare dell’agevolazione, ottenga il trasferimento all’estero dal proprio datore di lavoro (solitamente presso una sede estera dello stesso datore di lavoro o di una società del gruppo) per il periodo minimo di residenza fiscale estera richiesto dalla norma, per poi rientrare in Italia alle dipendenze del medesimo datore di lavoro o, comunque, alle dipendenze di una società appartenente allo stesso gruppo[7]. Un comportamento di questo tipo risulta infatti chiaramente in contrasto con la ratio della norma, volta ad attrarre in Italia soggetti che, grazie all’esperienza maturata all’estero, favoriscano lo sviluppo economico, culturale e tecnologico del Paese.

Se l’intento del correttivo è condivisibile, la formulazione adottata appare invece poco convincente.

Infatti, ne deriverebbe l’inapplicabilità del regime agevolativo anche a casi “genuini” di trasferimento in Italia, come tali invece meritevoli di accedere al beneficio. Si pensi, ad esempio:

  • ai dipendenti che non hanno mai intrattenuto un rapporto di lavoro in Italia (es. cittadini stranieri) e che intendano trasferirvisi alle dipendenze del medesimo datore di lavoro o di una società appartenente allo stesso gruppo;
  • ai lavoratori impiegati in Italia che si trasferiscono all’estero per lavorare alle dipendenze di un nuovo datore di lavoro estero (“terzo” rispetto a quello presso cui erano impiegati in Italia) e intendano successivamente ritrasferirsi in Italia (dopo aver trascorso almeno tre periodi d’imposta all’estero) presso il medesimo datore di lavoro estero o alle dipendenze di una società appartenente al suo stesso gruppo;
  • ai lavoratori impiegati all’estero che si trasferiscono in Italia per lavorare in smart working alle dipendenze del medesimo datore di lavoro estero (fattispecie ammessa nel regime attuale, come chiarito dall’Agenzia delle entrate nella Risposta 55/2022).

Peraltro, l’estensione (da due a tre periodi d’imposta) del periodo di residenza fiscale pregressa, richiesto ai fini dell’accesso al nuovo regime per il rientro dei cervelli, appare già in qualche misura in grado di agire come deterrente rispetto a possibili pratiche elusive. Si potrebbe eventualmente valutare di estendere ulteriormente tale periodo (ad esempio, portandolo a cinque periodi d’imposta) nei soli casi potenzialmente “patologici”, ossia quelli in cui il rientro in Italia presso lo stesso datore di lavoro estero (o presso una società del gruppo) sia stato preceduto da un trasferimento all’estero sempre all’interno dello stesso gruppo.

In alternativa, laddove si ritenesse di mantenere la formulazione attuale, dovrebbe essere quantomeno consentito ai lavoratori interessati (o al datore di lavoro) di presentare apposita istanza di interpello disapplicativo ex art. 11, comma 2, della Legge 27 luglio 2000, n. 212, dando prova che nella situazione concreta non si realizzano gli effetti elusivi che la norma intende evitare.

Sotto altro profilo, nell’ottica di prevenire dubbi interpretativi, è auspicabile che venga chiarito a quale nozione di “gruppo” occorra far riferimento a questi fini.

3. Requisiti di elevata qualificazione o specializzazione

La disposizione trova applicazione per i lavoratori in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione, come definiti dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 108, e dal decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206.

Ai fini dell’individuazione dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione, si è scelto dunque di rinviare a disposizioni emanate in ambiti diversi, volte a disciplinare rispettivamente:

  • le condizioni di ingresso e soggiorno in Italia di cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati (decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 108);
  • il riconoscimento, per l’accesso alle professioni regolamentate e il loro esercizio, delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell’Unione europea, che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente (decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206).

Questa tecnica normativa, il cui utilizzo è sempre più frequente nell’ordinamento tributario, appare foriera di difficoltà applicative e interpretative.

Più in dettaglio, per effetto di tali rinvii, il nuovo regime per il rientro dei cervelli viene riservato a coloro che risultino in possesso:

  1. del titolo di istruzione superiore rilasciato da autorità competente nel Paese dove è stato conseguito, che attesti il completamento di un percorso di istruzione superiore di durata almeno triennale e della relativa qualifica professionale superiore, come rientrante nei livelli 1 (legislatori, imprenditori e alta dirigenza), 2 (professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione) e 3 (professioni tecniche) della classificazione ISTAT delle professioni CP 2011 e successive modificazioni, attestata dal paese di provenienza e riconosciuta in Italia;
  2. dei requisiti previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 206, limitatamente all’esercizio di professioni regolamentate.

Il perimetro soggettivo, così delineato, evoca la disciplina di cui all’art. 16, comma 1, del D.Lgs. 147/2015, nella versione vigente fino al 1° maggio 2019, che, tra le altre condizioni, risultava applicabile ai “lavoratori [che] rivestono ruoli direttivi ovvero sono in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui al comma 3[8].  È il caso di ricordare che, nel regime previgente, alla fattispecie disciplinata dal comma 1 si affiancava quella (alternativa) del comma 2, che richiedeva di essere in possesso di un titolo di laurea e di aver svolto continuativamente un’attività di lavoro o studio fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più.

Posto che la scelta di “tornare al passato” è ricaduta sulla disciplina del previgente comma 1, appare lecito chiedersi:

  • anzitutto, perché sia venuto meno il riferimento ai lavoratori con funzioni direttive (es. dirigenti e quadri);
  • in secondo luogo, al di fuori delle professioni regolamentate di cui al decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 206 (es. medici specialistici, odontoiatri, ostetriche, farmacisti, architetti ecc.), cosa debba intendersi per “titolo di istruzione superiore di durata triennale” e, in particolare, se ciò presupponga il conseguimento di un titolo universitario.

Considerata la delicatezza della questione, è auspicabile che intervenga quanto prima un chiarimento, almeno in via interpretativa.

4. Limite dei 600.000 euro

Un ulteriore aspetto che andrebbe chiarito riguarda la misura massima dei redditi agevolabili, fissata a 600.000 euro.

In particolare, onde evitare inutili fraintendimenti, sarebbe opportuno specificare che il tetto dei 600.000 euro è da intendersi su base annua, e non sia invece da calcolare sulla durata complessiva del regime agevolativo (5 anni).

Ciò posto, sarebbe ragionevole attendersi che, in caso di superamento del limite, la possibilità di fruire del regime agevolativo non sia preclusa tout court, ma continui ad essere garantita fino a concorrenza della soglia dei 600.000 euro, con l’eccedenza che sarà invece destinata a scontare l’imposizione in misura ordinaria.

Naturalmente, il cap di 600.000 euro riguarda tutti i redditi agevolabili (di lavoro dipendente, assimilato o autonomo), a prescindere dal fatto che la loro corresponsione avvenga in denaro ovvero in natura. Saranno quindi soggetti a questa limitazione anche i redditi di lavoro corrisposti in natura, come ad esempio l’assegnazione di azioni a dipendenti, l’esercizio di stock option, la concessione di un prestito al dipendente a tassi inferiori a quelli di mercato, l’attribuzione di carried interest che si qualifichi ai fini fiscali come reddito di lavoro.

Una notazione a tale ultimo riguardo. I manager titolari di carried interest realizzato in costanza del regime in esame (se correlato ad attività di lavoro svolta dopo il trasferimento in Italia e, come tale, potenzialmente soggetto all’agevolazione) saranno chiamati a indagare la qualificazione del reddito (come reddito di lavoro dipendente/assimilato o di natura finanziaria) nella consapevolezza che i “termini di convenienza” risulteranno con tutta probabilità invertiti rispetto al passato. Infatti, se in applicazione del regime attuale la qualificazione sotto forma di reddito di lavoro dipendente/assimilato (con conseguente tassazione effettiva pari a circa il 13,5%) risultava più favorevole rispetto a quella di reddito di capitale / reddito diverso (di regola tassato al 26%), la riduzione della misura dell’esenzione e l’introduzione del cap di Euro 600.000 potrebbero rendere più vantaggiosa la tassazione (al 26%) come reddito di natura finanziaria.

Si ipotizzi, ad esempio, il caso di un manager che, al quinto anno del (nuovo) regime, consegua: (i) una remunerazione annua fissa di Euro 300.000; (ii) un bonus di Euro 300.000; e (iii) un carried interest di Euro 1 milione a valere su investimenti effettuati in seguito al trasferimento in Italia. In tale ipotesi, il carried interest:

  • ove qualificato come reddito di lavoro dipendente o assimilato, sconterebbe una tassazione complessiva pari ad oltre 400.000 (in quanto eccedente il limite annuo agevolabile di Euro 600.000);
  • se qualificato come reddito di natura finanziaria, subirebbe invece una tassazione di Euro 260.000.

Da ultimo, occorre considerare che, per effetto di quanto previsto dallo Schema di Decreto, ai lavoratori autonomi che accedono all’agevolazione continua a trovare applicazione la limitazione sull’importo degli aiuti concessi a titolo di de minimis; importo che non può superare il limite di 200.000 euro (da intendersi quale risparmio fiscale) nell’arco di tre anni. Questo significa, dunque, che i lavorati autonomi potranno beneficiare del nuovo regime impatriati entro un doppio limite: (i) per redditi agevolabili fino a 600.000 euro annui; (ii) per un risparmio fiscale massimo nell’arco di un triennio pari a 200.000 euro.

5. Disciplina transitoria

Per quanto attiene al regime transitorio, l’attuale formulazione dello Schema di Decreto prevede l’applicazione delle nuove disposizioni per i soggetti che conseguono la residenza fiscale in Italia a decorrere dal periodo d’imposta 2024.

La residenza fiscale in Italia viene tuttavia conseguita se la persona fisica soddisfa almeno uno dei requisiti di cui all’art. 2 TUIR (anch’esso oggetto di modifica nell’ambito della riforma fiscale in corso) per la maggior parte del periodo d’imposta. Pertanto, i soggetti che si sono trasferiti in Italia nella seconda metà del 2023 conseguono la residenza fiscale italiana a partire dal periodo d’imposta 2024.

In base a tale formulazione, risulterebbero soggetti al nuovo e più restrittivo regime anche coloro che, facendo affidamento sulla più favorevole normativa attualmente vigente, si sono trasferiti in Italia nella seconda metà del 2023, affrontando complesse scelte di vita personali e professionali, che come noto richiedono una programmazione nel tempo (si pensi alle famiglie con figli in età scolare, che tipicamente attendono la conclusione dell’anno scolastico all’estero e si trasferiscono in Italia in prossimità dell’inizio dell’anno scolastico successivo).

Queste situazioni meriterebbero di essere adeguatamente considerate, apportando una modifica allo Schema di Decreto, volta a garantire l’accesso al regime attualmente vigente anche a coloro che, pur acquisendo la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo d’imposta 2024, si siano trasferiti in Italia nella seconda metà del 2023.

Una rivisitazione in tal senso del testo normativo sembrerebbe aver trovato consenso nel governo. Infatti, come recentemente rilevato dalla stampa specializzata, a seguito delle “limature” in corso, il (più favorevole) regime dell’art. 16 del D.Lgs. 147/2015 continuerebbe a trovare applicazione per coloro che hanno trasferito la residenza anagrafica in Italia entro il 31 dicembre 2023 [9]. De jure condendo, sarebbe opportuno includere in questa clausola di salvaguardia anche coloro che, a prescindere dal trasferimento della residenza anagrafica, siano in grado di documentare un effettivo trasferimento in Italia entro il 31 dicembre 2023.

 

[1] Non risultano, dunque, più agevolabili i redditi d’impresa prodotti in forma individuale.

[2] Nel regime attuale per il rientro dei cervelli, invece, il periodo di osservazione sulla residenza fiscale pregressa è limitato ai due periodi d’imposta precedenti al trasferimento.

[3] In base al regime attuale, è invece sufficiente impegnarsi a risiedere in Italia per due anni.

[4] Nel regime attuale per il rientro dei cervelli, invece, la misura standard dell’agevolazione comporta una detassazione dei redditi agevolabili nella misura del 70%.

[5] In base a quanto anticipato dal governo sugli organi di stampa, il (più favorevole) regime di cui all’art. 16 del D.Lgs. 147/2015 dovrebbe continuare a trovare applicazione in relazione a coloro che, pur acquisendo la residenza fiscale italiana a partire dal periodo d’imposta 2024, abbiano trasferito la residenza anagrafica in Italia entro il 31 dicembre 2023.

[6] La formulazione normativa lascia chiaramente intendere che il requisito debba applicarsi ai lavoratori dipendenti, mentre ne resterebbero esclusi i lavoratori autonomi. Dovrebbe, pertanto, poter beneficiare del regime un professionista che si trasferisca in Italia e presti in Italia la propria attività a favore dei medesimi committenti esteri (o anche a favore del medesimo committente estero) con cui intratteneva un rapporto di collaborazione prima del trasferimento in Italia.

[7] In base alla nuova formulazione normativa, restano chiaramente esclusi i lavoratori che rientrano in Italia a seguito di distacco all’estero.

[8] Il D.M. 25 maggio 2016, emanato in attuazione della disposizione citata, rimandava anch’esso al D. Lgs. n. 108/2012 e al D. Lgs. n. 206/2007 per l’individuazione dei requisiti di elevata qualificazione e specializzazione.

[9] Si veda M. Mobili, G. Trovati, Rientro dei cervelli, la stretta per chi torna dopo il 1° gennaio, in Il Sole 24 Ore del 21 ottobre 2023; E. Zanetti, Sugli impatriati la prima delle questioni è evitare “esodati”, Eutekne.info del 25 ottobre 2023.

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