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Attualità

Derivati stipulati dai dirigenti pubblici sempre sottoposti alla giurisdizione contabile

17 Febbraio 2021

Domenico Gaudiello, Partner, Responsabile del dipartimento di Finanza Pubblica, CMS

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza resa a Sezioni Unite Civili (n. 2157 del 1 febbraio 2021) la Cassazione ha tracciato i confini della giurisdizione contabile e della connessa responsabilità erariale sia nei confronti dei dirigenti del MEF che nei confronti della rispettiva controparte bancaria, in relazione ai contratti finanziari derivati stipulati tra le due parti. La sentenza riapre, così, il giudizio per responsabilità erariale inizialmente conclusosi con il diniego della giurisdizione sia verso la banca che verso i dirigenti, rinviando la causa dinanzi ad un nuovo collegio della Corte dei Conti del Lazio, in sede giurisdizionale.

Vediamo meglio.

Nel 2017 la Procura Regionale della Corte dei Conti del Lazio aveva convenuto in giudizio la Banca ed alcuni ex direttori generali ed alti dirigenti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per illecita stipulazione, rinegoziazione, ristrutturazione e anticipata chiusura di alcuni contratti derivati stipulati tra le parti. In primo grado, la Corte dei conti adita dichiarava il difetto di giurisdizione sia nei confronti della Banca (per carenza del rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione) che dei dirigenti del MEF (stante l’insindacabilità delle scelte discrezionali dei dirigenti). Nel 2019 la sentenza emessa dalla sezione giurisdizionale centrale della Corte dei Conti aveva confermato la decisione di primo grado.

L’illecito ravvisato dalla Procura nella condotta della Banca e dei 4 ex dirigenti MEF convenuti in giudizio, riguardava l’operatività dello Stato italiano in contratti derivati del tipo IRS (Interest rate swap), stipulati nel 2004 e nel 2007, sprovvisti di garanzie collaterali, e risolti anticipatamente per effetto della cd. clausola Additional Termination Event (ATE), sia del tipo CCS (Cross Currency Swap), ristrutturati mediante la stipulazione di due nuovi contratti, anch’essi con clausola ATE, e anche qui in assenza di meccanismi di garanzie collaterali.

La clausola cd. ATE consisteva in una clausola di risoluzione anticipatain virtù della quale la Banca, al superamento di un dato livello di esposizione creditoria (ovvero in presenza di un dato livello di Mark-to-Market negativo per il MEF) poteva risolvere tutti i contratti in essere e pretendere dal MEF il pagamento del relativo importo di chiusura. Non era prevista una analoga clausola per il caso in cui fosse il MEF a trovarsi nella posizione di essere esposto verso la Banca.

Secondo la Procura i rischi connessi a tale clausola non erano stati adeguatamente valutati dai dirigenti del MEF, i quali, in buona sostanza, avevano passivamente acconsentito alle soluzioni prospettate dalla Banca. Sempre nella ricostruzione della Procura, la stessa Banca era da considerarsi responsabile in quanto, oltre ad essere controparte contrattuale nelle operazioni in questione, aveva direttamente influito sulle decisioni del MEF. Più in particolare, la Procura aveva ravvisato in capo alla Banca la posizione di advisor finanziario del MEF anche in virtù del ruolo di specialista fiduciario nell’ambito delle operazioni di emissione e collocamento dei titoli del debito pubblico.

Tanto in primo grado quanto in sede di appello, la Corte dei Conti aveva ritenuto che non sussistesse la propria giurisdizione nè verso la Banca nè verso i dirigenti ministeriali.

Con riguardo alla Banca, la Corte dei Conti aveva sostenuto che non fosse configurabile il ruolo di advisor e che la posizione di specialista fiduciario del debito non la ponesse in una condizione di intraneus all’amministrazione statale ai fini del scelte sul debito e sull’utilizzo dei connessi strumenti di copertura.

Con riguardo ai dirigenti ministeriali, la Corte dei Conti ha ritenuto in ambo i gradi di giudizio che le scelte relative all’uso di strumenti derivati per la gestione del rischio connesso al sottostante debito pubblico fossero scelte caratterizzate da una forte discrezionalità tecnica e come tali esenti dal sindacato contabile-erariale.

Con ricorso del Procuratore Generale presso la Corte dei Conti avverso l’esito del giudizio di secondo grado dinanzi alla Corte dei Conti centrale, è stato così introdotto il relativo giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione, che si è concluso con la sentenza che qui si commenta.

Detta sentenza da un lato ha confermato l’insussistenza della giurisdizione contabile verso la Banca e dall’altro ha invece stabilito che sussiste sempre la giurisdizione contabile verso le scelte contrattuali effettuate dai dirigenti ministeriali.

In particolare, non sussiste la giurisdizione contabile verso la Banca poiché mancava un elemento oggettivo indispensabile per la sua configurabilità, ovverosia un esplicito rapporto di servizio tra la Banca e il MEF. Pur trovandosi nella posizione di specialista per l’emissione e collocamento del debito pubblico, la Banca non ha assunto l’esercizio di alcuna pubblica funzione né è stata cessionaria di alcuna potestà connessa alla diretta gestione del debito sovrano. Queste attività sono sempre state esercitata direttamente dal MEF, all’esito di procedure deliberative rigorose e di autonomo vaglio tecnico. Non essendo ravvisabili gli elementi sintomatici del rapporto di servizio tra privato e PA, deve pertanto essere esclusa la giurisdizione del giudice contabile.

La Corte di Cassazione evidenzia altresì che: “se si volesse ipotizzare lo sfruttamento da parte della Banca della propria ascendenza ed influenza all’interno del Ministero al fine di precostituirsi la posizione di supremazia contrattuale [… ] lo squilibrio di ‘potere contrattuale’ così determinato rileva certamente sul piano dei comportamenti negoziali e della loro abusività, non anche e necessariamente su quello dell’investitura e dell’esercizio di una potestà e di una influenza pubblica”. Pur avendo rivestito il ruolo di advisor, sottolinea la Corte, questo non fa della Banca un soggetto interno all’apparato ministeriale. Fin qui sulla giurisdizione contabile nei confronti della Banca.

Diversa è invece la conclusione a cui giunge la Cassazione in tema di giurisdizione contabile sulle domande di condanna per danno erariale nei confronti dei dirigenti del MEF. Ribaltando le due pronunce rese nei due precedenti gradi del giudizio contabile, la Corte di Cassazione ha ritenuto, invece, sussistente la giurisdizione della Corte dei Conti sul tema in questione perchè si tratta di una tipica azione di responsabilità contabile per danno erariale da mala gestio.

Ferma restando – si legge nella sentenza della Cassazione in commento – l’insindacabilità giurisdizionale della decisione in generale di fare ricorso a strumenti finanziari derivati, la concreta attuazione di questa scelta implica la stipula di specifici contratti che come tali sono suscettibili di essere vagliati dal punto di vista della loro idoneità a conseguire correttamente ed adeguatamente le finalità di gestione del debito.

Più in particolare, “rientra invece nella giurisdizione contabile, in quanto attinente al vaglio dei parametri di legittimità e non di mera opportunità o convenienza dell’agire amministrativo, l’azione di responsabilità per danno erariale con la quale si faccia valere, quale ‘petitum’ sostanziale, la ‘mala gestio’ alla quale i dirigenti del ministero del Tesoro(oggi Mef) avrebbero dato corso, in concreto, nell’adozione di determinate modalità operative e nella pattuizione di specifiche condizioni negoziali relative a particolari contratti in tali strumenti”.

Non si tratta della scelta di fare ricorso ai contratti derivati: questa scelta resta insindacabile, perché attiene al merito discrezionale di carattere tecnico delle decisioni dirigenziali di avvalersi di una certa tipologia di strumenti. Tutto questo attiene all’an della gestione dirigenziale e, come tale , è coperto dalla discrezionalità tecnica.

Quello che viene in rilievo con riferimento la caso di specie è piuttosto il quomodo della gestione, ovverole modalità concrete mediante cui vengono declinate le scelte discrezionali di contenuto tecnico. Al riguardo, sussiste sempre la giurisdizione contabile poichè trattasi della verifica della rispondenza ai canoni di economicità, efficacia e ragionevolezza dell’agire amministrativo posto in essere dai dirigenti competenti.

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