Iscriviti alla nostra Newsletter
www.dirittobancario.it
Attualità

ATAD: nuovi criteri di individuazione dei regimi fiscali privilegiati per CFC e dividendi e plusvalenze di fonte estera

28 Gennaio 2019

Federico Aquilanti, Avvocato tributarista e Dottore di ricerca in Diritto Tributario Europeo

Di cosa si parla in questo articolo

1. Con il D.Lgs. 29 novembre 2018, n. 142 (“Decreto ATAD”) il Legislatore, in attuazione della Direttiva (UE) 2016/1164, come modificata dalla Direttiva (UE) 2017/952 (“Direttiva ATAD”), è intervenuto sulla disciplina CFC e dei dividendi e plusvalenze di fonte estera.

Per quanto interessa ai fini del presente contributo, particolarmente significative sono le modifiche apportate ai criteri di individuazione dei regimi fiscali privilegiati, in virtù delle quali si viene a delineare un nuovo quadro normativo di seguito meglio precisato.

2. L’art. 167, comma 4, lett. a), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”), come modificato dal Decreto ATAD, stabilisce il nuovo criterio di individuazione dei regimi fiscali privilegiati ai fini della disciplina CFC. A tal fine, i soggetti controllati non residenti si considerano localizzati in Stati o territori a fiscalità privilegiata qualora siano “… assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia …”.

L’operatività di tale criterio sembrerebbe, tuttavia, essere subordinato ad un nuovo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, non potendosi – in assenza di un esplicito rinvio – fare riferimento al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 143239 del 2016 adottato in costanza della previgente disciplina[1].

Ebbene, ai fini della disciplina CFC, l’individuazione di regimi fiscali privilegiati è demandata al criterio del carico effettivo di imposizione (cd. effective tax rate) e non a quello nominale.

Sulla base delle prime indicazioni evincibili dalla relazione illustrativa al Decreto ATAD si può osservare quanto segue.

In linea generale, il criterio dell’effective tax rate si dovrebbe basare sul confronto tra tax rate effettivo estero e tax rate virtuale domestico, avendo riguardo all’imposizione sul reddito delle società (i.e. corporate income tax lato estero e IRES lato Italia)[2], da intendersi rispettivamente:

  1. per tax rate effettivo estero, il rapporto tra l’imposta estera corrispondente al reddito imponibile e l’utile ante-imposte risultante dal bilancio della controllata non residente[3]; mentre
  2. per tax rate virtuale domestico, il rapporto tra l’imposta che la controllata non residente avrebbe pagato in Italia e l’utile ante-imposte risultante dal bilancio della medesima controllata[4].

Se dal confronto emerge che il tax rate effettivo estero è inferiore alla metà del tax rate virtuale domestico allora il regime fiscale cui è assoggettato il soggetto controllato non residente dovrà considerarsi privilegiato.

Occorre evidenziare, inoltre, che il nuovo art. 167, comma 3, del TUIR ha esteso l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina CFC anche i) alle stabili organizzazioni all’estero di soggetti controllati non residenti, sia ii) alle stabili organizzazioni all’estero di soggetti residenti che abbiano optato per il regime di branch exemption.

In considerazione di tale ampliamento si dovrà stabilire come opererà il criterio dell’effective tax rate, con particolare riferimento alla prima ipotesi citata[5]. Sulla base delle indicazioni contenute nella relazione illustrativa si può osservare che “… il confronto relativo alla tassazione effettiva opererà differentemente …” a seconda che: i) i redditi della stabile organizzazione all’estero del soggetto controllato non residente siano esentati o non soggetti all’imposta nello Stato di residenza di tale soggetto; oppureii) i redditi della stabile organizzazione all’estero del soggetto controllato non residente non siano esentati (quindi soggetti all’imposta) nello Stato di residenza di tale soggetto (che adotta il metodo del cd. credito d’imposta).

Nel primo caso, il Legislatore ha precisato che ai fini dell’individuazione dei regimi fiscali privilegiati si dovranno effettuare due test, ovvero: i) il confronto tra tax rate effettivo estero e tax rate virtuale domestico relativamente al soggetto controllato non residente; e ii) il medesimo confronto relativamente alla stabile organizzazione all’estero di tale soggetto.

Da ciò sembrerebbe doversi procedere, ai fini dell’individuazione di regimi fiscali privilegiati, come se si fosse in presenza di due soggetti controllati non residenti distinti.

Nel secondo caso, invece, il Legislatore ha precisato che ai fini dell’individuazione dei regimi fiscali privilegiati si dovrà effettuare un solo test “considerando congiuntamente i redditi e le imposte assolte dalla stabile organizzazione e dal soggetto controllato non residente …”. Sulla base di tale precisazione pare lecito domandarsi se il Legislatore intendesse i) confermare il metodo delineato nel precedente provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, per cui “… nella determinazione della tassazione effettiva estera rilevano esclusivamente le imposte sul reddito dovute nello Stato di localizzazione, al lordo di eventuali crediti di imposta per i redditi prodotti in Stati diversi da quello di insediamento …”, oppure (e probabilmente questa è la soluzione maggiormente aderente alla precisazione contenuta nella relazione illustrativa) ii) introdurre un nuovo metodo di calcolo dell’imposta estera incentrato sulla somma delle imposte ‘assolte’ nello Stato della stabile organizzazione e nello Stato del soggetto controllato non residente (in quest’ultimo Stato verosimilmente al netto del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero riferibili alla stabile organizzazione).

3. Quanto a dividendi e plusvalenze, come anticipato, i criteri di individuazione dei regimi fiscali privilegiati variano a seconda del tipo di partecipazione.

Non si considerano, ad ogni modo, privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori appartenenti all’Unione europea ovvero aderenti allo SEE con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni[6]. Con tale previsione sembrerebbe essere recepita la soluzione resa in via di prassi in costanza della previgente disciplina per cui “…il regime di integrale tassazione di dividendi e plusvalenze non riguarda dividendi e plusvalenze originati in Stati membri dell’Unione europea o aderenti allo Spazio economico europeo (SEE) che garantiscono lo scambio di informazioni …”[7].

Per le partecipazioni di controllo il criterio di individuazione dei regimi fiscali privilegiati ricalca sostanzialmente quello previsto ai fini della disciplina CFC di cui si è detto sopra (i.e. effective tax rate).

Mentre per le partecipazioni non di controllo il criterio di individuazione dei regimi fiscali privilegiati è rappresentato dal livello nominale di tassazione. In particolare, il test è basato sul confronto tra l’aliquota nominale estera e il 50% dell’aliquota nominale italiana (non si precisa, in sede di relazione illustrativa, se si debba comprendere anche l’IRAP), tenendo conto dell’eventuale impatto su tali aliquote nominali della presenza di regimi speciali[8].

Questi ultimi – definiti espressamente a livello normativo – pare non rileveranno più autonomamente ai fini dell’individuazione dei regimi fiscali privilegiati, bensì solamente ai fini della determinazione del livello nominale di tassazione. In tal senso, qualche dubbio potrebbe porsi con riguardo al fatto che nei regimi speciali vi rientrano anche quelli che non incidono direttamente sull’aliquota. Il riferimento potrebbe essere ricondotto a quei regimi che, seppur incidendo formalmente sulla base imponibile, si traducono – di fatto – in una riduzione dell’aliquota applicabile[9].

4. Alla luce delle considerazioni svolte, si può osservare come i nuovi criteri di individuazione dei regimi fiscali privilegiati siano sostanzialmente coerenti con i principi e i criteri fissati dalla Direttiva ATAD. Restano, tuttavia, alcuni dubbi in merito all’operatività di tali criteri soprattutto con riferimento alle ipotesi di stabile organizzazione all’estero di soggetti controllati non residenti e sul ‘ruolo’ dei regimi speciali, che ci si attende siano affrontati in via di prassi.



[1] Depone in tal senso il fatto che per la nuova disciplina in materia di exit tax la relazione illustrativa fa salvi – espressamente – gli effetti del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate adottato in costanza della previgente disciplina ove compatibili.

[2] Cfr. D. Avolio – P. Ruggiero, Il recepimento della Direttiva ATAD e le nuove disposizioni in materia di CFC, in il fisco, 2019, pag. 253 ss.

[3] Ag. Entrate, circolare 6 ottobre 2010, n. 51/E.

[4] Ibidem.

[5] Per l’ipotesi di cui al punto ii), ai fini dell’individuazione dei regimi fiscali privilegiati, in linea anche con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 165138/2017, si effettuerà un unico test – basato sul confronto di cui si è detto – con riferimento alla branch estera.

[6] “…I regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, si considerano privilegiati…” (cfr. art. 5, comma 1, lett. b), del Decreto ATAD).

[7] Ag. Entrate, circolare 4 agosto 2016, n. 35/E.

[8] La nozione di ‘regimi speciali’ è dettata dall’art. 5, comma 1, lett. b) del Decreto ATAD, che introduce il nuovo art. 47-bis del TUIR.

[9] Ag. Entrate, circolare 4 agosto 2016, n. 35/E.

Di cosa si parla in questo articolo
La Newsletter professionale DB
Giornaliera e personalizzabile
Una raccolta sempre aggiornata di Atti, Approfondimenti, Normativa, Giurisprudenza.
Iscriviti alla nostra Newsletter