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Giurisprudenza

Omessa indicazione di costi black list: dichiarazione integrativa e attività di verifica e controllo

23 Novembre 2020

Maria Cristina Latino, Avvocato presso EY

Cassazione Civile, Sez. V, 28 ottobre 2020, n. 23702 – Pres. Chindemi, Rel. De Masi

Di cosa si parla in questo articolo

Dopo la contestazione di una violazione, è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione, posto che, ove fosse possibile rimediare ad un’irregolarità anche dopo la contestazione della relativa violazione o l’inizio di attività di verifica e controllo, la correzione della stessa si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni predisposte dal legislatore per l’inosservanza della correlativa prescrizione.

È questo il generale principio ribadito dalla Cassazione, sussunto in una fattispecie riguardante la sanzionabilità della mancata indicazione in dichiarazione dei componenti negativi di cui all’articolo 110, comma 11, del TUIR (vigente ratione temporis).

Nel caso di specie, la controversia nasce dall’impugnazione di un provvedimento notificato ad una Società con il quale l’Agenzia delle Entrate, a seguito di un accesso, contestava l’omessa separata indicazione, nel quadro RF delle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 2002 e 2003, dei costi derivanti da operazioni di acquisto di beni provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata, e provvedeva ad irrogare le sanzioni previste dall’art. 8, comma 3-bis, D.lgs. 471/1997.

Nelle more del controllo, la contribuente aveva provveduto a presentare apposite dichiarazioni integrative per correggere il quadro RF delle predette dichiarazioni dei redditi con le indicazioni omesse.

La Commissione Tributaria Regionale competente rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo insussistente la violazione contestata e pienamente legittima la dichiarazione integrativa presentata, e giudicava quindi applicabile la diversa sanzione formale prevista dall’art. 8, comma 1, D.lgs. 471/1997, non essendo in discussione la deducibilità degli oneri sostenuti né sussistendo alcun pregiudizio per l’Erario.

Avverso tale decisione, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione sulla base di un solo ed unico motivo, cui la Società resisteva con controricorso.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, D. Lgs. 471/1997, dell’art. 2, comma 8, D.P.R. 322/1998 e dell’art. 10, L.212/2000, per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto sanabile la violazione attraverso la presentazione della dichiarazione integrativa, non potendo a ciò ostare l’intervenuto inizio di attività di controllo ed applicabile la sola sanzione prevista dall’art. 8, comma 1, D.lgs. 471/1997 per vizi formali della dichiarazione.

A parare della Suprema Corte la censura è fondata e merita accoglimento, in quanto “l’omessa separata indicazione nella dichiarazione, delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni con imprese residenti o localizzate in Stati inseriti nella c.d. “black list” costituisce violazione della corrispondente prescrizione normativa (prevista sia prima che dopo la commissione di tale violazione, anche se diversamente sanzionata nel tempo)”. Inoltre, “dopo la contestazione di una violazione è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione, posto che, ove fosse possibile porre rimedio alla mancata separata indicazione dei costi in oggetto (o a qualunque altra irregolarità) anche dopo la contestazione della relativa violazione o l’inizio di attività di verifica e controllo, la correzione della stessa si risolverebbe (come rilevato da Corte Costituzionale n. 392/2002) in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni predisposte dal legislatore per l’inosservanza della correlativa prescrizione” (cfr. Cass. n. 15015 del 2017; nn. 23745, 15798 e 15285 del 2015; n. 20081 del 2014; n. 5398 del 2012).

Con specifico riferimento al caso in esame, la dichiarazione integrativa è stata presentata dopo l’inizio dell’attività di controllo, per cui deve ulteriormente ribadirsi il principio secondo cui l’inizio di un’attività di controllo, se preclude la possibilità di ottenere la riduzione delle sanzioni mediante ravvedimento operoso (ex art. 13, comma 1, D.lgs. 18/472), a maggior ragione non consente di vanificare la risposta sanzionatoria con la semplice presentazione, dopo che le attività di verifica hanno avuto inizio, di una dichiarazione integrativa avente finalità meramente elusive dell’applicazione delle sanzioni.

La Suprema Corte ha inoltre specificato come le ipotesi di correzione a favore del contribuente previste dall’art. 2, comma 8-bis del D.P.R. 322/1998, riguardano l’esercizio di un diritto del quale il contribuente è già titolare al momento della presentazione della dichiarazione originaria e che può quindi validamente opporre al Fisco con la presentazione di una dichiarazione integrativa.

Per converso, tale ipotesi non ricorre allorquando il mancato perfezionamento del diritto coincide con la commissione dell’illecito tributario.

Quando, in definitiva, l’intervento modificativo della dichiarazione dei redditi non ha la funzione di rideterminare correttamente componenti reddituali positivi o negativi omessi o errati o di emendare errori di calcolo, ma è volto a costituire ex novo un diritto (nel caso di specie la deduzione delle spese) prima inesistente, non è possibile il ricorso allo strumento della dichiarazione integrativa.

In conclusione, non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti in fatto, la Corte ha deciso nel merito rigettando il ricorso della contribuente.

 

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