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Giurisprudenza

Il principio di “preclusione” nella procedura fallimentare

9 Aprile 2020

Fabrizio Bonato

Cassazione Civile, Sez. I, 4 dicembre 2019, n. 31659 – Pres. De Chiara, Rel. Fidanzia

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha l’occasione di prendere compiutamente posizione in merito alla possibilità di esperire azioni nei confronti del piano di riparto predisposto dal curatore in sede fallimentare (e dei relativi effetti) al di fuori del novero di rimedi e dei termini appositamente approntati dal legislatore.

In particolare, nel caso di specie, decorsi i termini per opporsi al piano di riparto un creditore agiva in sede restitutoria nei confronti di un altro creditore del medesimo debitore fallito, fondando la propria pretesa sull’asserita erroneità del piano di riparto stesso.

La Corte di Cassazione, prescindendo dalla correttezza nel merito delle doglianze del primo creditore, procede ad analizzare analogicamente i principi che governano la procedura esecutiva individuale e la procedura fallimentare (definita una procedura esecutiva collettiva). A tal proposito, come affermato dai Giudici di Legittimità, la chiusura del procedimento esecutivo porterebbe con sé una preclusione atta a garantire la stabilità degli effetti degli atti compiuti: e infatti, afferma la Corte, “ammettere la ripetizione dell’indebito (o l’azione di arricchimento ingiustificato) vorrebbe dire presupporre che sia possibile riqualificare, mediante un diretto ed esclusivo riferimento alle norme di diritto sostanziale regolanti i rapporti tra le parti, i fatti che si sono storicamente verificati come momenti del procedimento esecutivo”.

Alla luce dell’affermata applicabilità, sulla base di un ragionamento di tipo analogico, dei predetti principi anche alla procedura fallimentare, la Corte di Cassazione giunge a enunciare il principio di diritto secondo cui “a seguito dell’approvazione del piano di riparto, della mancata impugnazione dello stesso nei termini di legge, e, infine, della chiusura della procedura fallimentare, matura a carico dei creditori concorrenti una vera e propria preclusione a far valere in separato giudizio le proprie ragioni attinenti a rapporti giuridici ormai definiti nell’ambito della stessa procedura, con conseguente inammissibilità sia della domanda di restituzione dell’indebito che di quella di ingiustificato arricchimento svolte in separato giudizio”.

 


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