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Approfondimenti

La stabile organizzazione non può sussistere con riferimento ai fondi esteri

15 Febbraio 2019

Luca Rossi e Sara Flisi, Studio Tributario Associato Facchini Rossi e Soci

Di cosa si parla in questo articolo

Premessa

Gli OICR, uno dei principali strumenti di collegamento fra i capitali internazionali e le imprese italiane, lamentano da tempo un’incertezza interpretativa in merito ad alcune questioni di fiscalità internazionale legate alla loro operatività cross-border. In considerazione della sempre crescente attenzione rivolta dall’Amministrazione finanziaria alle questioni di fiscalità internazionale, un tema che si pone per gli OICR che effettuano investimenti cross-border è la possibilità che al fondo estero o agli investitori esteri dello stesso possa essere ricondotta l’esistenza di una stabile organizzazione (nel prosieguo anche “PE”) nello Stato in cui è localizzata la società oggetto di investimento (nel prosieguo anche “società Target”). Simili contestazioni – a nostro giudizio del tutto immotivate – nel corso degli anni passati si sono verificate in taluni Paesi europei generando non pochi problemi di doppia imposizione[1]. Ciò premesso, con il presente contributo analizzeremo le motivazioni per le quali riteniamo che, anche nel quadro normativo italiano, una contestazione circa la sussistenza di una stabile organizzazione del fondo di investimento (o dei propri investitori) sia del tutto infondata, anche alla luce delle modifiche apportate all’art. 162 del T.U.I.R.[2] dalla Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Legge di Bilancio 2018).

I diversi players che ruotano attorno ai fondi di investimento

Prima di poter affrontare con cognizione di causa la tematica oggetto del presente intervento, è opportuno soffermarsi sul ruolo assunto dai soggetti che caratterizzano la struttura operativa tipica dei fondi, ossia: (i) gli investitori, (ii) il fondo di investimento; (iii) la Management Company; (iv) la società Target; e (v) l’Advisory Company[3].

In linea generale, il modello di business di un fondo chiuso può essere così sinteticamente illustrato: gli investitori – la cui natura può essere talvolta eterogenea[4] – apportano capitali propri all’interno del fondo di investimento, il quale attraverso uno o più Special Purpose Vehicles provvede ad investirli – conformemente agli obiettivi ed ai vincoli del proprio regolamento – in società Target[5] che presentano un profilo rischio-rendimento in linea con quanto illustrato nel regolamento del fondo stesso. La gestione di tali investimenti è lasciata esclusivamente alla Management Company, anche per il tramite degli organi dei veicoli societari attraverso i quali gli investimenti sono attuati[6], il cui ruoloè di fondamentale importanza all’interno della struttura operativa dei fondi. Infatti, agendo per conto degli investitori in virtù di un contratto concluso con gli stessi, la Management Company ricerca, valuta e seleziona potenziali società Target, supervisiona e controlla le attività di due diligence, negozia i termini dell’acquisizione delle società Target dirigendone il processo di acquisizione fino al completamento, monitora costantemente gli investimenti realizzati e cerca di indirizzarne l’andamento con l’obiettivo di favorirne lo sviluppo ed incrementarne il valore in vista del disinvestimento, individua potenziali strategie di dismissione, identificando anche i potenziali acquirenti (e.g., mercato regolamentato, soci industriali o altri investitori finanziari)[7].

Data la possibilità del fondo di realizzare investimenti cross-border, è importante per la Management Company beneficiare anche dell’attività di consulenza di società (le Advisory Companies[8]) nei singoli Stati in cui sono localizzate le potenziali società Target; in tal modo, sfruttando la conoscenza dei mercati locali che ciascuna Advisory Company possiede, la Management Company può meglio adempiere ai propri obblighi derivanti dal contratto che la stessa ha concluso con gli investitori del fondo, ossia ricercare quegli investimenti ritenuti maggiormente remunerativi nel rispetto del regolamento del fondo sottoscritto dagli investitori.

A tal riguardo, affinché l’operato della Management Company sia allineato agli interessi degli investitori, la remunerazione della stessa può avvenire (in parte ed in aggiunta alle commissioni di gestione determinate in percentuale sul patrimonio in gestione) attraverso commissioni di performance. Di contro, per l’attività di consulenza prestata, l’Advisory Company viene generalmente remunerata applicando un mark-up sui propri costi totali. In considerazione di ciò, quindi, se da un lato la gestione operativa del portafoglio di investimenti effettuati dal fondo è lasciata esclusivamente alla Management Company, dall’altro il rischio legato ad eventuali perdite di valore dell’investimento è sopportato unicamente dagli investitori, in quanto sono gli unici soggetti ad avere nella sostanza il controllo sul rischio degli investimenti. Il rischio operativo attribuibile alla Management Company è, infatti, legato solamente alla possibilità di perdere credibilità sul mercato – e, di conseguenza, perdere attrattività durante le fasi di fundraising di futuri fondi – qualora la gestione degli investimenti effettuata non conduca ai risultati attesi dagli investitori[9].

Attività della Management Company nello Stato della Società Target: PE dei fondi e/o degli investitori?

Ciò premesso, ipotizzando il caso di un fondo estero che, per il tramite di una SPV investe in una società Target localizzata in Italia, si tratta quindi di capire se, come a volte contestato dalle Amministrazioni finanziarie di taluni Stati europei, le attività svolte dalla Management Company estera in Italia possano effettivamente dare luogo ad una PE (materiale o personale)dei fondi o dei loro investitori in detto Stato.

Sul punto, occorre in primis osservare che il ruolo assunto dalla Management Company ha una portata differente rispetto al ruolo assunto dal fondo e dagli investitori dello stesso: infatti, mentre la Management Company svolge attività di gestione degli investimenti su specifico mandato degli investitori – attività aventi, quindi, carattere commerciale –, gli investitori si limitano ad apportare capitali propri all’interno del fondo, il quale li utilizza poi per effettuare investimenti dai quali deriveranno tendenzialmente passive income (dividendi, interessi o plusvalenze). Per questo motivo, si è pertanto dell’opinione che non possa essere in alcun modo contestata l’esistenza di una stabile organizzazione materiale dei fondi o dei loro investitori in Italia a causa delle attività ivi svolte dalla Management Company estera (o dall’Advisory Company).Come è noto, infatti, affinché si configuri una PE materiale ex art. 162, comma 1 del T.U.I.R., è necessario che l’impresa non residente abbia a sua disposizione – in via continuativa, con un certo grado di permanenza e a prescindere da qualsiasi titolo giuridico – uno spazio fisico nell’altro Stato contraente, attraverso il quale la stessa eserciti la propria attività (o parte della stessa). Tenuto conto di ciò, non pare pertanto possibile affermare che il fondo e/o gli investitori godano in Italia di una base fissa di affari per mezzo della quale esercitino in tutto o in parte le rispettive attività, visto che, come anzidetto, l’attività di gestione svolta dalla Management Company estera non costituisce né l’attività del fondo né quella dei suoi investitori.

Allo stesso modo, a parere di chi scrive, deve considerarsi del tutto priva di fondamento qualsiasi contestazione di stabile organizzazione personale dei fondi o dei loro investitori con riferimento alle attività svolte dalla Management Company estera nel territorio dello Stato. Infatti, ai sensi dell’art. 162, comma 6 del T.U.I.R., l’agente dipendente – che, come noto, è il presupposto della configurazione di una PE personale –, è quel soggetto (persona fisica o giuridica) che, agendo nel territorio di uno Stato per conto di un’impresa non residente e non in qualità di agente indipendente[10], svolge un ruolo determinante nella conclusione dei contratti da parte dell’impresa non residente, che li perfeziona sistematicamente senza sostanziali modifiche. Ciò detto, in considerazione del fatto che le attività di gestione svolte dalla Management Company estera non costituiscono affatto l’attività del fondo o dei suoi investitori, le stesse non possono dar luogo ad una stabile organizzazione personale del fondo e/o degli investitori, ma devono, piuttosto, qualificarsi alla stregua di prestazioni rese da un agente indipendente nello svolgimento della propria ordinaria attività, ai sensi dell’art. 162, comma 7 del T.U.I.R.[11]. E ciò in quanto la Management Company: (i) opera per conto di una molteplicità di investitori ai quali non è legata da alcun vincolo economico o legale; (ii) non riceve dagli investitori dei fondi istruzioni vincolanti in merito alle scelte di investimento; (iii) sopporta il rischio connesso all’attività svolta, in quanto eventuali performance insoddisfacenti incideranno negativamente sulla raccolta dei futuri fondi di investimento; (iv) è remunerata per l’attività svolta in base al principio di libera concorrenza (c.d., arm’s length principle)[12].

A supporto di quanto sopra, pare opportuno svolgere un’ulteriore considerazione. Ai fini delle imposte sui redditi, i fondi di investimento istituiti in Italia o all’estero sono inclusi nel novero degli enti non commerciali di cui all’art. 73, comma 1, lett. c) o lett. d) del T.U.I.R.[13], ossia quegli enti che non hanno quale oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali da cui derivino redditi d’impresa ai sensi dell’art. 55 del T.U.I.R.[14]. Ciò posto, quindi, qualora un fondo di investimento istituito e gestito in uno Stato estero dovesse investire in società Target residenti in Italia, non può certo dirsi legittima una contestazione in merito all’esistenza di una PE italiana del fondo di investimento estero – il cui presupposto, ricordiamo, è proprio lo svolgimento di un’attività d’impresa – in relazione alle tipiche attività svolte nel territorio dello Stato dal gestore del fondo o da una sua consociata. Un fondo di investimento, infatti, per definizione – e come dimostrato nel presente contributo attraverso la descrizione delle attività e dei rischi assunti – non svolge un’attività qualificabile come attività d’impresa ai fini fiscali, così come chiaramente codificato dalla menzionata lett. c) dell’art. 73 T.U.I.R.; detto altrimenti, e prendendo in considerazione un OICR italiano, il fatto che la SGR italiana gestisca il fondo non comporta una “traslazione” neppure parziale dello stesso dal comparto degli enti non commerciali e quello degli enti commerciali.

Ciò basta per ritenere non concettualmente sussistente una stabile organizzazione nazionale di un fondo estero per la sola presenza nel nostro Paese del gestore dello stesso.

Quanto appena detto ci pare che possa trovare implicitamente riscontro anche all’interno della Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 21/E del 10 luglio 2014, la quale ha fornito chiarimenti in merito alle modifiche al regime fiscale applicabile agli OICR introdotte dal D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 44, emanato in attuazione della Direttiva AIFM[15] sui gestori di fondi di investimento alternativi.

 


[1] Questo è quanto emerge dal “Report of Expert Group on removing tax obstacles to cross-border Venture Capital Investments” pubblicato il 30 aprile 2010 dalla Commissione Europea. Tale Report riporta le conclusioni raggiunte da un gruppo di esperti incaricato nel 2007 dalla Commissione Europea di esaminare gli ostacoli che le legislazioni dei diversi Paesi membri hanno posto nello sviluppo del settore del Venture Capital. Per un commento in merito al citato Report cfr., B. Terra – J. Kajus, “Questions and answers on removing tax obstacles to cross-border venture capital”, in IBFD, 2010; G. Letizia, “International Tax Issues in Relation to Cross-Border Investment Funds”, in Intertax (2015), Vol. 43, pag. 526 ss..

[2] Per un’analisi della nuova portata dell’art. 162 del T.U.I.R. e, più in particolare, del concetto di stabile organizzazione personale, ci sia consentito rimandare ad un nostro recente contributo: cfr. L. Rossi – S. Flisi, “Stabile organizzazione personale tra Significant People Functions e Risk Management Functions”, in Corr. Trib., 1/2019, pag. 81.

[3] Per completezza, si evidenzia che nelle operazioni di Leveraged Buy-Out è di prassi il coinvolgimento anche di soggetti terzi finanziatori (come, ad esempio, le banche), i quali forniscono capitali di debito ai veicoli di investimento costituiti appositamente per l’acquisizione delle società Target.

[4] Gli investitori nei fondi possono essere talvolta di natura eterogena: infatti, possono essere rappresentati da fondi pensione, società di assicurazione, banche, fondi di fondi, fondi sovrani e altri investitori professionali che, a loro volta, investono i capitali a loro affidati dal mercato.

[5] Le società Target sono, tipicamente, imprese ad alto potenziale di crescita in cerca di capitali a medio/lungo termine per lo sviluppo della propria attività oppure imprese sottovalutate dal mercato e/o dai soggetti che ne detengono la proprietà prima dell’ingresso nella compagine sociale dei fondi.

[6] La Management Company può essere localizzata nello stesso Stato del fondo di investimento oppure in uno Stato terzo.

[7] In tal senso, si veda anche il commento di Invest Europe – The Voice of Private Capital (già European Private Equity & Venture Capital Association (EVCA)) al public discussion draft del documento OCSE intitolato “Interpretation and application of article 5 (Permanent Establishment) of the OECD Model Tax Convention” dell’8 febbraio 2012.

[8] Si precisa come dette Advisory Companies possono essere società facenti parte del medesimo gruppo multinazionale della Management Company.

[9] In tal senso, cfr. par. 1.70 delle “OECD Transfer Pricing Guidelines for Multinational Enterprises and Tax Administrations” del Luglio 2017, dove, al fine di illustrare il significato del concetto di “control over risk” con riferimento alle cd. Risk Management Functions, viene illustrata l’allocazione dei rischi tra l’investitore di un fondo di investimento ed il fund manager del fondo stesso.

[10] Ai sensi dell’art. 162, comma 7 del T.U.I.R., un agente indipendente è quel soggetto che opera quale intermediario indipendente rispetto all’impresa non residente e per la quale agisce nell’ambito della propria ordinaria attività.

[11] Cfr., op. cit. note 1 e 7; commento di Invest Europe – The Voice of Private Capital (già EVCA) al “Public Consultation Paper: problems that arise in the direct tax field when venture capital is invested across borders” del 5 novembre 2012.

[12] Nello stesso senso si è espresso il “National Tax Board” danese con una risposta a due interpelli proposti da due fondi di Private Equity danesi. Come riferito dalla dottrina internazionale, uno dei casi sottoposti all’attenzione del “National Tax Board” riguardava il caso di fondi di investimento istituiti secondo la legge danese in forma di limited partnership e, come tali, fiscalmente trasparenti ai fini della normativa fiscale domestica. La gestione dei fondi era lasciata ad un gestore danese, il quale avanzava proposte di investimento ad un investment board costituito anche da alcuni partner del gestore. L’investment board, a sua volta, valutava le proposte ad esso presentate dal gestore e le inoltrava ad un ulteriore investment board, i cui componenti venivano nominati dagli investitori del fondo. In considerazione del fatto che il gestore ed i due investment board, tra le altre cose:(i) non ricevevano istruzioni dagli investitori del fondo; (ii) non erano soggetti al controllo degli investitori; e (iii) sopportavano il rischio imprenditoriale correlato alle attività svolte, il “National Tax Board” ha concluso che il gestore e gli investment board dovevano essere considerati come agenti indipendenti e, pertanto, non vi erano i presupposti per la configurazione di una stabile organizzazione in Danimarca degli investitori esteri. Cfr.J. Wittendorff, “Agency Permanent Establishments and the Zimmer Case”, in International Transfer Pricing Journal, settembre/ottobre 2010.

[13] Cfr., Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38/E del 23 dicembre 2013.

[14] Si rammenta per completezza che ai sensi del combinato disposto del comma 1, lett. c) e comma 3 dell’art. 73 del T.U.I.R., gli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) istituiti in Italia si considerano residenti nel territorio dello Stato, ed altresì sono considerati soggetti passivi d’imposta. Tuttavia, ai sensi del comma 5-quinquies del medesimo art. 73 del T.U.I.R., gli stessi beneficiano del regime di esenzione con riguardo all’imposta sui redditi delle società (IRES) a condizione che il fondo o il gestore sia sottoposto a forme di vigilanza prudenziale. Inoltre, ai sensi dell’art. 3, comma 2 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, gli OICR non sono nemmeno soggetti passivi ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) (ad esclusione delle SICAV).

[15] Trattasi della Direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2011.

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