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L’imposta sostitutiva sui finanziamenti ex DPR 601/1973. Una storia infinita

27 Febbraio 2015

Paola Flora, Responsabile Servizio Consulenza e Compliance Fiscale UBI Banca, e Stefano Loconte, Professore a contratto di Diritto Tributario e Diritto dei Trust, Università degli Studi LUM “Jean Monnet”, Casamassima (BA), Avvocato, Loconte & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione ([1] – la “Sentenza”), intervenendo nuovamente sui requisiti di applicabilità per l’imposta sostitutiva sui finanziamenti disciplinata dall’articolo 15 e seguenti del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 (“DPR 601/1973”), riapre una vicenda che si riteneva ormai definitivamente conclusa, anche grazie alla chiara posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate nel 2011. I giudici della Suprema Corte, pur sicuramente a conoscenza dell’orientamento espresso dalla prassi amministrativa, sono rimasti fermi nel loro convincimento – già emerso in passate occasioni [2] – secondo cui l’applicabilità dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti dipenderebbe non solo dalla sussistenza dei requisiti previsti dalla norma di legge, ma anche dallo scopo per cui il finanziamento viene concesso. In particolare, nella Sentenza viene sottolineato il fatto che “[…] la questione, quindi, deve essere risolta sulla base della ratio legis della norma di agevolazione, tenendo fermo il costante insegnamento di questa Corte, secondo cui le disposizioni che prevedono delle agevolazioni tributarie sono norme di stretta interpretazione. Tale ratio è da ricercare nel favore che il legislatore intende accordare agli investimenti produttivi, nella previsione che essi possono creare nuova ricchezza, sulla quale potrà più adeguatamente applicarsi il prelievo fiscale […]”. Ancora una volta, quindi, la Cassazione fa discendere l’applicabilità del regime dell’imposta sostitutiva all’ottenimento di disponibilità finanziaria da impiegare in investimenti produttivi.

Tale aspetto non è di poco conto, perché la Sentenza rischia di aprire (rectius, riaprire) una nuova “stagione di accertamenti” su un’imposta che – mai nella sua storia come nell’ultimo decennio – è stata oggetto di notevole attenzione da parte degli organi verificatori sotto molteplici aspetti e ha dato origine a diversi filoni di contestazione, puntualmente finiti in contenzioso. Va rilevato che la maggior parte dei contenziosi si è conclusa favorevolmente per il contribuente con l’abbandono della lite da parte dell’Amministrazione finanziaria: tuttavia, a seguito della Sentenza, non può escludersi il rischio di nuove controversie che sarebbe assolutamente opportuno prevenire ad ogni costo.

L’imposta sostitutiva sui finanziamenti – cenni generali

L’imposta sostitutiva sui finanziamenti (l’Imposta Sostitutiva”), disciplinata dagli articoli 15 e seguenti del DPR 601/1973, è un regime speciale di imposizione indiretta applicabile a taluni finanziamenti al ricorrere di determinati requisiti e a seguito di specifica opzione [3].

In estrema sintesi, i requisiti previsti dal DPR 601/1973 sono i seguenti:

· requisito oggettivo – l’Imposta Sostitutiva si applica solamente a finanziamenti a medio-lungo termine. La nozione di “finanziamento” non è contenuta nel testo di legge, ma è frutto di elaborazione giurisprudenziale e della prassi amministrativa, secondo cui per “operazione di finanziamento” deve intendersi la possibilità di attingere denaro, in qualunque momento ciò sia necessario, in base ad un impegno in tal senso assunto dal soggetto erogatore che preveda l’obbligo di restituzione entro il termine previsto contrattualmente ed indipendentemente dalla forma tecnica prescelta. Si tratta, quindi, di operazioni finanziarie genericamente rientranti nell’alveo delle cd. “linee da utilizzarsi per cassa”: di converso, le operazioni strutturate in forma di “crediti di firma” sono sempre rimaste fuori dal perimetro di applicazione dell’Imposta Sostitutiva. Ulteriore aspetto da considerare è, in ogni caso, la durata dell’operazione, che deve necessariamente essere a “medio-lungo termine” (fatti salvi alcuni casi assolutamente peculiari), ovverosia avere durata contrattuale superiore a diciotto mesi [4]. Si noti come la norma faccia riferimento alla durata contrattuale dell’operazione (dato conosciuto sin da prima della stipula), mentre è assolutamente irrilevante la durata effettiva;

· requisiti soggettivi – allo stato attuale, le operazioni di finanziamento assoggettabili a Imposta Sostitutiva devono essere poste in essere da banche, società di cartolarizzazione ex lege 130/1999, imprese di assicurazione, organismi di investimento collettivo del risparmio e, limitatamente a determinate operazioni, anche da società finanziarie costituite in dipendenza della legge 27 febbraio 1985, n. 49, enti previdenziali e Cassa Depositi e Prestiti;

· requisito territoriale – le operazioni di finanziamento devono essere poste in essere in Italia.

Per effetto delle misure introdotte dal decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145 (cd. “Destinazione Italia”), il regime dell’Imposta Sostitutiva non è più automaticamente applicabile: i soggetti che pongono in essere le operazioni di finanziamento sono tenuti ad esercitare l’opzione per l’Imposta Sostitutiva per iscritto nell’atto di finanziamento, fermo restando che eventuali errori od omissioni non sono sanabili.

Da ultimo, vale la pena ricordare che il decreto “Destinazione Italia” ha ulteriormente esteso l’ambito applicativo dell’Imposta Sostitutiva, ricomprendendovi anche le operazioni di finanziamento strutturate.

Tralasciando il caso delle operazioni di finanziamento strutturate (che presenta alcune caratteristiche del tutto peculiari e che non è oggetto di esame della presente nota), è interessante notare come il sistema dell’Imposta Sostitutiva non ponga alcun requisito in capo al soggetto prenditore, che può essere chiunque. Sono assolutamente irrilevanti ai fini dell’assoggettabilità dell’Imposta Sostitutiva la tipologia del soggetto prenditore, la sua nazionalità o la professione. Inoltre, nulla si dice in merito alla destinazione delle somme ricevute, quindi, in buona sostanza, sullo “scopo del finanziamento”, che dovrebbe ritenersi, quindi, del tutto privo di importanza per l’applicazione dell’Imposta Sostitutiva.

Tale conclusione, tuttavia, non sempre ha trovato riscontro nell’orientamento giurisprudenziale, come si è visto nel caso della Sentenza e di alcune pronunce che l’hanno preceduta.

La destinazione del finanziamento quale requisito “implicito e immanente”

Come menzionato in precedenza, la norma nulla prevede in merito alla meritevolezza dello scopo per cui il prenditore del finanziamento intende utilizzare le somme che gli sono state erogate. Al contrario: avendo riguardo alla genesi della norma ed alla sua evoluzione nel corso dei decenni, potrebbe addirittura concludersi che il legislatore, volutamente, abbia ritenuto che lo scopo del finanziamento sia elemento del tutto privo di importanza nel sistema dell’Imposta Sostitutiva. Non va, infatti trascurato il fatto che la disciplina dell’imposta in abbonamento (legge 27 luglio 1962, n. 1228, poi sostituita dal DPR 601/1973) subordinava esplicitamente l’applicazione di tale imposta al fatto che le operazioni di finanziamento fossero poste in essere “a scopo di investimento”. Di tale condizione essenziale, il testo del DPR 601/1973 non fa menzione sin dalle origini: sembrerebbe quindi evidente che il legislatore del 1973 (e, peraltro, quelli successivi) non avesse alcuna intenzione di mantenere tale requisito nel nuovo sistema normativo.

Il punto, peraltro, sembra condiviso dalla stessa Amministrazione finanziaria, che in più riprese ha affermato l’irrilevanza dello scopo del finanziamento ai fini dell’applicabilità dell’Imposta Sostitutiva [5], indipendentemente dal fatto che le somme vengano destinate a nuovi investimenti produttivi o, più semplicemente, al ripianamento di debiti pregressi. Condizione necessaria per l’applicazione del regime sostitutivo rimane, in ogni caso, la sussistenza di un nuovo finanziamento: pertanto, accordi tra le parti meramente volti a modificare clausole contrattuali e scadenze relativi a operazioni di finanziamento già in essere non possono dirsi “nuovi finanziamenti” e, per l’effetto, non possono essere assoggettati all’Imposta Sostitutiva. In sostanza, la mancata applicabilità delle disposizioni del DPR 601/1973 non dipenderebbe dalla mancata destinazione di somme a finalità produttive quanto, assai coerentemente con lo spirito della norma, dalla mancata erogazione di risorse finanziarie e, per l’effetto, dall’assenza di un nuovo finanziamento, presupposto indispensabile per l’applicazione del regime sostitutivo.

Tale principio assume ancor maggior valenza qualora si consideri che i finanziamenti assoggettati al regime di Imposta Sostitutiva non vengono esclusivamente erogati a imprese, ma in larga parte sono destinati a privati cittadini e consumatori, che spesso utilizzano le somme ricevute in dipendenza di un finanziamento per esigenze residenziali o, comunque, ben estranee a quelle connesse ad un investimento produttivo. Subordinare l’applicazione del regime di Imposta Sostitutiva (ancorché opzionale) all’utilizzo della disponibilità finanziaria di un finanziamento per scopi produttivi significa automaticamente ed arbitrariamente escludere dalla platea dei soggetti destinatari delle disposizioni normative un numero enorme di posizioni, peraltro, ragionevolmente appartenenti a categorie (quale quella dei “consumatori”) che ordinariamente si intende proteggere.

Sulle riflessioni appena svolte si innestano le posizioni espresse dalla giurisprudenza, che sembrano invece volersi discostare da un orientamento che si riteneva ormai consolidato e – soprattutto – diffuso tra gli operatori. Secondo l’interpretazione seguita da alcuni giudici (tra cui gli estensori della Sentenza), la disciplina dell’Imposta Sostitutiva, essendo di natura agevolativa, dovrebbe trovare applicazione solamente nei confronti di operazioni volte alla creazione di nuova finanza: di conseguenza, non potrebbero essere assoggettate al suddetto regime tutte le operazioni che si traducono nel rifinanziamento di precedenti operazioni escluse da Imposta Sostitutiva, in quanto non darebbero luogo a nuovo credito da innestare nel sistema produttivo. Il ragionamento seguito dalla giurisprudenza non sembra, a dire il vero, del tutto in linea non solo con il disposto normativo ma, soprattutto, nemmeno con la realtà economica. Limitando la discussione ai finanziamenti destinati alle imprese e, anche volendo, per un momento, sostenere la necessaria sussistenza dello “scopo produttivo” ai fini dell’assoggettamento di una determinata operazione di finanziamento a Imposta Sostitutiva, non può trascurarsi il fatto che la sostituzione di un debito con scadenza breve termine con uno con scadenza a medio-lungo termine ha – decisamente – una finalità produttiva: una simile operazione consente, infatti al prenditore di rimodulare e ribilanciare in modo efficiente la propria esposizione creditoria, migliorare il proprio indice secco di liquidità (cd. “acid test ratio”) e progettare, se del caso, investimenti durevoli che troveranno riscontro nell’attivo patrimoniale. Da un punto di vista gestionale, peraltro, è evidente come non sia finanziariamente sostenibile effettuare investimenti a medio-lungo termine utilizzando liquidità con scadenza a breve termine. Sostanzialmente diverso, invece, è il caso di una semplice riscadenziamento di un debito pregresso, dove la scadenza originaria a breve termine viene estesa oltre il termine dei 18 mesi. In tal caso, infatti, non sorge un autonomo negozio di credito (potenzialmente assoggettabile a Imposta Sostitutiva) quanto, invece, si è in presenza di una modifica del rapporto originario: ne consegue che, il regime fiscale da applicare al riscadenziamento non può che essere il medesimo applicato alla data in cui è sorta l’obbligazione originaria.

E’ evidente, quindi, che si tratta di due fattispecie significativamente diverse, non sovrapponibili e che giustificano diversi trattamenti fiscali. Eppure, per motivi che non è dato comprendere e che forse dipendono essenzialmente dalla peculiarità del caso concreto esaminato nella Sentenza, i giudici della Suprema Corte sono rimasti fermi nel ribadire il convincimento – non condiviso, ormai, né dai contribuenti né dalla stessa Amministrazione finanziaria – secondo cui l’applicabilità dell’Imposta Sostitutiva ad un determinato finanziamento dipenderebbe, in ogni caso, dal fatto che le somme rivenienti dal finanziamento vengano destinate ad uno scopo produttivo. La situazione può, quindi, definirsi ormai paradossale: probabilmente, l’unico modo per porre termine in via definitiva a questa storia infinita sta in una modifica normativa, che introduca una norma di interpretazione autentica (che abbia effetto, quindi, anche per il passato) nel DPR 601/1973 volta a precisare la totale irrilevanza ai fini del Regime dell’Imposta Sostitutiva dell’utilizzo delle somme ricevute in dipendenza di un finanziamento.

 

[1] Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 16 gennaio 2015, n. 695.

[2] Cfr., a mero titolo esemplificativo, Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 5 maggio 2009, n. 5270; Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 18 aprile 2008, n. 9930; Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 29 marzo 2002, n. 4611. Tra la giurisprudenza di merito va segnalata la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione XXVII, sentenza 5 novembre 2009, n. 119.

[3] Per un inquadramento generale ed una disamina completa sull’Imposta Sostitutiva si veda: G. Arnao, L’imposta sostitutiva, Milano, 1982; S. Loconte (a cura di), Imposta sostitutiva sui finanziamenti, Milano, 2012.

[4] Come indicato dalla giurisprudenza (cfr. ex multis, Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 18 febbraio 1994, n. 1585), la durata contrattuale superiore ai diciotto mesi deve intendersi come un vincolo contrattuale tale per cui “[…] la banca può chiedere la restituzione, ed il finanziato deve adempiere, una volta che detto termine sia scaduto e, quindi, al secondo giorno successivo ai diciotto mesi […]”.

[5] Cfr., a mero titolo esemplificativo, la Risoluzione 13 dicembre 2011, n. 121, la Circolare 22 dicembre 2009, n. 240/T, la Risoluzione 24 marzo 2004, n. 2/T e la Risoluzione 2 giugno 1980, n. 250393.

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