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Accordo TFA – Repubblica Argentina: verso la conclusione della vicenda dei c.d. tango bonds?

15 Giugno 2016

Avv. Federica Grasselli, Dottoranda di ricerca in “Diritto ed Impresa”, Università LUISS Guido Carli, Roma

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Premessa – 2. La storia. – 3. Nascita e competenza delTribunale arbitrale dell’ICSID. – 4. Il caso “Abaclat and Others v. Argentine Republic” e la nozione di “investimento” internazionale – 5. Il caso “Abaclat and Others” e l’ammissibilità di un’azione collettiva in arbitrato ICSID – 6. Conclusioni.

 

1. Premessa

Il 21 aprile 2016 è stato siglato a New York l’accordo internazionale tra la Repubblica Argentina e l’Associazione TFA, con cui lo Stato latinoamericano, secondo le prime notizie, si è impegnato a risarcire gli obbligazionisti sottoscrittori dei c.d. Tango Bonds, e coinvolti nel default dell’Argentina avvenuto tra il 2001 e il 2002. Dopo lunghe e complesse negoziazioni il Ministero del Tesoro e della Finanza Pubblica della Repubblica Argentina e l’associazione Task Force Argentina (TFA), che aveva ricevuto mandato da parte di migliaia di obbligazionisti italiani per agire nei confronti del Tribunale arbitrale dell’ICSID nel procedimento N. ARB/07/05, hanno raggiunto l’accordo che dovrebbe consentire ai risparmiatori il recupero del 150% del valore nominale delle obbligazioni originariamente sottoscritte.

L’accordo siglato poche settimane fa era atteso da molto tempo e dovrebbe consentire la conclusione in via transattiva della procedura arbitrale. La vicenda in questi anni ha avuto grande rilevanza mediatica, anche a causa delle innumerevoli difficoltà incontrate dagli investitori italiani per cercare di recuperare le somme perse a causa del default dell’Argentina e ad oggi costituisce un precedente pressoché unico nel suo genere.

Sembra opportuno ripercorrere, senza pretesa di esaustività, le principali tappe che hanno portato alla stesura dell’accordo internazionale, con particolare riguardo alla fase iniziale del procedimento, in cui il Tribunale arbitrale dell’ICSID, avente sede a Washington, è stato chiamato a pronunciarsi in merito alla sussistenza o meno della propria competenza a decidere la vicenda dei Tango bonds, la cui soluzione in origine pareva tutt’altro che scontata, soprattutto a fronte della elevata portata numerica dei ricorrenti. Prima di allora, infatti, il Tribunale arbitrale dell’ICSID non era mai stato chiamato a decidere in merito all’ammissibilità di un’azione collettiva.

2. La storia

È certamente a tutti noto il crack finanziario che ha coinvolto lo Stato argentino vero la fine del 2001 e le rovinose ripercussioni causate alle migliaia di investitori italiani che avevano sottoscritto i c.d. Tango bonds, titoli di debito pubblico emessi dallo Stato latinoamericano per la ristrutturazione della propria economia.

Nel corso dei primi anni ’90, l’Argentina aveva fatto frequentemente ricorso all’emissione di titoli del debito pubblico sia sul mercato nazionale sia sul mercato internazionale, nell’ottica di favorire il processo di ristrutturazione della propria economia.

Il 23 dicembre 2001, l’Argentina è stata costretta a dichiarare il default sul debito pubblico e le sorti dei titolari dei bonds, e dei relativi titoli di credito acquistati sul mercato secondario, risultava essere fortemente incerta. All’epoca le stime parlavano dell’emissione di bonds sui mercati finanziari internazionali per un valore pari a 139,4 miliardi di dollari statunitensi.

Agli inizi del 2005 l’Argentina aveva presentato la prima offerta di ristrutturazione del debito, secondo la quale sarebbe stato riconosciuto ai creditori un valore pari circa al 25-29% rispetto all’ammontare inizialmente pattuito. Tra coloro che non avevano aderito all’offerta vi è stato chi, a fronte del rovinoso deprezzamento dei bonds argentini, avevaprovveduto all’instaurazione di controversie giudiziarie presso le Corti domestiche (come Germania, Stati Uniti e Italia) ma le sentenze, anche quelle maggiormente favorevoli agli investitori, non avevano consentito un’effettiva riparazione del debito.

Parallelamente in questi anni si è svolta la procedura arbitrale presso il Tribunale dell’ICSID (International Centre for Settlement of Investment Disputes), instaurata da alcune migliaia di investitori italiani che avevano preferito ricorre all’organismo arbitrale istituito dalla Convenzione di Washington (anche conosciuta come Convenzione ICSID).

Difatti, nel corso del 2006 più di 180.000 detentori italiani di titoli di credito sui bonds argentini, avevano conferito mandato alla Task Force Argentina, conosciuta anche come TFA, un’associazione istituita dall’ABI per presentare ricorso arbitrale all’ICSID nei confronti dell’Argentina[1].

Dopo varie iniziative ostruzionistiche avanzate dallo Stato sudamericano, la richiesta di arbitrato è stata registrata come caso Beccara and Others v. Argentina, e nel febbraio 2008 è stato costituito il Tribunale composto da tre arbitri.

Nel 2010 l’Argentina aveva presentato una nuova offerta di ristrutturazione a cui hanno aderito alcuni ricorrenti del caso Beccara. Il procedimento è pertanto continuato per circa 60.000 ricorrenti e da allora è conosciuto come caso “Abaclat and Others v. Argentine Repubblic”[2].

E’ importate ricordare sin d’ora che l’azione promossa davanti al Tribunale dell’ICSID rappresentava una grande scommessa per gli investitori italiani, in primo luogo poiché significava rinunciare a tutte le azioni legali percorribili presso le Corti domestiche nei confronti delle banche locali che avevano collocato al pubblico i Tango bonds. In secondo luogo, l’azione avanti al Tribunale arbitrale ICSID presentava innumerevoli incertezze, a cominciare dall’ammissibilità di una azione collettiva promossa da migliaia di investitori davanti al Tribunale, poiché, come ricordato in apertura, la Corte arbitrale prima di allora non era mai stata chiamata a giudicare una controversia presentata da migliaia di ricorrenti.

La vicenda processuale, si è rivelata altamente complessa e articolata sia dal punto di vista sostanziale sia dal punto di vista processuale soprattutto, come già anticipato, nella prima fase della procedura, in cui il collegio arbitrale ha in primo luogo dovuto stabilire se la Corte dell’ICSID fosse o meno titolare della necessaria competenza per poter giudicare la controversia e decidere nel merito delle eventuali responsabilità poste in capo allo Stato argentino nei confronti degli investitori italiani.

Per le ragioni esposte la vicenda presentava innumerevoli aspetti di novità e lo Stato convenuto aveva sollevato svariate eccezioni nel tentativo di indurre il Collegio ad optare per l’insussistenza della giurisdizione.

La fase giurisdizionale della procedura si è conclusa positivamente per gli investitori italiani rappresentati dalla TFA il 4 agosto 2011, portando alla stesura di quello che è stato meglio conosciuto come “lodo Abaclat”[3].

Il lodo Abclat[4], ha costituito una decisone di particolare pregio, sia nella storia dell’ICSID sia nella storia degli investimenti internazionali, avendo decretato per la prima volta principi fondamentali in tema di giurisdizione avanti al Tribunale arbitrale, rappresentando un precedente di grande interesse che ha profondamente inciso, e certamente continuerà ad influire, sui futuri giudizi instaurati avanti al tribunale dell’ICSID. Il lodo Abaclat ha difatti fornito importanti linee guida nello svolgimento delle procedure arbitrali, riprese poi in altri procedimenti successivi[5], in un’ottica di maggior tutela dei soggetti sottoscrittori di investimenti internazionali.

 In primis, il Tribunale è stato chiamato a valutare se i titoli detenuti dai ricorrenti rientrassero o meno nella nozione di “investimento” prevista dall’art. 1, lett. c, del BIT Italia-Argentina (ossia gli assets dotati di carattere finanziario), e se gli stessi titoli potessero essere considerati “investimenti” anche ai sensi dell’art. 25 della Convenzione ICSID, che elenca i requisiti per ritenere sussistente la giurisdizione del Tribunale arbitrale. Tra questi, è richiesto che la controversia abbia ad oggetto una questione giuridica in tema di “investimento”, senza tuttavia fornire alcuna precisa definizione in merito.

3. Nascita e competenza del Tribunale arbitrale dell’ICSID

Prima di analizzare compiutamente le problematiche giuridiche sottoposte al Collegio arbitrale che hanno interessato la vicenda dei Tango Bonds, sembra opportuno fornire alcune brevi indicazioni in merito alla nascita, struttura e funzione del Tribunale dell’ICSID.

L’ICSID è un’organizzazione internazionale costituita nel 1965 in forza della stesura della Convenzione di Washington firmata il 18 Marzo del medesimo anno. La Convenzione ha istituito il Tribunale arbitrale dell’ICSID nell’ambito della Banca Mondiale, al fine di predisporre uno strumento di soluzione delle controversie aventi ad oggetto “investimenti internazionali”[6].

Nel corso degli ultimi decenni, difatti, si è assistito ad un progressivo incremento degli investimenti internazionali nelle relazioni economiche e commerciali tra Paesi esteri e questo riflette certamente l’evoluzione che ha interessato l’economia e la finanza negli ultimi anni, attraverso l’utilizzo di strumenti di investimento sempre più complessi e articolati, diffusisi nell’ambito di un sistema ormai fortemente globalizzato[7].

Problema centrale connesso alla conclusione di investimenti internazionali è sempre stato quello di fornire adeguata protezione agli investitori stranieri, attraverso la predisposizione di standard minimi di tutela e, al contempo, si è avvertita l’esigenza di tutelare anche gli interessi degli Stati esportatori, garantendo il principio di “sovranità” dei Paesi sul proprio territorio e sulle relative risorse.

Prima della stesura della Convenzione di Washington del 1965 le norme di riferimento erano principalmente di natura consuetudinaria e, pertanto, prive di effettiva organicità e precisione, consentendo agli investitori eventualmente danneggiati il solo ricorso alla tutela diplomatica; ai tribunali nazionali dello Stato ospite dell’investimento; oppure la possibilità di ricorrere ad altra forma di arbitrato[8].

Com’è facile intuire, i tribunali nazionali si sono spesso rivelati inadeguati a fornire un’effettiva tutela agli investitori, risultando carenti non solo sul piano tecnico – giuridico, a causa dell’elevata complessità insita nelle controversie aventi per oggetto “investimenti internazionali”, bensì, anche in termini di “imparzialità delle decisioni”, frequentemente condizionate anche dall’esigenza di preservare delicati equilibri tra Paesi stranieri. Difatti, era frequente che lo Stato di appartenenza non si attivasse in tutela dell’investitore danneggiato anche per ragioni dettate da esigenze di politica estera, nel caso in cui tale iniziativa potesse rischiare di incrinare i rapporti con lo Stato ospitante l’investimento.

Pertanto, il risultato spesso era una forte contrazione del diritto di difesa del singolo investitore, anche a causa dell’assenza di un effettivo obbligo per lo Stato di appartenenza di quest’ultimo di attivarsi per far valere le ragioni del proprio nazionale[9].

In tale contesto economico e politico, gli stessi Stati importatori di capitali avvertivano l’esigenza di introdurre una disciplina dotata di certezza ed efficacia, in quanto l’assenza di tutele effettive e celeri tendeva spesso a scoraggiare gli investimenti internazionali.

 Per tali ragioni l’istituzione dell’ICSID ha costituito una grande rivoluzione in termini di strumenti di tutela nelle controversie aventi per oggetto investimenti internazionali, garantendo la legittimazione attiva anche ai privati cittadini e non solo ai soggetti di diritto internazionale[10].

L’avvio della procedura avanti al Tribunale dell’ICSID avviene mediante il deposito della domanda di arbitrato contenente tutti gli elementi essenziali della domanda stessa, cui segue un breve esame da parte del Segretario Generale per verificare la sussistenza dei presupposti minimi per poter dichiarare, ad una prima analisi, la competenza del Tribunale arbitrale sulla controversia. Svolto tale controllo preliminare il Segretario procede alla nomina del Collegio, che di regola è composto da tre arbitri, sulla base delle indicazioni fornite dalle parti[11], in cui ciascuna sceglie il proprio arbitro e il terzo viene nominato di comune accordo.

Una volta completata la procedura di nomina degli arbitri, il Collegio giudicante verifica che sussistano i requisiti previsti dall’art. 25 della Convenzione[12] per poter decretare la propria giurisdizione, ossia deve trattarsi di una controversia che: a) deve avere ad oggetto una questione giuridica; b) avere ad oggetto un investimento; c) l’investimento deve essere stato effettuato da un cittadino di uno Stato contraente in un altro Stato contraente; d) le parti devono avere preventivamente accettato la giurisdizione ICSID.

Il primo requisito per poter ritenere sussistenze la giurisdizione del Tribunale ICSID richiede che la controversia abbia per oggetto una questione giuridica, ossia «any legal dispute», senza tuttavia fornire una definizione precisa della stessa. Si è ritenuto che l’espressione debba essere interpretata come ogni controversia relativa a un “conflitto di diritti” e non un mero contrasto di interessi.[13]

Il secondo requisito prevede che la questione controversa abbia per oggetto un “investimento” internazionale, la cui corretta definizione ha dato origine a vari dubbi interpretativi. Nel definire il concetto di “investimento” di grande importanza è risultata essere la sentenza Salini[14], in cui è stato enucleato il c.d. “test Salini”, secondo cui costituirebbe investimento l’operazione che: a) comportasse un apporto di capitali; b) fosse durevole nel tempo; c) che determinasse la partecipazione ai rischi da parte dell’investitore, d) che fosse tale da fornire un contributo allo sviluppo economico del Paese ospite.

Il test Salini ha certamente costituito un innegabile punto di riferimento nell’individuazione degli investimenti rilevanti ai fini dell’affermazione della giurisdizione dell’ICSID, ma non ha potuto dirimere tutti i nodi interpretativi sulla effettiva definizione, anche perché, come vedremo più attentamente in prosieguo, i criteri individuati nel caso Salini non sono ad oggi ritenuti vincolanti[15]. In tal senso il concetto di investimento risulta essere ancora in evoluzione ed è possibile individuare in dottrina posizioni contrastanti, tra coloro che circoscrivono il concetto di investimento ai property rights, ossia ai diritti patrimoniali degli stranieri[16] e coloro che escludono la possibilità di fornire una definizione unitaria di “investimento”, dovendosi attribuire significati diversi a seconda degli scopi specifici perseguiti nel caso specifico[17].

Forse l’assenza di una definizione espressa di “investimento” nella Convenzione ICSID rispecchia la duplice esigenza di non limitare, da un lato, in modo eccessivamente restrittivo la giurisdizione del Tribunale arbitrale e, nel contempo, di mantenere quella flessibilità necessaria per non determinare vuoti di tutela per gli investitori. 

Terzo requisito prevede che la controversia veda contrapposti uno Stato contraente della Convenzione e un privato appartenente ad un altro Stato contraente, in cui il concetto di “Stato” in diritto internazionale va inteso in senso ampio, poiché sono da ritenersi tali gli enti pubblici; oppure i dipendenti che esercitino delle funzioni per conto dello Stato; nonché le divisioni amministrative quali, a titolo esemplificativo, gli enti territoriali.

Per quanto concerne i soggetti privati essi possono essere sia persone fisiche sia persone giuridiche[18].

Ultimo requisito è il rilascio del consenso delle parti alla controversia, considerato essenziale trattandosi di una procedura arbitrale, da rendersi per iscritto e, una volta prestato, non può essere ritirato unilateralmente dalle parti[19].

La Convenzione non fornisce indicazioni sulle modalità con cui tale consenso debba essere espresso. Per diverso tempo la prassi è stata quella di inserire il consenso direttamente nei contratti di investimento conclusi tra lo Stato ospite e l’investitore straniero.

In un secondo momento l’evoluzione giurisprudenziale ha ritenuto valido ed efficace il consenso risultante da una legge interna dello Stato ospitante in cui fosse riportato un riferimento a vari sistemi di risoluzione delle controversie, tra cui anche il sistema delineato dall’ICSID. Pertanto, anche in assenza di un consenso espresso, il Tribunale arbitrale ha qualificato la previsione della normativa interna come idonea accettazione della giurisdizione ICSID[20].

Analogamente, in altra occasione[21] il Tribunale arbitrale ha ritenuto sussistente il consenso alla procedura arbitrale inserito in una clausola contenuta nel Bilateral Investment Treaty, (Trattato Bilaterale sulla protezione degli investimenti, c.d.BIT), stipulato tra gli Stati coinvolti nel caso specifico, ovvero in una convenzione internazionale in genere conclusa tra uno Stato importatore ed uno esportatore di capitale, finalizzati a promuovere l’investimento diretto del capitale stesso. Si tratta di un accordo quadro che non si limita al singolo investimento, bensì pone in capo agli Stati una serie di obblighi per garantire quello che viene definito un trattamento “giusto ed equo” degli investitori stranieri. Oltre a determinare la nascita di obbligazioni in capo agli Stati contraenti, difatti, frequentemente i BIT contengono anche clausole compromissorie per la risoluzione delle relative controversie tramite procedure arbitrali ICSID[22]. Nel caso Abaclat and Others la giurisdizione dell’ICSID è stata fondata proprio sulla sottoscrizione del BIT tra Italia e Argentina avvenuto il 22 maggio 1990[23].

Altra caratteristica essenziale delle procedure arbitrali ICSID riguarda le sentenze rese dal Collegio arbitrale, che sono assimilabili ad una “decisione finale” resa da una Corte statale. L’inosservanza di una decisione ICSID non determina solo riflessi negativi sulla reputazione di uno Stato in termini di affidabilità, bensì può limitare l’accesso dello Stato inadempiente ai finanziamenti della Banca Mondiale, in quanto il rispetto degli obblighi internazionali da parte dello Stato, tra cui rientra anche il dovere di dare esecuzione alle sentenze rese dall’ICSID, è una delle condizioni per beneficiare del supporto economico della Banca Mondiale stessa[24].

Infine, è importante ricordare che la scelta di ricorrere alla procedura ICSID è alternativa ed esclusiva, in quanto adire le Corti arbitrali previste dalla Convenzione di Washington preclude la possibilità di esperire qualsiasi altro strumento di risoluzione delle controversie[25].

In tal modo si è consentito di “depoliticizzare” le controversie in materia di investimenti[26] internazionali, affrancandole dalla poco efficiente tutela diplomatica, oltre che a garantire una maggiore certezza del diritto.

La decisione del Tribunale arbitrale nel caso Abaclat era fortemente attesa, poiché nel caso in cui l’Argentina fosse stata condannata a risarcire gli obbligazionisti italiani, un eventuale inadempimento dello Stato, eventualmente determinato anche dalle gravi contingenze economico – finanziarie del momento[27], avrebbe potuto determinare la perdita dell’appoggio finanziario della Banca Mondiale.

4. Il caso “Abaclat and Others v. Argentine Republic” e la nozione di “investimento” internazionale

Come più volte ricordato il cosiddetto “lodo Abaclat”[28] rappresenta, una delle pronunce più significative degli ultimi anni in tema di giurisdizione ICSID.

Attraverso il ricorso all’ICSID, gli investitori titolari degli strumenti di debito pubblico argentini hanno lamentato la violazione da parte dell’Argentina degli standard sostanziali di tutela previsti dal Trattato Bilaterale sulla protezione degli investimenti, il Bilateral Investment Treaty (BIT) prima citato.

Come già ricordato, la rilevanza del cosiddetto lodo Abaclat, oltre alla considerevole portata economica della controversia, risiede nel fatto che per la prima volta il Tribunale dell’ICSID ha dichiarato la propria competenza in caso di default di uno Stato per il mancato pagamento di un debito sovrano, attraverso un’interpretazione estensiva del concetto di “investimento” previsto sia dall’art. 1 del citato trattato BIT Italia-Argentina del 1990, sia dall’art. 25 della Convenzione di Washington del 1965.

Inoltre, sempre per la prima volta, il Tribunale arbitrale ha enunciato l’ammissibilità di un’azione collettiva dei ricorrenti nei confronti dell’ICSID, superando il silenzio delle disposizioni del BIT e della Convenzione ICSID in merito a tale possibilità.

Senza ripercorrere nuovamente il contesto storico, basti ricordare che nel corso del 2006 più di 180.000 detentori italiani di titoli di credito sui bonds argentini, cosiddetti “holdout creditors”, avevano conferito mandato alla Task Force Argentina per presentare ricorso arbitrale all’ICSID nei confronti dello Stato latinoamericano.

Dopo l’offerta di ristrutturazione del 2010 il procedimento in origine registrato come “caso Beccara” è proseguito per circa 60.000 ricorrenti e da allora è conosciuto come “Abaclat and Others v. Argentina”.

Il 4 agosto 2011, il Tribunale arbitrale ha deciso a maggioranza sulla competenza e sull’ammissibilità del ricorso presentato dagli obbligazionisti rappresentati dalla TFA[29], respingendo le molteplici eccezioni in tema di giurisdizione[30] sollevate dallo Stato convenuto.

La vicenda ha presentato svariati profili di interesse ma due sembrano essere le questioni maggiormente significative e innovative, riprese poi anche in successivi procedimenti arbitrali innanzi all’ICSID[31]: la nozione di “investimenti internazionali” accolta dal Tribunale arbitrale in quest’occasione, e l’ammissibilità di un’azione collettiva avanti al Tribunale dell’ICSID.

In primis, il Tribunale arbitrale è stato chiamato a valutare se i titoli detenuti dai ricorrenti rientrassero o meno nella nozione di “investimento” prevista dall’art. 1, lett. c, del BIT Italia-Argentina[32], ossia se potessero rientrare tra gli assets dotati di carattere finanziario, e, in secondo luogo, se gli stessi titoli potessero essere considerati “investimenti” anche ai sensi dell’art. 25 della Convenzione ICSID[33], che fornisce l’elenco dei requisiti per ritenere sussistente la giurisdizione del Tribunale arbitrale. Tra questi, come anticipato, la Convenzione chiede che la controversia abbia ad oggetto una questione giuridica in tema di “investimento” senza, tuttavia, fornire alcuna definizione normativa in merito[34].

Per dare adeguata risposta al primo quesito, ossia se i bonds potessero essere considerati “investimenti” ai sensi dell’art. 1 del BIT, il Tribunale ha affrontato la problematica attraverso una serie di passaggi logici.  Per prima cosa il Collegio è stato concorde nel ritenere che i bonds emessi dallo Stato argentino fossero a tutti gli effetti “investimenti” in quanto coincidenti con gli assets aventi carattere finanziario di cui all’art. 1 del BIT[35].

Maggiormente problematico è stato individuare la configurazione giuridica dei diritti degli investitori sui predetti bonds, i c.d. security entitlements. In primo luogo, il Collegio arbitrale si posto il problema di qualificare l’operazione finanziaria realizzata nell’attività di collocamento dei bonds sui mercati internazionali. Ciò in quanto l’operazione economica di cessione, di regola, si scinde in una prima fase di vendita degli strumenti finanziari sul cosiddetto “mercato primario”, con cui lo Stato emittente distribuisce i prodotti finanziari a Banche o ad altri intermediari finanziari, i quali possono, a loro volta, trattenerli o rivederli ai clienti retail collocandoli, in tale caso, sul mercato secondario. Il Collegio ha affermato che qualificare l’operazione di cessione dei titoli sul mercato primario e secondario come operazione unitaria o, viceversa, come due operazioni distinte, avrebbe inciso sulla possibilità di qualificare i diritti degli investitori sui bonds come “investimenti” ai sensi dell’art. 1 del BIT.

Sul punto il Tribunale si è pronunciato a maggioranza, optando per una soluzione antitetica rispetto alla Dissenting opinion dell’arbitro argentino, il Professor Abi-Saab. Ad opinione del Presidente e dell’arbitro italiano, difatti, l’operazione finanziaria di cessione e collocamento dei bonds sul mercato primario e secondario, doveva essere qualificata come operazione unitaria, in quanto l’emissione di titoli di debito pubblico è di regola sempre finalizzata alla collocazione degli stessi sul mercato secondario.[36] Di contro l’arbitro argentino aveva sostenuto che le due operazioni dovessero ritenersi distinte, in quanto la collocazione dei titoli sul mercato secondario era da considerarsi momento non necessario bensì meramente eventuale dell’operazione finanziaria. Inoltre, a parere dell’arbitro argentino, sarebbe mancato anche il collegamento territoriale richiesto sia dal BIT sia dalla Convenzione ICSID tra i security entitlements e lo Stato emittente (Argentina), il quale non sarebbe stato coinvolto, come invece avviene nella fase di cessione sul mercato primario, nell’operazione di vendita, venendo così meno anche le eventuali responsabilità dello stesso Stato verso gli investitori[37].

Tutto ciò predetto, nonostante l’opinione contraria dell’arbitro argentino, il Tribunale ha configurato l’operazione finanziaria descritta come operazione unitaria e, pertanto, pienamente rientrante nella nozione di investimento di cui all’art. 1 del BIT.

Inoltre, il Collegio ha ritenuto requisito imprescindibile, nonostante la genericità della norma sul punto, il fatto che i titoli fossero qualificabili come “investimenti” sia ai sensi dell’art. 1 del BIT, sia ai sensi dell’art. 25 della Convenzione di Washington, e che tale accertamento dovesse avvenire secondo il cosiddetto double-barrelled test, ossia, verificando che l’operazione finanziaria posta in essere potesse rientrare in entrambe le definizioni di “investimento” previste dal BIT e dalla Convenzione ICSID[38].

Anche su questo aspetto il Tribunale si è pronunciato a maggioranza, concludendo che i titoli di debito pubblico fossero a tutti gli effetti investimenti anche ai sensi della Convenzione ICSID. Ancora di contrario avviso si è mostrato, difatti, l’arbitro argentino affermando nella propria Dissenting opinion che l’art. 25 della Convenzione non potesse essere interpretato in chiave eccessivamente elastica, dovendosi invece individuare il c.d. intrinsic meaning del termine “investimento”. Secondo l’arbitro argentino, il silenzio della norma sarebbe stato colmato dall’attività giurisprudenziale che nel tempo aveva contribuito a definire i margini e i limiti del concetto di “investimento” di cui all’art. 25 della Convenzione. Nello specifico, una delle sentenze più significative sul punto, come ricordato in apertura, è quella emessa nel caso Salini[39], in cui il Collegio ha formulato il c.d. “test Salini”[40], a fronte del quale un investimento sarebbe tale solo ove rispettasse tutti i requisiti previsti dai parametri ivi indicati, ovvero la compresenza di quattro elementi fondamentali: 1) l’apporto di capitali; 2) il carattere durevole dell’operazione; 3) la presenza di un fattore di rischio per l’investitore; 4) il contributo allo sviluppo economico del Paese ospite.

A parere dell’arbitro nominato dall’argentina, tuttavia, i bonds non avrebbero rispettato tutti i requisiti stabiliti dal predetto test, soprattutto considerando la natura strettamente finanziaria delle operazioni sottostanti, per cui non sarebbe stato possibile riscontrare un effettivo collegamento territoriale con lo Stato argentino, né individuare con assoluta certezza l’effettivo beneficio dagli stessi procurato allo sviluppo economico del Paese.

Impostazione opposta quella assunta dal Tribunale a maggioranza, il quale ha fatto propria un’interpretazione estensiva del concetto di “investimento”, svincolandosi dai più rigidi criteri adottati dalla giurisprudenza nel casoSalini, affermando che il suddetto test aveva certamente fornito un importante parametro di riferimento nell’individuazione di un “investimento”, ma che i requisiti indicati non dovevano considerarsi tassativi.

Inoltre, il Tribunale ha affrontato l’ulteriore problema relativo al collegamento territoriale con lo Stato ospite, ritenuto insussistente per l’arbitro argentino, affermando che essendo i bonds investimenti aventi natura finanziaria, essi dovevano rispondere per loro natura a regole diverse rispetto agli investimenti prettamente economici. Difatti, nell’individuare il luogo e/o i soggetti che di tale investimento in concreto avrebbero beneficiato, non si doveva avere riguardo al luogo in cui materialmente la transazione era avvenuta, bensì al luogo in cui, in ultima analisi, i fondi derivanti dall’acquisto dei bonds sarebbero stati materialmente destinati e impiegati. A parere del Presidente e dell’arbitro nominato dall’Italia, non vi era dubbio che tali fondi fossero stati destinati all’Argentina, soprattutto poiché non si poteva ignorare il fatto che scopo primario sotteso all’emissione di tali titoli di debito, fosse stato proprio quello di contribuire alla ristrutturazione economico-finanziaria del Paese argentino, risultando quindi innegabile il contributo fornito dagli stessi allo sviluppo dello Stato latinoamericano e il conseguente collegamento territoriale con lo stesso[41].

In ultimo, il Tribunale ha altresì sottolineato che escludere tali strumenti finanziari dalla disciplina della Convenzione ICSID sarebbe stato contrario allo scopo della Convenzione stessa, tesa ad incoraggiare e tutelare gli investimenti internazionali. Tale diniego avrebbe determinato un vuoto di tutela per i contraenti i quali avevano chiaramente inteso proteggere i propri investimenti finanziari attraverso la sottoscrizione del BIT.

5. Il caso “Abaclat and Others” e l’ammissibilità di un’azione collettiva in arbitrato ICSID

La seconda ed innovativa questione sollevata nel caso Abaclat, è stata quella relativa l’ammissibilità di un’azione collettiva davanti al Tribunale dell’ICSID, c.d collective claim, in quanto la TFA aveva presentato il ricorso in rappresentanza di migliaia di obbligazionisti. Si è trattato, tuttavia, di una scelta processuale senza precedenti poiché in merito all’ammissibilità di una tale azione collettiva, né il BIT né la Convenzione ICSID fornivano alcuna indicazione normativa.

L’esame della questione è stata preceduta dalla qualificazione da parte del Tribunale, sempre a maggioranza[42], della domanda degli attori come treaty claims[43], ossia come domanda fondata sulla violazione del citato Trattato Bilaterale tra Italia e Argentina (ulteriore requisito imprescindibile affinché si potesse ritenere sussistente la competenza del Tribunale ICSID).

Di contrario avviso anche in questo caso l’opinione dell’arbitro argentino il quale riteneva corretto configurare le pretese degli obbligazionisti come contractual claims, ossia istanze fondate sulla violazione di mere clausole contrattuali relative ai soli rapporti tra gli investitori e i singoli intermediari nazionali e, pertanto, non ricomprese nell’ambito di protezione del BIT. Ciò in quanto l’arbitro argentino mirava a far dichiarare l’insussistenza della giurisdizione del Tribunale ICSID ma senza successo, in quanto il Collegio a maggioranza ha ritenuto che l’Argentina non fosse stata inadempiente rispetto a mere clausole contrattuali, bensì che avesse posto in essere atti di natura tipicamente sovrana, espressione del proprio potere d’imperio, integranti violazioni del Trattato Bilaterale.

Gli attori rappresentati dalla TFA, difatti, lamentavano la violazione da parte dell’Argentina degli standard minimi di tutela previsti dal BIT, per il mancato pagamento del capitale e degli interessi pattuiti a scadenza e per l’aver provveduto unilateralmente alla ristrutturazione del debito estero e alla sospensione dei pagamenti dovuti. Si lamentava, pertanto, la violazione da parte dell’Argentina del c.d. “trattamento giusto ed equo” previsto dall’art. 2, par. 2 del BIT[44] secondo il quale ciascuna Parte Contraente deve impegnarsi ad assicurare un trattamento “giusto ed equo” in relazione agli investimenti effettuati dagli investitori dell’altra Parte Contraente. Ciascuna delle Parti Contraenti, inoltre, deve astenersi dall’adottare provvedimenti ingiustificati o discriminatori che ledano la gestione, il mantenimento, il godimento, la trasformazione, la cessazione e la liquidazione degli investimenti effettuati nel suo territorio da investitori dell’altra Parte Contraente.

In particolare, secondo gli obbligazionisti l’Argentina sarebbe stata responsabile di aver collocato sui mercati internazionali prodotti finanziari qualificati da diverse agenzie di rating come altamente speculativi già diversi anni prima della dichiarazione di default[45].

Tutto ciò predetto, secondo il Tribunale, che anche su questo punto si è pronunciato a maggioranza a fronte dell’opinione ancora dissenziente dell’arbitro argentino[46], il silenzio del BIT e della Convenzione non doveva essere interpretato come un diniego di ammissibilità di azioni collettive, bensì solo come una mera lacuna colmabile da parte del Tribunale stesso attraverso l’esercizio del proprio potere di regolare ogni aspetto della procedura non espressamente disciplinato dalla Convenzione, dal regolamento arbitrale o da qualsiasi altra norma concordata dalle parti[47]. A parere del Collegio, l’ammissibilità di un’azione collettiva si sarebbe dovuta giustificare anche sulla base della tipologia stessa dell’investimento, il quale per sua natura sarebbe stato idoneo a coinvolgere una molteplicità di investitori. Inoltre, hanno affermato gli arbitri, negare l’ammissibilità di un’azione collettiva avrebbe determinato un diniego di giustizia per una molteplicità di obbligazionisti le cui domande e i cui interessi erano da considerarsi identici o, comunque, sufficientemente omogenei da giustificare un’azione di massa. Non potendosi dimenticare, inoltre, che al tempo della stesura delle suddette norme, ancora non erano conosciute forme di azioni collettive tese a tutelare una pluralità di soggetti titolari di diritti tra loro omogenei. E’ stata l’esperienza giuridica moderna a determinare la diffusione di tali strumenti di tutela collettiva, nel tentativo di dare congrua ed efficiente risposta alla progressiva evoluzione dei rapporti giuridici ed economici.

Pertanto, a parere del Collegio, l’assenza di una previsione normativa specifica non doveva essere interpretata come una dichiarazione implicita di inammissibilità di azioni collettive nei confronti del Tribunale dell’ICSID, dovendosi invece lasciare spazio a valutazioni di giustizia sostanziale.

Il Tribunale, ha altresì precisato che la fase processuale in oggetto era tale da consentire solo un esame sommario della posizione giuridica degli innumerevoli soggetti coinvolti e che un’analisi più approfondita delle singole posizioni sarebbe stata possibile solo nella successiva fase di merito. Tutto ciò senza ignorare, tuttavia, una delle principali obiezioni sollevate dall’arbitro argentino, ossia il fatto che ammettere tale forma di azione collettiva avrebbe determinato una sorta di contrazione del diritto di difesa in danno dell’Argentina, la quale non avrebbe potuto compiutamente sviluppare argomenti difensivi basati sulla posizione di ciascun ricorrente.

A tale osservazione il Collegio ha replicato che gli stessi obbligazionisti non avrebbero potuto far valere i propri diritti e le proprie pretese con lo stesso livello di approfondimento di un giudizio ordinario. Tuttavia, ha continuato il Collegio, negare l’ammissibilità della suddetta azione collettiva avrebbe determinato un diniego di giustizia ancora superiore, a fronte di tutte le considerazioni precedentemente riportate, senza dimenticare che per molti investitori sarebbe stato impossibile sostenere i costi di un giudizio individuale davanti alla Corte arbitrale. Per tali ragioni, sarebbe stato compito del Tribunale operare gli adattamenti necessari alla procedura arbitrale per decidere al meglio l’azione collettiva legittimamente intrapresa dai ricorrenti, nella consapevolezza che sarebbe stato processualmente impossibile analizzare le singole posizioni con lo stesso livello di approfondimento consentito in un giudizio individuale[48].

Queste, alcune delle principali argomentazioni elaborate dal Tribunale dell’ICSID nel decretare la propria competenza in caso di controversie nascenti dal default di uno Stato sovrano, ammettendo un’interpretazione estensiva del concetto di “investimento” e svincolandosi dai più rigidi criteri adottati dalla giurisprudenza precedente. Tale interpretazione estensiva, come altri principi innovativi sanciti nel lodo Abaclat, potranno costituire un’importante linea guida anche per future controversie instaurate avanti al Tribunale arbitrale[49].

6. Conclusioni

Il lodo Abaclat ha concluso la fase giurisdizionale della controversia, cui è seguita la fase di merito della procedura, costellata dallo svolgimento di una complessa istruzione probatoria e da una serie di arresti processuali e tentativi di rinvio azionati da parte dello Stato argentino[50].

Dopo varie interruzioni e ostacoli processuali, i consulenti legali degli obbligazionisti italiani e della Repubblica Argentina hanno depositato le rispettive memorie riassuntive dell’udienza finale che si è svolta a Washington nel mese di giugno 2014.

La controversia è durata diversi anni e l’esito finale era fortemente atteso.

Come ricordato il 21 aprile 2016 a New York è stato concluso l’accordo tra il Ministero del Tesoro e della Finanza Pubblica della Repubblica Argentina e la TFA, secondo cui entro breve tempo (le prime notizie dicono a fine giugno) i ricorrenti del caso Abaclat and Others, una volta aderito formalmente all’accordo[51], dovrebbero recuperare il 150% del valore nominale delle azioni acquistate a suo tempo, con conseguente definizione in via transattiva della controversia arbitrale e rinuncia a qualsiasi altra azione verso lo Stato latinoamericano.

L’intesa raggiunta tra Argentina e TFA rappresenta la conclusione di una complessa trattativa sfociata in un accordo preliminare sottoscritto a New York il 31 gennaio 2016 e successivamente approvato dal Congresso argentino.

Al fine di far fronte agli obblighi risarcitori pare sia stato istituito un deposito fiduciario destinato esclusivamente agli obbligazionisti italiani che avevano presentato ricorso avanti al Tribunale dell’ICSID nel caso Abaclat and Others V. Argentine Republic (ICSID case No. ARB707/5), nonché a coloro che avevano fatto valere i propri diritti dinnanzi alla Corte distrettuale degli Stati Uniti per il distretto meridionale di New York e in altre giurisdizioni. Pertanto, dai benefici dell’accordo siglato resteranno esclusi gli investitori che negli anni avevano accettato le proposte di conversione in titoli di nuova emissione promosse dall’Argentina.

L’accordo rappresenta un momento fondamentale per l’Argentina e si inserisce nell’ambito di una politica tesa a sanare i rapporti del Paese con i creditori e con i mercati internazionali.

 Oltre alla innegabile rilevanza dell’accordo per lo Stato argentino e per gli obbligazionisti interessati, auspicando che vada a buon fine, la vicenda dei Tango Bonds, per tutte le ragioni processuali e sostanziali ricordate, costituisce un precedente di innegabile rilevanza anche per future controversie relative ad investimenti internazionali e al fallimento di un debito sovrano, situazione purtroppo non così difficile da immaginare in un contesto economico-finanziario come quello odierno.



[1] La TFA è una associazione non riconosciuta di diritto italiano formata da un gruppo di 436 banche italiane. Tra gli investitori italiani rappresentati dalla TFA vi sono persone fisiche, persone giuridiche, enti collettivi e associazioni non riconosciute prive di personalità giuridica. Gli investitori sono titolari di obbligazioni sul debito argentino emesse sui mercati finanziari internazionali, denominate in valuta estera.

[2] Abaclat and Others v. Argentine Republic, ICSID Case No. ARB/07/5, inwww.italaw.com.

[3] Per una compiuta ricostruzione della vicenda processuale si può consultare il sito www.tfargentina.it; per la lettura integrale dei provvedimenti emessi dal Tribunale ICSID, www.italaw.com.

[4] Abaclat and Others v. Argentine Republic, ICSID Case No. ARB/07/5, 4 agosto 2011, in www.italaw.com.

[5] Cfr. il caso Ambiente Ufficio S.p.a., Decision on Jurisdiction and Admissibility, ICSID Case No. ARB/08/9, 8 febbraio 2013 in www.italaw.com. Un altro procedimento arbitrale è Giovanni Alemanni and Others v. Argentina, ICSID case n. ARB/07/08.

[6] L’ICSID è un’organizzazione internazionale che tuttavia presenta una struttura particolare, essendo composto da un Consiglio di Amministrazione del quale fanno parte i rappresentanti di tutti gli Stati aderenti, nonché il presidente della Banca Mondiale e un Segretario Generale, che rappresenta l’organo di riferimento per quanto concerne la gestione delle controversie. Si sottolinea che queste sono le uniche strutture permanenti, in quanto le commissioni di conciliazione e i tribunali arbitrali sono creati ad hoc in funzione della controversia che devono risolvere.

[7] AA.VV., La grande crisi, Milano, 2008.

[8] Cfr. sul punto M.R. MAURO, voce Investimenti stranieri, in Enciclopedia del diritto, 2011, p. 629. In questo contesto si era manifestata la necessità di fornire uno strumento di risoluzione delle controversie più efficiente e che consentisse maggiori garanzie di tutela agli investitori.

[9] Si noti, inoltre, che l’attivazione della tutela diplomatica tradizionalmente è consentita solo in via residuale, una volta esauriti i rimedi disponibili presso le corti domestiche, cfr. CHRISTOPH SCHREUER, Investments, International Protection, in Max Planck Encyclopedia of Public International Law, gennaio 2011: “The traditional method for the settlement of disputes between States and foreign investors is resort to domestic courts followed by diplomatic protection after the exhaustion of local remedies.”

[10] Per completezza si evidenzia che l’ICSID non svolge le funzioni di vera e propria Corte, esercitando, di contro, una funzione affine a quella di una cancelleria, promuovendo la risoluzione delle controversie tra privati investitori e Stati stranieri attraverso la costituzione di commissioni di conciliazione o tribunali arbitrali ad hoc. La Convenzione di Washington prevede infatti due tipi di procedure: la conciliazione e l’arbitrato.

La conciliazione si concretizza attraverso la costituzione di una commissione che verifica i fatti oggetto della controversia, sollecitando il raggiungimento della soluzione ma senza poter emanare provvedimenti vincolanti, il che spiega il perché la stessa tenda a svolgere solo una funzione marginale.

[11] Le parti possono scegliere gli arbitri all’interno e all’esterno del c.d. Panel of arbitrators, ossia la lista di arbitri fornita da ogni singolo Stato.

[12] Articolo 25, co. 1 Convenzione di Washington secondo cui «rientrano nella competenza del Centro le controversie di natura giuridica, tra uno Stato Contraente (o ente pubblico od organismo dipendente dallo Stato stesso, che esso indica al Centro) e il cittadino di un altro Stato Contraente, le quali siano in relazione diretta con un investimento e che le parti abbiano consentito per iscritto di sottoporre al Centro. Quando le parti hanno dato il loro consenso, nessuna di esse può ritirarlo unilateralmente».

[13] Sul punto, S.V. il Rapporto dei Direttori esecutivi della Banca Mondiale (Report of the Executive Directors on the Convention on the Settlement of investment Disputes between States and Nationals of Other States, 18 marzo 1965) un documento esplicativo della Convenzione di Washington. Il paragrafo 26 del Rapporto afferma che “the expression “legal dispute” has been used to make clear that while conflicts of rights are within the jurisdiction of the Centre, mere conflicts of interests are not. The dispute must concern the existence or scope of a legal right or obligation, or the nature or extent of the reparation to be made for breach of a legal obligation”, in https://icsid.worldbank.org/ICSID/ICSID/RulesMain.jsp.

[14] Caso “Salini Costruttori S.p.A. e Italstrade S.p.A. v. Kingdom of Marocco”, in International Legal Materials, 2003, 609 – 624e in www.italaw.com. La controversia richiamava il BIT Italia – Marocco del 1990, reperibile in http://investmentpolicyhub.unctad.org.

[15] In tal senso M.R. MAURO, op. cit., 644.

[16] Sul punto si veda M.R. MAURO, op. cit., 644.

[17] S.V. J. CARREAU, Droit International économique, Parigi, 2010, p. 417 – 439.

[18] Quanto alla nazionalità delle persone fisiche, essa generalmente non genera difficoltà particolarmente significative, identificandosi con la cittadinanza del soggetto, salvo le ipotesi di doppia cittadinanza, poiché il privato ha facoltà di ricorrere al Tribunale ICSID purché la seconda cittadinanza non sia quella dello stato ospite dell’investimento. Dispone in tal modo l’art. 25, comma 2, lett. a) della Convenzione.

[19] S.V. inoltre il preambolo della Convenzione ove si legge “no Contracting State shall by the mere fact of its ratification, acceptance or approval of this Convention and without its consent be deemed to be under any obligation to submit any particolar dispute to conciliation or arbitration". Pertanto, tutti gli stati firmatari devono rendere un adeguato consenso in relazione a una specifica controversia.

[20] S.V. sul punto Southern Pacific Properties (Middel East) Ltd. and Southern Pacific Properties Ltd. (Honk Kong) v. Arab Republic of Egypt, 27 novembre 1985, reperibile in https://icsid.worldbank.org.

[21] S.V. Asian Agricultural Products Ltd. (AAPL) v. Republic of Sri Lanka”, 27 giugno 1990, reperibile in http://investorstatelawguide.com/

[22] Cfr. M. MAGILLO, L’arbitrato in materia di investimenti. Convenzione di Washington. ICSID. in G. Iudica, Appunti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2011, 187.

[23] Trattato bilaterale Italia-Argentina, sottoscritto il 22 maggio 1990, reperibile su sito www.italaw.com e sul sito http://www.sice.oas.org/.

[24] P. Bernardini, La circolazione delle sentenze rese in base alla Convenzione di Washington, in Dir. comm. internaz., fasc.1, 2012, pag. 3, il quale alla nt. 7 ricorda che in base alla giurisprudenza di vari Paesi la condanna dello Stato a risarcire l'investitore può essere soddisfatta non solo sui beni dello Stato ma anche sui beni di una entità statale che, pur godendo di separata personalità giuridica e di un proprio patrimonio, sia a tal punto dominata dallo Stato da risultare priva di qualsiasi autonomia gestionale e finanziaria. È questo il caso, in Francia, di una entità che, per queste caratteristiche, è considerata come «émanation de l'Etat» mentre la giurisprudenza dei Paesi di common law parla di «State instrumentality».

[25] Cfr. art. 26 e 27 della Convenzione di Washington.

[26] In tal senso M.R. MAURO, op. cit, p. 631.

[27] La situazione economico-finanziaria in cui versava l’Argentina nel corso del procedimento arbitrale è stata spesso considerata molto critica, al punto che si è più volte parlato di un secondo default dello Stato latinoamericano. Per affrontare la crisi precedente vennero infatti avviate trattative per arrivare alla cosiddetta “ristrutturazione del debito”. Nel 2005 e nel 2010 vennero emessi nuovi titoli di stato “scontati” – cioè con rendimenti inferiori e con scadenza più lunga, trentennale – offrendoli ai creditori. Pur di limitare le perdite, lo scambio fu accettato dal 92,4% degli investitori, mentre il 7,6% degli obbligazionisti rifiutò. Alcuni creditori ricorsero alla giustizia statunitense. In alcune occasioni la Corte suprema americana ha dato loro ragione, affermando che i possessori di titoli di stato argentini che non avevano accettato la ristrutturazione del debito successiva al default del 2001 dovevano essere rimborsati al cento per cento. La cifra da pagare corrisponderebbe appunto, a 1,33 miliardi di dollari che l’Argentina non era intenzionata a pagare. Nel frattempo, anche la moneta aveva subito diverse svalutazioni rispetto al dollaro, aggravando la situazione economica complessiva. S.V. tra i tanti contributi in merito www.ilsole24ore.com.

[28] Abaclat and Others v. Argentine Republic, ICSID Case No. ARB/07/5, cit.

[29] In orgine il Tribunale era composto dal Presidente Robert Briner; il Prof. Abi – Saab nominato dall’Argentina e Albert Jan van den Berg nominato dalla TFA. Nel 2009 il Presidente è stato sostituito da Pierre Tercier.

[30] S.V. sul punto J. Bess und Chrostin, Sovereign Debt Restructuring and Mass Claims Arbitration before the ICSID, Tha Abaclat Case, in Harvard International Law Journal , 53, n. 2, 2012, 507 e ss.

[31] Cfr. il caso Ambiente Ufficio S.p.a., Decision on Jurisdiction and Admissibility, ICSID Case No. ARB/08/9, 8 febbraio 2013 in, cit.

[32] Trattato bilaterale Italia-Argentina, sottoscritto il 22 maggio 1990, cit.

[33] Art. 25 Icsid Convention Regulation and Rules, reperibile sul sito icsid.worldbank.org.

[34] Sulla nozione di “investimento” S.V. M.R. Mauro, voce “Investimenti stranieri”, cit. e ss.

[35] Cfr. Art. 1 del BIT Italia-Argentina, cit.

[36] Cfr. Abaclat and Others v. Argentine Republic, Decision, cit. par. 359: «Bonds and security entitlements (…) are part of one and the same economic operation and they make only sense togheter».

[37] Cfr. Abaclat and Others v. Argentine Republic,Dissenting opinion, 28 ottobre 2011, in www.italaw.com., par. 118: «the alleged investment is totally free-standing and unhinged without any anchorage, however remote, into an underlying economic project, enterprise or activity in the territory of the host State».

[38] S.V G. Adinolfi e M. Vellano (a cura di), La crisi del Debito Sovrano degli Stati dell'Area Euro, Torino, 2013, pag. 186 e ss.

[39] Salini Costruttori S.p.a. and Italstrade S.p.a. v. Kingdom of Marocco,ICSID case  n. ARB/00/4, cit.

[40] Sulla base di tali parametri nel caso Salini è stato ritenuto “investimento” un contratto di costruzione di una parte dell’autostrada. Cfr. Salini Costruttori S.p.a. and Italstrade S.p.a. v. Kingdom of Marocco, cit.

[41] Cfr. Abaclat and Others v. Argentine Republic, Decision, cit., par. 376 e ss. Sul punto si veda anche G. Adinolfi e M. Vellano (a cura di), La crisi del Debito Sovrano degli staticamente dell'Area Euro, Torino, 2013, pag. 186 e ss.

[42] Per un approfondimento sul punto cfr. G. Adinolfi e M. Vellano (a cura di), La crisi del Debito Sovrano degli Stati dell'Area Euro, cit., 202 e ss.

[43] Una delle principali obiezioni avanzate dall’Argentina alla competenza del Tribunale era che le domande degli attori non fossero dei treaty claims, bensì dei contractual claims, fondate su una base sostanzialmente contrattuale (in forza del mancato pagamento del capitale e interessi dovuti secondo la regolamentazione dei bonds). Pertanto, non avrebbero trovato copertura nel BIT bensì nei contratti stipulati tra le parti e la competenza sarebbe stata devoluta ai giudici o arbitri nazionali. Il Tribunale a maggioranza ha disatteso questa impostazione.

[44] Cfr. art. 2, par. 2 del Trattato Bilaterale Italia – Argentina, cit. S.V. anche art. 3, par. 1 secondo cui «Ciascuna Parte Contraente, nel proprio territorio, accorderà agli investimenti realizzati da investitori dell’altra Parte Contraente, ai redditi ed alle attività connesse con gli investimenti stessi nonché a tutte le altre questioni regolate dal presente Accordo un trattamento non meno favorevole di quello riservato ai propri investitori od a investitori di Paesi terzi»; e l’art. 5 lett. a) del BIT: « a) Ciascuna Parte Contraente si impegna a non adottare provvedimenti che limitino, a tempo determinato od indeterminato, i diritti di proprietà, di possesso, di controllo o di godimento inerenti agli investimenti effettuati da investitori dell’altra Parte Contraente, salvo specifiche disposizioni di leggi, sentenze e decisioni emanate dai competenti tribunali nonché altre disposizioni non discriminatorie di carattere generale destinate a disciplinare le attività economiche».

[45] S.V. sul punto Camera dei Deputati – Commissione Finanze, La diffusione in Italia di obbligazioni pubbliche Argentine, Audizione Informale della Consob, Roma, 27 aprile 2004, in www.consob.it.

[46] Cfr. Abaclat and Others v. Argentine Republic,Dissenting opinion, cit. Molteplici sono state le obiezioni avanzate dall’arbitro argentino, tra queste il fatto che la TFA fosse stata costituita come associazione rappresentativa priva di personalità giuridica mentre ai sensi della Convenzione ICSID, tra i requisiti di giurisdizione del Tribunale si legge che gli enti coinvolti debbano avere personalità giuridica (“juridical person”). Il Collegio ha smentito tale critica, osservando che se da un lato la Convenzione ICSID pare richiedere in capo agli enti la personalità giuridica in senso stretto, è altresì vero che il BIT fornisce una definizione di “persona giuridica” meno restrittiva, idonea a ricomprendere anche gli enti privi di personalità giuridica. S.V. sul punto G. Adinolfi e M. Vellano (a cura di), La crisi del Debito Sovrano degli staticamente dell'Area Euro, cit., 212.

[47] Cfr. Abaclat and Others v. Argentine Republic, Decision, cit., par. 521-523, e art. 44 Convenzione ICSID e art. 19 regolamento arbitrale ICSID.

[48] Sull’ammissibilità dell’azione collettiva nei confronti dell’ICSID S.V. A De Luca, L’arbitrato ICSID e l’azione collettiva: alcune osservazioni a margine della del caso Abaclat, in Riv. Arbitrato, 2012, 211 e ss. Si noti che sotto questo profilo il lodo Abaclat è particolarmente degno di nota, poiché in questo caso il Tribunale ha qualificato l’azione collettiva degli obbligazionisti come “collective actions o mass actions”, con la conseguenza di dover operare adattamenti alla procedura ICSID standard, anche attraverso il ricorso a meccanismi di verifica semplificata del materiale probatorio. Diversamente, nel caso Ambiente Ufficio S.p.a, cit., la Corte ha qualificato le domande degli investitori (circa 90) come procedura arbitrale “multi-parte”, in linea con le procedure ordinarie dell’arbitrato ICSID e, pertanto, non sono stati necessari adattamenti procedurali.

[49] S.V. Ambiente Ufficio S.p.a and Others v. Argentine Republic, cit.

[50] Per una compiuta ricostruzione della vicenda processuale S.V. www.italaw.com e www.tfargentina.com.

[51] Per maggiori dettagli sulle modalità operative di adesione all’accordo da parte degli obbligazionisti S.V. il sito www.tfargentina.it.

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