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I derivati OTC stipulati da enti locali e fondazioni bancarie italiane sono estranei alla applicazione della disciplina Emir?

23 Maggio 2013

Avv. Domenico Gaudiello, socio dello studio legale DLA PIPER, responsabile del dipartimento di Finanza Pubblica

Di cosa si parla in questo articolo

L’attuazione dell’Emir (l’ormai noto Regolamento UE n. 648/2012) ed i relativi standard tecnici (pubblicati sulla GUUE n. 52 del 2013) continua a suscitare dubbi applicativi.

L’Emir divide i soggetti destinatari in due categorie fondamentali: le financial counterparties (comprensive di imprese di investimento) e le non financial counterparties.

Per le seconde, l’applicazione degli obblighi derivanti dall’Emir è graduata in base al raggiungimento di determinate soglie di valori nozionali sottostanti alle operazioni in derivati OTC.

La definizione di non financial counterparties comprende qualsiasi “impresa stabilita nell’Unione Europea” (che non sia né una financial counterparty né uno dei soggetti esentati, ossia i governi, le banche centrali, il Fondo di Stabilità o il Meccanismo Europeo di Stabilità).

Inoltre, sono esentati dall’applicazione: “gli enti del settore pubblico che siano di proprietà delle amministrazioni centrali e usufruiscano di espliciti accordi di garanzia da parte di queste ultime”.

Guardando dalla prospettiva italiana, la definizione dianzi riportata non trova riscontro nelle caratteristiche istituzionali identificative di Regioni, Province e Comuni. Per questo tipo di enti è la stessa Costituzione che prevede la totale autonomia finanziaria ed il divieto di qualunque tipo di garanzia da parte del governo centrale. Allo stato, non sembra cioè che l’esenzione si applichi a tali enti. Al tempo stesso la formulazione attuale di non financial counterparties non sembra contemplarli tra i destinatari. Simili difficoltà sorgono con riguardo alle fondazioni bancarie. Per queste, non sembra di poter dire che ricadano nella nozione di “impresa stabilita nell’Unione Europea”. Eppure si tratta di operatori pienamente inseriti nel mercato finanziario. Possibile escluderli sic et simpliciter?

La disciplina Emir ha introdotto profonde novità nel modo di concepire la negoziazione dei contratti derivati, imponendo rigide regole volte a salvaguardare la trasparenza delle contrattazioni, a conseguire una costante neutralizzazione dei rischi sistemici connessi alla natura aleatoria di questi contratti, a prevenire il propagarsi nel mercato delle conseguenze negative del default di un operatore in derivati.

Se queste sono le finalità principali dell’Emir occorre chiedersi perché alcune entità od operatori (quali le amministrazioni pubbliche o le fondazioni bancarie) debbano esservi esentati. Delle due l’una: o esiste un analogo presidio di tutela e monitoraggio per l’operatività in derivati da parte delle amministrazioni pubbliche e delle fondazioni bancarie (che escluda la necessità di rendere l’Emir applicabile ad esse) o sussistono altre ragioni tali per cui in ogni caso non occorre estendere a dette categorie di soggetti la normativa Emir.

La seconda ipotesi non presenta nessun fondamento appagante né di tipo giuridico né più squisitamente logico. Non si intravvede alcuna ragione per cui le operazioni stipulate da enti pubblici (segnatamente le regioni e gli enti locali) e fondazioni bancarie non debbano conformarsi al regime Emir. Né il legislatore comunitario ha espressamente fatto menzione delle due categorie dei soggetti in esame per escluderle con motivazioni esplicite dall’applicazione dell’Emir.

Se è vero che non c’è una ragione sistematica per escludere enti pubblici e fondazioni bancarie dall’applicazione Emir, è altrettanto vero che non esiste nemmeno un presidio legislativo o istituzionale tale per cui le operazioni stipulate dagli enti locali e dalle fondazioni bancarie sono comunque assoggettate ad una equivalente disciplina di monitoraggio e contenimento del rischio sistemico. Eppure, almeno stando ai dati pubblicamente disponibili, gli enti pubblici territoriali e locali (in uno con le società partecipate locali consolidate nel loro bilancio) hanno operato in derivati (finché era consentito, ossia fino al 24 giugno 2008) e continuano a farlo (almeno le società partecipate, alle quali non si applica il divieto fissato per gli enti locali) su valori nozionali tali da raggiungere le soglie fissate dall’Emir (euro 1 miliardo di nozionale per derivati CSD ed euro 3 miliardi di nozionale per i derivati IRS).

Analoghe considerazioni si applicano alla situazione delle fondazioni bancarie, segnatamente in riferimento all’operatività in derivati aventi un sottostante azionario (essendo questa la loro principale sfera di operatività in derivati).

In presenza di un fenomeno quantitativo considerevole come quello riguardante le amministrazioni pubbliche e le fondazioni bancarie ed in assenza di una disciplina di settore che assoggetti detti enti e fondazioni a regole e obblighi di pari valenza e rigore di quelli introdotti dall’Emir, il legislatore e le autorità di vigilanza italiane (Consob e Banca d’Italia) non possono rimanere inerti.

Il legislatore nazionale non può ignorare che la disciplina Emir ripropone l’annosa questione della esatta identificazione degli enti pubblici e la necessità di fissare un concetto condiviso ed omogeneo di ente pubblico, almeno ai fini della disciplina comunitaria. A ben vedere, il linguaggio utilizzato dal legislatore comunitario tradisce una scarsa familiarità con le peculiarità istituzionali italiane con l’aggravante che la natura self-executing della normativa in esame non contempla al momento strumenti idonei a salvaguardarne la dovuta flessibilità applicativa nei confronti di soggetti italiani che non trovano comune riscontro in altri ordinamenti europei.

La Consob, dal suo canto, non può in particolare trascurare che il novero degli operatori italiani attivi sui derivati è ben più ampio di quelli cui apparentemente si riferisce l’Emir. L’effetto concreto di detta situazione è che per le stesse controparti finanziarie un identico volume di contratti derivati comporta oneri molto diversi a seconda che si trovino o meno di fronte ad un ente pubblico locale (o fondazione bancaria). La disparità che ne consegue non trova però una giustificazione giuridica soddisfacente e può essere solo foriera di un pregiudizio delle precipue finalità di stabilità e trasparenza dell’Emir.

E’ il caso di tornare sul tema con separate e dettagliate analisi circa la natura e i confini di ente pubblico così come delineati dalla copiosa disciplina comunitaria susseguitasi negli ultimi quindici anni.

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