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Approfondimenti

La riforma “organica” delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza: un’analisi tassonomica (con particolare riguardo agli accordi di ristrutturazione del debito)

8 Maggio 2018

Matteo Bascelli, Partner, CBA Studio Legale e Tributario

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa – Inquadramento della riforma

Con pochi giorni di anticipo rispetto alla firma del decreto presidenziale del 28 dicembre 2017 che ha formalizzato la fine della XVII legislatura, in data 22 dicembre 2017 sono stati consegnati al Ministro della Giustizia, dal Presidente della Commissione ministeriale appositamente costituita, Dottor Renato Rordorf, gli schemi di due decreti legislativi integranti l’attuazione della Legge 19 ottobre 2017, n. 155, recante la “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza”[1].

Il primo dei suddetti schemi di decreti delegati è destinato a dare vita – in attuazione degli articoli da 1 a 9, nonché 13, 15 e 16 della Legge delega – al “Codice della crisi e dell’insolvenza” il quale, in forza dell’(ultimo) art. 35 delle “Disposizioni per l’attuazione del Codice della crisi e dell’insolvenza, norme di coordinamento e disciplina transitoria” è chiamato ad abrogare – dopo 76 anni di vigenza – l’intero R.D. 16 marzo 1942, n. 267.

Il secondo schema di decreto delegato recante “Modifiche al codice civile” – in attuazione dell’art. 14 della Legge delega – è volto appunto ad apportare, in forza dei suoi 10 articoli, modifiche ad alcune disposizioni del codice civile in materia societaria, tra i quali si menzionano le norme che prescrivono ad ogni tipo di impresa, individuale o collettiva, l’obbligo di istituire assetti organizzativi idonei alla tempestiva rilevazione dei sintomi della crisi, così da poter adottare per tempo le opportune misure atte a prevenirla e a risolverla, nonché l’obbligo di attivarsi immediatamente, al bisogno, utilizzando uno degli strumenti forniti dall’ordinamento per tentare di superare la difficoltà d’impresa[2].

Pur non esaminata e, quindi, non approvata dalla “Commissione Rordorf” per ragioni di tempo, risulta essere stata altresì presentata la proposta di attuazione dell’art. 12 della Legge delega concernente le garanzie in favore di acquirenti di immobili da costruire.

Sempre per ragioni di tempo è stato invece rinviato ad un momento successivo lo schema del decreto di riordino dei privilegi e delle garanzie non possessorie, in attuazione degli articoli 10 e 11 della Legge delega.

Il percorso di approvazione dei menzionati decreti legislativi delegati risulta quanto mai complesso e di non agevole prevedibilità, anche in ragione della nuova (XVIII) Legislatura da poco iniziata, con le connesse attività di nomina dei membri del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati e delle varie Conferenze e Commissioni.

Allo stato, si può solo ricordare che i decreti legislativi in parola devono essere adottati su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali; essi sono successivamente trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, entro il 60° giorno antecedente la scadenza del termine per l’esercizio della delega (ossia, essendo tale ultimo termine il 14 novembre 2018, entro il 14 settembre 2018), per l’espressione dei pareri delle rispettive Commissioni parlamentari competenti per materia e per gli aspetti finanziari, da rendere entro il termine dei successivi 30 giorni (i.e. il 14 ottobre 2018), decorso inutilmente il quale i decreti possono essere comunque emanati.

Ne conseguirebbe che l’iter di approvazione dei suddetti decreti legislativi delegati dovrebbe giungere a conclusione prevedibilmente entro il corrente anno[3].

Sulla base di tale assunto, senza pretesa di esaustività di analisi, si svolgono di seguito alcune osservazioni “a caldo” che emergono alla luce di una prima lettura dei menzionati provvedimenti, con particolare riguardo al testo del “Codice della crisi e dell’insolvenza”, il quale consta di 362 articoli (anche se nella “Relazione di accompagnamento” se ne menzionano “solo” 359)[4], suddiviso in nove Titoli, ripartiti a loro volta in Capi e Sezioni.

Rispetto al dichiarato intento del legislatore delegante di dotare l’intera materia di un’impostazione sistematica[5], da costruirsi mediante principi di applicazione generale declinati nel Titolo I – “Disposizioni generali”, cui fanno seguito nei successivi Titoli disposizioni più specifiche destinate a disciplinare le situazioni meritevoli di ulteriore e diversificata regolazione, stride l’assenza, in particolare nell’emanando Codice, di una rigorosa tassonomia il cui fine, come noto, è quello di presentare un sistema di classificazione che raggruppa tutte le diversità dei singoli organismi (nella fattispecie, delle plurime “procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza”) in unità discrete entro un sistema stabile, sopra le quali sia reso possibile il lavoro dell’interprete e dell’operatore.

Per quanto le norme che regolano la creazione dei sistemi di classificazione siano frutto di convenzioni, come tali arbitrarie, la scelta operata dal legislatore delegante di inserire nel Titolo I, Capo I, art. 2 specifiche definizioni – seguendo un modello di legislazione tipicamente europeo e recentemente anche nazionale – non coglie tuttavia l’obiettivo di rendere univocamente ed inequivocabilmente riferibili ai singoli istituti giuridici le specifiche discipline dettate nel Codice stesso, con effetti nefasti destinati a non restare qui confinati, ma ad estendersi inesorabilmente anche oltre i confini prettamente concorsuali.

In particolare, risulta essere stato pressoché ignorato, nella redazione del Codice, l’utilizzo di una rigorosa nomenclatura (quale sottodisciplina della tassonomia), la cui funzione è quella di applicare correttamente le regole per descrivere e, quindi, per denominare i singoli taxon, con l’obiettivo che ogni organismo (qui, ciascuna “procedura”) possegga un nome corretto e, al contempo, non vi siano due (o più) diversi taxa che portino lo stesso nome.

L’assenza di un sistema di classificazione stabile, ove tutti i taxa siano appropriatamente nominati, non permette conseguentemente di identificare e di determinare correttamente i singoli istituti giuridici e di situarli all’interno di un taxon conosciuto del sistema di classificazione e, come tale, univocamente ed esaustivamente disciplinato.

Le suddette lacune risultano immediatamente rilevabili laddove ci si soffermi a verificare in quanti e quali diversi modi – apparentemente randomici – il Codice fa riferimento ai “procedimenti” e alle “procedure” (sic !) che lo stesso intende disciplinare ex novo.

Con l’obiettivo di rendere più immediatamente comprensibile quanto sinora scritto e poter valutare le conseguenze che ne derivano, si riepilogano di seguito i differenti termini utilizzati nel Codice allorché si fa riferimento ai diversi istituti giuridici di gestione della crisi e dell’insolvenza in esso contemplati.

L’analisi in parola evidenzierà in particolare l’oramai annosa e (ancora) irrisolta questione relativa alla natura degli accordi di ristrutturazione del debito ai sensi dell’art. 182-bis R.D. 267/1942, con le conseguenze che si esporranno.

2. Procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza

Il Codice utilizza la locuzione “procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza” (anche nelle varianti di “procedure regolatrici della crisi e dell’insolvenza” e di “strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza”):

  • nell’articolo 2, n. (17) – definizione di “misure cautelari”, attivabili solo nell’ambito di una vera e propria procedura giudiziale, in quanto emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell’impresa del debitore;
  • nella rubrica dell’articolo 3, laddove nel menzionare le finalità e gli obiettivi del Codice stesso il riferimento è alle “procedure disciplinate dal presente codice”, declinate secondo le distinte fattispecie volte, alternativamente, al superamento della crisi, assicurando in tal caso la continuità aziendale, ovvero alla liquidazione del patrimonio del debitore;
  • nell’articolo 4, comma 4, che sancisce il principio in forza del quale i debitori hanno diritto ad un accesso agevole e non eccessivamente costoso agli “strumenti” in parola;
  • nell’articolo 5, comma 1, con il quale sono stabiliti i doveri delle parti e, in particolare, il comportamento che debitori e creditori debbono tenere nel corso delle stesse (e delle trattative che le precedono);
  • nell’articolo 6, comma 1, ove sono parimenti indicati i doveri dei professionisti;
  • nell’art. 28, comma 1, che introduce per la prima volta le “misure premiali” a favore dell’imprenditore che abbia tempestivamente presentato istanza all’organismo di composizione della crisi ovvero domanda di accesso a una delle “procedure regolatrici della crisi o dell’insolvenza”;
  • negli articoli 41, 43 e 44 (e, più estesamente, nelle rubriche del relativo Titolo III, Capo IV, Sezioni I e II), i quali introducono le regole dell’accesso alle procedure in parola, secondo un procedimento ora volutamente “unitario”, almeno nella fase di relativa instaurazione;
  • nell’articolo 293-bis, dedicato alle domande di accesso alle procedure in commento da parte delle imprese appartenenti a gruppi societari.

La locuzione in parola risulta essere la più generica ed ampia utilizzata nel Codice e quella idonea, quindi, ad accogliere tutti gli istituti giuridici in esso contemplati.

E’ tuttavia il caso di notare che tale prima locuzione in esame perde il termine “insolvenza”, apparentemente senza motivazione:

  • nell’articolo 2, n. (15) – definizione di “professionista indipendente”, laddove è invece incontrovertibile che tale figura debba presentare, tra i requisiti, l’iscrizione all’”albo dei gestori della crisi e dell’insolvenza”, nonché per la circostanza che lo stesso è chiamato a prestare la propria attività anche in contesti di insolvenza;
  • nella rubrica del Titolo IV – con la variante che vede l’utilizzo del termine “strumenti” – che nel Capo I disciplina i piani di risanamento attestati, nel Capo II gli accordi di ristrutturazione del debito omologati, nel Capo III le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento e nel Capo IV il concordato preventivo, tutti istituiti indubitabilmente utilizzabili in un contesto non solo di crisi, ma anche di insolvenza.

3. Procedure di regolazione concordata della crisi e dell’insolvenza

La locuzione indicata sub 2. ricorre nel Codice anche integrata dal termine “concordata” (“domande” o “procedure di regolazione concordata della crisi e dell’insolvenza”):

  • nell’articolo 32, che prevede l’irrilevanza, ai fini della competenza, del trasferimento del centro degli interessi principali laddove intervenuto nei 6 mesi antecedenti alla presentazione della “domanda di regolazione concordata della crisi o dell’insolvenza” o, se anteriore, dall’inizio della (con ulteriore modifica della locuzione utilizzata, ma qui con apparente consapevolezza) “procedura di composizione assistita della crisi”;
  • nell’articolo 48, comma 1, che introduce la disciplina unitaria dell’accesso al concordato preventivo e al giudizio di omologazione dell’accordo di ristrutturazione;
  • nell’articolo 53, comma 1, con il quale si statuisce l’obbligo per il tribunale di dichiarare con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, in assenza di domande di accesso a una di tali procedure concordate.

Non parrebbero sussistere differenze rispetto alla locuzione di cui al punto sub 2., volendosi con questa seconda (integrata) espressione unicamente “esaltare” (con specifico riferimento, nel contesto della procedura, agli accordi di ristrutturazione e ai concordati preventivi) la “negozialità” degli istituti giuridici in questione.

4. Procedure di composizione assistita della crisi

Nel Codice si fa altresì riferimento alle “procedure di composizione assistita della crisi” (senza che ricorra in tal caso anche il termine “insolvenza”):

  • nell’articolo 20, comma 8, dedicato alle procedure per le “imprese minori”;
  • nell’articolo 26, che detta le regole per la liquidazione del compenso dell’organismo di composizione della crisi di impresa (laddove non concordato con l’imprenditore);
  • nel già richiamato articolo 28, comma 1, che tra le “misure premiali” individua la riduzione alla misura legale degli interessi sui debiti fiscali durante la “procedura di composizione assistita della crisi” e sino alla sua conclusione (lett. a)) e la riduzione alla metà delle sanzioni e degli interessi sui debiti tributari oggetto della “procedura di composizione assistita della crisi” nel caso di successiva apertura di una “procedura concorsuale”;
  • nel già menzionato articolo 32;
  • nell’articolo 317, lett. b), a mente del quale non costituisce causa di revoca degli amministratori e dei sindaci l’apertura di tale procedura “assistita”.

In questi casi, l’utilizzo della locuzione risulta maggiormente consapevole e voluto, trattandosi degli innovativi istituti giuridici dell’allerta e della composizione della crisi, con l’”assistenza”, appunto, degli appositi organismi da costituire presso le CCIAA e dei relativi collegi di esperti.

5. Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento

Il Codice menziona altresì le “procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento” nel Capo III del Titolo IV (articoli da 69 a 71), integrando la medesima locuzione con “composizione assistita” allorché definisce all’articolo 1, n. (24) gli “organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento”.

Anche in questo caso, il ricorso alla locuzione in commento risulta coerente, trattandosi degli istituti giuridici tramite i quali gestire lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale.

6. Procedure concorsuali

Nel Codice ricorre altresì, più volte, la locuzione “procedure concorsuali” e, in particolare:

  • nell’articolo 1, n. (12) – def. di “liquidazione giudiziale”, ossia la procedura concorsuale già denominata fallimento;
  • nell’articolo 1, n. (14) – def. di “albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese”, il quale è destinato ad ospitare i soggetti che, su incarico del giudice, svolgeranno funzioni di gestione, supervisione, controllo o custodia nell’ambito delle procedure concorsuali;
  • nell’articolo 7, comma 4, che stabilisce la primazia di trattazione delle controversie di cui è parte un organo nominato dall’autorità giudiziaria;
  • nell’articolo 9, comma 1, lett. e), ossia il nuovo “crocevia” della prededucibilità dei crediti, tra i quali sono da tale lettera menzionati quelli sorti durante le procedure concorsuali per la gestione del patrimonio del debitore, la continuazione dell’esercizio dell’impresa, il compenso degli organi preposti e le prestazioni professionali necessarie per legge o richieste dagli organi medesimi;
  • nell’articolo 14 e nell’articolo 14-ter, dedicati alla giurisdizione internazionale;
  • nell’articolo 15, comma 7, in forza del quale sono disapplicati gli obblighi di segnalazione previsti dagli innovativi strumenti di allerta in caso di pendenza di una delle procedure concorsuali e, se queste sopravvengono, le stesse comportano la chiusura del procedimento di allerta e composizione assistita della crisi;
  • nell’articolo 18, comma 1, che sancisce l’obbligo di segnalazione in capo ai creditori pubblici qualificati;
  • nell’articolo 20, comma 1, lett. a), allorché si individuano i criteri per la nomina e la composizione del collegio in seno all’organismo di composizione della crisi di impresa;
  • nell’articolo 25, nell’articolo 27, comma 1 e nell’articolo 28, comma 1, lett. b) e lett. c), comma 2, dedicati a specifici passaggi del procedimento di composizione assistita della crisi (segnalazione al PM e misure premiali);
  • nell’articolo 31, comma 3, lett. c), che sancisce le regole della competenza per materia e per territorio dei tribunali;
  • nell’articolo 41, rubricato “Iniziativa per l’accesso alle procedure concorsuali”;
  • nell’articolo 58, comma 5, che elenca le misure cautelari e protettive che il tribunale può concedere, su istanza di parte, nel corso di uno dei procedimenti previsti dall’art. 45 (i.e. accordi di ristrutturazione e concordati preventivi);
  • nell’articolo 100, comma 6, che consente all’impresa in concordato preventivo in continuità di concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non in qualità di mandataria e sempre che nessune delle altre imprese aderenti al raggruppamento sia assoggettata ad una procedura concorsuale;
  • nell’articolo 160, comma 1, dedicato alla disciplina della compensazione;
  • nell’articolo 168, comma 2 e nell’articolo 169, commi 1 e 2, che stabiliscono gli effetti della liquidazione giudiziale su alcuni atti pregiudizievoli ai creditori (nelle fattispecie, atti a titolo gratuito e pagamenti di crediti non scaduti e postergati);
  • nell’articolo 282 (esdebitazione);
  • nell’articolo 293 e nel Capo III del Titolo VI, dedicati alle procedure concorsuali di imprese appartenenti allo stesso gruppo.

E’ questa la locuzione che desta le maggiori criticità tassonomiche e conseguenti difficoltà applicative, con impatti di maggiore rilevanza per la complessiva disciplina dedicata alle “procedure concorsuali”, sia in forza dell’ancora attuale R.D. 267/1942 (si pensi, con particolare riguardo agli accordi di ristrutturazione, alle rilevantissime tematiche relative alla prededuzione dei crediti, al perimetro soggettivo di applicazione e alla rilevanza degli stessi nell’ambito degli appalti pubblici, di cui si scriverà di seguito), ma anche nell’ottica della riforma (tra gli altri, degno di nota è il diverso atteggiarsi del funzionamento delle misure di allerta e dell’applicabilità delle misure “cautelari” e “protettive” in ragione dei diversi istituti giuridici nei quali collocare tali nuovi strumenti di ring fence).

7. Procedimenti e procedure

La difficoltà di addivenire ad un corretto inquadramento delle procedure concorsuali è altresì causata dal ricorrere all’interno del Codice del termine “procedimenti”, che nell’art. 11 – allorché si dispone che la durata delle “misure protettive” non può superare il periodo, anche discontinuo, di 12 mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe – è utilizzato in immediata associazione al termine “procedure”.

Non pare possibile affermare che sottostante vi sia la volontà di sussumere sotto i primi solo una parte degli istituti giuridici volti a gestire la crisi e l’insolvenza disciplinati dal Codice (solo quelli meramente privatistici, come oramai unicamente il piano di risanamento attestato risulta essere ?) e sotto le seconde (tutti ?) gli altri.

La conclusione che si tratti, invece, di una mera endiadi, attraverso la quale esprimere il medesimo concetto, risulta maggiormente plausibile e non pare in contrasto con la circostanza che gli estensori del Codice fanno riferimento a “procedure giudiziali e stragiudiziali” – non ricorrendo invece mai analoga distinzione in associazione al termine “procedimenti” – allorché, ad esempio, nell’art. 7, comma 1, si invitano gli organi “amministrativi” e “giudiziari” a trattare in modo sollecito e accurato le “procedure” stesse.

8. Le conseguenze del disordine tassonomico sugli accordi di ristrutturazione del debito

Nell’ambito della confusione definitoria sin qui segnalata, si osserva che il legislatore della riforma mostra (altresì e ancora) timidezza nel prendere posizione rispetto ad alcuni istituti giuridici di composizione della crisi e dell’insolvenza, massimamente con riguardo agli accordi di ristrutturazione dei debiti, anche nelle varie prossime (art. 65 dell’emanando Codice), ma invero già attuali (art. 182-septies R.D. 267/1942), possibili figure “speciali”.

Come noto, la questione – mai definitivamente risolta – della natura degli accordi di ristrutturazione del debito è stata affrontata in dottrina e in giurisprudenza, oscillando tra la natura negoziale e quella concorsuale degli stessi, evidenziando di volta in volta gli elementi a favore dell’una e dell’altra teoria, sulla scorta dell’attuale impianto normativo (ancora) dettato dal R.D. 267/1942.

Senza pretesa di esaustività, si ricorda che la teoria della natura non concorsuale degli accordi di ristrutturazione risulta suffragata dalle seguenti considerazioni: (i) non è ravvisabile un provvedimento giudiziale di apertura; (ii) è assente un organo deputato alla gestione della procedura nominato dal Tribunale; (iii) non si realizza l’apertura del concorso fra i creditori; (iv) non risulta operante un rigoroso meccanismo di rispetto della par condicio creditorum (ed anzi l’accordo opera in senso quasi opposto); (v) non è ravvisabile uno “spossessamento” dell’imprenditore (i cui atti dispositivi in corso di procedura non risultano limitati); (vi) il carattere solo temporaneo dell’automatic stay; (vii) non si crea alcuna soluzione di continuità tra crediti “anteriori” e crediti “posteriori” (operando semmai la distinzione tra creditori aderenti e creditori non aderenti).

Militano, invece, a supporto della teoria concorsuale: (i) l’operatività di un divieto di azioni esecutive e cautelari, anche in via anticipata; (ii) la possibilità di configurare tale divieto come fonte di un divieto di pagare creditori anteriori; (iii) l’operatività di un vincolo di indisponibilità “relativa” del patrimonio del debitore; (iv) l’inserimento della figura dell’accordo di ristrutturazione nel Regolamento (UE) n. 2015/848; (v) le novità progressivamente apportate alla fattispecie di cui all’art. 182-bis l.f., ivi compresa l’introduzione della speciale fattispecie di cui all’art. 182-septies l.f.

A parere di chi scrive, l’ulteriore upgrade che la riforma indubitabilmente offre agli accordi di ristrutturazione, è destinata ad ascrivere gli stessi nell’ampio novero delle “procedure concorsuali”, in linea peraltro con la normativa comunitaria[6].

L’opinione pare incontrovertibile se solo si guardi alle molteplici novità introdotte dalla divisata riforma e, in particolare:

  1. alla disciplina processuale “unitaria” (per gli accordi di ristrutturazione e per i concordati preventivi) di cui agli artt. 44 ss del Codice, prevedendosi ora anche per gli accordi di ristrutturazione un provvedimento giudiziale di apertura caratterizzato da un vaglio di ammissibilità ad opera del Tribunale adito;
  2. alla previsione di obblighi informativi periodici relativi alla gestione economica, patrimoniale e finanziaria che il debitore deve assolvere mediante relazioni e documenti da depositarsi presso la cancelleria del Tribunale, in forza dell’art. 48, comma 1, lett. c), del Codice;
  3. alla possibile nomina di un commissario giudiziale (anche se solo in presenza di istanze per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale), per effetto dell’art. 48, comma 4, del Codice;
  4. alla necessaria preventiva autorizzazione del Tribunale per il compimento di atti urgenti di straordinaria amministrazione, pena l’inefficacia degli stessi a mente dell’art. 50, comma 1, del Codice;
  5. all’inefficacia rispetto ai creditori anteriori delle ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni che precedono la data di pubblicazione a R.I. della domanda di accesso al giudizio per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione, prevista dall’art. 50, comma 4, del Codice;
  6. alla natura del provvedimento omologatorio dell’accordo di ristrutturazione, che si prevede ora sarà dichiarato con sentenza per effetto dell’equiparazione al concordato preventivo operata dal comma 4 dell’art. 52;
  7. all’inibitoria dell’attuazione del piano sottostante l’accordo di ristrutturazione resa possibile, a fronte del reclamo avverso l’omologazione del medesimo, a mente dell’art. 56 del Codice;
  8. agli effetti conseguenti dalla revoca dell’accordo di ristrutturazione introdotto dall’art. 57 del Codice;
  9. agli effetti sui coobbligati e ai soci illimitatamente responsabili, ai sensi dell’art. 63 del Codice;
  10. all’ampliamento del perimetro di applicabilità degli accordi di ristrutturazione ad “efficacia estesa”, in forza dell’art. 65 del Codice che, accanto a concetti di “universalità”, porta con sé nuove riflessioni in punto di rispetto di forme di par condicio creditorum.

La forte “procedimentalizzazione” degli accordi di ristrutturazione, con i poteri di controllo preventivi e in esecuzione degli stessi da parte degli organi giudiziali e dei creditori, la cui intensità risulta direttamente proporzionale alle rafforzate capacità “espansive” di relativa efficacia, non solo non consentono di affermarne la natura puramente privatistica, ma impongono di guardare agli stessi come appartenenti, con i concordati preventivi, al medesimo sistema di “concorsualità sistematizzata”[7].

Laddove la “promozione” degli accordi di ristrutturazione al genus delle procedure concorsuali dovesse essere confermata – eventualmente expressis verbis dal legislatore della riforma – ne deriverebbero conseguenze di rilevante portata, tra le quali quelle di seguito accennate.

8.1 Prededuzione

Come noto, la giurisprudenza di legittimità ha già assunto alcune prese di posizione sul tema della prededuzione, nel consecutivo fallimento, dei crediti professionali derivanti da attività prestate in funzione della predisposizione di un piano di risanamento attestato ex art. 67, comma 3, lett. d) l.f., negata in ragione della circostanza che lo stesso non può annoverarsi tra le “procedure concorsuali”, ovvero in funzione dell’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis l.f. laddove, invece, la prededucibilià è stata riconosciuta in ragione dell’appartenenza di quest’ultimo strumento agli “istituti del diritto concorsuale”[8].

In senso contrario, tuttavia, negando quindi la prededucibilità dei crediti professionali per attività prestate “in funzione” o “in esecuzione” di accordi di ristrutturazione del debito, si sono ancor più recentemente pronunciati alcuni Tribunali di merito[9], muovendo da opinioni diametralmente opposte rispetto a quelle di legittimità.

L’inclusione degli accordi di ristrutturazione nel novero delle “procedure concorsuali” sarebbe evidentemente destinata ad ampliare il riconoscimento della soddisfazione con preferenza ex art. 111, comma 2, R.D. 267/1942, oggi, e ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. e) del Codice, in futuro, ai crediti sorti in occasione o in funzione degli stessi.

8.2 Perimetro soggettivo di applicazione

L’indagine circa la natura degli accordi di ristrutturazione del debito è stata altresì svolta in giurisprudenza con riguardo ai soggetti legittimati ad adirli, in ambiti particolarmente complessi e delicati, come, ad esempio, per le crisi dei fondi comuni di investimento costituiti e/o gestiti da Società di Gestione del Risparmio.

Come noto, la peculiarità in tali fattispecie sta nell’affrontare una serie di questioni preliminari, prima tra le quali quella della possibilità – già per la sola SGR – di avvalersi dell’accordo di ristrutturazione, stante l’operatività del divieto di accesso alle “procedure concorsuali” di cui agli artt. 80, comma 6, T.U.B. e 57, comma 3, T.U.F. Il combinato disposto delle due previsioni normative testé citate preclude, infatti, agli intermediari finanziari la possibilità di fare ricorso alle procedure concorsuali diverse dalla liquidazione coatta, con la conseguenza che l’esclusione della possibilità di fare ricorso all’accordo di ristrutturazione transita necessariamente attraverso la classificazione del medesimo nell’ambito delle “procedure concorsuali”.

In alcune pronunce di merito[10], i Tribunali aditi hanno statuito che, nonostante le novità progressivamente apportate alla fattispecie di cui all’art. 182-bis l.f. – ivi compresa l’introduzione della speciale fattispecie di cui all’art. 182-septies l.f. – debba tuttora ritenersi condivisibile la ricostruzione dogmatica che nega all’accordo di ristrutturazione la natura di procedura concorsuale, riconoscendo quindi l’accesso allo strumento di composizione della crisi adito dalla società di gestione per il fondo dalla stessa gestito[11].

L’inclusione degli accordi di ristrutturazione nella famiglia delle “procedure concorsuali” se per un verso potrebbe determinare l’incompatibilità degli stessi per le crisi di tali particolari soggetti giuridici, per altro verso – in ossequio alla vocazione tendenzialmente universale della riforma in commento che ha l’obiettivo di regolare la crisi e l’insolvenza di qualsiasi debitore, pur restando estranee le discipline speciali dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese e la liquidazione coatta amministrativa delle imprese di diritto speciale (banche, intermediari finanziari, assicurazioni) – potrebbe indurre a ritenere applicabili alcuni principi ed istituti del Codice anche a detti operatori economici, sempreché non apertamente incompatibili con dette discipline speciali.

8.3 Appalti pubblici

Come noto, con specifico riferimento ai motivi di esclusione dalle procedure di affidamento di contratti pubblici, l’art. 80 della Direttiva 26 febbraio 2014, n. 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, rinvia ai motivi di esclusione di cui all’art. 57 della Direttiva 2014/24/UE che concerne gli appalti pubblici nei c.d. settori ordinari.

Detto art. 57, al comma 4, prevede espressamente che “Le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere, oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni: […] b) se l’operatore economico è in stato di fallimento o è oggetto di una procedura di insolvenza o di liquidazione, se è in stato di amministrazione controllata, se ha stipulato un concordato preventivo con i creditori, se ha cessato le sue attività o si trova in qualsiasi altra situazione analoga derivante da una procedura simile ai sensi di leggi e regolamenti nazionali”.

La qualificazione giuridica dell’accordo di ristrutturazione e, ancor più, della peculiare fase anticipatoria del “pre accordo” ai sensi del comma 6 dell’art. 182bis l.f. che fosse adito dalla società aggiudicatrice di un appalto pubblico (stand alone o in raggruppamento di imprese), diviene di fondamentale importanza, ricordando che le disposizioni europee in materia sopra richiamate rilevano, in particolare, in ragione della loro portata self executing, in quanto contengono nel dettaglio la disciplina della fattispecie cui si indirizzanoe non necessitano, quindi, di alcun provvedimento di attuazione da parte dello Stato membro.

Poiché non constano precedenti specifici in materia, l’analisi non può che essere svolta in merito all’analogo istituto del cosiddetto concordato preventivo “in bianco” o “prenotativo” o “con riserva” (di seguito, per brevità, il “pre-concordato”) a mente dell’art. 161, comma 6, l.f., il quale presenta profili di obiettiva incertezza circa l’effettiva sussistenza del fondamentale requisito della continuità aziendale in capo al soggetto aggiudicatario dell’appalto.

A tale riguardo, l’art. 38 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (la previgente normativa italiana sui contratti pubblici che attuava le Direttive n. 2004/17/CE e n. 2004/18/CE) e l’art. 80 del vigente D.Lgs. 18 aprile 2016 n. 50, attuativo della Dir. 2014/24/UE, prevedono espressamente – pur con qualche differenza terminologica – quale causa di esclusione dalle gare pubbliche, la sussistenza in capo all’operatore economico dello stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo (escludendo espressamente dalle cause di esclusione l’ipotesi di concordato con continuità aziendale), o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni.

La giurisprudenza amministrativa che si è sviluppata nel corso degli ultimi anni è ormai concorde nel ritenere che l’”eccezione” alla causa di esclusione prevista dall’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, prima, e dall’art. 80 del D.Lgs. n. 50/2016, poi, trovi applicazione sia ad imprese che abbiano presentato domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale (con ricorso “pieno”) e non abbiano ancora ottenuto il decreto di ammissione, sia ad imprese che risultino invece già ammesse al concordato, alle condizioni indicate dall’art. 186-bis R.D. 267/1942.

Viceversa, è ancora aperto il tema se la procedura di pre-concordato possa rientrare nella eccezione prevista, appunto, per il concordato con continuità aziendale e non costituisca pertanto causa di esclusione dagli appalti pubblici.

In particolare, si riscontrano in dottrina e giurisprudenza una diversità di orientamenti in relazione agli effettivi del pre-concordato rispetto alla partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica.

L’Autorità Nazionale Anticorruzione (“ANAC”), nella propria determinazione n. 5 dell’8 aprile 2015 (con cui ha mutato il proprio contrario precedente orientamento) ha ritenuto applicabili le previsioni relative all’istituto del concordato preventivo con “continuità aziendale” anche nel caso di presentazione di ricorso “in bianco”, a condizione che l’istanza presenti chiari ed inconfutabili effetti prenotativi del concordato con continuità aziendale.

Di diverso avviso il Consiglio di Stato in una recentissima ordinanza (Consiglio di Stato, sez. V, 2 febbraio 2018, n. 686) con la quale è stata rimessa alla Corte di Giustizia UE proprio la questione attinente alla portata ed al significato del pre-concordato (istituto prettamente italiano) rispetto alla normativa europea.

Nello specifico, è pervenuta all’esame del Consiglio di Stato la sentenza del T.A.R. Campania, sez. I, 29 aprile 2015, n. 2428 che aveva, appunto, provveduto all’esclusione del raggruppamento di imprese, rilevando la sussistenza di una causa di esclusione ai sensi del D.Lgs. n. 163/2006. Il Consiglio di Stato ha avuto modo di confermare, seguendo il precedente orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato sez. IV, 5 marzo 2015, n. 1091; Consiglio di Stato, sez. IV, 3 luglio 2014, n. 3344) che l’eccezione dall’esclusione dalla procedure di gara sussiste sia per le imprese che abbiano presentato un ricorso “pieno” sia per le imprese che risultino invece già ammesse al concordato con continuità aziendale.

Sulla base di tale assunto, il Consiglio di Stato, con un ampio iter argomentativo, ha affermato che la mera presentazione di un pre-concordato, mancando dell’elemento fondamentale della presentazione di un piano di continuità aziendale, lascia ancora aperte entrambe le possibilità, tanto la liquidazione della società, quanto la continuazione dell’attività imprenditoriale con la conseguenza che detto pre-concordato è indicativo dell’esistenza di una procedura in corso per la dichiarazione di una delle possibili situazioni di insolvenza e come tale, pertanto, riconducibile ad una causa di esclusione ai sensi della normativa italiana. In sostanza, il pre-concordato costituirebbe di per sé una condotta “che ben può ritenersi confessoria della consapevolezza del proprio stato di dissesto” (sul punto Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 15 aprile 2010, n. 2155).

Il Consiglio di Stato, pertanto, pur dando atto del contesto della normativa italiana e degli effetti escludenti del pre-concordato rispetto ad una procedura di gara da iniziare o in corso, ha sollevato un legittimo dubbio se la disciplina nazionale indicata, così come interpretata, sia compatibile con la pertinente normativa comunitaria (in particolare, con l’art. 45, comma 2, lett. a) e b) della Direttiva 2004/18/CE) ed ha per tale motivo rimesso la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea tramite rinvio pregiudiziale[12].

Per completezza si rileva che una recente pronuncia del T.A.R. Lazio è giunta a conclusioni opposte rispetto a quelle dell’ordinanza del Consiglio di Stato, pur richiamando nelle motivazione gli stessi precedenti giurisprudenziali fatti proprio dal Consiglio di Stato, affermando che “Nelle more tra il deposito della domanda e l’ammissione al concordato con continuità aziendale l’impresa che abbia fatto domanda di concordato preventivo «con continuità aziendale», conserva la facoltà di partecipare alle gare di affidamento dei pubblici contratti. Tale principio vale anche nell’ipotesi in cui l’impresa abbia inizialmente proposto una domanda di ammissione «in bianco», con riserva di presentare, nel termine complessivo massimo, fissato dal giudice, di centottanta giorni decorrenti dal deposito della domanda di concordato «in bianco»” (T.A.R. Roma, Lazio, sez. I, 21 marzo 2016, n. 3421).

Al momento, quindi, si registra in Italia una situazione oscillante in merito agli effetti del pre-concordato rispetto ai procedimenti di gara iniziati o da iniziare e, in generale, rispetto alla riconducibilità di detta vicenda alle cause di esclusione previste dalla normativa nazionale (art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 prima, art. 80 del D.Lgs. n. 50/2016 poi).

A fronte della tendenza attuale che pare orientata verso una certa negatività rispetto alla portata “salvifica” del pre-concordato (per la sua ontologica diversità rispetto alla successiva fase di procedura piena), risulta utile ricordare che l’art. 57 della Dir. 2014/24/UE, arricchitosi del comma 6, ha introdotto nell’ordinamento europeo il nuovo istituto del c.d. self-cleaning, in forza del quale gli operatori economici possono fornire prove della propria affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo di esclusione; ove tali prove siano ritenute sufficienti l’operatore economico non è escluso dalla procedura d’appalto.

Al contempo, si rammenta che la complessiva comprova della capacità economico finanziaria dell’impresa debitrice ed appaltatrice (e dell’eventuale RTI di cui la stessa facesse parte) si completa anche di ulteriori informazioni dovute ai sensi dell’art. 59 comma 4 della Dir. 2014/24/UE[13]; in particolare, il soggetto committente può/deve richiedere di presentare documenti complementari aggiornati conformemente gli artt. 60 e 62 della Direttiva, invitando, anche e se del caso, i soggetti interessati a integrare o chiarire i certificati ricevuti.

La sintetica analisi svolta con riguardo al concordato “in bianco” o “con riserva” o “prenotativo”, assieme all’attesa decisione comunitaria attivata dal Consiglio di Stato, potrebbe essere analogamente riproposta, laddove se ne affermi l’appartenenza alle procedure concorsuali, per gli accordi di ristrutturazione, osservando che negli accordi di ristrutturazione attivati in via anticipata ai sensi dell’ancora vigente comma 6 dell’art. 182bis l.f. il requisito della sussistenza della continuità aziendale risulterebbe più agevolmente verificabile, sulla scorta della ben più rilevante (per qualità e quantità) documentazione all’uopo richiesta, la quale potrebbe essere idoneamente utilizzata per dare seguito al self-cleaning.

9. Conclusioni

Come già osservato, la perplessità che desta l’utilizzo non univoco e, quindi, equivocabile, di termini di così rilevante portata, non è fine a se stessa in quanto le varie locuzioni sono utilizzate nel corpo del Codice in associazione con principi disciplinatori di ben differente portata.

Risulta quindi particolarmente auspicabile che la (eventuale terza) rilettura del Codice in fase di approvazione sia fatta anche nel rispetto di una adeguata tassonomia degli istituti giuridici in esso contemplati, in ossequio alla funzione non solo descrittiva, ma anche precettiva, delle definizioni per gli stessi utilizzate.

Con particolare riferimento agli accordi di ristrutturazione, preso atto dell’ulteriore upgrade verso le procedure concorsuali (se non, a questo punto e alla luce di quanto sopra, definitiva, seppur non espressa, inclusione in esse), chi scrive non nasconde il timore di vederne diminuire l’utilizzo, deprimendo in tal modo un istituto giuridico che ha invece rappresentato sinora lo strumento potenzialmente ideale per risolvere situazioni di crisi reversibile, in vista del pieno recupero della redditività dell’azienda e della tutela del suo valore economico.

La validità e l’efficacia degli accordi di ristrutturazione sono confermate, se non in termini di loro numerosità, per quanto costantemente crescente negli anni di osservazione, dalla qualità delle operazioni di ristrutturazione condotte in detti contesti giuridici; è stato peraltro riscontrato nel corso degli anni che, per un verso, la sottrazione della fase di risanamento ad un invasivo controllo giudiziale, nonché ai costi derivanti dal coinvolgimento degli organi giudiziali[14], conservando, per altro verso, gli importanti effetti protettivi sul patrimonio del debitore assieme alla prededucibilità della finanza concessa in esecuzione e, addirittura, in funzione degli accordi di ristrutturazione e, ancora, la sospensione temporanea dalle severe regole giuscommercialiste rappresentate dalla regola “ricapitalizza o liquida”, ha consentito di liberare, in maniera più rapida e con migliori risultati, le risorse necessarie al soddisfacimento dei creditori[15].

Come già scritto, la divisata riforma organica presenta aspetti che potrebbero non favorire gli accordi di ristrutturazione, a causa della perdita di alcuni aspetti squisitamente privatistici a fronte dell’espansione del controllo pubblicistico, che diverrà imprescindibile anche in fase di protezione anticipatoria laddove all’automatic stay ora attivabile su impulso (pressoché unicamente) di parte ex art. 182bis, comma 6, l.f., l’articolo 2, n. (17) del Codice sostituisce le “misure cautelari”, attivabili solo nell’ambito di una vera e propria procedura giudiziale, in quanto emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell’impresa del debitore.

Potrà, conseguentemente, accadere che i soggetti debitori interessati da una situazione di (sola) “crisi” guarderanno con maggiore favore ai più “leggeri” piani di risanamento attestati, ai quali la riforma dedica interventi più che altro di completamento di carattere “documentale”, ferme restando le protezioni rispetto ad azioni revocatorie (art. 171, comma 3, lett. d), ora anche ordinarie) e le guarentigie (art. 340-bis) di legge, già prima d’ora previste in termini analoghi.

Diversamente, ma con analoghi effetti depressivi sugli accordi di ristrutturazione, laddove il debitore risulti “insolvente” il ricorso al concordato preventivo risulterà indifferente ovvero preferito (se non addirittura compulsato) rispetto all’accordo di ristrutturazione, nel caso in cui sia necessario coartare la volontà di alcuni creditori che, pur in minoranza, vedano tuttavia il debitore voler/dover intraprendere un percorso liquidatorio, non consentito dall’accordo di ristrutturazione “ad efficacia estesa” a mente dell’art. 65, comma 2, lett. b) dell’emanando Codice.

Da ultimo, si rilevano alcune differenze tra accordi di ristrutturazione e concordati preventivi che deporrebbero, apparentemente e senza motivo, solo a favore di questi ultimi.

Si fa in particolare riferimento all’opzione offerta dalla legge delega la quale all’art. 3, comma 2, lett. f) – innovativamente – detta “i criteri per la formulazione delpiano unitario di risoluzione della crisi del gruppo, eventualmente attraverso operazioni contrattuali e riorganizzative intragruppo funzionali alla continuità aziendale e al migliore soddisfacimento dei creditori, fatta salva la tutela in sede concorsuale per i soci e per i creditori delle singole imprese, nonché per ogni altro controinteressato”.

L’utile ed opportuna “apertura” – tratteggiata nella legge delega senza apparenti discriminazioni tra accordi di ristrutturazione e concordati preventivi – risulta poi implementata dal Codice (nell’attuale art. 289) limitatamente ai piani concordatari di gruppo nei quali (soli ?) sarà plausibile il compimento di “…operazioni contrattuali e riorganizzative, ivi inclusi trasferimenti di risorse infragruppo, purché un professionista indipendente attesti che dette operazioni sono determinanti ai fini della continuità aziendale per le imprese per le quali essa è indicata nel piano e coerenti con l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori delle diverse imprese del gruppo”.

 


[1] In forza dell’art. 1, comma 1, della Legge 155/2017 (pubblicata in GU n. 254 del 30 novembre 2017), il Governo è delegato ad adottare, entro 12 mesi (→14 novembre 2018) dalla data di entrata in vigore della stessa legge (→14 novembre 2017) – con l’osservanza dei principi e criteri direttivi in essa contenuti – uno o più decreti legislativi per la riforma organica delle procedure concorsuali di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, e della disciplina sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento di cui alla Legge 27 gennaio 2012, n. 3, nonché per la revisione del sistema dei privilegi e delle garanzie. Si segnala che, a mente dell’art. 1, comma 3, della Legge 155/2017, il termine per l’esercizio della delega (“Termine Delega”) è prorogato di 60 giorni quando il termine per l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari scade nei 30 giorni antecedenti la scadenza del Termine Delega o successivamente.

[2] Per alcune prime riflessioni sull’introduzione dell’obbligo di attivazione delle regole di governo dell’impresa per la tempestiva rilevazione della crisi al fine della sua corretta gestione, si vedano, A. Patti, Crisi d’impresa e responsabilità degli amministratori di società, in Il Fallimento, n. 2 del 2018; R. Ranalli, La riforma della crisi d’impresa, in OCI, febbraio 2018; P. Bastia, Soluzioni per l’accertamento precoce della crisi, in OCI, 8 febbraio 2018.

[3] Si segnala che la Conferenza dei Capigruppo del Senato, riunitasi in data 28 marzo 2018, ha stabilito all’unanimità che, ai sensi dell’articolo 24 del Regolamento, sia nominata una “Commissione speciale per l’esame degli atti urgenti presentati dal Governo”. Oltre ad avere la competenza di merito sui singoli provvedimenti, detta Commissione assorbirà le competenze di ogni altra Commissione in sede consultiva, anche con riguardo agli eventuali pareri obbligatori.

[4] I numeri degli articoli del Codice risultano, invero, essere 370, considerando gli articoli 14-bis, -ter e-quater (dedicati alla “Giurisdizione internazionale”), gli articoli 293-bis, -ter,-quater e –quinquies (dedicati alle “Procedure concorsuali autonome di imprese appartenenti ad un gruppo”) e l’art. 340-bis (che dispone i casi di “esonero” dalle fattispecie penalisticamente rilevanti ai sensi degli articoli 339, bancarotta fraudolenta, e 340, bancarotta semplice). L’osservazione in parola resta invariata anche nella seconda versione del Codice che risulta essere stata presentata alla fine del mese di febbraio 2018.

[5] Introducendo l’oggetto della presente analisi, si segnala che la Legge delega 155/2017 utilizza la sola locuzione di “procedure concorsuali”, distinguendo poi tra procedure di regolazione o di gestione della crisi “concordata” o “coattiva” (in base alla rilevanza della negozialità in esse presente), e “conservativa” o “liquidatoria” (alla luce delle finalità volte alla continuità aziendale ovvero alla mera realizzazione del relativo patrimonio asservita alla soddisfazione dei creditori).

[6] L’inserimento degli accordi di ristrutturazione nel Regolamento (UE) n. 2015/848 sulle procedure di insolvenza si giustifica con la finalità della nuova disciplina di operare un notevole ampliamento del proprio campo di applicazione (anche alle procedure non caratterizzate dallo spossessamento del debitore; alle procedure di sovraindebitamento; alle procedure secondarie aventi carattere non meramente liquidatorio ma anche di ristrutturazione), in un’ottica – espressa dalla Comunicazione COM(2015) 468 contenente il “Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali” – che mira alla “convergenza delle procedure di insolvenza e di ristrutturazione”, allo scopo di favorire “la tempestiva ristrutturazione di imprese vitali in difficoltà finanziarie” (paragrafo 6.2).

[7] In tal senso si esprime lucidamente F. Di Marzio, La riforma delle discipline delle crisi e dell’insolvenza – Osservazioni sulla legge delega, Pratica professionale, Giuffrè, 2018, pag. 61, secondo il quale “La figura degli accordi di ristrutturazione dei debiti, già rimodellata negli ultimi anni attraverso l’arricchimento dell’impalcatura procedurale entro cui gli accordi vanno esperiti, assumerà ulteriormente la nuova fisionomia di concordati preventivi semplificati: e, perciò, non di contratti ma di vere e proprie procedure concorsuali”. Tale lettura è pienamente (e definitivamente ?) accolta dalla giurisprudenza di legittimità, che con la sentenza della Corte di Cassazione, Prima sezione civile, 12 aprile 2018, n. 9087 (Pres. Didone, Est. Vella) affermando che l’accordo di ristrutturazione dei debiti rientra nel novero delle procedure concorsuali, ne fa discendere che – data anche la matrice comune dei due istituti – è applicabile anche all’accordo di ristrutturazione dei debiti, quand’anche in via analogica o estensiva, l’art. 162, comma 1 l.f. dettato per la procedura di concordato preventivo il quale consente al Tribunale, nell’esercizio di un proprio potere discrezionale, di concedere al debitore un termine non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni o produrre nuovi documenti.

[8] Si vedano, in particolare, Cass. Civ., Sez. I, sentenza (ud. 25 ottobre 2017) 18 gennaio 2018, n. 1182, Pres. Didone, Est. Terrusi; Cass. Civ., Sez. I, sentenza (ud. 25 ottobre 2017) 25 gennaio 2018, n. 1895, Pres. Didone, Est. Dolmetta; Cass. Civ., Sez. I, sentenza (ud. 25 ottobre 2017) 25 gennaio 2018, n. 1896, Pres. Didone, Est. Terrusi. Tra i primi commentatori si segnalano, S. Bonfatti, La natura giuridica dei piani di risanamento attestati e degli Accordi di Ristrutturazione, in Crisi d’Impresa e Fallimento, 31 gennaio 2018; S. Ambrosini, Nota a Cassazione 18 gennaio 2018, n. 1182, in OCI, febbraio 2018.

[9] Tribunale di Udine, 9 gennaio 2018, Est. Zuliani (in questo caso le prestazioni professionali erano state prestate per il deposito del ricorso per l’omologazione, tuttavia respinto per mancanza di efficacia del consenso espresso solo da alcuni creditori bancari) e il Tribunale di Reggio Emilia, 14 febbraio 2018, Est. Notari (in questa diversa fattispecie i giudici di merito hanno negato la prededucibilità dei crediti sorti a fronte di prestazioni professionali rese rispetto ad un accordo di ristrutturazione omologato, ma con successivo fallimento del debitore a distanza di un lasso temporale che è stato dal Tribunale ritenuto “relativamente lungo” e in assenza “di uno o più indici sintomatici dell’identità delle crisi”).

[10] Tribunale di Milano, 3 dicembre 2015, Pres. Paluchowsky, Rel. Macripò, a fronte dell’istanza di sospensione ex art. 182-bis, comma 6, l.f. e, poi, in sede di omologazione del medesimo accordo di ristrutturazione, Tribunale di Milano, 10 novembre 2016, Pres. Simonetti, Rel. Rolfi.

[11] Per un’approfondita analisi della questione, sia consentito di rimandare a E. Grigò, Accordi di ristrutturazione dei debiti e fondi comuni di investimento: una possibile “diversa” lettura?, in Fallimento e le altre procedure concorsuali (Il), 2016, n. 8/9, IPSOA, pag. 959; F. Pirisi, Crisi dei fondi comuni di investimento: gli strumenti per il superamento, in il Fallimentarista, focus del 13 febbraio 2017.

[12] Si legge nell’ordinanza n. 686/2018 quanto segue: “Ritenuto, pertanto, rilevanti le seguenti questioni pregiudiziali dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato CE e in relazione all’art. 23 dello Statuto della Corte di Giustizia, dell’art. 3 della l. 13 marzo 1958, n. 204, della Nota informativa riguardante le domande di pronuncia pregiudiziale da parte delle giurisdizioni nazionali, diramata dalla Corte di Giustizia e pubblicata sulla G.U.C.E. del 28 maggio 2011: – “se sia compatibile con l’art. 45, comma 2, lett. a) e b) della Direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, considerare “procedimento in corso” la mera istanza, presentata all’Organo giudiziario competente, di concordato preventivo da parte del debitore”; – “se sia compatibile con la predetta normativa, considerare la confessione del debitore di trovarsi in stato di insolvenza e di volere presentare istanza di concordato preventivo “in bianco” (le cui caratteristiche sono state sopra precisate) quale causa di esclusione dalla procedura d’appalto pubblico, interpretando così estensivamente il concetto di “procedimento in corso” sancito dalla normativa comunitaria (art. 45 Direttiva) e nazionale (art. 38 d.lgs. n. 163-2006) citate”.

[13] Le previsioni dell’art. 59 sono espressamente richiamate dall’art. 80, comma 3 della Dir. 2014/25/UE.

[14] Il tema del contenimento dei costi delle procedure concorsuali è un refrain ricorrente nella legge delega e nel Codice, nel quale ultimo tale principio è stato tradotto sino a prevedere addirittura la nullità di patti che disciplinino la ripartizione di costi tra creditori e debitore, con effetti pratici potenzialmente esiziali di tutta evidenza; per un’imparziale e lucida analisi della tematica appena citata si veda P. Carrière, Il compenso dell’avvocato nelle trattative per il risanamento di impresa – Una diversa prospettiva analitica, Il Fallimento 5/2013, p. 631 ss.

[15] Per un’analisi empirica relativa all’utilizzo degli accordi di ristrutturazione si rimanda a A. Tron, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.f., in La continuità aziendale nelle procedure concorsuali – Accordi di ristrutturazione e concordati preventivi: i risultati di una ricerca empirica, a cura di Massimo Ferro, Stefania Pacchi, Giacomo Maria Nonno, Raffaella Brogi, Pacini Giuridica, 2017, pag. 83 ss. Di particolare rilevanza risultano gli studi in merito all’utilizzo degli accordi di ristrutturazione, posti a paragone dei concordati preventivi, svolti da S. Giacomelli, Performance del concordato preventivo, Dipartimento di Economia e Statistica di Banca d’Italia, reperibile nei materiali del Corso di perfezionamento “Il nuovo diritto fallimentare”, Firenze 28 febbraio – 15 marzo 2018, ulteriormente sviluppati in A. Danovi, S. Giacomelli, P. Riva, G. Rodano, “Strumenti negoziali per la soluzione delle crisi d’impresa: il concordato preventivo”, reperibile anche sul sito www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2018-0430.

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