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Il subappalto nei contratti pubblici: quali prospettive alla luce delle recenti pronunce della Corte di Giustizia

10 Dicembre 2019

Avv. Antonio Lirosi e Avv. Carmine Pepe, Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

1. Introduzione

Nel corso del 2019 diversi interventi hanno profondamente modificato alcune delle caratteristiche fondamentali dell’istituto del subappalto nei contratti pubblici regolato oggi dall’art. 105 del D.Lgs. 50/2016.

Sono state infatti scardinate due tra quelle che possono essere definite “regole chiave” della disciplina pubblicistica del subappalto e che lo caratterizzano, ovvero quelle relative alla soglia del 30% del valore del contratto quale limite quantitativo alla quota subappaltabile (art. 105, comma 2) e quella della soglia del 20% (comma 14) quale ulteriore ribasso massimo praticabile dall’appaltatore nei confronti del subappaltatore, rispetto al ribasso offerto dal medesimo in gara.

È questo l’esito interpretativo cui conducono le due pronunce delle Corte di Giustizia: quella del 26 settembre 2019 (C-63/18) che ha sancito che la direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi; e quella, di poco successiva, del 27 novembre 2019 (C-402/18) che, nel ribadire il medesimo principio, anche con riferimento alla previgente direttiva 2004/18/CE, ha aggiunto che essa osta altresì ad una normativa nazionale che limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazione subappaltate di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione[1].

La Corte di Giustizia, ha quindi aperto prospettive del tutto nuove agli interpreti e posto problemi applicativi particolarmente delicati se si considera che la disciplina del subappalto è il crocevia di una pluralità di interessi: da un lato, quelli, di derivazione prevalentemente europea, di incentivo alla concorrenza ed alla partecipazione di piccole e medie imprese (PMI), dall’altro, quelli nazionali e, per così dire, ‘storici’, che relegano l’istituto ad una mera eccezione all’obbligo di esecuzione in proprio del contratto pubblico e che, da sempre, connotano il subappalto di un certo disfavore quale possibile fonte non solo di irregolarità e scarsa affidabilità nella fase di esecuzione del contratto ma anche di infiltrazioni criminali[2].

In tale contesto resta, quindi, quasi sullo sfondo l’intervento del legislatore con decreto legge 18 aprile 2019, n. 32, c.d. decreto “sblocca cantieri”, convertito in legge 14 giugno 2019, n. 55 che, pur avendo innovato significativamente l’istituto, ha introdotto una disciplina ad oggi già ampiamente superata in via pretoria dal giudice comunitario (salvo che, per quanto qui rileva, per l’innalzamento al 40% della soglia ‘massima’ di subappaltabilità).

2. Un’incompatibilità ‘annunciata’

Il dictum della Corte di Giustizia non ha costituito un ‘fulmine a ciel sereno’: si tratta di decisioni che intervengono a confermare dubbi avanzati da tempo in ordine alla compatibilità con la normativa eurounitaria della disciplina italiana.

All’indomani del nuovo Codice, lo stesso Consiglio di Stato, in sede consultiva, due anni prima dalla rimessione della questione alla Corte, aveva prospettato alcune criticità della disciplina nazionale, eppure si era espresso nel senso della possibile coesistenza del limite del 30% con le nuove direttive in ragione, fra l’altro, della particolare attenzione riservata nell’ambito delle stesse direttive non solo alle esigenze di tutela del lavoro ma anche di prevenzione di fenomeni illeciti cui la disciplina nazionale è effettivamente orientata[3]. Anche parte della dottrina da tempo aveva rilevato il profilo di contrarietà all’ordinamento eurounitario della norma nazionale[4], senza considerare altre pronunce della Corte che avevano sancito principi analoghi con riferimento alla legislazione di altri stati membri[5].

Nonostante ciò, la lettera di messa in mora del 29 gennaio 2019 della Commissione Europea in cui era stato ben evidenziato che non vi sono disposizioni nelle direttive che consentissero un siffatto limite obbligatorio all’importo dei contratti pubblici che può essere subappaltato. Al contrario, le direttive, secondo la Commissione, si basano sul principio secondo cui occorre favorire una maggiore partecipazione delle PMI agli appalti pubblici, e il subappalto è uno dei modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto.

Per questa ragione, conformemente a tale approccio, l’articolo 63, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE consente alle amministrazioni aggiudicatrici di limitare il diritto degli offerenti di ricorrere al subappalto, ma solo ove siffatta restrizione sia giustificata dalla particolare natura delle prestazioni da svolgere. La stessa impostazione si ritrova nell’articolo 79, paragrafo 3, della direttiva 2014/25/UE (e nel considerando 87 di tale direttiva).

Analogamente, dall’articolo 38, paragrafo 2, della direttiva 2014/23/UE risulta che gli offerenti devono avere la possibilità, in linea di principio, di ricorrere a subappaltatori nell’esecuzione dei contratti. Il considerando 63 della stessa direttiva chiarisce che uno degli obiettivi di questa disposizione è proprio quello di facilitare la partecipazione delle PMI.

La Commissione Europea ha ritenuto la normativa italiana in contrasto con il diritto UE in quanto essa limita il ricorso al subappalto in tutti i casi, e non solo nei casi in cui una restrizione del subappalto sia oggettivamente giustificata dalla natura delle prestazioni dedotte in contratto.

Nella stessa lettera di messa in mora, peraltro, la Commissione aveva parallelamente contestato anche la legittimità dell’art. 89 comma 11, del D.Lgs. 50/2016 che, invece, riguarda, come noto, un istituto solo apparentemente lontano dal subappalto, vietando infatti l’avvalimento per i contratti aventi ad oggetto opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica (categorie c.d. “superspecialistiche”).

L’art. 89, comma 11, è a sua volta richiamato dall’art. 105, comma 5, al fine di stabilire che, per detta categoria per il limite del 30% calcolato su tale tipologia di opere (e non sull’intero importo del contratto).

3. Le motivazioni delle sentenze della Corte di Giustizia

L’effetto immediato delle pronunce della Corte di Giustizia è stato quindi quello di creare di fatto, un improvviso vuoto normativo, in ordine alla perdurante applicabilità dei suddetti limiti al subappalto che costituiscono, come è facile immaginare, regole all’ordine del giorno nella quotidiana attività di procurement di stazioni appaltanti e imprese.

Si tratta quindi di pronunce che, se si considera l’obbligo di interpretazione conforme al diritto dell’Unione della normativa nazionale, hanno avuto nell’immediato un’inattesa – sia consentita l’espressione pur consapevoli della sua ‘atecnicità’ – portata abrogativa dell’art. 105, comma 2, secondo periodo (quanto al limite del 30%) del comma 14 (quanto al limite del 20%) e che getta ulteriori, e pesanti, dubbi anche sul comma 5 del medesimo articolo[6] – per i casi di cui all’art. 89, comma 11 – riguardanti, come accennato, le opere “superspecialistiche”.

Non è un caso che la stessa Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) si sia immediatamente attivata proprio con una segnalazione al Governo e Parlamento[7] in cui apertamentericonosce come il limite quantitativo al subappalto si sia sempre riprodotto nelle normative sugli appalti che si sono succedute dal 1990 fino al nuovo Codice del 2016, a tutela degli interessi generali di primaria importanza della sostenibilità sociale, dell’ordine e della sicurezza pubblica, in un contesto – quello del subappalto – in cui i maggiori rischi di infiltrazione criminale e di condizionamento dell’appalto si associano a minori capacità di controllo e verifica dei soggetti effettivamente coinvolti nell’esecuzione delle commesse.

L’ANAC, dunque, non nasconde affatto le preoccupazioni in ordine alla vanificazione del limite quantitativo al subappalto ma auspica “una “compensazione” tra i diritti di libertà riconosciuti a livello europeo e le esigenze nazionali di sostenibilità sociale, ordine e sicurezza pubblica, che sono sempre stati alla base della limitazione all’utilizzo dell’istituto”, sollecitando quindi un intervento normativo non facile, ma certamente urgente, proprio in ragione dei presumibili rischi di contenzioso discendenti dall’incertezza venutasi a creare.

A ciò si aggiunga, peraltro, che la ‘compensazione’ tra opposte esigenze auspicata dall’ANAC è, ancor più necessaria se si considera il venir meno non solo della soglia quantitativa del 30% ma anche di quella, per effetto della successiva sentenza del novembre 2019, del 20% quale tetto al ribasso praticabile nei confronti del subappaltatore.

Tuttavia, la miglior valutazione delle possibili implicazioni delle pronunce della Corte di Giustizia non può prescindere da un’analisi delle motivazioni addotte dalle due pronunce che quindi è utile ripercorrere brevemente.

Ebbene, quanto al limite quantitativo, si ritiene che il cuore della motivazione risieda nella circostanza che il divieto di superare il 30% esistente nell’ordinamento italiano costituisca un divieto “generale e astratto” che, quindi, si applica “indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori”. Inoltre esso “non lascia alcuno spazio ad una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore” (così §40 CGUE c-63/18). Analogamente, le limitazioni al ricorso ai subappaltatori non possono avvenire “a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità” degli stessi” e senza menzione alcuna “del carattere essenziale degli incarichi” (§28)

La ratio decidendi muove dunque proprio dall’esame dell’art. 71 della direttiva 2014/24/UE che effettivamente circonda il subappalto di talune cautele prevedendo, ad esempio, che gli stati membri, in sede di attuazione della direttiva, disciplinino la facoltà delle stazioni appaltanti di obbligare gli offerenti a informarla circa le intenzioni in materia di subappalto, sulla possibilità di trasferire i pagamenti dovuti direttamente al subappaltatore nonché di verificare se sussistano motivi di esclusione. Tuttavia dalla volontà del legislatore, anche eurounitario, di “disciplinare in maniera più specifica […]le situazioni in cui l’offerente fa ricorso al subappalto, non si può dedurre che gli stati membri dispongano ormai della facoltà di limitare tale ricorso a una parte dell’appalto fissata in maniera astratta” (ibidem §30).

La Corte, in definitiva, non nega l’esistenza di esigenze di tutela sottese alle regole di dettaglio in nazionali in materia di subappalto e, in particolare la fissazione di una soglia quantitativa, ma la logica di siffatte previsioni, di contrasto fenomeni illeciti, non può “eccede[re] quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo” [ibidem §38], come, diversamente è, quando detto limite opera indiscriminatamente per una generalità e pluralità di casi.

Quanto al limite di ribasso da praticare nei confronti del subappaltatore si può dire che le argomentazioni della Corte siano, in parte, in linea con quelle poc’anzi passate in rassegna e, per certi aspetti, ancor più interessanti in quanto esse si pongono sul crinale di opposte esigenze ancor più delicate: infatti, il limite del 20% costituisce non soltanto un “ostacolo normativo” all’esplicarsi pienamente della più ampia partecipazione (come è invece immediatamente percepibile quanto al limite quantitativo del 30%) ma esso è, soprattutto, posto a diretta tutela del costo del lavoro e dei lavoratori, onde evitare che, per l’appunto, ribassi eccessivi si traducano in una compressione dei diritti dei lavoratori, sacrificati per ragioni speculative e di profitto dell’appaltatore (che ribassando ulteriormente i prezzi praticati lucra, sul subappaltatore, il relativo differenziale).

Gli interessi tutelati dal divieto di ribassi ulteriori, in altri termini, appaiono ancor più ‘sensibili’ rispetto a quelli sottesi al limite quantitativo del 30%. In quest’ottica, la regola nazionale, potrebbe sembrare più ‘resistente’ e ‘impermeabile’ alle istanze di matrice sovranazionale trovando, peraltro, nella stessa direttiva, come del resto aveva ritenuto lo stesso Consiglio di Stato in sede consultiva sullo schema di codice dei contratti, un appiglio normativo essendo qualificabile quale una delle possibili “condizioni particolari in merito all’esecuzione di un appalto” e, segnatamente tra quelle “considerazioni sociali” che devono essere “precisate nel bando di gara o nel capitolato d’oneri” ai sensi dell’art. 26 della direttiva 2004/18.

Tuttavia, anche con riferimento al limite del 20% di ribasso la Corte ha ritenuto che esso “eccede quanto necessario al fine di assicurare ai lavoratori impiegati, nel contesto di un subappalto, una tutela salariale”. Anche detto limite, ad avviso della Corte, “non lascia spazio ad una valutazione caso per caso da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dal momento che si applica indipendentemente da qualsiasi presa in considerazione della tutela sociale garantita dalle leggi”. (§65-66 CGUE C-402-18). Si tratta, anche in questo caso di un “limite generale e astratto” che si rivela “sproporzionato rispetto all’obbiettivo perseguito” potendosi ad esempio prevedere che “gli offerenti indichino, nella loro offerta, la quota parte dell’appalto e i lavori che essi hanno intenzione di subappaltare” che “vietare di sostituire subappaltatori” se non sia potuto “verificare previamente l’identità , la capacità e l’affidabilità dei nuovi subappaltatori proposti” (§70-71), o, ancora, in sede di verifica dell’offerta anormalmente bassa, verificare se il ribasso praticato sia tale da garantire la corretta esecuzione dell’appalto (§72).

In sostanza, per la Corte è da salutare con favore la possibilità che un offerente sia in grado di limitare i propri costi in ragione dei prezzi che “egli negozia con in subappaltatori”. Infatti ciò “contribuisce ad una concorrenza rafforzata e quindi all’obiettivo perseguito dalle direttive” (§74).

In conclusione, si tratta di considerazioni – quelle della Corte, sia in ordine alla soglia del 30% che quella del 20% – del tutto sovrapponibili e che soprattutto hanno in comune la stella polare del principio di proporzionalità che conduce a ritenere, in entrambi i casi, illegittima la fissazione in via “generale e astratta” di un valore soglia che prescinda dalle specificità del caso concreto.

4. Le implicazioni per le prossime Gare dell’incompatiblità eurounitaria del limite del 30%

Chiarito quanto precede, quid iuris allora con riferimento alle future procedure di affidamento dei contratti pubblici? Sono infatti evidenti le enormi difficoltà teoriche e pratiche-operative poste dalle sentenze della Corte a cui gli operatori e le stazioni appaltanti andranno incontro.

Ed invero l’incompatibilità con il diritto eurounitario dei valori soglia “generali e astratti” del 30% e 20%, se portata alle sue estreme conseguenze, sostanzialmente consentirebbe, rispettivamente, da un lato, in sede di gara, la possibilità di riservarsi di affidare in subappalto in quote addirittura maggioritarie, se non integrali delle prestazioni (!) potendosi in astratto prospettare una sorta di subappalto totale (100%), dall’altra, in fase esecutiva, si lascerebbero esposti i potenziali subappaltatori al potere negoziale dell’appaltatore il quale sarebbe del tutto svincolato dai prezzi offerti in gara potendo egli decidere, secondo un proprio calcolo di convenienza economica, il prezzo da praticare ai propri subappaltatori, in una logica di libero mercato.

Al riguardo occorre affrontare ancora una volta distintamente le implicazioni con riferimento alle due regulae iuris di cui la Corte di Giustizia si è occupata.

Con riferimento all’incompatibilità del limite del 30%, i primi commenti[8] hanno evidenziato come le alternative, ciascuna non priva di criticità, che si pongono per l’interprete siano essenzialmente tre ovvero quella di (i) continuare ad applicare la normativa nazionale[9]; (ii) disapplicarla del tutto, con l’effetto di “liberalizzare in toto” il subappalto, ovvero di (iii) individuare in sede di lex specialis una disciplina che risulti compatibile con il contenuto della pronuncia della Corte.

A tale impostazione si affianca inoltre la tesi di chi propone comunque l’individuazione di una data spartiacque, coincidente con quella di pubblicazione della prima delle due sentenze della Corte di Giustizia (C-63 del 26 settembre 2019), a decorrere dalla quale soltanto, in virtù del principio del tempus regit actum, il nuovo principio sarà. In sostanza, i limiti quantitativi sarebbero venuti meno unicamente per le gare indette successivamente alla predetta data (ed ai relativi contratti), restando ferma la disciplina nazionale in vigore per tutte le gare precedentemente indette, le aggiudicazioni disposte e i contratti già stipulati[10].

Tanto premesso, pare possibile osservare come in realtà le tre alternative interpretative avanzate nei primi commenti costituiscano, a ben vedere, dei casi-limite potendosi in realtà prospettare anche delle soluzioni di tipo intermedio e, si ritiene, maggiormente in linea con l’impostazione ‘sostanzialistica’ della Corte.

Ed invero sembra proprio questo l’approccio adottato dall’ANAC nell’atto di segnalazione ove ci si soffermi sulle considerazioni ivi espresse in ordine ai possibili rimedi da adottarsi in via legislativa.

L’ANAC infatti, nel proprio atto di segnalazione ha, anzitutto, prospettato l’opportunità di mantenere fermo il generale divieto di cessione del contratto, al fine di non esporre le stazioni appaltanti ad una subappaltabilità integrale dello stesso (100%) scenario, in effetti, non del tutto remoto a leggere le motivazioni della Corte. Quindi ha prospettato l’opportunità che sia previsto l’obbligo per le stazioni appaltanti di “motivare adeguatamente un eventuale limite al subappalto in relazione allo specifico contesto di gara, evitando di restringere ingiustificatamente la concorrenza”.

Se, per un verso, l’ANAC sembra aver aderito all’impostazione sub (iii) volta cioè a favorire una soluzione caso per caso alla questione della fissazione di un valore soglia attraverso l’indicazione da parte delle stazioni appaltanti nei bandi di gara della regola applicabile, dall’altro lato, e ad una più attenta lettura, invece suggerisce al legislatore, traendo spunto dalle trame argomentative della Corte di Giustizia sopra analizzate, l’individuazione di regole peculiari a seconda della tipologia di contratto oggetto di affidamento[11].

L’ANAC, in altri termini, suggerisce una sorta di impostazione comply or explain, analoga a quella in essere in molte altre regole della disciplina dei contratti pubblici (come ad esempio quella in materia di divisione dell’affidamento in lotti ovvero in materia di fissazione di requisiti di ammissione alle gare basate sul volume di fatturato) in base alla quale fermo restando un quadro normativo in cui viene ribadito il dovere di esecuzione in proprio del contratto, sussistono margini di flessibilità differenziati a seconda del tipo (merceologico o basato su altri criteri) di contratto. Spetta a ciascuna amministrazione declinare, in concreto, la regola stabilita dal legislatore fissando, motivatamente, le ragioni per le quali si ritenga che stante il “carattere essenziale” (così §28 CGUE C‑63/18) di talune prestazioni esse debbano essere eseguite dall’appaltatore e non possano essere affidati in subappalto.

Allo stato, tuttavia, si tratta di considerazioni che operano prettamente de iure condendo mentre, a stretto rigore, le pronunce della Corte di Giustizia depongono nel senso che spetta a ciascun interprete l’eventuale disapplicazione del valore soglia del 30% e delle sue conseguenze espulsive e/o preclusive al subappalto. Si ritiene che al riguardo non è tanto con riferimento al superamento o meno di un certo valore che debba essere valutata la quota subappaltabile bensì, sempre in linea con gli insegnamenti della Corte di Giustizia, se l’affidamento non determini effettivamente che l’affidatario si ‘spogli’ di adempimenti di “carattere essenziale” rispetto all’oggetto del contratto, cioè ponendo a rischio quel nocciolo duro di tutela (di controllo sulla moralità del subappaltatore e sulla buona esecuzione) che anche le direttive riconoscono nel circondare di cautele il ricorso ai subappaltatori.

In sostanza, infatti, la più coerente attuazione delle statuizioni del giudice europeo, imporrebbe, anche con riferimento al subappalto, una valutazione caso per caso da parte dell’amministrazione aggiudicatrice sulla sua ammissibilità in concreto (così §40 CGUE c-63/18, §65-66 CGUE C-402-18) che, a prescindere da ogni automatismo e dal mero ed esclusivo richiamo, quasi “contabilistico” al superamento di un certo valore-soglia (sia esso quello del 30% o quello, appena più elevato del 40%, fissato con il decreto Sblocca Cantieri), è chiamata a motivare in ordine all’effettiva lesione degli interessi sottesi, invece, alla regola opposta e cioè al necessario mantenimento di una certa quota del contratto in capo all’appaltatore e con il conseguente divieto di subappalto.

Si tratta, si è consapevoli, di una soluzione di notevole difficoltà pratica che chiama le stazioni appaltanti all’assunzione di una responsabilità delicata e significativa, e che, tanto più in questa prima fase di incertezza, rischia di generare un notevole contenzioso.

Analogamente, anche con riferimento all’ammissione/esclusione dell’offerente che intenda o meno superare la soglia del 30% di subappalto, non potrà che analizzarsi, caso per caso, alla luce delle singole motivazioni addotte nei relativi provvedimenti, la legittimità della singola decisione sulla scorta delle coordinate interpretative sin qui tracciate. Per converso, incomberà sull’amministrazione dimostrare che l’eventuale affidamento in subappalto di talune prestazioni, in misura superiore ad un certo valore, comprometta l’affidamento della stazione appaltante sulla buona esecuzione del contratto, in ragione delle peculiarità di quest’ultimo. Sembra questa, del resto, essere la strada intrapresa dalla più recente giurisprudenza successiva alla pronuncia della Corte di Giustizia[12].

Il rischio ove si aderisse ad una diversa impostazione che perseveri nell’applicazione della norma nazionale, tanto più in assenza di una chiara presa di posizione del Legislatore che orienti in modo chiaro gli interpreti, è che la stazione appaltante che disponga tout court l’esclusione di concorrenti che dichiarino di voler subappaltare quote maggiori del 30% dell’appalto, e, in questo modo, andando incontro a ad impugnazioni e contenziosi fondati proprio sulle pronunce della Corte. Ad analoghi rischi si esporrebbe la stazione appaltante che, nella fase di esecuzione del contratto, in sede autorizzazione al subappalto, neghi l’autorizzazione facendo, ancora una volta, riferimento esclusivo al superamento della quota di subappaltabilità (o della soglia di massimo ribasso).

In quest’ottica, quindi, in sede applicativa, la soluzione che presumibilmente è destinata a prendere piede appare quella per cui, nel valutare l’ammissibilità del subappalto, si prescinderà dal riferimento “generale e astratto” ai valori soglia, in favore di una ritrovata centralità della motivazione del provvedimento espulsivo caso per caso secondo l’approccio ‘sostanzialistico’ della Corte.

5. Le implicazioni dell’incompatibilità del limite del 20%

Il discorso è tuttavia più complesso con riferimento all’incompatibilità eurounitaria del limite del 20% al ribasso praticabile nei confronti del subappaltatore.

Allo stato, sono possibili alcune prime riflessioni in quanto non costano ad oggi, specifici commenti sul punto in dottrina né giurisprudenza e l’ANAC, come già accennato, ha effettuato la segnalazione al Governo e Parlamento di cui si è detto solo pochi giorni prima della pubblicazione della Sentenza della Corte (C-402/18), non potendosi occupare quindi, anche di questo tema.

Le considerazioni sopra effettuate in ordine alle implicazioni dell’incompatibilità eurounitaria del limite quantitativo e i suoi risvolti applicativi, non sembrano potersi attagliare del tutto alle implicazioni della diversa ipotesi relativa alla soglia di massimo ribasso, pur essendo comuni, nelle motivazioni della Corte, i fondamenti della ritenuta incompatibilità. Quanto alla prima ipotesi, infatti, già oggi e ben prima della sentenza della Corte in sede di gara incombe sull’offerente l’onere di dichiarare le parti del servizio o della fornitura, ovvero, le opere e le lavorazioni che si intende subappaltare. In tale contesto è quindi possibile prefigurare, come sopra illustrato, se e in che termini si potrà dare attuazione alle pronunce della Corte di Giustizia potendo essere noto alla stazione appaltante, sin dalla fase di gara, il rispetto o meno della soglia fissata dal legislatore (o la diversa soglia stabilita nella lex specialis).

Diversamente, invece, per la soglia di massimo ribasso, in linea generale è solo in sede di richiesta di autorizzazione al subappalto che la stazione appaltante certamente conoscerà dell’accordo raggiunto tra contraente principale e subappaltatore e, quindi, in ordine alle condizioni economiche raggiunte. È solo in questo momento, infatti che incombe sull’appaltatore l’obbligo di depositare il contratto ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione (art. 105, comma 7) e quindi e solo in tale momento, che si potrebbe porre il dilemma interpretativo.

Ciò fa si, come si dirà, che proprio per l’incompatibilità della soglia del 20%, è maggiore l’esigenza dell’intervento del Legislatore. In astratto, infatti, le tre alternative ipotizzate con riferimento alla quota del 30% – in sostanza, (i) perdurante applicabilità della norma nazionale (ii) totale liberalizzazione, e (iii) soluzione caso per caso – si pongono anche con riferimento alla soglia del 20%, maggiori e più complesse ne sono tuttavia le applicazioni ed i risvolti pratici, come è evidente passando brevemente in rassegna i diversi possibili esiti interpretativi.

Laddove si opti per la perdurante applicabilità della norma nazionale (ipotesi sub i) una volta che il concorrente abbia dichiarato la quota subappaltabile in gara, in fase esecutiva all’amministrazione non resterà che valutare il rispetto delle ulteriori condizioni di ammissibilità al subappalto (requisiti soggettivi, assenza di informative antimafia, regolarità contributiva etc.). Ove il contratto preveda prezzi per il subappalto con un ribasso maggiore del 20%, e la stazione appaltante, aderendo a questa impostazione, ritenesse di negare il subappalto si esporrebbe – è ragionevole ipotizzare – all’impugnazione del diniego con buone chance di accoglimento. Le considerazioni, su questo punto, coincidono con quelle sopra effettuate con l’unica differenza che il rischio di contenzioso parrebbe ‘confinato’ alla fase di esecuzione del contratto e teoricamente non implica il coinvolgimento di terzi controinteressati rispetto all’ammissione/esclusione dell’appaltatore. Si tratta, quindi, di un rischio per certi aspetti più contenuto.

Quanto alla seconda alternativa e quindi alla possibilità che sia la stessa stazione appaltante a fissare, nei documenti di gara, una soglia massimo di ribasso nei confronti del subappaltatore (ipotesi sub iii) che sembrerebbe allo stato l’approccio preferibile con riferimento alla soglia quantitativa del 30%, essa costituisce in realtà, con riferimento al diverso tema della soglia massima di ribasso, una soluzione certamente possibile in astratto ma, a prima impressione, dall’attuazione estremamente difficoltosa se non impossibile in concreto. Spetterebbe, in sostanza, alla stessa amministrazione, in sede di predisposizione degli atti di gara, individuare un valore di ribasso che tutti gli offerenti sarebbero tenuti a rispettare. Si tratterebbe di una strada che solo un’amministrazione particolarmente attrezzate ed avveduta – teoricamente in grado di stimare un prezzo di mercato dei servizi o lavori che intende acquisire, in base ad indagini di mercato, statistiche e analisi dei fabbisogni – potrebbe effettivamente intraprendere, onde evitare di vedersi esposta a subappalti “aggressivi” in sede di esecuzione del contratto. È evidente, tuttavia, che questo scenario si scontrerebbe con l’impossibilità pratica di predeterminare ex ante nel bando di gara quali siano le prestazioni effettivamente affidate in subappalto trattandosi, questa, di attività che resta nella esclusiva (e libera) decisione imprenditoriale dell’offerente.

A fronte di ciò, parrebbe dunque che la più realistica, e al tempo stesso più gravida di implicazioni, alternativa interpretativa è quindi quella che depone nel senso della “liberalizzazione” della soglia di ribasso nei confronti del subappaltatore. Si tratta, si ritiene, di un’opzione sicuramente coerente con il dictum della Corte nella parte in cui questa, esplicitamente, lascia intendere che proprio la possibilità che l’appaltatore “negozi” liberamente il prezzo, è precipuo obiettivo proconcorrenziale delle direttive.

Tuttavia, anche questa chiave di lettura si presta ad una significativa obiezione che muove proprio dalle argomentazioni della Corte di Giustizia. Questa, infatti, nel respingere le tesi del Governo Italiano volte per l’appunto a giustificare la fissazione di un tetto massimo al ribasso applicabile al subappaltatore a garanzia della serietà dell’offerta e in generale delle dovute tutele salariali, richiama il procedimento di verifica di anomalia dell’offerta quale strumento ‘equipollente’ e non sproporzionato (a differenza della fissazione di una soglia fissa e predeterminata) per conseguire il medesimo obiettivo.

In sostanza, sarebbe questo lo strumento di cui dispone la stazione appaltante per verificare che il costo del lavoro e le tutele contrattuali siano rispettate nell’esecuzione non solo dell’appalto ma anche del subappalto (senza necessaria imposizione di un limite di ribasso).

Tuttavia, e venendo quindi propriamente all’obiezione, tale “strumento” (recte il relativo subprocedimento) si apre e si chiude in una fase antecedente all’acquisizione da parte della stazione appaltante del contratto di subappalto. In sostanza, se il ribasso nei confronti del subappaltatore è liberamente negoziabile in una fase successiva al subprocedimento di verifica dell’anomalia gli esiti di tale verifica ne risulteranno compromessi o, comunque, non saranno più validi.

In sede di subprocedimento di anomalia, infatti, un’offerta potrebbe apparire attendibile in relazione al costo di talune lavorazioni/servizi e in relazione al costo del lavoro. Tuttavia per l’appaltatore è possibile procedere ad affidamenti in subappalto in una fase successiva e ad un prezzo sganciato da quello in gara e già valutato nel procedimento di anomalia tale, dunque, da inficiale il giudizio di congruità espresso a monte dalla stazione appaltante.

In altre parole, se libero e negoziabile è il prezzo del subappalto, è evidente che la conclusione raggiunta in sede di subprocedimento di anomalia resta ‘precaria’ ed esposta all’effettiva negoziazione tra subappaltatore e appaltatore post gara (e, soprattutto, al potere negoziale di quest’ultimo).

Stando così le cose, allora, ad aderire a questa impostazione, è evidente che si renda necessario un correttivo all’eliminazione della soglia del 20% onde evitare di vanificare del tutto le esigenze cui lo stesso limite era preordinato.

Al riguardo i correttivi paiono essere teoricamente due. Una prima soluzione potrebbe essere quella di attivare un secondo subprocedimento di verifica di anomalia in relazione allo specifico contratto di subappalto. Tale, secondo e ipotetico, subprocedimento investirebbe le condizioni di affidamento in subappalto e ove desse esito negativo, potrebbe sfociare in un diniego di autorizzazione al subappalto da parte dell’amministrazione.

Una seconda soluzione, invece, potrebbe essere quella di anticipare la presentazione del contratto di subappalto (e delle condizioni in esso negoziate) se non già alla fase di presentazione dell’offerta quantomeno alla fase di verifica dell’anomalia della stessa, così da consentire all’amministrazione, in quella sede, quand’anche fosse superato il ribasso del 20%, di esprimersi fondatamente sull’attendibilità e la serietà del prezzo praticato dall’appaltatore al subappaltatore, in relazione ai costi da affrontare e al rispetto delle tutele salariali e contrattuali del lavoro.

Ma al di là di tali embrionali prospettazioni resta il fatto che, allo stato, l’intervento del legislatore appare indispensabile risultando per il momento difficilmente immaginabile quali siano gli strumenti di cui dispone l’amministrazione per dar seguito alla sentenza della Corte, senza, al contempo, esporsi al rischio di eccessive speculazioni, attraverso lo schema del subappalto, sui contratti aggiudicati.

6. Considerazioni conclusive e prospettive future

Il lungo excursus sin qui compiuto induce, in conclusione, ad un duplice ordine di considerazioni ed interrogativi sull’istituto del subappalto per come oggi, nella sua fisionomia, ci è stato restituito dalla giurisprudenza eurounitaria.

La prima è, per così dire, di carattere ‘retrospettivo’ e invita a riflettere sulla genesi del subappalto. Secondo la definizione tradizionale si tratta di un contratto derivato nel quale l’appaltatore affida ad un terzo il compimento in tutto o in parte delle prestazioni che egli si sia impegnato a svolgere nei confronti del committente. La sua restrittiva disciplina – che in passato contemplava addirittura un divieto assoluto[13] e che tutt’ora contempla sanzioni penali in caso di subappalto non autorizzato[14] – ha costituto lo spunto per affermare il carattere fiduciario del negozio di appalto tant’è, per l’appunto, che si richiede sempre, anche nell’appalto privato, l’autorizzazione del committente (cfr. art. 1656 cod. civ)[15]. Il subappalto dunque costituirebbe uno dei pochi casi, di carattere eccezionale, in cui l’esecuzione delle prestazioni è affidata ad un soggetto teoricamente estraneo a detto rapporto fiduciario.

Si è però evidenziato, proprio con riferimento all’elemento fiduciario, che esso ha una “consistenza … psicologica più che obiettiva”[16] e che, al contrario è su basi obiettive che si deve misurare la capacità e l’idoneità del contrante della pubblica amministrazione.

L’interrogativo che resta è se davvero può dirsi che il subappalto, tenuto conto dei requisiti soggettivi ed oggettivi, del tutto equiparabili a quelli che deve possedere l’appaltatore – anche e a maggior ragione se per quote di subappalto superiori al 30% – costituisca reale vulnus alla buona esecuzione del contratto e se determini effettivamente una ‘fuoriuscita’ dal legame fiduciario con la stazione appaltante.

Al riguardo occorre dunque chiedersi se non sia più realistico, anche sull’impulso delle pronunce della Corte, fornire una risposta negativa al predetto interrogativo, prendendo atto non solo della molteplicità di competenze specialistiche e di operatori economici che sovente intervengono nell’esecuzione del contratto pubblico in luogo di un’esecuzione affidata ad un unico operatore economica, ma anche della progressiva ‘fuga’ dal subappalto, testimoniata da un elenco sempre maggiore di contratti che “non si configurano come attività affidate in subappalto” solo per una espressa previsione di legge (art. 105, comma 3), piuttosto che per il loro concreto atteggiarsi nella dinamica della fase esecutiva[17].

La seconda considerazione volge invece al futuro muove da una sensazione di déjà-vu se si pensa al subappalto per come risultante dalle pronunce della Corte.

Siamo al cospetto di un istituto che vede oggi, nell’esecuzione del contratto, due distinti operatori economici, senza limiti quantitativi predeterminati ex ante in ordine alle prestazioni affidate e con un contenuto economico rimesso al libero accordo delle parti. Si deve infatti valutare in concreto il carattere essenziale o meno delle prestazioni eventualmente subappaltate nonché la sostenibilità economica delle condizioni negoziali convenute fra le parti. La mente non può che andare all’avvalimento e a quella possibilità, contemplata dal legislatore, che l’impresa ausiliata assuma, nei limiti dei requisiti prestati in gara, anche il ruolo di subappaltatore[18].

Ebbene, il “nuovo subappalto” è oggi ancor più vicino all’istituto dell’avvalimento seppure la prevalente dottrina e giurisprudenza non manchino (correttamente) di rilevarne le perduranti differenze[19].

Va tuttavia parimenti evidenziato che anche l’istituto dell’avvalimento teoricamente ammesso ad ampio raggio e senza particolari limitazioni, nonché funzionalmente collegato alla sola fase di gara, resta soggetto con il D.Lgs. 50/2016 ad alcune previsioni, che, da un lato ne restringono la portata, dall’altro, compiono un ulteriore passo verso la concretezza ed effettività dell’oggetto di avvalimento anche in fase esecutiva: è il caso, ad esempio, della previsione secondo la quale la stazione appaltante può prevedere che “taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente” (art. 89 comma 4) che quasi lessicalmente ricalca quella della Corte (cfr. §28 C-63/18 in ordine al “carattere essenziale” delle prestazioni che debbono rimanere in capo all’appaltatore nel subappalto); è il caso, inoltre, della previsione secondo la quale prestazioni oggetto di contratto debbano essere svolte “direttamente dalle risorse umane e strumentali dell’impresa ausiliaria” (comma 9); ed ancora, la regola per cui per talune tipologie di requisiti oggetto di avvalimento gli operatori economici possono “avvalersi delle capacità di altri soggetti solo se questi ultimi eseguono direttamente i lavori o i servizi per cui tali capacità sono richieste” (comma 1)[20]. Si pensi, infine, ancora, al divieto di avvalimento a cascata (speculare a quello esistente per il subappalto).

In altre parole, si tratta di un complesso di nuove regole che pur nella diversa funzione dell’avvalimento rispetto al subappalto riecheggiano l’uno la disciplina dell’altro.

Si assiste quindi ad un fenomeno, da un lato, di ‘destrutturazione’ del subappalto, anche sugli impulsi in via pretoria della Corte di Giustizia, e, dall’altro lato, di progressiva ‘strutturazione’ dell’istituto dell’avvalimento, nell’ottica tanto della sua effettività anche in fase esecutiva, quanto di un maggior rigore sulle condizioni della sua ammissibilità (originariamente scarne ed elastiche tanto da destare i sospetti della giurisprudenza e dottrina nazionale). Sennonché, si ritiene di poter scorgere in questi due paralleli fenomeni i primi passi di un’evoluzione normativa e giurisprudenziale che presumibilmente condurrà ad una disciplina unitaria delle modalità di partecipazione alle gare e di esecuzione del contratto in forma plurisoggettiva; evoluzione tutt’ora in atto e sicuramente ben lontana da una sua compiuta definizione ma che, si ritiene, è da salutare con favore se diretta alla semplificazione degli istituti di partecipazione collettiva alle gare nella complessa materia della contrattualistica pubblica.

 


[1] Nella prima pronuncia la questione, regolata dal D.Lgs. 50/2016, sorgeva dal giudizio principale innanzi al TAR Lombardia proposto da un’impresa che era stata esclusa dalla procedura di gara per aver superato la quota del 30%. Il giudice nel respingere tutti i restanti motivi, residuando dubbi sulla compatibilità comunitaria di detto limite, ha sollevato la questione con sentenza non definitiva (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. I , 5 gennaio 2018, n. 28). La seconda questione, invece, regolata dal previgente D.Lgs. 163/2006, originava dal procedimento concernente la legittimità dell’aggiudicazione contestata, fra l’altro, in ragione del fatto che le prestazioni lavorative affidate in subappalto fossero retribuite con corrispettivi ribassati di oltre il venti per cento (29,9 %) rispetto a quelli praticati dal medesimo concorrente nei confronti dei propri dipendenti diretti (Cons. St., Sez. VI, ordinanza 11 giugno 2018 n. 3553).

[2] Al riguardo la dottrina ha evidenziato come la pronuncia della Corte “ripropone la distanza soprattutto culturale tra l’impostazione eurounitaria e quella nazionale sulle categorie di appalto, di impresa esecutrice di un contratto pubblico e sulle modalità per contrastare il fenomeno delle infiltrazioni criminali negli appalti pubblici”, A. Massari, Il subappalto dopo la sentenza della Corte di Giustizia 26 settembre 2019 C-63 e in attesa delle modifiche al Codice”, in Appalti&Contratti 11, 2019.

[3] In particolare il Consiglio di Stato, nel parere n. 855/2016 reso sullo schema di codice del 2016, segnalava la possibilità per il legislatore nazionale di porre, in tema di subappalto, norme di maggior rigore rispetto alle direttive europee, motivate da pregnanti ragioni di ordine pubblico, di tutela della trasparenza e del mercato del lavoro, e pertanto non tali da rappresentare un ingiustificato goldplating, quindicon parere n. 782 del 2017, ha riconosciuto che “questo Consesso non ignora la giurisprudenza della C. Giust. UE, e, segnatamente, da ultimo, la decisione C. Giust. UE, III, 14.7.2016 C-406/14 (ma v. anche C. Giust. UE, 10.10.2013 C-94/12; Id., 18.3.2004 C-314/01), secondo cui il diritto europeo non consente agli Stati membri di porre limiti quantitativi al subappalto”, afferma che “tuttavia, tale giurisprudenza eurounitaria si è appunto formata in relazione alla previgente direttiva 2004/18”. Ciò precisato, il Consiglio di Stato aggiunge che “la complessiva disciplina delle nuove direttive, più attente, in tema di subappalto, ai temi della trasparenza e della tutela del lavoro, in una con l’ulteriore obiettivo, complessivamente perseguito dalle direttive, della tutela delle micro, piccole e medie imprese, può indurre alla ragionevole interpretazione che le limitazioni quantitative al subappalto, previste da legislatore nazionale, non sono in frontale contrasto con il diritto europeo”

[4] Cfr. più di recente C. Deodato, Il subappalto: un problema o un’opportunità, in L’amministrativista, 2017. Analogamente M. Martinelli, La capacità economica e finanziaria, in Il nuovo diritto degli appalti pubblici, a cura di R. Garofoli – M. A. Sandulli, Giuffrè, Milano, 2005, 633, ove si riconosce che “la giurisprudenza comunitaria appare orientata a riconoscere la possibilità di ricorrere al subappalto oltre i limiti eventualmente stabiliti dalla normativa interna, allorché i requisiti di capacità del terzo subappaltatore siano stati valutati in corso di gara dall’amministrazione aggiudicatrice…in tal caso, infatti, vi sono tutte le garanzie che l’appalto venga effettivamente eseguito da soggetti dotati di adeguata qualificazione”.

[5] Il riferimento è alla statuizione della Corte nella causa C-406/14 secondo cui clausola che impone limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale delle prestazioni di cui si tratta, è incompatibile con la direttiva 2004/18/CE Sentenza della Corte di giustizia del 14 luglio 2016, causa C-406/14.

[6] In particolare, come sottolineato dalla stessa ANAC nell’atto di segnalazione su cui infra, la sentenza della Corte dovrebbe ritenersi a carattere immediatamente obbligatorio ed erga omnes. A tal proposito l’Autorità richiama l’insegnamento della la Corte costituzionale «le statuizioni interpretative della Corte di giustizia delle comunità europee hanno, al pari delle norme comunitarie direttamente applicabili, operatività immediata negli ordinamenti interni» (cfr. sentenze 113/1985 e 389/1989) nonché la giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha ritenuto l’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia quale avente efficacia ultra partes, sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, va attribuito «il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità» (Cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza dell’11 dicembre 2012, 22577; Cass. 2 marzo 2005, n. 4466; Cass. 30 agosto 2004, n. 17350).

[7] Atto di segnalazione n. 8 del 13 novembre 2019, Concernente la disciplina del subappalto di cui all’art. 105 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, Approvato dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 1035 del 13 novembre 2019 in anticorruzione.it

[8] Cfr. M. Gentile, Il subappalto dopo la sentenza della Corte: cosa deve fare una stazione appaltante; prime riflessioni a voce alta, in appaltiecontratti.it, ottobre 2019.

[9] A. Massari, Il subappalto, cit., il quale prospetta che “sul piano meramente formale … la sentenza della corte si riferisca alla norma dell’art. 105, comma 2, del D.Lgs. 50/2016 e alla quota del 30% e non abbia invece censurato la diversa disposizione dell’art. 1, comma 18, della l. 55/2019 che prevede in via transitoria, fino al 31.12.2020, la quota del 30%. L’argomento formale … è però decisamente debole a fronte della solita impostazione sostanzialistica che caratterizza la sentenza e della modestissima differenza tra la quota del 30% e quella del 40%.

[10] V. A. Massari, Il subappalto, cit.

[11] In tal senso per l’ANAC alcuni dei criteri, in via esemplificativa, potrebbero essere individuati alcuni criteri come “il settore economico o merceologico di riferimento, la natura (ad esempio principale/prevalente o accessoria) della prestazione, ma anche specifiche esigenze che richiedono di non parcellizzare l’appalto, con finalità di carattere preventivo rispetto a fenomeni di corruzione, spartizioni o di rischio di infiltrazioni criminali”.

[12] Cfr. TAR Puglia, Lecce, Sez,. I , sentenza 5 dicembre 2019 n. 1938 che, in applicazione del principio nella specie è stato ritenuto che il subappalto era inammissibile, atteso che la società ausiliaria della ricorrente avrebbe dovuto subappaltare più del 90% delle prestazioni oggetto dell’appalto, possedendo l’accreditamento richiesto solamente per 5 dei 52 parametri. Non era stata tuttavia fornita alcuna precisa indicazione in sede di offerta circa i laboratori che avrebbero dovuto operare in subappalto, la loro affidabilità, i rapporti intercorrenti tra questi ultimi e l’ausiliaria e la prestazione di impegno dei medesimi ad eseguire le prove di analisi, violando così i predetti principi di trasparenza, di concorrenza e di proporzionalità e rendendo del tutto incerta la corretta esecuzione delle prestazioni oggetto dell’appalto. Il caso è peraltro particolare perché attiene ad un caso in cui il subappaltatore assumeva altresì il ruolo di impresa ausiliaria.

[13] Questo il significato attribuito all’art. 339 della l. 20/03/1865, n. 2248 Legge sui lavori pubblici (All. F). “È vietata qualunque cessione di credito e qualunque procura, le quali non siano riconosciute” ] (57

[14] Si v. il noto art. 21 della l. 13/09/1982, n. 646 che, con pene recentemente inasprite dall’art. 25 del D.L. 113/2018 punisce con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore ad un terzo del valore dell’opera concessa in subappalto o a cottimo e non superiore ad un terzo del valore complessivo dell’opera ricevuta in appalto, chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione, concede anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte le opere stesse, senza l’autorizzazione dell’autorità competente e prevede, nei confronti del subappaltatore e dell’affidatario del cottimo, l’applicazione della pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa pari ad un terzo del valore dell’opera ricevuta in subappalto o in cottimo. Al riguardo la dottrina ha evidenziato come, nell’inasprire le sanzioni penali, il reato è stato convertito “da fattispecie contravvenzionale a delittuosa, richiedendo pertanto, quale elemento soggettivo, il dolo. Verrebbe allora da chiedersi come possa configurarsi l’elemento oggettivo della violazione del limite del subappalto, sia quello soggettivo del dolo, in presenza di un obbligo normativo di disapplicazione della disciplina interna per riconosciuto contrasto con il diritto comunitario”, così A. Massari, cit. .

[15] A. Cianflone, G. Giovannini, V. Lopilato, L’appalto di opere pubbliche, 2018, §23, pag. 55 “non si commette l’esecuzione di un’opera ad una persona se non si confida nella sua capacità di compierla”.

[16] Carnelutti, in Riv. Dir. Comm. 1911 I, 382, cit. in A. Cianflone, op. cit.

[17] Si tratta, come correttamente evidenziato, di “scelte di politica legislativa” così B. Giliberti, Commento sub art. 105, p. 946 in R. Perfetti (a cura di) Codice dei Contratti pubblici commentato, 2017

[18] In proposito sono state evidenziate le numerose problematiche applicative conseguono a quanto previsto oggi dall’art. 89, c. 8 del D.Lgs. 50/2010 e, in passato, dall’art. 49, comma 10, del D.Lgs. 163/06 introdotto dal d.lgs. 26 gennaio 2007, n. 6 (primo decreto correttivo), per il quale «Il contratto è in ogni caso eseguito dall’impresa che partecipa alla gara, alla quale è rilasciato il certificato di esecuzione, e l’impresa ausiliaria può assumere il ruolo di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati». Il principale problema interpretativo si è posto proprio in relazione all’applicazione del regime vincolistico del subappalto, con particolare riguardo ai limiti quantitativi (30% dell’importo della categoria prevalente per i lavori e 30% dell’importo dell’appalto per forniture e servizi), che non son ostati riproposti per il subappalto concluso con l’impresa ausiliaria, apparentemente delimitato soltanto dai requisiti prestati, cfr. sul punto G. A. Giuffrè, Il subappalto, inL’Amministrativista, 2017.

[19] Che, principalmente, attengono al diverso regime di responsabilità nei confronti della stazione appaltante. Da ultimo, sul punto, v. che appare emblematica TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 18 marzo 2019, n. 291 che ha rigettato la tesi secondo la quale in base agli artt. 89, co. 8, e 105 d.lgs. n. 50/2016 anche nell’avvalimento operativo opererebbe il limite massimo del 30% di attività svolgibili dal terzo, previsto invece per il subappalto. In proposito, ad avviso del TAR, gravando sull’operatore nazionale l’obbligo di interpretare le categorie del diritto nazionale in senso conforme ai principi eurounitari ha sancito l’inammissibilità della suddetta interpretazione dell’art. 89 co. 8 d.lgs. n. 50/2016, poiché si risolverebbe nell’estendere in via interpretativa all’avvalimento operativo un limite invece espressamente posto solo per il subappalto dall’art. 105. La disposizione di cui al co. 8 dell’art. 89 va quindi interpretata tenendo presente che le prestazioni contrattuali dell’appalto, pur se in concreto eseguite nell’ambito dell’organizzazione aziendale dell’ausiliaria (organizzazione messa a disposizione tramite il contratto di avvalimento), rientrano nella sfera del rischio economico-imprenditoriale dell’impresa concorrente alla gara. L’impresa ausiliata resta dunque la controparte contrattuale della stazione appaltante, sia pure con la garanzia della responsabilità solidale dell’ausiliaria (co. 5). Per tale ragione, infatti, il contratto si ritiene eseguito dalla concorrente e alla stessa è rilasciato il certificato di esecuzione (co. 8). Per il TAR, pertanto “È questo il significato della previsione dell’art. 89, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2006, che marca anche la differenza rispetto al subappalto, non a caso richiamato nell’ultimo inciso dello stesso comma: a differenza dell’impresa ausiliaria, l’impresa subappaltatrice assume in proprio il rischio economico-imprenditoriale dell’esecuzione delle prestazioni sub-appaltate, secondo lo schema tipico del contratto derivato dal contratto principale, perciò diverso è il rapporto giuridico tra subappaltatore e appaltatore, da un lato, e tra entrambi e la stazione appaltante, dall’altro (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. V, 16 marzo 2018, n. 1698)”. Ed ancora “Nella materia degli appalti pubblici la disciplina del subappalto differisce significativamente da quella dell’avvalimento o del raggruppamento di imprese, in quanto non comporta assunzione diretta di responsabilità del subappaltatore nei confronti della stazione appaltante, a conferma del fatto che esso realizza piuttosto una modalità di organizzazione interna del lavoro, che normalmente ha anche un determinato vantaggio per l’appaltatore”.

[20] Si tratta dell’ipotesi di avvalimento che è stata definita di c.d. avvalimento ‘aggravato’, con riferimento ai requisiti di ammissione relativi all’indicazione dei titoli di studio e professionali di cui all’allegato XVII, parte II, lett. f). Sul punto sia consentito rinviare su questi profili di novità del nuovo codice a C. Pepe, Commento sub art. 89, §IIIp. 790 in R. Perfetti (a cura di) Codice dei Contratti pubblici commentato, 2017.

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