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Giurisprudenza

Trust autodichiarato e imposte ipotecaria e catastale

23 Febbraio 2015

Daniele Muritano, Notaio in Empoli

Comm. Trib. Reg. Napoli, 3 novembre 2014, n. 9487/31/14

Di cosa si parla in questo articolo

Il trattamento tributario del trust continua a non trovare soluzioni univoche e condivise, come accade con la sentenza in esame, che disorienta gli operatori giuridici e ben consente di parlare, come ha fatto autorevole dottrina, di “Eclissi della certezza del diritto”.

Nonostante un profluvio di sentenze sfavorevoli all’Agenzia delle Entrate, che avrebbero dovuto condurre, riguardo alle imposte indirette, a una revisione dei criteri di tassazione di tali operazioni negoziali ovvero a un intervento legislativo, si è ancora fermi a modalità di tassazione del tutto prive di basi legali. Non esistono norme, in tema di imposte indirette, che disciplinano la tassazione del trust, ed essa si fonda esclusivamente su due documenti di prassi amministrativa (si tratta delle Circolari n. 47 del 6 agosto 2007 e n. 3 del 22 gennaio 2008), che costituiscono la “vera” disciplina della tassazione di tali tipologie di atti nell’ordinamento interno.

Le circolari quali vere e proprie fonti del diritto, quindi, a dispetto di quanto affermato dalla giurisprudenza da Cass. S.U. 2.11.2007, n. 23031, secondo cui «La circolare con la quale l’Agenzia delle Entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati perché vi si uniformino, esprime esclusivamente un parere dell’amministrazione non vincolante per il contribuente, e non è, quindi, impugnabile né innanzi al giudice amministrativo, non essendo un atto generale di imposizione, né innanzi al giudice tributario, non essendo atto di esercizio di potestà impositiva.»

Attualmente, quindi, è al contenuto di tali circolari e in particolare alla più recente del 2008, che occorre fare riferimento per individuare il trattamento tributario di tali atti. Queste due circolari si riferiscono al trust in genere, ma nei fatti si occupano del trust c.d. interno, cioè il trust che è fonte di un rapporto giuridico i cui “elementi significativi” (per tali dovendosi intendere sia – com’è pacifico – il luogo in cui i beni sono ubicati e quello in cui lo scopo del trust deve essere perseguito, sia – come parrebbe affermare la tesi prevalente – la cittadinanza e residenza del disponente e dei beneficiari) sono localizzati all’interno del nostro ordinamento ed i cui unici elementi di internazionalità sono quindi costituiti: a) indefettibilmente, dalla legge regolatrice del trust (essendo quest’ultima –per definizione – una legge straniera); b) eventualmente, anche dal luogo di amministrazione del trust e da quello di residenza abituale del trustee.

L’art. 2, comma 47, del d.l. n. 262/2006, nel reintrodurre l’imposta sulle successioni e sulle donazioni, include nel suo ambito la “costituzione di vincoli di destinazione”, e ciò – si noti – a prescindere dalla intenzione liberale o meno che muove il disponente, conducendo così l’Agenzia a ricomprendervi tutti i trust, senza distinguere tra quelli c.d. liberali e quelli non liberali (ad es. i c.d. trusts solutori, di garanzia o, comunque, caratterizzati da profili di onerosità), ciò che puntualmente avviene con la Circolare n. 3, laddove si afferma che «La costituzione di beni in trust rileva, in ogni caso, ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, indipendentemente dal tipo di trust».

Sarà solo questione – secondo il pensiero dell’Agenzia – di accertare l’esistenza e il tipo di rapporto di parentela o meno tra disponente e beneficiario per l’individuazione dell’aliquota (e dell’eventuale franchigia) in concreto applicabile (con esiti esilaranti e non degni di un paese civile, come accaduto in un caso recente, in cui l’Agenzia ha tassato il trust prevedente lo stesso disponente quale beneficiario finale con l’aliquota massima dell’8%, asserendo che …manca il vincolo di parentela).

Pertanto, in caso di trust di scopo o con beneficiari finali non legati da alcun rapporto di parentela con il disponente (vedi appena sopra…) o comunque solo genericamente indicati e non identificabili, dovrà applicarsi l’imposta con l’aliquota più elevata dell’8%  e senza alcuna franchigia.

L’individuazione del trattamento tributario (non solo del trust ma) di qualsiasi fenomeno giuridico, non può prescindere dalla sua ricostruzione civilistica.

E tale ricostruzione, se da un lato è di estrema rilevanza con riferimento al fenomeno trust, in ragione del fatto che trattasi di istituto nato in un contesto giuridico diverso dal nostro, caratterizzato da principi e regole specifici, dall’altro non può giungere ad obliterare quelle che sono le caratteristiche e gli effetti propri dell’istituto, sia pure con tutte le cautele e i necessari adattamenti che l’importazione di esso nell’ordinamento italiano richiede.

Per individuare la corretta tassazione è quindi necessario ricostruire ogni trust secondo gli effetti giuridici propri del caso concreto, tenendo presente che:

a) i trust c.d liberali (cioè la cui causa è liberale) sono in sostanza donazioni indirette dal disponente in favore dei beneficiari;

b) il trustee, nel contesto di un trust, svolge il mero ruolo di esecutore del programma di attribuzioni predisposto dal disponente nell’atto istitutivo;

c) deve essere escluso, per ragioni “ontologiche”, che il trustee possa essere il soggetto passivo dell’imposta proporzionale;

d) l’atto di trasferimento dal disponente al trustee, è atto né gratuito né oneroso bensì “neutro”;

e) solo successivamente, coerentemente con la ricostruzione civilistica dell’istituto, quando il trustee, così realizzando il programma predisposto dal disponente nell’atto istitutivo, attribuirà il trust fund ai beneficiari, sarà integrato il presupposto impositivo.

Praticamente in tutta Italia, tranne qualche episodio sporadico, frutto peraltro di assoluta incomprensione della vicenda posta all’attenzione del giudice, la tesi dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui la tassazione del trasferimento dei beni al trustee deve essere immediata, è stata costantemente respinta, con accoglimento integrale della tesi interpretativa sopra esposta, proposta per la prima volta, dopo l’emanazione della Circolare n. 3 del 2008, davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, che ha accolto la tesi favorevole al contribuente sia in primo grado (CTP Firenze 12.2.2009, n. 30) che in secondo grado (CTR Toscana 17.11.2011, n. 77, impugnata – l’ultimo giorno utile – dall’Agenzia davanti alla Corte di Cassazione, che a oggi non si è ancora pronunciata).

Va osservato, peraltro, che la quasi totalità dei trust liberali presenta valori di gran lunga inferiori alle franchigie di legge (pari a 1 milione di euro per ciascun beneficiario), per cui le questioni sottoposte all’attenzione dei giudici, come nel caso in commento, riguardano in sostanza le imposte ipotecaria e catastale.

Anche riguardo a tali imposte, una volta ammesso che il presupposto della loro applicazione in misura proporzionale – così come quella di registro e successione/donazione – presuppone un effettivo arricchimento dell’avente causa in omaggio al principio di rango costituzionale della capacità contributiva ex art. 53 Cost., si comprende come in ipotesi di trasferimento di beni dal disponente al trustee tale arricchimento difetti e che pertanto appaia del tutto errata un’imposizione della vicenda traslativa con ricorso ai criteri impositivi in misura proporzionale. Invece, nel caso di trasferimento di beni e diritti che, per dare piena attuazione al programma istitutivo del trust come concepito dal disponente, il trustee sia eventualmente chiamato a porre in essere a favore dei beneficiari finali a un certo momento o all’esito della durata temporale del trust saràgiustificato il ricorso all’imposta in misura proporzionale, in quanto idonea a incidere su di un effettivo trasferimento di ricchezza di cui sono destinatari i beneficiari.

La sentenza in commento ha per oggetto un trust c.d. autodichiarato, la cui struttura è caratterizzata dalla circostanza per cui i beni non vengono trasferiti al trustee bensì meramente vincolati a vantaggio dei beneficiari, esattamente come accade nel caso di costituzione di fondo patrimoniale con riserva della proprietà in capo al costituente, che la stessa Agenzia delle Entrate ritiene, giustamente, sottoposto alle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa, difettando in questo caso il trasferimento dei beni dal disponente a un terzo.

L’Agenzia, nella Circolare 3 del 2008 ritiene percossi dall’imposta di donazione anche i trust autodichiarati, con ciò distinguendo il trattamento tributario di essi rispetto a quello proprio dell’atto di destinazione ex art. 2645-ter, c.c. nonché della deliberazione costitutiva dei patrimoni destinati delle società per azioni di cui all’art. 2447-bis, c.c. e del fondo patrimoniale con riserva della proprietà in capo al costituente (che sono tutti atti in cui è assente il trasferimento di beni). Il trust, rispetto all’istituto introdotto dall’art. 2645-ter, c.c. e agli altri sopra menzionati sarebbe, secondo l’Agenzia, un istituto avente “rilevanti peculiarità” che ne giustificherebbero un trattamento tributario distinto.

Le ragioni poste dall’Agenzia alla base di tale – inaccettabile – conclusione, evidenziano tuttavia come essa sia chiaramente incorsa in una petizione di principio.

L’Agenzia afferma che anche il trust autodichiarato va tassato con l’imposta di donazione in considerazione «… della natura patrimoniale del conferimento in trust, dell’effetto segregativo che esso produce sui beni conferiti indipendentemente dal trasferimento della proprietà e … del complessivo trattamento fiscale che esclude dalla tassazione il trasferimento dei beni a favore dei beneficiari».

In tale affermazione vi sono tre errori logici.

In primo luogo l’Agenzia dà per scontato che il trust sia una sorta di “ente”, in cui si effettua un “conferimento”.

E’ sufficiente leggere le fonti dottrinali e giurisprudenziali inglesi per rendersi conto di come non possa dubitarsi che il trust non sia soggetto di diritto né, tantomeno, persona giuridica. Il trust (lo ha affermato anche Cass., 9.5.2014, n. 11105), è un “rapporto giuridico”, meglio una “obbligazione” che il trustee deve adempiere a beneficio di terzi (i beneficiari). I beni appartengono al trustee e pertanto un ipotetico trasferimento di beni al “Trust XY” dovrebbe essere, dal punto di vista dello stretto diritto, considerato radicalmente nullo in quanto effettuato a favore di … nessuno.

Già questo breve richiamo parrebbe sufficiente a rendere priva di basi giuridiche l’affermazione dell’Agenzia, che in verità pare fondarsi su quanto sostenuto da quella dottrina, rimasta nettamente minoritaria, che teorizzava la figura del trust “convenzionale” (in cui il termine “convenzionale” è riferito alla Convenzione de L’Aja), cioè un trust con caratteristiche autonome rispetto a quelle proprie del modello tradizionale, apprezzabile addirittura come persona giuridica.

Secondo errore logico: il trust determina un effetto segregativo sui beni conferiti indipendentemente dal trasferimento della proprietà. L’affermazione è corretta, ma dà per scontato che il semplice prodursi dell’effetto segregativo sia presupposto imponibile previsto dalle disposizioni in materia di donazione, il che è tutto da dimostrare. Non solo. Essa contrasta in modo netto con quanto stabilito dall’art. 1 del d. lgs. 346 del 1990 nonchè dall’art. 2, comma 47 del d.l. 262 del 2006, che espressamente individuano quale presupposto applicativo dell’imposta di donazione «il trasferimento di beni e diritti», che nel caso di specie è assente. Contrasta inoltre con quanto scritto dalla stessa Agenzia nella circolare 3, in cui si dice che «Con specifico riferimento all’imposta sulle successioni e donazioni, tale principio (= il principio di cui all’art. 20 del d.p.r. 131 del 1986, n.d.a.) comporta la necessità di verificare, volta per volta, gli effetti giuridici che la costituzione di un vincolo di destinazione produce, per modo che l’imposta possa essere assolta solo in relazione a vincoli di destinazione costituiti mediante trasferimento di beni. Diversamente, il vincolo realizzato su beni che, seppur separati rispetto al patrimonio del disponente, rimangano a quest’ultimo intestati, non può considerarsi un atto dispositivo rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta». E contrasta infine, con un altro passaggio della stessa circolare, in cui, con riferimento alla medesima fattispecie del trust autodichiarato (sul punto torneremo), nel dare indicazioni in merito all’applicabilità delle imposte ipotecaria e catastale si afferma che esse sono dovute in misura fissa perché… non c’è trasferimento!

Terzo errore logico: il trust autodichiarato va tassato in considerazione «… del complessivo trattamento fiscale che esclude dalla tassazione il trasferimento dei beni a favore dei beneficiari». Qui è proprio un tentativo di arrampicarsi sugli specchi. Si utilizza quale “argomento” a sostegno della tassazione dei trust autodichiarati la “conclusione” cui si giunge con riferimento, appunto, al “complessivo” trattamento fiscale dei trust, come se i trust autodichiarati non costituissero anch’essi parte integrante del “complessivo trattamento fiscale dei trust”…

Certo, il trust è un istituto “peculiare” rispetto all’atto di destinazione ex art. 2645-ter, ma anche quest’ultimo è un istituto “peculiare” rispetto al patrimonio di destinazione della s.p.a. e quest’ultimo è a sua volta “peculiare” rispetto alla costituzione di fondo patrimoniale con riserva di proprietà in capo al costituente. Eppure, guarda un po’, atto di destinazione, patrimoni destinati e fondo patrimoniale, hanno lo stesso trattamento fiscale, il trust autodichiarato invece è… diverso.

Per le ragioni esposte, i trust autodichiarati non possono essere assoggettati al pagamento dell’imposta in misura proporzionale a pena di violazione del principio costituzionale di capacità contributiva, atteso che l’imposta non può colpire una “base fittizia”, un “fatto non reale”.

Il caso oggetto della sentenza della CTR di Napoli è emblematico; essa appare molto al di sotto del livello (sia pure minimo) di argomentazione giuridica che ci si può aspettare da una CTR.

Come risulta dalla parte narrativa della sentenza, si tratta dell’impugnazione della sentenza della CTP che aveva rigettato il ricorso del contribuente avverso il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso della somma di euro 12.000, pagata dal contribuente a fronte della stipula di un trust autodichiarato avente a oggetto beni immobili.

La prima domanda da porsi è come mai il contribuente (o, meglio, il notaio che ha stipulato l’atto di trust) abbia pagato tali imposte, atteso che sarebbe stato sufficiente leggere il §6 della Circolare n. 3 del 2008, il quale testualmente recita:

«Al riguardo, relativamente alle modalità di applicazione delle imposte ipotecaria e catastale alla trascrizione e voltura dei trasferimenti di beni immobili o diritti reali immobiliari derivanti da vincoli di destinazione, occorre precisare che tali imposte si applicano in misura proporzionale nei seguenti casi:

– costituzione di vincolo di destinazione con effetti traslativi;

– successivo trasferimento dei beni in seguito allo scioglimento del vincolo;

– trasferimenti eventualmente effettuati durante la vigenza del vincolo.

La peculiarità del  trust rispetto agli altri vincoli di destinazione, che ha ispirato le considerazioni svolte in precedenza, non rileva anche ai fini delle imposte ipotecaria e catastale le quali, quindi, anche in caso di trust, sono dovute in misura proporzionale con esclusivo riferimento agli atti ad effetto traslativo (grassetto sottolineato aggiunto, n.d.r.)».

La stessa Agenzia, quindi, afferma che nel caso di trust autodichiarato le imposte ipocatastali sono dovute in misura fissa!

I giudici della CTR sono però di contrario avviso e ritengono dovute anche riguardo a tali trust le imposte proporzionali sulla base delle seguenti stupefacenti e testuali affermazioni per cui:

a) «l’imposta ipotecaria è dovuta ogni qual volta si debbano eseguire le formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione presso i pubblici registri immobiliari e che essa colpisce non solo il passaggio di proprietàma l’iscrizione di qualsiasi diritto (ad esempio un ipoteca) o di un qualsiasi vincolo su di esso»;

b) «l’imposta catastale è dovuta sulle volture catastali per il trasferimento di immobili sia a titolo gratuito che oneroso o seguenti comunque la costituzione su di essi di ipoteche o di diritti».

Le superiori affermazioni mostrano l’incomprensione da parte della CTR del fenomeno del trust autodichiarato ma persino, la cattiva lettura delle norme in tema di imposte ipotecaria e catastale (eppure iura novit curia…) e, infine, l’inconsapevolezza delle formalità conseguenti alla stipula di atti aventi per oggetto beni immobili.

Le imposte ipotecaria e catastale sono disciplinate dal d. lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, il cui art. 1, nell’individuare l’oggetto dell’imposta ipotecaria, si riferisce alle formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione eseguite nei pubblici registri immobiliari, richiamando, quanto alla misura dell’imposta, la tariffa allegata. La sentenza tralascia completamente il richiamo alla misura dell’imposta e alla tariffa allegata al decreto.

L’art. 1 della tariffa prevede l’applicazione dell’imposta proporzionale del 2% per la trascrizione di atti e sentenze che importano trasferimento di proprietà di beni immobili o costituzione o trasferimento di diritti reali immobiliari sugli stessi (etc.). Cosa c’entri il richiamo alla costituzione di ipoteca, alla rinnovazione e all’annotazione con riguardo al trust autodichiarato sinceramente ci sfugge.

L’art. 10, comma 2, del medesimo d. lgs. 347/90, prevede, con riguardo all’imposta catastale, che essa è dovuta nella misura fissa di euro 200 per le volture eseguite in dipendenza di atti che non importano trasferimento di beni immobili né costituzione o trasferimento di diritti reali immobiliari (etc.).

Il trust autodichiarato si caratterizza per l’assenza di trasferimento dei beni oggetto del trust medesimo in favore del trustee. Si tratta, infatti, della mera apposizione di un vincolo sui beni stessi, né più né meno di quanto accade nella fattispecie, regolata dal codice civile italiano, di costituzione del fondo patrimoniale con riserva della proprietà in capo al costituente (artt. 167 ss., c.c.).

Il trust autodichiarato, in altri termini, determina la nascita del vincolo proprio del trust in capo a beni che sono e restano nella titolarità del disponente (tanto è vero che alcuna voltura catastale viene effettuata in caso di istituzione di trust autodichiarato).

La CTR arriva invece ad affermare, ignorando che nel caso di specie l’atto non è soggetto ad alcuna voltura, che l’imposta catastale è dovuta, perché… è dovuta sulle volture catastali per il trasferimento di immobili sia a titolo gratuito che oneroso o seguenti comunque la costituzione su di essi di ipoteche o di “diritti”! (Secondo la CTR, quindi, l’atto costitutivo di ipoteca si voltura in catasto? La costituzione di servitù si voltura in catasto?).

La verità è che non si è in presenza di alcun trasferimento e se trasferimento non c’è, non è chi non veda come nessuna imposta proporzionale possa essere pretesa.

E tanto è evidente tale conclusione che l’ammette la stessa Agenzia nella sua Circolare n. 3 del 22 gennaio 2008, completamente ignorata dall’Agenzia e dai giudici (vedi il §6 sopra citato).

Già queste considerazioni sarebbero sufficienti a ritenere completamente errata la sentenza in commento, ma ancora più sorprendente è il successivo argomentare, che nulla ha a che vedere con l’oggetto del giudizio.

La CTR infatti si prende la briga di argomentare perché il trust rientra nell’ambito di applicazione dell’imposta di donazione (ma si sta discutendo di imposte ipotecaria e catastale!) e ciò afferma sulla base di due elementi, la funzione dell’istituto del trust e la sua trascrivibilità «a prescindere quindi dalla controversa questione dell’efficacia traslativa (o meno) dell’istituto negoziale del trust e un particolare del trust autodichiarato (in cui il settlor nominando se stesso trustee costituisce parte del proprio patrimonio in trust imprimendo su di esso un vincolo di destinazione)».

Ora, in disparte il fatto che il trust o è traslativo o, come accade nel caso del trust autodichiarato, non lo è, per cui non c’è controversia alcuna sulla questione dell’efficacia traslativa, atteso che tutta la dottrina e giurisprudenza tributaria nonché la stessa Agenzia delle Entrate, affermano che nel trust autodichiarato non c’è trasferimento, si afferma – correttamente – che il trust non è un ente dotato di personalità giuridica, ma un’operazione negoziale con cui «si istituisce un patrimonio destinato a un fine prestabilito» e ciòè sufficiente per ricomprenderlo nell’ambito impositivo dell’imposta di donazione (va segnalato, come risulta dalla parte narrativa della sentenza, che il giudice di prime cure aveva affermato la debenza delle imposte asserendo che nel trust autodichiarato si ha trasferimento “all’ufficio del trustee”…).

In secondo luogo, si afferma che il trust (avente a oggetto immobili, s’intende) è trascrivibile nei registri immobiliari ex art. 2645 c.c., ma anche ex art. 2643 n. 1, c.c. (che però riguarda gli atti di trasferimento della proprietà, quindi è irrilevante ai fini del trust autodichiarato), art. 2646 c.c. (che riguarda la trascrizione delle divisioni, quindi nulla ha a che fare con il trust…) e, da ultimo, ex art. 12 Conv. Aja, che facoltizza il trustee a richiedere la trascrizione nei registri immobiliari.

“Funzione” dell’istituto e sua “trascrivibilità” sarebbero quindi elementi decisivi per ricomprendere o meno il trust nell’ambito impositivo dell’imposta di donazione (come possa la trascrivibilità o meno rilevare al fine di ricomprendere l’istituto nell’ambito impositivo dell’imposta di donazione ancora una volta sfugge; e se fosse un trust avente a oggetto beni diversi dagli immobili e quindi non trascrivibile?).

Peccato, però, che questo argomentare nulla abbia a che vedere con l’oggetto del giudizio, atteso che si discuteva non di imposta di donazione bensì di imposte ipotecaria e catastale, rispetto alle quali ciò che rileva è soltanto se l’atto abbia determinato trasferimento della proprietà, nel qual caso saranno dovute – secondo il pensiero dell’Agenzia, beninteso – in misura proporzionale, o non abbia determinato trasferimento della proprietà, come nel caso del trust autodichiarato, nel qual caso saranno dovute – anche secondo il pensiero dell’Agenzia – in misura fissa.

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