Il presente contributo analizza le novità legate all’istituzione del Cruscotto informativo per la gestione dei contratti di appalto tra privati nel settore della logistica (CIGAL) e alla proposta di introduzione della Certificazione unica di conformità delle filiere della moda.
1. Un cenno su contesto giuridico e sociale di riferimento
La somministrazione illecita o fraudolenta di manodopera ha natura giuslavoristica e si configura, sostanzialmente, ove l’appaltatore sia privo di una autonoma organizzazione di mezzi e personale, autonomamente gestiti e diretti con assunzione di rischio di impresa, ma risulti essere un mero somministratore di forza lavoro a favore della committente. Situazione che in determinati settori, quali la logistica e la moda, ha portato a effetti ben più gravi, quali la “transumanza” di forza lavoro da un appaltatore ad altro (per lo più cooperative) che applicavano contratti collettivi sottoscritti da sigle non maggiormente rappresentative, con retribuzioni quindi inferiori a quelle previste dai CCNL invece più comuni, e che non versavano contributi previdenziali e IVA portando dunque la società stessa alla procedura concorsuale, per poi costituire una società ex novo, senza debiti, a cui venivano trasferiti i lavoratori medesimi. Danno quindi duplice: sia verso i lavoratori a cui i più basilari diritti del lavoro venivano negati sia verso l’erario a cui l’IVA non veniva versata. A ciò si aggiungano poi le ipotesi, non rare, di lavoro nero, mancato rispetto degli orari di lavoro, sfruttamento dei lavoratori, etc.
In tale contesto, abbiamo dunque assistito negli ultimi anni a diversi interventi da parte della Procura della Repubblica, nonché di enti quali Agenzia delle Entrate e Inps, volti a verificare in maniera rigorosa la legittimità dei contratti di appalto (o subappalto/subfornitura) al fine di sanzionare, anche attraverso provvedimenti di sequestro di ingente entità, tali situazioni di illiceità. Le Procure, sull’assunto della illiceità dell’appalto e dunque della insussistenza del contratto di appalto stesso e con l’intento di colmare probabilmente una lacuna legislativa a protezione dell’intero sistema, si sono mosse, in particolar modo nei confronti di alcuni player di mercato in settori diversi, per contestare non solo le “comuni” violazioni giuslavoristiche (la cui conseguenza consiste nella costituzione del rapporto di lavoro dei dipendenti dell’appaltatore in capo alla committente oltre a sanzioni per appalto illecito), ma anche violazioni sotto il profilo fiscale (quale la indebita detrazione dell’IVA da parte della committente) e penali (quale il reato di intermediazione illecita e somministrazione di manodopera ex art. 603 bis).
Tra i settori maggiormente colpiti vi sono la logistica e la moda, in cui diverse (rinomate) società sono state coinvolte e destinatarie della misura di prevenzione della Amministrazione Giudiziaria in quanto ritenute partecipi di uno schema di sfruttamento lavorativo o “caporalato”, strutturato attraverso la esternalizzazione di fasi di lavorazione dei prodotti a condizioni di sfruttamento, beneficiando quindi di una riduzione dei costi e di vantaggi sotto il profilo concorrenziale.
In tale quadro di riferimento, il legislatore ha ritenuto evidentemente di intervenire per individuare soluzioni volte a prevenire tale tipo di situazioni illecite e/o reati e, probabilmente, equilibrare sotto il profilo legislativo il potere giudiziario espresso dalla Procura della Repubblica nella gestione di tali tematiche. Del resto, mentre le norme si applicano indistintamente a tutti, le indagini e le azioni della Procura della Repubblica non possono che essere focalizzate verso taluni soggetti, creando quindi una situazione di disparità tra i player di mercato e rischiando di falsare la concorrenza.
La politica adottata dal legislatore a tal fine, ossia una legislazione di “prevenzione”, è nel panorama giuridico una novità per come è stata delineata ma non lo è in termini assoluti. Il D. Lgs. 20023 n. 276 (la cd. Legge Biagi), difatti, aveva già introdotto nel nostro ordinamento una disciplina di “certificazione” dei contratti di lavoro (inclusi quelli di appalto) che consentiva alle commissioni di certificazione di istruire la pratica e certificare i contratti sotto il profilo formale, chiedendo ove necessario di apportare modifiche ai contratti stessi, e che tuttavia, probabilmente per la rigidità del sistema, risulta essere stato in concreto poco utilizzato.
2. La legislazione preventiva nel settore della logistica: il cruscotto CIGAL
Con la legge 18 luglio 2025 n. 105 viene introdotto uno strumento di prevenzione agli illeciti in ambito di appalto per il settore della logistica. Si tratta di un cruscotto informativo di regolarità degli appalti, denominato “CIGAL”, volto a definire lo standard di “legalità” al fine di prevenire ed evitare potenziali frodi o sfruttamento di lavoratori.
Tale sistema fornirà le informazioni necessarie per la verifica della regolarità giuslavoristica, fiscale e contributiva degli appaltatori e subappaltatori coinvolti nel processo, avvalendosi di un sistema integrato di dati già presenti presso i vari enti (INPS, INAIL e Agenzia delle Entrate) e prevedendo altresì una sezione dedicata ai provvedimenti sanzionatori irrogati dalle autorità vigilanti.
Tale strumento, a cui le società virtuose dovranno attenersi, comporterà per la committente l’onere di verificare periodicamente la regolarità fiscale e contributiva degli appaltatori, implementare un sistema di alert per prevenire le irregolarità nonché monitorare il rispetto di indicatori oggettivi circa la affidabilità e serietà dell’appaltatore.
La gestione tecnica e informatica di tale sistema, nel rispetto della normativa privacy, viene affidato a Unioncamere.
Con decreto adottato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro dell’interno, previo parere della Conferenza Stato-Regioni, allo stato non ancora emanato sebbene il termine fosse il 17 settembre scorso, verranno definite le regole tecniche per la realizzazione e il funzionamento del “CIGAL”, le modalità di trattamento dei dati nonché l’istituzione del tavolo tecnico per lo sviluppo e l’aggiornamento del sistema.
Particolare importanza viene assegnata nella gestione di tale strumento alle organizzazioni sindacali. Il legislatore difatti ha previsto, da un lato, tavoli tecnici tra le medesime e le organizzazioni datoriali per definire le regole del sistema nonché le relative modalità di aggiornamento; dall’altro, un sistema di consultazioni volte a monitorare i flussi informativi su produttività, occupazione, rischio di illegalità negli appalti e relativa attività di vigilanza.
Il “CIGAL” inoltre opererà anche quale strumento di supporto alla programmazione delle politiche nel settore logistico attraverso la registrazione ed elaborazione di dati e statistiche, pur in forma anonima nel rispetto quindi della riservatezza delle aziende del settore coinvolte.
Si tratta quindi della evoluzione del quadro normativo attuale che vedeva sino ad oggi nel Protocollo di legalità di Milano del luglio 2024 e nell’aggiornamento del CCNL Trasporto logistica del 6 dicembre 2024 i punti di riferimento per il contrasto al fenomeno della illecita o fraudolenta somministrazione di manodopera.
3. La legislazione preventiva nel settore della moda: il DDL sulla “certificazione unica della filiera”
Similare ma diverso l’approccio del legislatore nell’ambito della moda, settore fiore all’occhiello del nostro Paese che è stato colpito, negli ultimi anni, da una profonda crisi economico-finanziaria.
La Commissione Industria del Senato ha difatti dato via libera ad un emendamento al disegno di legge n. 1484 (“Disegno di legge annuale sulle piccole e medie imprese”, cd. DDL PMI”) con l’obiettivo di introdurre, sempre in un’ottica di legislazione preventiva, la “Certificazione unica di conformità delle filiere della moda”.
Rispetto quindi alla logistica, non si tratta di un mero cruscotto indicativo di regolarità ma di una procedura, ovviamente facoltativa, finalizzata al termine di una istruttoria a beneficiare della citata certificazione, che da un lato dovrebbe consentire di attestare assenze di illeciti in ambito di appalti e terziarizzazione dei servizi e prevenire l’insorgere degli stessi e, dall’altro, valorizzare l’immagine e reputazione del brand della Società nel mercato e rispetto a stakeholders, dipendenti e, soprattutto, clienti.
L’ambito di operatività è ampio, essendo rivolta al settore della moda a 360 gradi: trasformazione o produzione di abbigliamento e/o del tessile, pelletteria, calzature e accessori.
La novità rilevante di tale certificazione è che la stessa debba coinvolgere l’intera filiera produttiva e quindi dalla società capo filiera (in sostanza quella che vende i prodotti finali o comunque ha la licenza degli stessi) all’appaltatore, sino all’ultimo dei subappaltatori. Il tutto al fine di tracciare in modo trasparente l’intera catena di valore.
I requisiti per ottenere tale certificazione sono rigorosi: ciascuna società dell’intera filiera (quindi capo filiera e appaltatori e subappaltatori) debbono:
- adempiere a determinati obblighi previsti nella normativa, quali l’obbligo per la capo filiera di tenere e aggiornare una anagrafe dei fornitori con cadenza almeno semestrale, adottare linee guida per la selezione, individuazione e monitoraggio delle imprese di filiera, prevedere nei contratti di appalto perimetri di operatività precisi nonché clausole che impongano un rischio di impresa in termini di corrispettivi e rimedi in caso di inadempimenti, prevedere la adozione da parte delle imprese di filiera dei CCNL del settore della industria, artigianato e moda stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative.
- avere in seno titolari o amministratori privi di condanne penali, negli ultimi cinque anni, connesse alla violazione della normativa in tema di lavoro e legislazione sociale, contro la pubblica amministrazione, contro l’incolumità pubblica e l’economia, l’industria e il commercio e in materia di imposte sui redditi o in tema di sfruttamento del personale (artt. 600, 601, 602 e 603 bisp.);
- non essere state destinatarie negli ultimi tre anni di sanzioni pecuniare per violazione della normativa in tema di lavoro e legislazione sociale per un valore superiore al 4% del fatturato;
- essere in regola col pagamento dei contributi previdenziali e premi assicurativi.
La certificazione che ha validità annuale potrà essere rilasciata entro 60 giorni dalla presentazione della istanza, a seguito di istruttoria, da soggetti abilitati quali revisori (persone fisiche o giuridiche), che potranno a loro volta farsi supportare da consulenti del lavoro.
Le società che beneficeranno di tale certificazione saranno inserite in un apposito registro da istituirsi presso il Ministero delle Imprese per il Made in Italy (Mimit) che, con decreto di concerto con il Ministero del Lavoro, individuerà gli aspetti operativi quali criteri per l’istruttoria, contenuto della certificazione, modalità delle verifiche nonché le condizioni per il mantenimento o revoca della stessa.
Anche in questo caso è previsto il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali che potranno stipulare accordi per imporre alla capo filiera oneri per contribuire a gestire il processo di certificazione per le imprese appaltanti e subappaltanti.
Una volta ottenuta la certificazione, la capo filiera e le società coinvolte nella intera filiera potranno avvalersi della menzione di “Filiera della moda certificata” con effetti escludenti in tema di responsabilità ex art. 6 e 7 del D. Lgs. 2001 n. 231.
Infine, non va sottovalutata una ulteriore circostanza che emerge da tale proposta di norma. Tanto la capo filiera quanto le imprese della filiera, al fine di poter essere certificate, debbono avere la sede legale o una unità produttiva in Italia. Ciò induce a ritenere che l’effetto, volontario o involontario è difficile a dirsi, sia (anche) quello di promuovere il “made in Italy” e mantenere, o addirittura riportare, la produzione nel nostro territorio in un settore che ha visto spesso la esternalizzazione di attività presso Paesi terzi quali India, Cina e Sud America. Una sorta quindi di dazi “made in Italy” sotto forma legislativa.
4. Conclusioni
La applicazione concreta di tali – diversi seppur analoghi – strumenti dirà se le misure di prevenzione sopra delineate saranno efficaci nel contrastare i fenomeni di illecita o fraudolenta somministrazione di manodopera e caporalato.
Sarà in ogni caso importante creare un sistema di monitoraggio costante circa la applicazione delle misure preventive con sistemi sanzionatori di revoca delle certificazioni o intervento laddove violate nel corso della esecuzione del rapporto.
Laddove poi tali misure dovessero avere successo, potrebbero essere un apripista per un modello da esportare anche in altri settori in modo da garantire il rispetto della normativa sul diritto del lavoro anche per altri lavoratori di altri settori.
Tale normativa, del resto, si pone in linea sia con i principi di sostenibilità in ambito ESG, sia con la direttiva Ue 2024/1760 sulla Corporate sustainability due diligence (cd. “CSDD”), entrata in vigore il 25 luglio scorso e da recepire, da parte degli Stati Membri, entro il 26 luglio 2026, che comporterà per le imprese di grandi dimensioni – vale a dire quelle che occupino almeno 1.000 dipendenti e con un fatturato netto a livello mondiale superiore a 450 milioni di euro – obblighi specifici volti a tutelare sia i diritti dei lavoratori sia l’ambiente e che imporrà obblighi specifici di due diligence sulla intera filiera produttiva.
Gli oneri per le committenti, anche in termini economici, potrebbero non essere irrilevanti. Tali procedure difatti comporteranno, con ogni probabilità, il coinvolgimento di diverse aree aziendali, quali il procurement, la funzione legale e la funzione Risorse Umane (cd. “HR”).
Tuttavia, la prevenzione dello sfruttamento dei lavoratori, un sistema premiale e di valorizzazione delle società virtuose e la esclusione o, comunque, mitigazione di rischi giuslavoristici, contributivi, fiscali e finanche penali, sono elementi che, con alta probabilità, indurranno le società ad avvalersi e adottare tali modelli.

