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Giurisprudenza

Valutazione in concreto della giusta causa di recesso nei rapporti di finanziamento

9 Gennaio 2018

Alessandra Tonetti, Legal Trainee presso l’Avvocatura dello Stato di Roma

Tribunale di Roma, 02 dicembre 2016 – Est. Catalozzi

Di cosa si parla in questo articolo
Nell’ambito dei rapporti di finanziamento a termine, la ricorrenza della giusta causa richiesta alla banca per l’esercizio della facoltà di recesso unilaterale in base all’art. 1845 c.c. deve essere valutata in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto, con particolare riguardo alle caratteristiche dell’andamento del rapporto come convenute – espressamente o tacitamente – tra le parti ed all’esistenza di un concreto ed attuale pericolo al credito ed alle garanzie offerte dal debitore. Parimenti, la verifica dei presupposti per la legittimità della risoluzione contrattuale, e la conseguente decadenza del debitore dal beneficio del termine, deve essere condotta alla luce degli stessi parametri, atti ad evidenziare con ragionevole probabilità l’effettiva incapacità del debitore di far fronte alle obbligazioni assunte. 
Nel caso di specie, il debitore ricorreva per ottenere la tutela d’urgenza ex art. 700 c.p.c. a seguito della risoluzione dei rapporti di mutuo nonché del recesso unilaterale dai rapporti di conto corrente “affidati”, comunicati dalla banca sulla base dell’asserito peggioramento delle condizioni economico-finanziarie del ricorrente.
Al fine di valutare la sussistenza dei presupposti per la concessione della tutela richiesta, sia sotto il profilo del fumus boni iuris che del periculum in mora, il giudice adito esamina tutte le circostanze del caso rilevando anzitutto come le procedure esecutive promosse a carico del ricorrente non fossero di per sé indicative della sussistenza di un pericolo concreto di pregiudizio al credito ed alle garanzie, alla luce delle specifiche circostanze di tali pendenze (i.e. il pagamento parziale, l’impegno ad estinguere il debito dedotto ed il modesto importo oggetto della procedura azionata).
Vieppiù, ed in misura certamente più significativa, l’assenza del predetto pregiudizio, invocato dalla parte resistente a sostegno del proprio recesso, viene confortata, secondo il giudice, dal concreto comportamento tenuto dalla banca nel corso dell’andamento del rapporto: l’astensione della parte creditrice da ogni intervento sulla linea di credito concessa, a seguito del pignoramento più rilevante subìto dal debitore da parte dei terzi creditori; il tacito consenso prestato dalla banca, per un arco temporale abbastanza prolungato, al differimento delle tempistiche di erogazione delle somme, in relazione al maggior tempo resosi necessario per l’esecuzione dei lavori.
Infine, l’idoneità delle garanzie ipotecarie e pignoratizie offerte a tutela dal rischio di inadempimento unitamente al rilievo, ritenuto decisivo dal giudice, che il recesso sia stato esercitato con modalità impreviste ed arbitrarie rispetto “ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed alla assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto”, hanno condotto ad una valutazione di illiceità del recesso operato dalla banca.
Appare evidente come, specialmente in sede di tutela ex art. 700 c.p.c., la valutazione richiesta per verificare la ricorrenza dei presupposti necessari all’accoglimento dell’istanza debba tener conto della complessità degli elementi inerenti lo svolgimento del rapporto e delle circostanze di fatto da cui desumere la legittimità della condotta da parte della banca, in considerazione del fisiologico squilibrio fra il potere negoziale proprio delle parti coinvolte nella tipologia di rapporti in commento.
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