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Articoli

Un innovativo approccio dell’intervento pubblico nell’economia: l’orange economy

11 Gennaio 2024

Stefania Cavaliere, Ricercatrice di Diritto dell’economia, Università degli studi di Bari


SOMMARIO: L’articolo approfondisce il tema dell’economia arancione, ovvero, l’economia legata alla cultura e, in particolare, alle industrie culturali e creative. Si evidenziano le positive caratteristiche antropiche e sociali della nuova economia che è oggetto di politiche europee e italiane. In Italia sono stati previsti per il settore in oggetto anche aiuti di Stato specifici. Si esamina anche il caso Colombia, paese dove l’economia arancione sta avendo particolare fortuna a seguito della creazione di strumenti finanziari ad hoc, senza dimenticare le politiche di altri Stati che stanno dimostrando un interesse specifico per questo settore in continua espansione.

 ABSTRACT: The paper explores the theme of the orange economy, an economy linked to the culture and, in particular, to the cultural and creative industries. The positive anthropogenic and social characteristics of the new economy are analyzed. This new type of economy is connected to the European and Italian policies. In Italy, some specific State aids are also planned for this sector. It also examines the case of Colombia, a country where the orange economy is having a huge success, thanks to the creation of some financial instruments ad hoc. Moreover, many other States are showing a specific interest in this ever-expanding sector.


1. Un’economia al passo con i tempi?

L’Orange economy, una nuova, originale e promettente economia, consente di approfondire un tema in parte ancora inesplorato aperto a dinamiche innovative capaci di trasformare lo scenario socioeconomico fortemente influenzato dagli effetti della globalizzazione[1] e dall’assenza di un sistema concreto di garanzie sociali.

Si tratta di un’economia capace di stimolare nuove forme di intervento pubblico e di apportare un’inedita configurazione del valore economico che, peraltro, attualmente è attraversato dagli effetti della transizione, rispondendo all’esigenza del mercato di trovare ispirazioni più complianti a quel principio di sostenibilità cui ultimamente tanta attenzione è riposta da istituzioni europee e internazionali attraverso l’utilizzo di paradigmi diversi dal modello tradizionale, il quale sta mostrando da tempo le sue vulnerabilità.

Ma in cosa si concreta tale “potente nuova economia” [2]? Innanzitutto, occorre evidenziare che la denominazione Orange economy è nata dal fatto che in molte società antiche, l’arancione era il colore della creatività e della cultura[3]. Gli artisti dell’antico Egitto, ad esempio, usavano il realgar di zolfo arsenico arancione per decorare i geroglifici delle tombe dei loro faraoni; gli indù posizionano il chakra arancione sulla pancia per rappresentare il centro del potere creativo di un individuo; i nativi americani associano l’arancia alla leadership e all’apprendimento; i peruviani collegano l’arancio alla società e alla cultura; mentre i monaci buddisti indossano il saio colore arancione perché a esso sono associate proprietà che favoriscono la concentrazione mentale[4]. Il suo studio si profila articolato e complesso poiché, oltre a presentare implicazioni ancora da approfondire, mostra una problematica questione definitoria circa le attività in essa comprese non ancora giunta a una composizione condivisa in dottrina[5]. Il settore culturale e creativo, infatti, non è stato tutt’ora qualificato univocamente[6], anche se le varie denominazioni attribuitegli sembrano differenziarsi in modo marginale. Come è stato fatto notare la definizione di impresa culturale è in sé un ossimoro, una contraddizione che sembra una “missione impossibile”[7]. Il fatto che a livello sia nazionale sia internazionale non ci sia una nozione specifica del settore culturale e creativo è indicativo anche di quanto sia complesso valutare gli impatti che esso produce, anche perché non si possono applicare i classici strumenti di misurazione e, quindi, rilevare i dati, venendo meno i tradizionali indicatori economici e le prove empiriche e metodologiche[8].

L’economia creativa è un concetto dinamico che genera prodotti non facilmente quantificabili[9], data la grande difficoltà e, a volte, l’impossibilità, di stabilire un prezzo che possa in qualche modo rifletterne il valore.

In linea di massima, si può dire che essa comprende tutte quelle produzioni che per l’appunto hanno come scopo principale la produzione o la riproduzione, la promozione, la diffusione e/o la commercializzazione di beni e servizi sia tangibili sia intangibili che hanno valore culturale, artistico o che nascono dalla trasformazione delle idee e del sapere[10]. È stato evidenziato che le industrie creative si aprono a un mercato molto ampio e operano un cambio del modello classico di economia poiché soddisfano le esigenze dei consumatori non consumando o consumando pochissime materie prime, in quanto utilizzano per i loro output in massima parte abilità, idee nonché talento individuale[11]. Tale circostanza, peraltro, amplifica l’interesse per le attività in oggetto soprattutto in questo specifico momento storico nel quale si lamenta l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali legato all’economia tradizionale[12].

Nel settore culturale e creativo, l’imprenditorialità, l’innovazione e le attività ad esso collegate dimostrano di ingenerare un non trascurabile sviluppo e dinamismo all’interno delle economie regionali e nazionali, ragione per cui, anche le politiche pubbliche sono sempre più orientate a dare maggiore risalto a tali attività come auspicato anche nei rapporti sull’economia creativa pubblicati dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo[13] e come illustrato nel Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo nel 2013[14], dal quale emerge quanto l’economia creativa sia fonte, metaforicamente parlando, di una nuova “economia della creatività”, i cui benefici vanno ben oltre il solo ambito economico.

Diversi studi, peraltro, hanno posto in luce una forte relazione tra la presenza di industrie creative e lo sviluppo dei territori[15] e hanno rilevato come, dopo il rallentamento economico seguito alla crisi del 2008, queste ultime abbiano dimostrato non solo una maggiore resilienza dal punto di vista dello sviluppo materiale, ma anche, una propensione a migliorare il benessere collettivo rappresentando, quindi, un nuovo efficiente motore per l’economia[16] .

È, inoltre, interessante notare come il dato caratterizzante dell’Orange economy, rappresentato essenzialmente dal fatto che essa integra insieme diritto, economia, cultura e sociologia, evidenzia come per le attività ricadenti in subiecta materia non esistano più le tradizionali barriere che separavano l’economia dalle altre scienze sociali[17].

Il comparto, prima della crisi pandemica ha generato un tasso di crescita occupazionale ed economica, comprese le relative esportazioni, che ha aumentato il PIL di molti Paesi in maniera non marginale. Le stesse attività, poi, dopo la battuta d’arresto dovuta al Covid[18], hanno rappresentato molto spesso un catalizzatore per le innovazioni degli input che si sono riverberate anche in altri tipi di produzioni e hanno anche dimostrato di riprendersi rapidamente, aumentando costantemente il loro fatturato[19]. Si è reso evidente, poi, che le imprese in oggetto rispetto ai restanti settori hanno prodotto beni e servizi orientati al consumo dotati di una “resistenza” maggiore all’assalto delle crisi[20].

L’economia creativa ha, quindi, realizzato una delle performance migliori dell’economia italiana nel suo complesso con un potenziale effetto moltiplicatore sugli altri settori pari all’1,8; in pratica, per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,8 in altri settori[21]. I dati provenienti da diversi Paesi del globo, inoltre, indicano che in molti casi queste attività hanno evidenziato un’espansione molto più rapida rispetto a quella rilevata per quelli c.d. tradizionali come per esempio il manifatturiero[22]. Ma i numeri relativi all’aumento del PIL e ai posti di lavoro prodotti da questo comparto, pur confermando una tendenza positiva, non colgono in pieno la vera dimensione di esso, perché la maggior parte delle attività creative o culturali è informale e spesso trasversale ad altre produzioni, tanto che in alcuni casi esse non vengono conteggiate nelle statistiche ufficiali.

La tesi tradizionale che attribuiva poca importanza ai prodotti della cultura, quindi, è stata smentita dai fatti poiché l’espressione creativa nella sua interdisciplinarità è responsabile di molte delle visioni che hanno plasmato il nostro mondo moderno[23] e le arti hanno dimostrato di arricchire e migliorare notevolmente la vita quotidiana delle persone[24]. Diverse iniziative ricollegabili a tale settore spesso sono cresciute al di fuori dell’intervento pubblico; ciononostante, il settore pubblico negli ultimi anni sta cominciando a comprendere, anche attraverso la lezione impartitaci dalla crisi pandemica, che l’approccio allo sviluppo deve essere olistico, riguardando non solo la materialità, ma anche l’essenza stessa dell’uomo. Le forme d’arte, per l’appunto, rispecchiano in pieno questo assunto poiché facilitano ‹‹l’espansione della ricchezza della vita umana›› non limitandosi solo ad accrescere l’economia in cui vivono gli esseri umani[25]. Peraltro, l’art. 9 della Costituzione italiana, la Convenzione di Faro[26] e le dichiarazioni dell’UNESCO sulla cultura[27], come pure l’Agenda 2030[28] suggeriscono quanto il diritto di accesso alla cultura e, soprattutto, la promozione di essa permetta una crescita a 360° gradi dei cittadini e delle nazioni. In questo contesto non si può ignorare il ruolo dell’intervento pubblico, che, attraverso il suo sostegno alle imprese culturali e creative, può ingenerare condizioni fiscali o infrastrutturali che permettono al settore di svilupparsi con risultati migliori. Non è un caso che siamo e restiamo in un’Europa sociale di mercato (sebbene, ancora, a onore del vero, nei Paesi UE spesso, più che i diritti collettivi, prevalgono le logiche di mercato)[29], in cui la competitività dei settori economici dovrebbe convivere con un’attenzione crescente verso il welfare, il quale, certamente, è favorito da governance che sostengono la cultura[30].

La produzione, i servizi e la tecnologia, inoltre, nascono con la creatività e, per questo, qualsiasi Stato per crescere dovrebbe valorizzare e sostenerne lo sviluppo. Non ci sono, tuttavia, solo aspetti positivi nell’Orange economy e non si possono trascurare prospettive problematiche, ovvero l’esistenza di livelli estremi di incertezza della domanda, tendenze monopolistiche, presenza di mercati del lavoro complessi, plagio e furto di diritti di proprietà, inefficienze che possono essere riequilibrate solo con politiche pubbliche mirate. Per di più, per la loro particolare natura, le industrie culturali non sempre riescono a raggiungere un livello tale da diventare del tutto autonome da azioni di sostegno e a essere davvero competitive sul mercato libero. A causa di tali motivi il comparto ha rappresentato negli anni un continuo terreno di confronto relativamente alle politiche specifiche e ai riassetti istituzionali, che, da un lato, sono state orientate dalla necessità di valorizzare il patrimonio culturale e, dall’altro, hanno dimostrato la volontà di sperimentare una nuova cultura imprenditoriale[31].

2. Le opportunità dell’Orange economy: dal capitalismo speculativo all’economia della cultura

Ormai è da tempo che si auspica un cambiamento dell’economia, la quale non dovrebbe più essere incentrata solo sul profitto a tutti i costi o sul modello capitalistico[32] che come è stato detto è basato su una “creazione distruttiva”[33], ma dovrebbe realizzare il rispetto dell’ambiente e il miglioramento della qualità della vita dell’essere umano secondo i valori legati ai diciassette obiettivi SDGs (Sustainable Development Goals) così come definiti dalle Nazioni Unite[34] e come si evince anche nell’Action plan per supportare la crescita sostenibile della Commissione Europea pubblicato nel 2018[35]. In questo contesto, l’Orange economy rappresenta un nuovo modello di produzione decisamente vicino al cambio di passo tanto auspicato, poiché ha in sé caratteristiche tali da creare crescita sostenibile, inclusione e benessere sociale, con la particolarità di dare frutti, sia di tipo simbolico e identitario, sia di tipo economico.

Insomma, tale economia potrebbe rappresentare uno dei settori protagonisti nella realizzazione della transizione verso la sostenibilità, offrendo un’opportunità infinita[36] e generando innovativi modelli di business per così dire antropici capaci di integrare anche una riduzione dei divari tra territori, tra metropoli e piccoli centri, tra periferie e centro.

Aristotele osservava come la ricchezza non è il bene ultimo cui ambisce l’uomo, ma che essa viene perseguita in vista di qualcosa d’altro[37], sottintendendo, quindi, che l’uomo desidera un benessere non solo materiale, ma anche spirituale. L’Orange Economy si avvicina a questa concezione poiché, producendo reddito, realizza nel contempo, anche un miglioramento dei bisogni umani della società, per di più integrando una componente di sistema capace di generare ritorni anche indiretti in altri settori attraverso la forza delle idee e dell’innovazione. Tramite le imprese culturali e creative il baricentro dell’economia si sposta, così, dal capitale alla persona poiché il patrimonio culturale materiale e immateriale e il talento creano valore riconosciuto da chi acquista o fruisce, aggregando individui, istituzioni, comunità e imprenditori in percorsi di cooperazione e innovazione. Senza dimenticare che, affiancando alla dinamica della competizione la dinamica della collaborazione, è più semplice favorire l’eliminazione delle disuguaglianze[38] e sostenere le minoranze. Gli economisti, infatti, non devono fermarsi a considerare modelli efficienti individuati attraverso il rapporto tra costi ed utilità marginali, ma possono (devono) anche valutare costi ed utilità sociali rapportando l’efficienza alla utilità sociale[39].

I posti di lavoro creati nel “settore arancione”, inoltre, tendono ad essere più green, più soddisfacenti e dignitosi dei lavori nei settori industriali tradizionali, coinvolgendo micro, piccole e medie imprese[40] e spesso anche i giovani sono più propensi a dare vita a attività culturali e creative[41] poiché le stesse hanno la caratteristica di essere connotate da una forte valenza di riscatto economico e sociale dei territori e delle comunità locali[42]. Un altro elemento da non trascurare è rappresentato dalla circostanza che, recentemente, le attività in oggetto, stanno cercando di rendersi autonome dalle risorse pubbliche e, nella ricerca di nuovi e diversi canali di finanziamento e di sperimentazione, realizzano la sussidiarietà orizzontale, promuovendo un’interessante forma di welfare legato alla cultura[43] capace di anticipare tendenze e di trasformare i problemi del territorio addirittura in opportunità.

Le imprese culturali e creative, secondo una Relazione del Parlamento Europeo[44], però, hanno difficoltà nel rapportarsi con il mondo finanziario; gli istituti di credito, infatti, hanno una certa diffidenza e sono poco propensi a finanziare attività che producono un valore difficilmente quantificabile e con poche garanzie concrete[45]. Le banche, invero, assumono nell’Orange economy un ruolo ancora marginale, emergendo, invece, la figura del venture capitalist, mecenati che investono per sostenere le attività culturali e creative, come fanno anche le fondazioni bancarie che da tempo hanno un rilevo notevole per questo settore[46] al pari degli sponsor[47].

Per regolare e rendere più efficiente l’economia arancione sembra necessario, pertanto, un cambiamento di mentalità circa i canali di finanziamento al fine di rinnovare i modelli tradizionali e dare vita a una politica più mirata che tenga conto della componente antropica delle imprese culturali e creative, le quali sono tese a uno sviluppo capace di contribuire a realizzare non solo un capitale istituzionale strutturale, ma anche umano e sociale,[48] prodotto da una conoscenza condivisa e capace di migliorare anche l’ecosistema amministrativo.

Gli effetti dell’economia arancione sono concettualmente ragguardevoli: vi è una smaterializzazione della stessa economia che trasforma le forme della proprietà, l’organizzazione produttiva, il rapporto tra pubblico e privato, cambiando completamente il concetto di scarsità da applicare non esclusivamente ai mezzi, ma anche alla produzione in generale.

Non solo, in questo settore la ricerca, l’innovazione e la tecnologia sono una parte integrante del processo produttivo che perciò è portato costantemente a superarsi, generando nuovo valore e motivi di interscambi tra imprenditori e consumatori. La cultura, in questo modo, diventa economia, molto più di quanto non lo sia la fabbrica, il mercato o l’ufficio, superando le barriere tradizionali.

Sembra, così, che l’Orange economy abbia tutti gli elementi per favorire la transizione della vecchia economia a nuove istanze più vicine ai bisogni della collettività e dell’ambiente. L’affermazione di una nuova economia, però, non è così scontata in quanto, creare ricchezza dalle idee implica una trasformazione senza precedenti, non facile realizzare .

I prodotti della cultura e della creatività, in linea di massima, possono definirsi beni comuni mancanti dell’esclusività, infatti, non sono competitivi, hanno costi di riproduzione praticamente molto bassi e sono tendenzialmente immateriali.

L’output produttivo dell’Orange economy non è definibile secondo le categorie classiche, tanto che, non è né un bene privato né un bene pubblico[49], collocandosi come ulteriore specie tra beni rivali e beni non rivali parzialmente escludibili. In un certo qual modo sono beni non rivali (soprattutto se ci riferiamo al prodotto di un’idea) perché in alcuni casi possono essere copiati, condivisi e usati da tante persone nello stesso momento e, attraverso le norme sul diritto di autore, avere un accesso in parte controllato[50].

I lavoratori del comparto, invece, sono contemporaneamente imprenditori di sé stessi con il valore aggiunto di evitare il problema dello sfruttamento del lavoro e di dare il giusto valore alla dignità di questi ultimi[51]. Il cultural and creativity worker, inoltre, è altamente istruito, tendenzialmente viene dal mondo della ricerca o dell’istruzione ed è dotato di un titolo di studio superiore alla media, circostanza che aumenta i benefici netti individuali e tende a migliorare la sperimentazione e l’innovazione nonché a rendere più concorrenziali i prodotti dell’economia arancione.

La finanziarizzazione e il consumismo che hanno generato precarietà dell’occupazione, incertezza dei redditi e dei servizi sociali sono, però, ancora il perno dell’economia e fenomeni tutt’altro che in recessione e, sebbene la fabbrica abbia perso la sua centralità e possa apparire in crisi, un modello economico come l’Orange economy diverso da questi schemi che ha dinamiche produttive non convenzionali stenta a farsi strada. Per arrivare a modificare il modello classico si deve, infatti, realizzare un cambiamento culturale, economico e tecnologico che permetta di sfruttare al meglio le opportunità delle arti, dei media e delle creazioni umane, ma tutto questo è ancora ipotetico e in divenire poiché le politiche monetarie e fiscali e le azioni delle istituzioni non si sono ancora adeguate alla diversa realtà e al nuovo tipo di produzione.

Considerate le peculiarità dell’Orange economy, diverse iniziative ricollegabili a tale settore spesso hanno coinvolto quasi esclusivamente i privati che sono più attivi e più attenti ad accogliere la dinamica delle innovazioni.

Occorre, però, evidenziare che i policy makers sono intervenuti attraverso il sostegno alle imprese culturali e creative (aiuti di Stato), creando contesti fiscali o infrastrutturali capaci di favorire la crescita del settore[52]. Tale politica, però, non può essere improntata a una regolamentazione diretta solo a questo segmento di mercato perché è necessario, invece, accrescerlo e renderlo dinamico, stimolando contemporaneamente domanda, offerta e interazione tra i vari attori, evitando le violazioni della concorrenza e soprattutto delle norme antitrust al fine di impedire di rendere asfittica la competitività delle imprese e dei loro output. In tal modo, si limita anche l’omologazione dei prodotti, favorendo, invece, le libertà creative e la piena libertà di scelta degli utenti. D’altro canto, non è neanche opportuno che i decisori politici eccedano con i finanziamenti pubblici, specie a livello locale, a imprese o associazioni del settore in quanto, si deve evitare di falsare la concorrenza relativa all’offerta e alla produzione dei prodotti creativi, pur essendo necessario stimolare la partecipazione alla crescita culturale dei cittadini, causa e non solo effetto dell’ampliamento dei consumi di prodotti e servizi culturali.

Tutto ciò nella consapevolezza che è sostanziale per uno Stato sostenere la qualità del capitale umano, il quale è determinante nei processi di crescita socioeconomica contemporanea, permettendo di scongiurare la perdita di competitività a prescindere dal settore di attività in cui tale capitale si esprime.

Un altro elemento da considerare è anche il fatto che le imprese del settore spesso non hanno buone competenze contabili-amministrative, soprattutto perché le loro attività, come evidenziato, si basano soprattutto sull’uso delle tecnologie e la ricombinazione creativa delle risorse presenti sul territorio e solo in minima parte sull’impiego del capitale tradizionale. Esse, infatti, operano con asset intangibili che sono il loro core business, con la conseguenza, lo si ripete, di dare vita a modelli non paragonabili a quelli delle imprese classiche[53]. Questo motiva la necessità di cambiare la politica del passato pensando a nuove azioni che siano in grado di dare il giusto risalto all’innovazione sociale scaturita dalla cultura con programmi di sostegno specifici che supportino le imprese del ramo in oggetto nel loro operare e che garantiscano un approccio meno burocratico da parte della pubblica amministrazione[54]. Così, si favorirebbero nuovi progetti per rigenerare e produrre beni che soddisfano i bisogni della comunità[55], consentendo anche ai cittadini di assumersi la responsabilità del proprio sviluppo economico e sociale. Ciò, inoltre, insieme a politiche pro-innovazione, contribuirebbe in modo significativo a una crescita più sostenibile e inclusiva[56], innalzando gli standard di vita[57].

3. Politiche europee a sostegno del settore arancione

Come si è già rilevato, nel 2004, nel 2008, nel 2010 e nel 2013 sono stati pubblicati dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo[58] specifici Rapporti sull’economia creativa, i quali hanno evidenziato come il dispiegamento delle risorse culturali nei Paesi in via di sviluppo possano essere un mezzo per la crescita, la creazione di posti di lavoro e l’espansione delle esportazioni.

I decisori politici di molti Paesi hanno mostrato di comprendere che attuare interventi pubblici per aumentare il vantaggio competitivo delle industrie culturali e creative stimola in maniera concreta lo sviluppo economico. In ambito europeo, per esempio, la Commissione ha dato vita a molteplici iniziative, sebbene, a volte, l’utilizzo dei Fondi Strutturali Europei, pensati per finanziare strategie specifiche e dare un impulso importante al settore, ha sortito gli effetti sperati solo in parte poiché non sono stati utilizzati sempre nel modo più opportuno.

Ciononostante, la Programmazione europea 2014-2020 caratterizzata da una maggiore attenzione alle politiche asset-based relative al settore sociale, culturale e creativo, la nuova Agenda europea per la cultura 2018-2022 che ha incluso linee politiche per la partecipazione culturale e incoraggia azioni politiche coordinate per sostenere le dimensioni sociale ed economica della cultura[59], insieme al più recente Programma Creative Europe 2021-2027 che tra i suoi obiettivi ha compreso l’aumento della competitività e del potenziale economico dei settori culturali e creativi, con un budget pari a 1,8 miliardi di euro, a cui si sono aggiunti 600 milioni di euro a partire dal 2022, hanno comunque rappresentato un segno che l’Europa intende sostenere concretamente le attività in oggetto. Degna di nota l’istituzione dell’Agenzia esecutiva europea per l’istruzione e la cultura (EACEA) la quale gestisce i finanziamenti per l’istruzione, la cultura, gli audiovisivi, lo sport, la cittadinanza e il volontariato, nonché riceve, valuta e finanzia le proposte ritenute finanziabili.

3.1 Gli aiuti di Stato alle attività culturali e creative

Le azioni previste nel PNRR italiano si associano, poi, alla costituzione di fondi speciali[60] e di agevolazioni fiscali che vanno esaminate anche in considerazione della specifica normativa sugli aiuti di Stato[61]. Nello specifico, l’art. 53 del Regolamento 651/14 individua le varie attività culturali e creative non soggette alla disciplina dell’art. 107 TFUE e soprattutto precisa che essa si applica alle “attività di tipo economico”, laddove prevalentemente finanziate dai contributi dei visitatori o degli utenti o attraverso altri mezzi commerciali perché solo in questo caso, secondo la Commissione gli aiuti sarebbero in grado di “distorcere gli scambi tra Stati membri”[62], mentre le altre attività delle imprese culturali non rispondenti a questo criterio sono esenti da detta applicazione.

L’articolo 54 del Regolamento del 2014 non classifica tutti i prodotti culturali e, soffermandosi sugli audiovisivi, precisa che gli aiuti sostengono un prodotto culturale, per i quali, salvo i casi ristretti elencati dallo stesso articolo, è pacifica l’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato. Il legislatore europeo, inoltre, conscio delle problematiche relative alle diverse definizioni attribuite dai Paesi membri circa il settore in oggetto, sempre nell’articolo di cui sopra, stabilisce che al fine di “evitare errori palesi nella classificazione di un prodotto come culturale, ciascuno Stato dell’UE stabilisce procedure efficaci, quali la selezione delle proposte da parte di una o più persone incaricate o la verifica rispetto a un elenco predefinito di criteri culturali” in modo da responsabilizzare ulteriormente i Paesi europei sulla concessione degli aiuti di Stato e armonizzare le diverse definizioni.

3.2 Le politiche italiane.

Il nostro Paese negli ultimi vent’anni è stato percorso da un’importante operosità legislativa per il settore culturale poiché il decisore politico non ha trascurato quanto le imprese “arancioni” siano una delle risorse chiave di cui dispone l’Italia, un Paese che ha “la cultura nel suo DNA”. Già dagli anni Ottanta sono stati previsti interventi pubblici in tale materia, che, però, sono stati realizzati, si potrebbe dire, a pioggia. Nel corso degli anni, l’allargamento della fruizione culturale e la richiesta di cultura, invero sempre maggiore, hanno dato vita ad azioni politiche sempre più specifiche. Volendo tracciare un rapido excursus normativo, ricordiamo la legge Ronchey[63] che istituì nel 1993 i servizi aggiuntivi nei musei, gli interventi redistributivi delle competenze amministrative previsti nella legge Bassanini e l’apertura del settore pubblico a collaborazioni con i privati nell’ambito della cultura, favoriti in seguito dagli artt. 112 e 115 del Codice dei beni culturali e del paesaggio[64].

La riforma costituzionale del 2001 ha poi ridisegnato i rapporti tra Stato e Regioni dal punto di vista delle competenze legislative per i beni e le attività culturali. In poco più di dieci anni si è dato vita a ben tre nuovi riordini del relativo Ministero[65], a una legge organica per il settore dei beni culturali[66] e del paesaggio, con i relativi aggiornamenti, a una legge per il settore cinematografico[67] e a numerosi leggi e decreti che disciplinano i criteri per i finanziamenti delle attività culturali[68]. Tutti questi provvedimenti si sono rilevati importanti per il settore, sebbene non sia stato elaborato un progetto più lineare che avrebbe sortito maggiore efficacia. Tale problema è scaturito anche in considerazione della circostanza che, in generale, lo sviluppo del settore tende ad essere impostato in termini materiali, mentre spesso, come già evidenziato, il contributo attivo delle espressioni artistiche al valore economico immediato e il raggiungimento di risultati di sviluppo tangibile può essere sistematizzato solo nel lungo periodo.

Non dimentichiamo che proprio in Italia uno dei compiti di tutte le istituzioni pubbliche a cominciare dal Mibac è quello di promuovere conoscenza, utilizzazione e fruizione dei beni culturali, un preciso “dovere” sancito dagli artt. 6, comma 1 e 112, comma 1 del Codice dei beni culturali e del paesaggio[69]. La possibilità di realizzare questo obiettivo e di sostenere cultura e creatività si sta concretizzando attraverso le politiche contenute nel PNRR nel quale sono previste una serie di misure specifiche per il settore, che rafforzano anche le posizioni occupazionali meno stabili del comparto in oggetto. In particolare, proprio la Missione 1 è stata denominata “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo” allo scopo di evidenziare la consapevolezza delle istituzioni italiane circa la forte interattività fra le componenti e le filiere attive culturali e creative con i processi di miglioramento della società.

I destinatari degli investimenti volti a promuovere l’innovazione, la modernizzazione e la competitività sono nello specifico i settori le cui attività si basano su valori culturali, espressioni artistiche e altre espressioni creative individuali o collettive, sia quelle orientate al mercato sia quelle che non sono orientate al mercato. La cultura, attualmente, è collegata alla digitalizzazione perché le attuali tecnologie si caratterizzano quali strumenti di una nuova democrazia del sapere[70], evidenziando come esista un’area di valore comune, in cui l’attività di impresa si coniuga con l’innovazione e i talenti della collettività diventando una risorsa fondamentale per il nostro Paese, sia dal punto di vista identitario, sia dal punto di vista della crescita economica.

Il Piano, nella Componente 3 della Missione sopra menzionata non trascura neanche il fatto che le attività culturali e creative sono legate alla transizione ecologica e all’economia circolare, evidenziando come le misure predisposte debbano essere realizzate in maniera sinergica tra gli altri settori e le altre aree di intervento, tanto che molte previsioni contenute nelle successive Missioni, ad esempio, quella relativa a Istruzione e Ricerca, completano la strategia del Governo in questa area.

Da ultimo giova ricordare che gli interventi attuati dall’Italia sono improntati a una nuova modalità di sviluppo sostenibile legata a una rigenerazione territoriale e a un rafforzamento degli strumenti di intelligenza artificiale (pensiamo al mercato dei prodotti culturali e creativi offerti attraverso gli strumenti digitali e la rete che, peraltro, durante la pandemia hanno costituito i principali strumenti di lavoro per gli imprenditori e per gli operatori della cultura), i quali stanno già modificando sostanzialmente il mercato della cultura in considerazione delle moderne esigenze. Ciò, nondimeno, permetterà anche di rispettare i diritti delle generazioni future assicurando loro la stessa quantità e qualità delle risorse esistenti come suggeriscono gli obiettivi dell’Agenda 2030[71] che impegna governanti e governati a fornire un nuovo volto all’ economia partendo dalla cultura[72].

Si comprende, pertanto, come le misure previste nel PNRR sono dotate di potenzialità capaci di fornire un concreto contributo per rendere più efficaci le forme dell’intervento pubblico per la cultura, che è necessario per sostenere direttamente e indirettamente l’economia del Paese realizzando uno sviluppo di qualità e soprattutto più inclusivo date anche le basse barriere di accesso per gli imprenditori del settore e le minore quantità di investimenti iniziali necessari per iniziare le attività in esso comprese.

4. L’economia arancione in pratica

Per sfruttare al massimo le opportunità offerte dalla cultura anche in altri Paesi del mondo si è pensato di potenziare l’Orange economy, con investimenti mirati a promuovere pratiche collaborative tra PMI[73], a sperimentare nuovi prodotti digitali[74] nonché a dare vita a nuove strategie di resilienza[75], con l’obiettivo di creare un alternativo modello di produzione, realizzando quella che potrebbe essere chiamata una “democrazia economica” fondata sull’innovazione e sulla promozione dell’apprendimento e della cultura, coinvolgendo tutti coloro che ne sono interessati.

Il valore aggiunto fornito dalla cultura e dalla creatività negli Stati che hanno adottato politiche in favore di queste ultime si è dimostrato degno di nota perché tali Paesi sono riusciti a realizzare un’economia più umana atta a contribuire a una crescita più inclusiva e di qualità e capace di fornire intuizioni per sostenere o, piuttosto, creare un’inedita espressione di reddito addirittura a volte di vitale importanza per molti cittadini che diversamente non avrebbero saputo come inserirsi nel mondo del lavoro.

In alcuni Paesi come lo Zambia, la Nigeria o le Filippine l’economia arancione ha fatto la differenza: nel primo Paese lo sviluppo dell’industria cinematografica con le sovvenzioni statali ha portato a una considerevole crescita economica, nel secondo, sempre l’industria cinematografica dal 2013 ha permesso una crescita del PIL di quasi il doppio promuovendo l’occupazione giovanile e la diversificazione economica, mentre nelle Filippine il settore culturale e creativo ha contribuito a migliorare le azioni pubbliche nel campo sociale e della sanità[76].

Non mancano esempi anche in Italia dove l’Orange economy si è dimostrata capace di incidere in favore del territorio, soprattutto del Sud Italia[77]. Un caso noto è quello dello stabilimento siderurgico dell’area di Bagnoli (Na) dove si è realizzata una transizione ecologica e sostenibile dell’economia locale. L’industria siderurgica una volta dismessa ha lasciato il posto a una struttura multifunzionale che promuove la divulgazione della scienza attraverso un museo scientifico interattivo, un incubatore di imprese, un centro di formazione, un giardino didattico e vari altri luoghi di fruizione della cultura. Tale iniziativa ha permesso la creazione di posti di lavoro con incremento del turismo e della cultura, promuovendo il territorio che è stato liberato dalla contaminazione dell’aria e del mare provocato dalla produzione dell’acciaio.

4.1 Il caso Colombia

Particolarmente interessanti sono le politiche pubbliche della Colombia. Il Piano di sviluppo nazionale (PND) 2018-2022 di tale Paese ha previsto un ampio numero di obiettivi di sviluppo, fra i quali anche l’economia arancione. Il governo colombiano ha espressamente riconosciuto l’importanza della cultura e della creatività non solo per il loro valore intrinseco, ma anche per il loro contributo alla creazione di posti di lavoro, reddito e ricchezza e le ha prese in considerazione come strumenti per favorire lo sviluppo locale, la coesione sociale e il benessere. La Colombia ha impresso un approccio globale alla politica dell’Orange Economy progettandola intorno a sette azioni principali: informazione e conoscenza; rafforzamento e coordinamento istituzionale; creazione di infrastrutture territoriali per diffondere i processi creativi; sostegno a industria, start-up e aziende sostenibili; integrazione di reti e sviluppo del mercato; strategie per aumentare l’ispirazione e l’integrazione delle catene del valore e la circolazione di beni e servizi creativi e culturali; lotta alle disuguaglianze attraverso lo sviluppo di capacità creative e culturali e della proprietà intellettuale. Nell’ambito di queste strategie il Governo colombiano ha deciso di attingere al fertile terreno creativo del suo Stato per istituire i primi prodotti finanziari (nello specifico si tratta di obbligazioni) legati alle imprese arancioni.

Se i più conosciuti green bond sono destinati a finanziare progetti climatici e ambientali, le nuove obbligazioni (c.d. Orange bond) colombiane sono destinate a finanziare progetti creativi e culturali, utilizzati specificamente per dare sostegno a creazioni della letteratura, dei media visivi, delle arti dello spettacolo, dell’artigianato e anche al comparto turistico con l’impegno della banca emittente di assicurare agli investitori possibilità di guadagni da non trascurare. L’iniziativa descritta si inserisce nell’ambito dei diversi meccanismi generati dalle borse globali per il finanziamento sostenibile come auspicato dalle organizzazioni internazionali nell’ultimo decennio[78]. Tra questi spiccano le obbligazioni tematiche o etichettate, note anche come obbligazioni GSS (Green, Social and Sustainability bond), ovvero quelle che includono, tra le altre, le obbligazioni verdi, quelle sociali, quelle blu, quelle Covid e, quindi, anche le arancioni. Le obbligazioni tematiche sono molto simili alle obbligazioni standard, rappresentano uno strumento di debito tradizionale con un profilo di credito simile, ma i loro proventi sono utilizzati per contribuire direttamente ed esclusivamente agli scopi dell’obbligazione etichettata[79].

La promozione delle arti attraverso prodotti finanziari è per ora una novità da non confondere con il progetto Orange bond principles istituito nel 2022 per favorire e finanziare azioni in modo particolare riguardanti la parità di genere nell’ambito dell’obiettivo SDG 5 dell’O.N.U.

Le “obbligazioni arancioni” sono amministrate in Colombia da Bancóldex, una banca di sviluppo statale creata nel 1992 con il mandato di promuovere la crescita delle imprese e il commercio estero nell’ambito di un piano più ampio per sviluppare l’economia colombiana. Gli obiettivi della banca latino-americana sono molto ambiziosi: con l’emissione delle obbligazioni in oggetto, infatti, si propone di modificare i sistemi di garanzia delle banche commerciali sviluppati solitamente su beni materiali e tangibili e di adattarli alle produzioni delle attività creative che sono il più delle volte proiettate verso il futuro e difficili da monetizzare o quantificare in termini economici. In buona parte Bancóldex è comunque riuscita a superare la riluttanza degli istituti di credito, che, come si è già evidenziato, per la difficoltà di quantificare i rischi della nuova operazione finanziaria, non sono incentivati a concedere finanziamenti a società il cui sviluppo è incerto o semplicemente a investire in un progetto o in un’idea, non comprendendo quale può essere il profitto. Ha, inoltre, incoraggiato la partecipazione dei privati a questa iniziativa, concedendo consulenze, assistenze tecniche mirate e, attraverso una politica trasversale di favore, ha reso più attrattive le imprese culturali e creative.

Le date di scadenza dei nuovi bond sono da due a tre anni e attualmente vengono acquistati e venduti solo in Colombia[80]. Il Paese sudamericano non sta spingendo verso l’Orange economy solo per promuovere le arti, ma, in maniera previdente, vuole ridurre la dipendenza della sua economia dalle materie prime che con il tempo stanno via via scarseggiando nel suo territorio. Tra l’altro, i fondi degli “Orange Bond” non riguardano solo un aspetto formale, ma diversificano le “fonti di risorse”, migliorando le prospettive di investimento, con il pregio di realizzare uno sviluppo capace di coinvolgere anche le minoranze etniche e le fasce più deboli della popolazione poiché favoriscono una categoria molto ampia di industrie, aumentando i posti di lavoro. Tra queste ci sono quelle che includono l’editoria, gli audiovisivi, musica radiofonica e registrata, produzioni di nuovi media, software, design di software, come videogiochi e prodotti industriali, servizi di notizie e informazioni, il turismo e la valorizzazione e fruizione del patrimonio materiale e immateriale, l’artigianato, i festival, gli spettacoli pubblici e la produzione alimentare culturalmente specifica.

Al momento l’iniziativa colombiana relativa a questi nuovi prodotti di investimento favoriti principalmente tramite provvedimenti normativi[81] che prevedono detrazioni fiscali, è ancora all’inizio del suo percorso, per cui ci vorrà del tempo per conoscere quali saranno i suoi concreti risultati, sebbene stia dimostrando di possedere quel quid che potrebbe servire ad ispirare un nuovo modello economico per i governi[82] capace di creare sviluppo dalle idee, incoraggiare le PMI, importante tessuto economico di un Paese e spesso legate all’innovazione, ma anche di realizzare progetti più sostenibili, più sociali e più green. Ciò ha richiesto una visione innovativa dei manager pubblici e privati, i quali, ampliando i propri orizzonti, hanno considerato l’importanza di questo settore e compreso che investire in cultura può portare a realizzare uno sviluppo basato anche sulla qualità. Senza dimenticare che il collegamento tra arte ed economia comprende più attività produttive, poi, i decisori politici colombiani hanno previsto anche un coordinamento dei vari rami della pubblica amministrazione[83]. Il governo del Paese sudamericano, infatti, ha dato vita a partenariati strategici interministeriali per istituire una politica imprenditoriale specifica a favore dell’industria creativa. Tali azioni sono state supportate anche dal Servizio nazionale di formazione che ha adattato i suoi programmi a quanto necessario per promuovere la cultura e la creatività, con l’utilizzo di un Fondo per l’imprenditorialità in modo da dare vita a progetti indirizzati a una crescita più equilibrata, concretizzando profitti provenienti da risorse non tradizionali. Le potenzialità di tale iniziativa hanno attirato altri Stati dell’America latina che si stanno attivando per ricalcare la politica colombiana e dare vita a prodotti finanziari culturali, finalizzati a convogliare investimenti in progetti di qualità in favore della collettività e dei suoi bisogni.

4.2 Il resto del mondo e l’Orange economy

Vi è da dire che anche l’Asia e gli Stati ad economia emergente o c.d. Stati sviluppisti, i quali si caratterizzano per aver predisposto azioni politiche improntate a favorire soprattutto lo sviluppo e il potenziamento dello Stato[84], hanno dedicato una parte delle loro politiche all’impiego delle loro risorse culturali[85]. Tutto ciò in linea con il disegno di tali Paesi di coniugare la crescita economica con lo sviluppo del benessere collettivo, sociale ed economico.

Dal 2009 il governo thailandese, per esempio, sta incrementando i mezzi per rendere la Thailandia un’“economia creativa”, cioè un’economia basata sul talento e sulla cultura unica del suo popolo (la cosiddetta “Thainess”)[86]. A tal scopo, i responsabili politici di questo Stato hanno prestato grande attenzione alle “industrie creative” come quelle riguardanti il cibo locale, l’artigianato, le terme, i film e il software multimediale[87]. Anche gli Stati emergenti, quindi, attraverso una gestione politica improntata su modelli basati su un deciso intervento pubblico, stanno considerando l’importante contributo che il settore cultura può fornire al processo del loro rapido sviluppo economico.

5. Notazioni conclusive 

Le politiche legate alla cultura e alla creatività si sono dimostrate una strategia per una crescita economica più vicina alle attuali esigenze e hanno dato prova di essere maggiormente incisive, se supportate da strumenti del mercato finanziario che promuovono investimenti rispettosi di una sostenibilità globale e locale nello stesso tempo. A tal proposito, occorre evidenziare che le caratteristiche dell’Orange economy permettono di sviluppare in maniera quasi naturale prodotti social impact finance, i quali possono fornire un concreto impulso per la crescita delle attività del settore in oggetto, coniugando, per l’appunto, la sostenibilità finanziaria alla dimensione sociale in senso ampio degli investimenti[88].

L’economia della cultura, perciò, è capace di proporsi quale elemento di forza del mercato, emergendo come un’alternativa strategica per lo sviluppo dei Paesi atta a superare la vulnerabilità dell’economia tradizionale. Questo “inconsueto” modello economico, infatti, favorisce una maggiore inclusività dei giovani, delle donne e delle minoranze, realizzando non solo beni materiali, ma anche immateriali, senza le conseguenze negative dell’economia tradizionale. Non si deve, tuttavia, pensare che l’economia arancione escluda la tradizionale, anzi, la prima ha il pregio di poter essere fruttuosamente affiancata e di arricchire la seconda che può trovare nuove ispirazioni e modalità idonee a correggere quanto in essa è ormai obsoleto e poco rispondente ai bisogni della società odierna.

L’Orange economy, invero, riesce a conseguire allo stesso tempo efficienza economica e innovazione, concretizzando il principio di solidarietà intergenerazionale realizzando un diverso e più utile modo di considerare i sistemi di produzione e di consumo dei beni e dei servizi complessivamente intesi nell’ambito del settore secondario e terziario, ma anche di quello quaternario.

La c.d. onnipotenza del profitto[89], con questa nuova forma di economia, cambia volto riformando le vecchie logiche di mercato, per realizzare in maniera spontanea una transizione digitale, ecologica e sociale e, soprattutto, quella crescita intelligente, sostenibile e inclusiva cui aspira l’Unione. Ciò anche perché il mercato culturale è espressione dell’innovazione che tradizionalmente è collegata al progresso scientifico[90] e ha una capacità congenita di accrescere valore, migliorando la competitività e la produttività, minimalizzando le esternalità negative come l’inquinamento, con il pregio di limitare quasi completamente lo sfruttamento delle materie prime.

Date queste premesse, è evidente quanto l’economia arancione, stimolando l’adozione di innovativi strumenti di governance integrata come produttivi partenariati pubblico privati[91], possa fornire un valore aggiunto all’intero Paese, producendo prodotti che generano sviluppo intellettuale e che promuovono l’essenza stessa della persona umana con la realizzazione del suo benessere materiale e immateriale. Insomma, l’Orange economy è un’economia che punta sulla qualità, valorizzando l’identità delle comunità e dei territori, rispettando l’ambiente e incorporando bellezza.

L’economia, così, può essere vista in una prospettiva più ampia[92]: può produrre ricchezza, sia aumentando il profitto, sia accrescendo la qualità della vita dei cittadini.

Le arti si rivelano una risorsa strategica e indispensabile per realizzare un approccio globale alla crescita della società nel suo complesso e per fornire un’opportunità di modernizzazione e trasformazione di tutti quei settori che necessitano di nuovi modelli di produzione sostenibili, eco-compatibili, ma anche competitivi, dato che l’imprenditorialità creativa accompagnata dalla tecnica e dall’innovazione svolge un ruolo fondamentale nell’affrontare le transizioni in atto nello scenario globale.

Si comprende, quindi, come la creazione di una sinergia tra l’economia arancione e quella tradizionale permette quei cambiamenti che possono realizzare uno sviluppo più consono ai cambiamenti e ai bisogni attuali della collettività[93].

In tal modo, il valore economico definito dai canoni tipici del reddito e del prezzo si apre a fenomeni produttivi basati su paradigmi disgiunti dagli eccessi speculativi e più rispettosi degli obiettivi elaborati a livello internazionale ed europeo a favore di un presente e un futuro migliore. In altre parole, la cultura, la creatività e la conoscenza si fanno portatrici di un cambiamento più ecologico, più inclusivo e più sostenibile, candidando l’Orange economy a divenire il volano capace di superare l’ottica meramente utilitaristica e la valutazione solo quantitativa del benessere, dando vita, invece, a uno sviluppo di qualità e, soprattutto, a un’economia per le persone e non viceversa.

 

[1] Su questo complesso tema, oggetto di approfondimento da parte della dottrina dal 1983, ovvero da quando è stato coniato il termine globalizzazione dall’economista americano Theodore Levitt in un suo articolo intitolato “La globalizzazione dei mercati” in Harvard Business Review, senza pretesa di esaustività, ex multis, A. Quadrio Curzio, Globalizzazione: profili economici, in Il Mulino, n 1/1999, 41 ss.; G. Sapelli, Le imprese, la globalizzazione e il postnazionalismo economico, ivi, 55 ss.; M. R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna, 2000; V. Roppo, Verso un mondo globalizzato: trasformazioni economiche, mutamenti sociali, risposte politiche, in Politica del diritto, n. 3/2001, 515 ss.; A. Baldassarre, Globalizzazione contro democrazia, Roma-Bari, 2002; V. Carbone, Globalizzazione dell’economia, libertà dell’uomo e valori cristiani, in A. Loiodice, F. Vari (a cura di), Giovanni Paolo II. Le vie della giustizia, Itinerari per il terzo millennio, Roma, 2003, 680 ss.; G.M. Flick, Economia ed etica nell’Europa della globalizzazione, in Rivista della Guardia di Finanza, 2003, n. 4, 138 ss.; N. Irti, Le categorie giuridiche della globalizzazione, in Rivista di diritto civile, n. 1/2003, 625 ss.; F. Capriglione, Etica della finanza mercato globalizzazione, Bari, 2004; F. Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005; M. D’Alberti, Poteri pubblici, mercati e globalizzazione, Bologna 2008; S. Cassese, Globalizzazione del diritto, in www.treccani.it, 2009; M. R. Ferrarese, voce Globalizzazione giuridica, in Enciclopedia del diritto, Annali, Milano, IV, 2011, 547 ss.; F. Capriglione, Globalizzazione, crisi finanziaria e mercati: una realtà su cui riflettere, in Concorrenza e mercato, 2012, 867 ss.; P. Grasso, Il costituzionalismo della crisi. Uno studio sui limiti del potere e sulla sua legittimazione al tempo della globalizzazione, Napoli, 2012; G. Scaccia, Il territorio fra sovranità statale e globalizzazione dello spazio economico, in www.rivistaaic.it, 2017; F. Fracchia, Sovranismi, globalizzazione e diritto amministrativo: sull’utilità di un approccio dialogante e a più dimensioni, in www.federalismi.it, n. 17/2018; P. Bilancia, L’effettività della Costituzione economica nel contesto dell’integrazione sovranazionale e della globalizzazione, in www.federalismi.it, n. 5/2019; N. Acocella, La globalizzazione e l’equilibrio economico mondiale, Roma, 2020; D. Porena, Nell’epoca della globalizzazione: il potere oltre la sovranità, in Ambiente e diritto, n. 1/2021, 42 ss.; R. Ruozi, Considerazioni sulla globalizzazione del mercato finanziario, in Dirigenza bancaria, 2023, 5 ss.

[2] P. Kabanda, Le arti nell’economia e l’economia nelle arti, in D. Lewis, D. Rodgers, M. Woolcock (a cura di), Nuovi mezzi, messaggi migliori?, Oxford, 2022, 231.

[3] Il termine Orange economy è stato coniato da F. Buitrago, I. Duque, in La Economía Naranja: Una Oportunidad Infinita, Washinton DC, 2013.

[4] Per altra dottrina, la cultura e l’economia fanno parte della soft economy, che indica un’economia che punta sulla qualità, valorizzando l’identità delle comunità e dei territori, rispettando l’ambiente e incorporando bellezza. Sul tema, E. Realacci, A. Cianciullo, Soft economy, Milano, 2005.

[5] Su come si sia evoluto il concetto di industria culturale e creativa a partire dagli anni Sessanta, L. Savonardo, R. Marino, A. Cocorullo (a cura di) L’industria culturale e creativa Giovani e innovazione in Campania, Milano, 2022, 41 ss.

[6] A. Cicerchia, Why we should measure what we should measure, in Economia della Cultura, 2015, 11 ss.; P. A. Valentino, L’impresa culturale e creativa: verso una definizione condivisa, in Economia della cultura, 3/2013, 273 ss.; G. Richieri, Il Concetto di industrie creative, in Economia della Cultura, n. 1/2009, 5 ss.

[7] M. Miccio, Come comunicare l’impresa culturale, in Analisi Giuridica dell’Economia, n. 1/2007, 71. Sull’impresa culturale in generale, si v., anche, G. Bosi, L’impresa culturale: diritto ed economia delle attività creative, Bologna, 2017.

[8] M. Ratti, Outcome Indicators for the Cultural Sector, in Economia della Cultura, 2015, 23 ss., ma anche M. Trimarchi, Sul futuro dell’economia della cultura, in Economia della cultura, 2007, 43, il quale sostiene che identificare e misurare il prodotto culturale è un vero problema.

[9] F. Di Donato, Problematiche valutative delle imprese culturali, in Analisi Giuridica dell’Economia, n.1/2007, 119 ss.; S. Cavaliere, Prospettive giuseconomiche dell’Orange economy, in Economia pubblica, n. 2/2022, 276.

[10] P. A. Valentino, L’impresa culturale e creativa: verso una definizione condivisa, in Economia della cultura, 3/2013, 273 ss.; L. Lazzaretti, F. Capone, Creative Industries in Italy mapping creative local systems, in Sinergie, n. 79/2009, 145 ss.

[11] J. Howkins, L’economia creativa: come le persone guadagnano dalle idee, Londra, 2013, 30 ss. Secondo le Nazioni Unite (www.unctad.org, 2001), l’economia creativa è caratterizzata da ‹‹attività con una forte componente artistica rispetto a qualsiasi attività economica che produce prodotti simbolici con una forte dipendenza dalla proprietà intellettuale››.

[12] Le problematiche dell’economia lineare si evidenziano in particolare raffrontando quest’ultima con le istanze dell’economia circolare, sul tema, almeno, R. Ferrara, Brown economy, green economy, blue economy: l’economia circolare e il diritto dell’ambiente, in Dir. e Proc. Amm. n. 13, 2018, 801 ss; F. De Leonardis, Presentazione, in Id. (a cura di), Studi in tema di economia circolare, Macerata, 2019, 7; E. Scotti, Poteri pubblici, sviluppo sostenibile ed economia circolare, in Il diritto dell’economia, n. 1/2019, 515; G. Sapelli, Un cambio di rotta. Note sull’economia circolare, in Equilibri, n. 9, 2019, 24 ss.; M. Cocconi, Un diritto per l’economia circolare, in Il diritto dell’economia, 2019, 3, 113 ss.; M. Pennasilico, Economia circolare e diritto: ripensare la “sostenibilità”, in Persona e Mercato, 2021, 714 ss.; C. Colognese, Economia circolare: “restyling” o nuovo modello economico?, in www.giustamm.it, 2, 2021, 1 ss.; C. Feliziani, L’economia circolare nei decreti semplificazione e nel PNRR: quanto manca alla meta?, in Rivista giuridica di urbanistica, n. 4/2021, 823 ss.; D. Colombo, Perpetuo? Quasi. L’economia circolare punta al virtuosismo perfetto, in Mark up, 2022, 116 ss.

[13] Rapporti sull’economia creativa della conferenza ONU sul commercio e lo sviluppo, in www.unctad.org, anni 2004, 2008, 2010.

[14] In www.undp.org.

[15] L. Lazzeretti, N. Innocenti, F. Capone, L’impatto della varietà correlata sulla crescita dell’occupazione creativa., Firenze, 2017, 491 ss.

[16] A.C. Pratt, L’economia creativa e culturale e la recessione, in Geoforum, 2009, 495 ss.

[17] Quanto esposto sopra è uno dei motivi per cui il diritto dell’economia integra il metodo di studio più idoneo per affrontare il tema dell’Orange economy. La sua dimensione interdisciplinare e transdisciplinare, infatti, permette di analizzare una potenziale varietà di ambiti e settori con una latitudine cognitiva e scientifica molto ampia, in tal senso, G. Luchena, Il diritto dell’economia, in E. Bani, F. Di Porto, G. Luchena, E. Scotti, Lezioni di diritto dell’economia, Torino, 2023, 1 ss.; ma anche, F. Capriglione, M. Sepe, Riflessioni a margine del diritto dell’economia. Carattere identitario ed ambito della ricerca, in Rivista trimestrale di diritto dell’economia, n. 3, 2021, 385 ss.

[18] Per M. Causi, Cultura ed economia dopo il COVID-19: spunti per una discussione pubblica, in Economia della Cultura n. 1/2021, 80 ss. “Al contrario di quanto accaduto ai consumi dal vivo i consumi dei prodotti dell’industria culturale, dei contenuti culturali riproducibili, sono aumentati durante la pandemia”.

[19] N. Martynovych, S. Plutalov, Current trends of the development of creative industries and their impact on the national economy, in www.reicst.com, 2022, 3 ss.

[20] M. Trimarchi, Il sistema culturale italiano: è tempo di dilemmi, in Creatività, Partecipazione, Competitività, 2016, 37 ss.

[21] Reperibile in www.istat.it, 2020.

[22] Si v. per es., D. Throsby, Strategie di sviluppo per le economie delle isole del Pacifico: c’è un ruolo per le industrie culturali?, in Asia Pacific Policy Stud., n. 2/2015, 370 ss., I dati statistici mostrano che la quota dell’economia creativa nel PIL dei paesi più sviluppati è in costante aumento, come puntualizzano J.Fazlagic, R. Skikiewicz, Misurare lo sviluppo sostenibile: la prospettiva dell’economia creativa, in Mondo Ecol. 2019, 635 ss.

[23] K. Robinson, Fuori di testa: imparare a essere creativi, Chichester, Regno Unito, 2001, 12 ss.; S. Johnson, Come il gioco modella il mondo, in www.npr.org, 2017.

[24] A. Sen, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Milano, 2020, 307 ss.

[25] P. Kabanda, Le arti nell’economia e l’economia nelle arti, in D. Lewis, D. Rodgers e M. Woolcock (a cura di), cit., 229 ss.

[26] Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, Consiglio d’Europa – (CETS NO. 199) Faro, 27/10/2005. Per un commento sulla Convenzione in oggetto, tra gli altri, almeno, V. Di Capua, La Convenzione di Faro. Verso la valorizzazione del patrimonio culturale come bene comune?, in www.aedon.ilmulino.it, n. 3/2021, 162 ss.; P. Carpentieri, La Convenzione di Faro sul valore del Cultural Heritage per la società. Un esame giuridico, in Rivista giuridica di urbanistica, n. 2/2021, 274 ss.; M. Cammelli, La ratifica della convenzione di Faro: un cammino da avviare, in www.aedon.ilmulino.it, n. 3/2020, 10 ss.

[27] Rapporto finale conferenza Città del Messico, Monaco, 1982.

[28] Agenda 2030: Transforming the World, September 2015 SDGs 4, 8, 11, 12 e 16, sul tema, G. De Vries, Culture and the sustainable development goals: challenges and opportunities, in Economia della Cultura n. 4/2022.

[29] Sull’economia sociale di mercato, tra i contributi più recenti, almeno, G. Luchena, Economia sociale di mercato, in Rassegna di diritto pubblico europeo, n. 1/2020, 81 ss.

[30] C. Bocci, S. Cacciatore, Le nuove sfide dell’Impresa Culturale, in www.kinetes.com, 2017, VII.

[31] D. Throsby, The Economics of Cultural Policy, Cambridge, 2010, 28 ss.

[32] Sui limiti del capitalismo e su come questo debba essere riorganizzato per tenere conto del benessere collettivo, tra i tanti, M. Porter, M. Kramer, Creating shared value. How to reinvent capitalism – and unleash a wave of innovation and growth, in Harvard business Review, 2011, 4 ss.

[33] A. Zanini (traduzione a cura di), J. A. Schumpeter, Capitalismo, socialismo e democrazia, Milano, 2023, 83 ss.

[34] Sebbene nessuno dei 17 ESG si concentri esclusivamente sulla cultura, l’Agenda 2030 include riferimenti espliciti ad aspetti culturali. In più alla 74 Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 2021 è stato dichiarato Anno internazionale dell’economia creativa per lo sviluppo sostenibile.

[35] Comunicazione della commissione Piano d’azione: finanziamento della crescita sostenibile COM(2018) 97 final, Bruxelles, 8/3/2018.

[36] F. Buitrago, I. Márquez, La Economía Naranja: Una Oportunidad Infinita, cit., 1.

[37] Aristotele, Etica Nicomachea, Roma-Bari, 1999, I, 17.

[38] L. Tricarico, A. Billi, Le imprese culturali in Italia: un ponte tra sviluppo sociale e territoriale in Crios, n. 16/2018, 22.

[39] Così, S. Landini, Sostenibilità e “diritto dei privati”. Il caso dei contratti sostenibili nel settore turistico, in Rivista trimestrale di diritto dell’economia, suppl. n. 4/2022, 109.

[40] D. Throsby, L’economia della politica culturale, New York, 2010, 40.

[41] Ernst and Young, Italia Creativa: Primo studio sull’Industria della Cultura e della Creatività in Italia, in www.italiacreativa.eu, 2016.

[42] L. Tricarico, Imprese di Comunità nelle Politiche di Rigenerazione Urbana: Definire ed Inquadrare il Contesto Italiano, in Euricse Working Papers 2014, 14; A. Lampis, Verso un’idea di welfare allargato. Il welfare culturale nelle iniziative della Provincia Autonoma di Bolzano, in Economia della Cultura, n. 1/2017, 131 ss.; I. Giuliani, La città culturale. Spazi, lavoro e cultura a Milano, in Fondazione Giangiacomo Feltrinelli www.fondazionefeltrinelli.it, 2018.

[43] Gorbis M. e Vian K., Building Cultural Prosperity What we can learn from cultural innovators, and why it’s important, in Stanford Social Innovation Review, 2016, 37 ss.; J.Phills, K. Deiglmeier, D. T. Miller D. T., Rediscovering social innovation, in Stanford Social Innovation Review, 2008, 34 ss.; F. Moulaert, A. Mehmood, A. Manganelli, Spazi d’innovazione sociale, in Monteduro G. (a cura di), Sussidiarietà e innovazione sociale. Costruire un welfare societario, Milano, 2017, 78 ss.

[44] Parlamento europeo A8-0357/2016. Dobbiamo ricordare a tal proposito il programma Cultural and Creative Sectors Guarantee Facility istituito dalla Commissione europea il 30 giugno 2016 dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Europa Creativa. L’obiettivo di questo strumento è di facilitare l’accesso al finanziamento per micro, piccole e medie organizzazioni che operano nel settore creativo e culturale, tradizionalmente caratterizzate da un alto profilo di rischio.

[45] Occorre evidenziare, però, che il PNRR e anche alcuni accordi come quello Acri-Abi per il progetto Funder35 dedicato proprio all’impresa culturale giovanile stanno modificando questo stato di cose.

[46] Sul tema specifico, A. Miglietta, Il ruolo delle Fondazioni di origine bancaria nel finanziamento alla cultura e alla creatività, in Economia della Cultura, n. 4, dicembre 2021, 610 ss, ma anche, S. Cavaliere, La gestione dei beni culturali tra i livelli essenziali delle prestazioni e principio di sussidiarietà, Bari, 2018, 115 ss.

[47] G. Palamenghi Crispi, Il sostegno delle banche italiane alla cultura: risultati di un’indagine, in Economia della cultura, n. 2/1997, 199 ss.

[48] A. M. Almaududi Ausat, T. Al Bana, S. Sondari Gadzali, Basic Capital of Creative Economy: The Role of Intellectual, Social, Cultural, and Institutional Capital, in Journal of Tourism and Business, n. 1/2023, 44 ss. Lo sviluppo (economico) dovrebbe riportarsi nell’alveo de c.d. sviluppo integrale dell’uomo caratterizzato da una condizione di progresso sociale, mentre è la crescita (economica) che fa riferimento all’incremento misurabile degli aspetti quantitativi delle principali grandezze macroeconomiche che costituiscono una parte degli elementi che connotano lo sviluppo economico: cfr. A. SEN, J. STIGLITZ, J.P. FITOUSSI, Mismeasuring our lives. Why GDP doesn’t add up, 2010, trad. it. di M. VEGETTI, La misura sbagliata delle nostre vite. Perché il PIL non basta più per valutare benessere e progresso sociale, Rapporto della Commissione per la misurazione della performance economica e del progresso sociale, Milano, 2013, 111 ss.

[49] F. Di Donato, Problematiche valutative delle imprese culturali, cit., 120 qualifica questi beni come pubblici.

[50] Il primo a teorizzare, il bene idea fu P. M. Romer, Endogenous Technological Change, in The Journal of Political Economy, n. 5/1990, 73 ss.

[51] Sulla dignità del lavoratore mi sia consentito rinviare a S. Cavaliere, Dignità umana e attività economica: una ricognizione dei principali filoni concettuali in R. Santoro, V. Teotonico, S. Cavaliere (a cura di), Problemi del fattore religioso e risposta interdisciplinare del diritto, Bari, 2021, 166 ss.; ma anche, P. Corrias, Dignità della persona e mercato, Rivista trimestrale di diritto dell’economia, n. 4/2022, 435 ss.

[52] C. Bocci, Cultura e sviluppo locale: un nuovo inizio, in Il capitale culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage, suppl. 2020, 87 ss.

[53] L. Tricarico, J. B. Geissler, The food territory: cultural identity as local facilitator in the gastronomy sector, the case of Lyon, in City, Territory and Architecture, 2017, 16.

[54] In questo senso anche, M. Cammelli, Qualche appunto in tema di imprese culturali, in www.aedon.ilmulino.it, n. 2/2017, 3.

[55] L. Tricarico, A. Billi, Le imprese culturali in Italia: un ponte tra sviluppo sociale e territoriale, in Crios, 2018, 33.

[56] S. Olmedo Barchello, Interazione tra l’economia sociale e l’economia creativa come promotori dello sviluppo economico locale, Pedregal de Santa Teresa, 2017, 61.

[57] J. E. Stiglitz, B. C. Greenwald, Creare una società dell’apprendimento. Un nuovo approccio alla crescita, allo sviluppo e al progresso sociale (traduzione di M. L. Chiesara), Torino, 2018, 25.

[58] Rapporto sull’economia creativa, 2004, 2008, 2010, 2013, reperibili su www.unctad.org.

[59] Una nuova Agenda europea per la cultura, COM(2018) 267 final dove si citano dati che suggeriscono l’accesso culturale come il fattore determinante più importante del benessere psicologico, oltre all’assenza di malattia. La partecipazione culturale ha anche un ruolo nell’affrontare le sfide che l’Unione europea deve affrontare, come l’integrazione dei migranti o l’invecchiamento della popolazione, grazie alla sua capacità di riunire le persone, responsabilizzare le persone e promuovere la comprensione.

[60] Come ad es. Il PNRR – TOCC – Azione a2 transizione digitale organismi culturali e creativi il cui bando è stato emanato nell’ottobre 2022 e prevede l’erogazione di contributi a fondo perduto in favore di micro e piccole imprese, enti del terzo settore e organizzazioni profit e no profit, operanti nei settori culturali e creativi per favorire l’innovazione e la transizione digitale.

[61] Anche nel caso degli aiuti di Stato sorgono difficoltà circa la diversità dell’espressione “industrie creative e culturali” (anche dal punto di vista della semantica e dell’ordine delle parole) che non è perfettamente assimilabile all’istituto italiano delle imprese culturali e creative. Ciò potrebbe comportare future incertezze circa il regime esente o non esente delle agevolazioni, sul tema, C. E. Baldi, L’intervento pubblico in campo culturale. Il faticoso iter di linee guida condivise in www.aedon.ilmulino.it, n.2/2018; A. Bruno, Nuove considerazioni in tema di aiuti di stato per imprese culturali e creative: tassonomie generiche, contrasti normativi e programmazione 2021-2027, in www.ildirittoamministrativo.it, 2023.

[62] Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (2016/C 262/01). Sugli aiuti di Stato, ex multis, C. Pinotti, Gli aiuti di Stato alle imprese nel diritto comunitario della Concorrenza, Padova, 2000, p. 21 ss.; G. Luchena, Aiuti pubblici e vincoli comunitari, Bari, 2006, 17 ss.; F. Cappello, La giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di aiuti di Stato (1956/2006), in Dir. prat. Trib., 2006, 803 ss., B. Lubrano, Le sovvenzioni nel diritto amministrativo. Profili teorici ed evoluzione storica nel contesto del diritto europeo, Torino, 2008, 11 ss.; G. Tesauro, Diritto dell’Unione Europea, Padova, 2010, 5 ss.; G. Palma, P.G. De Geronimo, F. Rota, B.N. Romano, P. Giugliano, L. Ferrara, Gli incentivi finanziari nella prospettiva del diritto europeo, Napoli, 2010, 11 ss.; B. N. Romano, Regime giuridico degli incentivi e delle sovvenzioni, in Gli incentivi finanziari pubblici nella prospettiva del diritto europeo, Napoli, 2010, 83 ss. G. Luchena, Le incentivazioni economiche alle imprese tra politiche statali e decisioni comunitarie, Bari, 2012; 15 ss.; G. Colombini., M. Passalacqua (a cura di), Mercati e banche nella crisi: regole di concorrenza e aiuti di Stato, Napoli, 2012, 13 ss.; C. Fontana, Gli aiuti di Stato di natura fiscale, Torino, 2012, 10 ss.; E. Triggiani, Aiuti di Stato (dir. Un. Eur.), in Enc. Dir. Annali, VI, Milano, 2013, 19 ss.; C. E. Baldi, Se questo è mercato…Gli aiuti di Stato in un’Europa tecnocratica, Napoli, 2014; G. Luchena, Gli aiuti di Stato e il consolidamento della governance duale nella crisi economica: elementi di innovazione e di continuità, in Studi sull’Integrazione Europea, 2, 2015, 227 ss.; A. Canepa, Dai salvataggi ai crediti deteriorate: la complessa applicazione delle regole sugli aiuti di Stato fra flessibilità e rigidità, in Rivista trimestrale trim. dir. econ., n. 3, 2016, 258 ss.; G. Luchena, An overview of the main issues set forth in the Noticeon the notion of State aid: a new “code of conduct” for the States, in Il diritto dell’economia, n. 3/2018, 747 ss.; Id, Gli aiuti di Stato tra interventi straordinari e stabilizzazione normativa, in www.dirittifondamentali.it, n. 2/2018; E. Bani, F. Di Porto, “Castello” Covid-19: i destini incrociati di aiuti di stato e concorrenza, in A. Sciarrone Alibrandi, U. Malvagna (a cura di), Sistema produttivo e finanziario post covid-19: dall’efficienza alla sostenibilità, Pisa, 2021, 374 ss.; G. Luchena, Agevolazioni fiscali e imprese: tra Italia ed Europa, in C. Bergonzini, G. Luchena (a cura di), Le tasse non sono per tutti. L’ambivalenza delle agevolazioni fiscali. Quanto tolgono allo Stato, quanto danno ai cittadini?, Milano, 2020, 77 ss.; G. Luchena, Una nuova politica degli aiuti di Stato? Gli aiuti istantanei nel contesto dell’emergenza Covid-19 tra coerenza d’insieme e profili inediti, in Concorrenza e mercato, n. 26/27, 2020, 162 ss.; G. Luchena, State Aids and Beyond, in Law and Economics Yearly Review, n. 10/2021, 38 ss.; G. Luchena, B. Raganelli, Concorrenza e aiuti di Stato in Europa, Torino, 2022, 33 ss.; G. Luchena, Il divieto di concessione degli aiuti di Stato alle imprese e l’intervento pubblico nell’economia, in E. Bani, F. Di Porto, G. Luchena (a cura di), Lezioni di diritto dell’economia, Torino, 2023, 157 ss.

[63] L. 14/01/1993, n. 4.

[64] D.lg. 22/01/2004, n. 42.

[65] Ci si riferisce al D.P.R. del 26 novembre 2007, n. 233, “Regolamento di riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell’articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296”; al D.P.R. del 2 luglio 2009, n. 91 “Regolamento recante modifiche ai decreti presidenziali di riorganizzazione del Ministero e di organizzazione degli Uffici di diretta collaborazione del Ministro per i beni e le attività culturali”; al D.P.C.M. 29 agosto 2014, n. 171, recante “Nuovo regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell’Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell’articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89”, regolamento, poi, aggiornato con il DPCM n. 238 del 1/12/2017, sul tema, P.S. Maglione, L’“innovazione” nel nuovo regolamento di organizzazione del Mibact (d.p.c.m. n. 169/2019), in www.aedon.ilmulino.it, n.1/2021, 37 ss., ma anche, L. Casini, Il ministero della Cultura di fronte al PNRR, in www.aedon.ilmulino.it, n. 2/2022, 72 ss.

[66] Codice dei beni culturali e del paesaggio e ai dd. lg. 24 marzo 2006, nn. 156 e 157.

[67] L. 14 novembre 2016, n. 220.

[68] Per un’analisi dei provvedimenti legislativi sulle industrie culturali e creative, S. Cavaliere, Prospettive giuseconomiche dell’Orange economy, cit., 288 ss.

[69] Su questo tema, ex multis, A. M. Nico, Il patrimonio culturale nel diritto positivo e nel P.N.R.R., in Lo Stato n. 19/2022, 260 ss.

[70] M. Miccio, Come comunicare l’impresa culturale, cit., 77.

[71] UNWTO, Tourism and the sustainable development goals, Journey to 2030, Madrid, World Tourism Organization, 2017.

[72] C. Bizzarri, E. Colombo, La missione turismo e cultura nel PNRR: occasione irripetibile per la sostenibilità dello sviluppo turistico italiano, in www.documentigeografici.it, 2022, 74.

[73] C. Grodach, J. O’Connor, C. Gibson, Manufacturing and cultural production: Towards a progressive policy agenda for the cultural economy, in City, Culture and Society, 2017, 17 ss.

[74] M. D’Ovidio, C. Rabbiosi (a cura di), Makers e Città: La rivoluzione si fa con la stampante 3d?, in Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, www.fondazionefeltrinelli.it, 2018; H. Bakhshi, D. Throsby, Culture of Innovation. An economic analysis of innovation in arts and cultural organisations, London, 2010, 7 ss.

[75] A. C. Pratt, Resilience, locality and the cultural economy, in City, culture and society, 2015, 61.

[76] P. Kabanda, Le arti nell’economia e l’economia nelle arti, cit., 150 ss.

[77] Le imprese italiane fondate sulla cultura che hanno fornito un valore aggiunto al territorio dove si sono insediate non sono poche, sul tema si v. L Tricarico, Impresa culturale, impatto sociale e territorio: nuovi approcci e strategie di sviluppo, in G. M. Caroli, (a cura di). Evidenze sull’innovazione sociale e sostenibilità in Italia: IV Rapporto CERIIS sull’Innovazione Sociale. Milano, 2018, 114 ss.

[78] Come abbiamo evidenziato è in particolare l’Agenda 2030 a dare un importante input agli obiettivi sociali e di sostenibilità.

[79] T. Ehlers, Understanding the challenges for infrastructure financing, in www.bis.org, 2014.

[80] H. Van Schaick, Colombia’s efforts to capitalize on the prospects of its emerging orange economy, Oxford Business Group, 2019, in www.oxfordbusinessgroup.com.

[81] Ricordiamo la legge n. 1834 nel 2017, meglio nota come The Orange Economy Law, una pletora di decreti legge e leggi per migliorare e semplificare la possibilità delle imprese culturali di svolgere le proprie attività, la creazione di fondi per finanziare le attività in oggetto, l’istituzione del Consiglio nazionale del Ministero della Orange Economy che incentra le sue politiche su informazione, istituzioni, infrastrutture, integrazione, inclusione e industria nonché l’istituzione di accordi come il gruppo di lavoro arancione permanente Colombia-Giappone, il cui obiettivo è promuovere interessi comuni nel commercio, negli investimenti e nella cooperazione nel settore creativo, ma anche il programma Ruta Naranja che ha inviato esperti in tutti i territori della Colombia per formare, consigliare e fornire assistenza tecnica nell’economia creativa.

[82] P. Kabanda, Work as art: links between creative work and human development, in Human Development Report, New York 2015, 14.

[83] Rapporto Bancóldex, 2019, in www.bancoldex.com.

[84] Questa tipologia di Stato non si presta soltanto a correggere i fallimenti del mercato, ma, programma “rischiando”, implementando la sua capacità strategica e coniugando crescita economica e sviluppo sociale, sul tema, G. Luchena, L’intervento nell’economia dallo Stato liberale allo Stato regolatore, in E. Bani, F. Di Porto, G. Luchena, E. Scotti (a cura di), Lezioni di diritto dell’economia, cit., 81 ss.

[85] T. Shiraishi, T. Sonobe, Emerging States and Economies. Their Origins, Drivers, and Challenges Ahead, Tokio, 2019, 150.

[86] K. Tsunekawa Y. Todo, Emerging States at Crossroads, Tokio, 2019, 127.

[87] P. L. Cavalchini, Thailandia. Uno sguardo all’economia del “Paese gentile”, in www.rivistaeco.it, 2019.

[88] L. Tricarico, Impresa culturale, impatto sociale e territorio: nuovi approcci e strategie di sviluppo, cit., 111.

[89] Per E. Morin, Svegliamoci!, Milano, 2022, 68, la politica deve fare regredire l’onnipotenza del profitto con la redistribuzione delle risorse secondo i principi dell’economia sociale e solidale.

[90] J. Benavente, M. Grazzi, Public policies for creativity and innovation: promoting the orange economy in Latin America and the Caribbean, Washington, 2017, 7 ss.

[91] A tal proposito si deve ricordare EIT Culture & Creativity, comunità pubblico-privata per le industrie culturali e creative in Europa nella logica di collaborazione istituzionale multilivello tra la dimensione regionale, nazionale ed europea che promuove studi e nuove proposte per potenziare il settore.

[92] P. Kabanda, The Creative Wealth of Nations: can the Arts promote development?, Cambridge, 2018, 25 ss.; T., Yasuyuki, K. Miyamoto, Knowledge spillovers from foreign direct investment and the role of research and development activities: Evidence from Indonesia. Economic development and cultural change, Tokio, 2006, 173 ss.

[93] Sull’interazione tra crescita e sviluppo umano, M. Capriati, Capabilities, Innovation and Economic Growth, London, 2019, 87 ss.

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