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Attualità

Sulla nullità delle clausole di indicizzazione e floor nei contratti di leasing

26 Aprile 2017

Avv. Giorgio Grasso, PhD – Of Counsel, Studio Legale Simmons & Simmons LLp

Tribunale di Udine, 14 settembre 2016, n. 1104

Di cosa si parla in questo articolo

Con sentenza n. 1104 del 14 settembre 2016, il Tribunale di Udine ha sancito con fermezza la nullità delle clausole contrattuali riportanti condizioni economiche indeterminate e/o indeterminabili all’interno di un contratto di locazione finanziaria immobiliare in una causa instaurata da una società a r.l. della provincia di Monza e Brianza, nei confronti di una società di leasing, nella quale l’attrice eccepiva la nullità per indeterminatezza ex art. 1346 c.c. delle clausole di indicizzazione fissate nel contratto di leasing immobiliare sottoscritto per l’acquisto di un immobile.

Nello specifico, la società attrice lamentava che nel contratto fossero state inserite pattuizioni integranti “contratti derivati” (“indicizzazione variazione tassi”, “indicizzazione rischio cambio”, “clausola floor”), ma senza il rispetto degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario; chiedeva, pertanto, il risarcimento del danno derivato dal negativo andamento delle componenti derivative.

Il Tribunale ha, pertanto, sancito la nullità del combinato disposto delle «Condizioni Particolari» e delle clausole contrattuali del suddetto contratto di leasing disciplinanti le modalità di variazione futura della misura dei canoni mensili per effetto di due criteri di indicizzazione, così condannando la convenuta a restituire alla società attrice tutte le somme effettivamente pagate in modo indebito.

Secondo quanto stabilito dal giudice friulano, nel contratto di leasing in questione veniva indicato il tasso effettivo (ovvero il tasso interno di attualizzazione mediante il quale si verifica l’uguaglianza fra costo di acquisto del bene ed il valore attuale di canoni e prezzo di opzione); mentre nelle Clausole Particolari dello stesso venivano inserite previsioni difformi le quali prevedevano “che il piano finanziario prevede canoni variabili in base a due criteri di indicizzazione (…)”.

 Nelle clausole particolari dello stesso contratto, quindi, era stata stabilita l’operatività di due criteri di indicizzazione variabili. Il quantum dovuto da parte attrice, pertanto, oscillava in base all’andamento di valori esogeni rispetto al contratto, ma dallo stesso richiamati.

Nel contratto, difatti, venivano riportate due differenti clausole di criteri di calcolo per l’indicizzazione dei canoni variabili a scadere: il Libor CHF 3 mesi 365 e l’indicizzazione al tasso di cambio Euro/Franco Svizzero (CHF).

Il primo dei due criteri di indicizzazione riguardava l’andamento Libor CHF 3 mesi 365. L’indice Libor appena citato, anche detto London Interbank Offered Rate, è il tasso di riferimento europeo.[1] Per cui, il Libor CHF 3 mesi 365 indica il tasso di interesse sui depositi svizzeri a tre anni. La seconda previsione di variabilità riguardava il rapporto di cambio Euro/CHF (rischio cambio), che concerne, invece, il rapporto di cambio intercorrente tra le due valute di riferimento in ambito europeo, ovvero l’euro e il franco svizzero.[2]

Nel caso di specie, con riferimento al primo dei due parametri, le parti avevano statuito che se il Libor CHF 3 mesi 365 avesse subito una variazione superiore al valore indicato nell’atto, le parti avrebbero dovuto rivedere il piano finanziario contrattuale tenendo in considerazione il capitale residuato e il numero di canoni restanti. Mentre, in relazione al secondo indice, i contraenti avevano convenzionalmente previsto che il canone periodico (comprensivo di capitale ed interessi) doveva essere altresì rapportato mensilmente alle future variazioni della misura convenzionalmente pattuita del rapporto di cambio Euro/CHF. In concreto, la banca era incaricata di determinare mensilmente se, alla scadenza del periodo vi fosse stata variazione tra il rapporto convenzionale di cambio e quello prodottosi nella realtà; se il tasso di cambio avesse superato il valore dagli stessi determinato, “la sommatoria dei canoni maturati nel semestre sarebbe stata divisa per il tasso di cambio storico e moltiplicata per la differenza fra tale cambio e quello vigente alla data di scadenza del semestre”.

La società attrice chiedeva al giudice adito la declaratoria di nullità parziale delle clausole appena indicate, per indeterminatezza del contenuto ex art. 1346 c.c.[3].

In merito alla prima clausola, l’attrice eccepiva la mancata allegazione di un piano di ammortamento o finanziario, la cui presenza doveva considerarsi essenziale, nel caso di pagamento rateale da effettuarsi sulla base di un tasso di cambio variabile. Non erano riscontrabili, nel caso di specie, delle indicazioni precise circa le modalità con cui si sarebbe realizzato il rimborso periodico e combinato del capitale, degli interessi e di ogni altra posta conglobata nella rata di corrispettivo. Nel caso di specie, il Tribunale, nell’accogliere tale eccezione, ha chiarito che nel contratto de quo non era possibile né conoscere quale fosse, tempo per tempo, l’importo del capitale ancora da restituirsi, né tantomeno ricalcolare, tempo per tempo, gli interessi (qualora il relativo tasso fosse risultato variato) della rata in scadenza.[4]

In relazione alla seconda clausola, poi, il Giudice ha ritenuto che non trovasse operatività il calcolo indicato dalle parti contrattuali, dal momento che era sconosciuta la misura del canone mensile di riferimento.

Inoltre, doveva considerarsi indeterminata la clausola con la quale si rinviava la determinazione del canone al tasso di cambio del giorno previsto per il pagamento: la genericità di tale statuizione, per il Giudicante, era causata (posto che per tale operazione vi sono più meccanismi utilizzabili) dal fatto che in una sola giornata il tasso di cambio potesse mutare ad ogni ora. Pertanto, mancando tale esplicita indicazione in contratto, il Giudice vi ha individuato un’ipotesi di nullità della relativa clausola per indeterminatezza o indeterminabilità.

Stante la nullità per indeterminatezza della clausola di indicizzazione al rischio tasso, questa doveva considerarsi riflessa anche sulla clausola di indicizzazione al rischio cambio, in quanto tale clausola, da un lato, non indicava la fonte univoca di conoscenza della rilevazione di eventuali mutamenti del tasso di cambio (esistono una pluralità di fonti di informazione) e dall’altro mancava ogni riferimento a quale quotazione giornaliera ci si sarebbe dovuti riferire, esistendo nel corso della medesima giornata lavorativa più quotazioni di una valuta (la prima, l’ultima, alle ore 12 etc.).

Secondo il Giudice, dunque, le clausole di indicizzazione indeterminate violano le disposizioni fissate dalla Banca d'Italia in materia di trasparenza (sezione III, art. 3, comma 3): "Nel caso in cui il contratto contenga clausole di indicizzazione, vengono riportati il valore del parametro al momento della conclusione del contratto e le modalità di rilevazione dell'andamento di tale valore nel corso del rapporto", regola che deve essere osservata a pena di nullità ex art. 117, co. 8, TUB. Nella fattispecie, tale previsione, a parere dell’organo Giudicante, non è stata rispettata non solo e non tanto quanto alla mancata evidenza del valore-base del parametro di indicizzazione, ma soprattutto per la mancata precisazione delle modalità di rilevazione del suo successivo andamento.

Il Giudice ha, quindi, stabilito che, pur rimanendo valida la pattuizione relativa alla determinazione dell’importo base dei canoni mensili anche per la misura degli interessi conglobati in ciascuna rata del piano originario, non potendo essere successivamente modificata per effetto delle variazioni dei suddetti indici la misura del corrispettivo pattuito (porzione interessi), tutte le somme aggiuntive versate a titolo di indicizzazione dovevano essere restituite, rimanendo invariato quanto previsto in contratto per la misura dei canoni mensili.

Difatti, tali profili di nullità non possono condurre, aggiunge il Tribunale, all’applicazione della disciplina sostitutiva di cui all’art. 117, comma 7, TUB, dal momento che tale disposizione prende in considerazione casi non corrispondenti a quello in questione (v. ipotesi di mancanza nel contratto di una specifica pattuizione scritta in tema di interessi ovvero l’ipotesi di nullità della pattuizione scritta), né a quella di cui all’art. 1284 c.c., posto che «le nullità rilevate non colpiscono la clausola determinativa degli interessi ultra-legali in sé al momento della stipula, ma quella di loro indicizzazione pro futuro».

Le clausole di indicizzazione al rischio tasso e cambio, una volta appurata la loro indeterminatezza e la conseguente nullità, non possono quindi dirsi soggette all’applicazione dell’art. 117, co 7, TUB, in quanto questo prevede l’applicazione del tasso BOT nel caso in cui manchi del tutto una pattuizione scritta (mentre, nel caso di specie, le clausole in questione, seppur indeterminate, risultavano ad ogni modo indicate in contratto).

Premesso quanto sopra, la sentenza tuttavia porge il fianco ad una serie di riserve. In primo luogo, essa sembra sorvolare circa la concreta volontà contrattuale espressa dalle parti. Nella fattispecie in esame, le parti avevano infatti espressamente pattuito la variabilità dei tassi da applicare alle prestazioni dovute (seppur con una duplice modalità).[5]

Ad onor del vero, l’uso di clausole di indicizzazione è, da sempre, diffuso nella contrattualistica italiana. La finalità di quest’ultime sta, difatti, nel cercare di mantenere invariato il valore reale delle prestazioni di carattere pecuniario dovute all’interno di un contratto e, pertanto, la loro meritevolezza è indubbia.

Non appare superfluo ricordare come la volontà delle parti (ed il contenuto contrattuale che le stesse hanno stabilito) vada interpretata nell’ottica del massimo rispetto del principio di buona fede (tanto a favore della parte “debole” che della parte “proponente”).

Occorre rimembrare due concetti cardine dell’impianto normativo italiano in materia contrattuale: il primo, come già detto, che impone di interpretare il contratto e le clausole che lo compongono, ai sensi dell'art. 1366 c.c., secondo buona fede; il secondo, che richiede, in ossequio al principio della buona fede oggettiva (cioè della reciproca lealtà di condotta), di rispettare tali principi nell’arco dell’intero svolgimento del contratto (dalla formazione all'esecuzione) e che, essendo espressione del dovere di solidarietà fondato sull'art. 2 Cost., imporrebbe pertanto a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire nell'ottica di un bilanciamento degli interessi vicendevoli, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di norme specifiche.[6]

Le clausole di indicizzazione o parametriche consentono infatti, come già ribadito, di reagire al cambiamento di valore della moneta e al conseguente e inevitabile modificarsi dell'equilibrio contrattuale posto a base degli accordi conclusi[7]: la volontà delle parti contraenti avrebbe dovuto essere scandagliata in maniera più approfondita.

Il Giudice di Udine, in buona sostanza, ha trasformato in gratuito un contratto essenzialmente oneroso, sulla presupposta indeterminabilità del tasso “al momento della stipula”, attuando una misura alquanto punitiva per il proponente.

La sentenza del Tribunale di Udinerisulta essere criticabile proprio perché il Giudice, in ossequio ad un principio di interpretazione secondo buona fede del contratto, avrebbe dovuto operare esclusivamente nell'ottica dell'equilibrio fra gli interessi delle parti. Ebbene, l’autorità giudicante, dichiarando la nullità parziale – negando finanche l’applicabilità degli interessi a tasso legale – nel tentativo di riequilibrare la c.d. “giustizia contrattuale”, ha in realtà omesso di considerare l’intenzione delle parti di ancorare il calcolo degli interessi a dei parametri esterni variabili. Ed allora, se parte della giurisprudenza ritiene ammissibile il calcolo de relato di interessi ultralegali (Cass., 3 febbrario 1994, n. 1110; Cass., 18 maggio 1996, n. 4605), nel caso di specie, dal momento che il doppio criterio rendeva indeterminabile (in concreto) il tasso di riferimento applicabile, il Giudice avrebbe ben potuto far riferimento allo strumento di cui all’art. 1284 c.c.



[1] Il Libor è un tasso di interesse che viene fissato per 10 valute (euro, dollaro USA, yen, sterlina, franco svizzero, dollaro canadese, dollaro australiano, corona danese, corona norvegese e dollaro neozelandese) e 15 diverse scadenze temporali (da un giorno a 12 mesi) ma non è esattamente il tasso (o meglio non lo è più) a cui effettivamente le maggiori banche si prestano denaro sul mercato ma un tasso “di riferimento”, cui sono ancorati molti strumenti derivati e cui sono indicizzati mutui e prestiti nei principali Paesi. Il tasso è espresso su base annualizzata.

[2] Si riporta, in breve, un caso analogo a quello trattato in cui nel 2013 una società aveva adito l’Arbitrato Bancario Finanziario chiedendo “la nullità o l’annullamento senza penali della conversione del tasso base per le indicizzazioni”, conversione intervenuta in un momento successivo alla stipulazione dell’originario contratto.

Più precisamente, la medesima società ricorrente aveva stipulato un contratto di leasing immobiliare con la banca convenuta con tasso base indicizzato all’Euribor. Successivamente, un agente in attività finanziaria proponeva la conversione del tasso base da euro in franchi svizzeri, prospettando dei risparmi mensili e assicurando di poter convertire nuovamente in euro il tasso base per le indicizzazioni senza alcun problema o penale.

Nel corso del tempo l’indicizzazione in valuta svizzera portava ad un aggravio del costo del contratto e, nell’ambito di un generale piano di ristrutturazione aziendale, la ricorrente chiedeva “in modo bonario l’annullamento delle indicizzazioni ed il ritorno all’euro, mantenendo lo stesso importo della rata di leasing e senza dover pagare nessuna penale, come […] promesso dall’agente”, ma l’intermediario non dava seguito alla richiesta.

La società ricorrente lamentava pertanto la violazione, da parte dell’intermediario, degli obblighi di trasparenza poiché non aveva fornito tutte le informazioni utili e necessarie per capire i rischi connessi a tale conversione; l’Intermediario chiedeva, quindi, all’Arbitro di respingere il ricorso, essendo il criterio di indicizzazione frutto di una scelta informata e consapevole dell’utilizzatore. Il Collegio, nel caso di specie, non ravvisava dunque una violazione degli obblighi di buona fede e trasparenza da parte dell’intermediario e respingeva pertanto il ricorso (ABF, Decisione N. 79 del 08 gennaio 2013).

[3] Tuttavia, il Tribunale ha pure rilevato d’ufficio ulteriori profili di nullità delle stesse. Si tratta, in specie, della «mancata indicazione in contratto di quale, fra le N ipotizzabili variazioni che potessero avvenire nel corso del mese di riferimento, fosse rilevante per l’applicazione della clausola di indicizzazione»; della «mancata indicazione della specifica fonte di conoscenza della variazione dell’indice»; della mancata indicazione la quale, fra le quotazioni della stessa giornata, «ci si dovesse rifare».

[4] In tale senso, si veda la recente pronuncia del Tribunale di Milano del 20 ottobre 2013. In tutti i contratti di finanziamento, la banca ha l’obbligo di indicare la forma di ammortamento nel foglio informativo del prestito o del mutuo. Se, diversamente, il tasso e l’ammortamento sono indeterminati, il cliente potrà agire in giudizio per far valere la nullità del mutuo. In quel caso, il cliente sarebbe tenuto a pagare solo il tasso legale, per il tempo vigente, con quote di capitale costanti, mentre la banca potrebbe essere chiamata a restituire gli interessi ricevuti “in più” rispetto a questo tasso. Nel giudizio in questione era stata riconosciuta la nullità del tasso (variabile) e del piano di ammortamento (a rata costante) perché, in base a quelli indicati nel contratto, si poteva costruire l’ammortamento con tre modalità differenti.

Ricordiamo come una convenzione relativa agli interessi perché possa considerarsi valida deve avere forma scritta ed un contenuto assolutamente chiaro in ordine alla puntuale specificazione del tasso di interesse. Alla luce di ciò, sono da considerarsi nulle per indeterminatezza le clausole determinanti il piano di ammortamento del mutuo quando esse siano dei meri enunciati che non chiariscono una univoca applicazione, ma richiedono la necessità di una scelta applicativa tra più alternative possibili, ciascuna delle quali comportante l’applicazione di tassi di interessi diversi (Trib. Milano Sez. Specializzata in materia di imprese, Sent., 30 ottobre 2013). 

[5] In via generale, allorquando le parti stabiliscono tra di loro un obbligo di pagamento in denaro, trova sempre applicazione il c.d. “principio nominalistico”, ai sensi dell’art. 1277 c.c., secondo cui “I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale”. Le clausole di indicizzazione o c.d. parametriche operano, appunto, mediante l’esclusione diretta o indiretta del principio nominalistico, ancorando la determinazione del corrispettivo alla variazione degli indici monetari da applicarsi su una base contrattualmente stabilita.

La clausola sarà ritenuta indicizzata o parametrica soltanto se mira a preservare l’equilibrio tra le contrapposte prestazioni contrattuali; laddove questa possa condurre ad un’ulteriore sperequazione tra gli interessi economici delle parti, sarà considerata come clausola aleatoria, ovvero “scommessa” tra le parti.

[6] Cass. Civ. Sez. III, Sent. 18 settembre 2009, n. 20106.

[7] Tali clausole hanno lo scopo di garantire le parti del contratto contro i mutamenti di valore della moneta, assicurando al creditore, al momento di ricevere il pagamento, una prestazione in denaro di valore intrinsecamente eguale a quello originariamente pattuito dalle parti.

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