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Attualità

Strumenti di AI nei consigli di amministrazione

Prime analisi sui possibili impatti

7 Novembre 2024

Antonella Brambilla, Partner, Corporate M&A, Dentons

Luca De Menech, Partner, Employment and Labor, Dentons

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo svolge delle prime analisi sui possibili utilizzi, impatti ed effetti normativi degli strumenti di intelligenza artificiale (AI) nei consigli di amministrazione delle società.


La diffusione progressiva e costante dell’intelligenza artificiale (AI) in tutti i settori economici e sociali richiede una seria riflessione sui possibili utilizzi, impatti ed effetti normativi sulle società, in particolare riguardo ai consigli di amministrazione e ai loro processi decisionali.

L’introduzione dell’AI nella governance societaria può portare a un supporto sempre più significativo per le decisioni degli amministratori o, addirittura, a un graduale affiancamento e, quindi, a una possibile sostituzione dei membri dell’organo amministrativo?

Quali sono i limiti di impiego dell’AI anche in considerazione dello scopo dell’impresa e della responsabilità sociale? Il termine “CorpTech” è stato appunto coniato per indicare l’insieme degli strumenti tecnologici di cui il consiglio di amministrazione può dotare la società, con particolare attenzione ai possibili ruoli e livelli di coinvolgimento dell’AI nel sistema dei flussi informativi e nei processi decisionali dell’organo amministrativo, sulla base di una distinzione ormai nota a chi si occupa di tali argomenti; ossia, in particolare, AI assisted (AI come mero strumento deputato a svolgere compiti specifici, senza alcun coinvolgimento nell’assunzione delle decisioni dell’organo amministrativo), AI Augmented (AI che affianca gli amministratori nell’assunzione di decisioni gestionali) o AI Autonomous (AI che assume piena autonomia nell’ambito del processo decisionale, sostituendosi alla componente umana del consiglio di amministrazione). Senza voler poi neppure menzionare il caso estremo della AI autopoietic (ossia, sviluppo autogestito dell’intelligenza artificiale medesima).

Gli esperti di settore concordano che, ad oggi, il terzo (e men che meno il quarto) livello non può ancora trovare applicazione: non tanto perché in diversi Paesi gli amministratori devono essere esclusivamente persone fisiche (requisito comunque pensato dal legislatore per escludere le persone giuridiche e non specificatamente l’AI), ma quanto perché attualmente requisiti soggettivi, doveri e responsabilità correlati e funzionali al processo decisionale, nell’ambito di regole precise di corporate governance, non consentono ancora a un algoritmo di entrare in un consiglio di amministrazione con funzione di amministratore, in quanto privo sia di requisiti e capacità umani di combinare visione, intelligenza emotiva ed etica (necessarie per elaborare strategie e assumere decisioni), sia di una piena consapevolezza di sé e delle conseguenze delle sue scelte, sia, in particolare, di personalità giuridica – e, in quanto tale, non imputabile civilmente o penalmente.

In Italia, ad esempio, la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, ai quali i poteri gestori sono conferiti dalla compagine sociale e/o sulla base di previsioni statutarie; se una società italiana volesse dunque delegare detti poteri a un’AI dovrebbe, ai sensi delle disposizioni normative societarie vigenti, nominarla amministratore della società, con conseguenze giuridiche molto delicate e degne di attenzione – tra le quali, in primis, l’equiparazione della soggettività giuridica delle persone fisiche con quella dell’AI e l’attribuzione del relativo regime di responsabilità. Sebbene in Italia non sia vietata la nomina di un soggetto diverso dalla persona fisica quale amministratore di una società, tale ipotesi implica necessariamente che nel consiglio di amministrazione vi sia comunque una persona fisica – ossia, nel caso di società di capitali amministratrice, il relativo legale rappresentante pro tempore –, che funga altresì da centro di imputazione giuridica. La nomina di una AI quale amministratore non consentirebbe invece di identificare tale centro di imputazione, con conseguente impossibilità di attivare, primi fra tutti, i rimedi giuridici previsti in ipotesi di mala gestio dell’amministratore interessato (si pensi ad esempio all’azione di responsabilità di cui all’art. 2393 c.c.).

L’AI, ad oggi, deve essere pertanto vista come utilissimo strumento a servizio (e non in sostituzione) degli amministratori, in considerazione non solo dei limiti giuridici sopra indicati, ma anche – e forse soprattutto – dei rischi correlati alle fonti informative cui l’AI stessa attinge.

La caratteristica principale dell’intelligenza artificiale è infatti la capacità della tecnologia di estrarre informazioni da grandi quantità di dati e di utilizzarle per svolgere in modo veloce e automatico compiti che, altrimenti, ove svolti dall’essere umano, richiederebbero tempi indeterminati (o, addirittura, non potrebbero essere svolti). Il “dato” da un lato costituisce quindi sia la materia prima dell’AI, sia il suo prodotto – che fornisce all’uomo la soluzione a un problema o una strategia, oppure ancora la verifica a una sua assunzione – ma, dall’altro, rappresenta anche il suo principale limite e rischio (posto che il sistema informatico e il suo risultato dipendono inevitabilmente dalla completezza, qualità, quantità e varietà dei dati inizialmente forniti all’AI). Si rileva altresì che il processo di auto-apprendimento proprio dell’AI potrebbe non consentire la ricostruzione dell’esatta sequenza che ha portato a un certo risultato, con conseguente difficoltà nell’individuazione e verifica della correttezza del processo decisionale.

I rischi che ne conseguono sono pertanto non prevedibili (e, in quanto tali, molto rilevanti) e non consentono di affidare a un algoritmo, in modo acritico e totalizzante, il processo decisionale proprio dell’organo amministrativo.

L’introduzione e l’utilizzo dell’AI nell’ambito del processo decisionale deve pertanto limitarsi per ora all’AI Assisted e Augmented, che interessano, in particolare, quegli ambiti societari e quei settori nei quali le società basano il proprio business sui big data, internet, algoritmi, ecc., ai fini del relativo processo decisionale; come nel caso delle c.d. piattaforme (Amazon, Google, Uber, ecc.) o del comparto finanziario (che ha bisogno di tecnologie per sviluppare il proprio business). La CONSOB stessa si muove nella direzione della c.d. società quotata digitale, nella quale gli obblighi di informazione continua e di compliance sono progressivamente digitalizzati.

L’AI aiuterà certamente l’organo amministrativo a gestire realtà imprenditoriali sempre più complesse e che si evolvono velocemente, assicurando un punto di vista non emotivo e più oggettivo e consentendo una più puntuale e celere verifica di ampi flussi di informazioni necessarie per l’assunzione di decisioni maggiormente ponderate. L’AI potrà ad esempio sicuramente coadiuvare e supportare l’organo amministrativo nell’elaborazione e nel monitoraggio costante dell’evoluzione del piano industriale della società interessata e delle relative scelte strategiche (per es. allocazione del capitale, investimenti, ecc.).

L’impiego dell’AI e l’implementazione di un assetto tecnologico adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa (garanzia della qualità delle informazioni fornite e dell’efficienza dei flussi informativi stessi) rientreranno sempre più tra i doveri degli amministratori, che dovranno sicuramente occuparsi di AI nel rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale e far sì che la società adotti una politica che, nell’ambito dei complessivi assetti societari e nel rispetto di un fondamentale principio di proporzionalità, mantenga il controllo della società sull’AI in tutte le sue fasi di elaborazione del dato; la società dovrà infatti essere sempre in grado di rilevare e correggere prontamente eventuali errori dell’AI, presidiando costantemente i correlati processi e rischi.

Ne consegue che gli amministratori dovrebbero disporre almeno delle conoscenze tecniche di base per comprendere criteri e tecnologie sulla cui base sono programmati e funzionano i sistemi di AI; la società stessa potrà altresì prevedere, a livello statutario o assembleare, che gli amministratori indichino nella specifica “politica di ricorso all’AI” quali attività o tipo di operazioni debbano fare (o sia opportuno facciano) ricorso all’AI, indicando l’esistenza e la tipologia delle applicazioni tecnologiche e lo stadio di sviluppo dell’AI stessa – ossia, se sia sviluppata internamente o esternamente, nonché le motivazioni che supportano la sua adozione e la scelta di un sistema piuttosto che un altro, anche con riferimento alle diverse necessità della società. Tale policy dovrebbe altresì chiarire modalità e logica con cui gli strumenti operano e la tipologia di dati forniti alla (ed elaborati dalla) tecnologia.

L’AI e un corretto assetto organizzativo potrebbero pertanto consentire:

  • di elaborare dati molto velocemente e di rendere una informativa mirata, indipendentemente da un costante intervento da parte dell’uomo, con un significativo risparmio in termini di tempo e di risorse dedicate;
  • all’organo amministrativo, di dedicarsi maggiormente all’assunzione di scelte imprenditoriali, limitando pertanto il tempo dedicato alla gestione dei flussi informativi e al monitoraggio normativo e gestionale (con conseguente implementazione di un modello di amministrazione più trasparente e snello, basato su un flusso informativo completato e versatile);
  • uno snellimento nella composizione dei consigli di amministrazione, con potenziale riduzione nel numero degli amministratori stessi (che dovranno tuttavia avere nuove competenze, se del caso, puntualmente riflesse nell’istituzione di appositi comitati in grado di comprenderne gli aspetti tecnici e scientifici e il loro reale impatto sul processo decisionale);
  • di fornire informazioni specifiche e adatte alle competenze di ciascun amministratore (nel pieno rispetto, inter alia, del dettato dell’art. 2392 c.c.);
  • agli amministratori non esecutivi di ottenere e approfondire informazioni che permettano loro di esercitare il relativo dovere di valutazione dell’adeguatezza di assetti amministrativi, organizzativi e contabili della società (nel rispetto dell’obbligo di agire informati e, quindi, in particolare, del dettato di cui all’art. 2381 c.c.) e di provare in modo più agevole (nell’ambito di eventuali azioni di responsabilità) la loro diligenza;
  • di agevolare gli amministratori esecutivi e il presidente del consiglio di amministrazione nella raccolta (dalle varie funzioni aziendali), canalizzazione e condivisione “organizzata” ed efficiente delle informazioni con gli altri componenti degli organi societari.

Il tutto, ai fini di una corretta definizione degli indirizzi strategici e degli obiettivi aziendali, e dell’esercizio di quella necessaria funzione di controllo demandate all’organo amministrativo, con la consapevolezza in ogni caso che l’informativa resa grazie all’AI, per quanto strutturata, tempestiva e completa, non può comunque sostituire il necessario e vitale confronto tra amministratori e la relativa assunzione di decisioni finali.

Va poi valutato se e come l’utilizzo degli strumenti di intelligenza artificiale nei consigli di amministrazione possa avere un impatto sul perimetro dei doveri degli amministratori e, in particolare, sul regime di responsabilità cui sono esposti gli stessi e sui criteri di assunzione delle scelte decisionali. Tema che si differenzia a seconda che si tratti di amministratori muniti di deleghe di poteri oppure di meri consiglieri.

Il principio generale è quello per cui l’amministratore è tenuto a operare nel rispetto degli obblighi di diligenza, misurata tenendo conto della natura e delle dimensioni dell’attività esercitata. Ciò comporta che il medesimo, nelle strutture organizzative più complesse oppure in relazione a tematiche di particolare complessità o rilevanza, opererà diligentemente ove si munisca di un apparato tecnico (professionisti o strumenti) idoneo a consentirgli di gestire tali temi. L’incompetenza dell’amministratore, difatti, non può essere causa di esonero della propria responsabilità.

Ulteriore obbligo in capo all’amministratore è quello di operare secondo “corretta amministrazione” e quindi di agire in maniera informata. Ciò significa, ancora una volta, avvalersi di un idoneo apparato organizzativo che consenta all’amministratore di avere conoscenza delle tematiche oggetto di analisi e di effettuare le dovute valutazioni dei pros e dei cons in merito alla decisione da assumere.

In tale contesto, interviene oggi – e lo farà ancor di più domani – l’intelligenza artificiale. Strumento che, come noto, consente di elaborare ingenti quantità di documenti e dati e fornire, in tempi celeri se non immediati, analisi dettagliate sulla base di algoritmi, fornendo, sulla base di tali dati, un orientamento o, addirittura, una valutazione sulla decisione da assumere.

Tale strumento potrà essere certamente di enorme supporto e facilitazione per l’attività dell’amministratore e, soprattutto nelle organizzazioni più strutturate e complesse, potrebbe imporre la necessità (non più la facoltà), quantomeno per gli amministratori delegati, di avvalersene. Difatti, laddove ciò non avvenisse, non può escludersi che decisioni assunte senza il supporto di tali strumenti, ove dannose per la Società, possano essere ritenute in violazione dell’obbligo di “agire informati”, se non addirittura ipotesi di mala gestio.

Al contempo, è tuttavia ragionevole ritenere che il ricorso a tali strumenti comporti l’obbligo di adottare talune specifiche cautele. Sarebbe innanzitutto opportuno che la società prevedesse, a livello statutario o assembleare, che gli amministratori forniscano indicazioni precise circa la “politica di ricorso all’AI” e, nello specifico, l’ambito di operatività e le modalità di utilizzo della intelligenza artificiale.

Inoltre, ove lo strumento non sia di immediata gestione, sarà altresì necessario l’utilizzo di tecnici a supporto, con conseguente onere di ricercare figure qualificate in ambito digitale e sostenerne i costi.

Da ultimo, il ricorso a tali strumenti comporterà, con ogni probabilità, un aggravio dell’obbligo di motivazione da parte degli amministratori nella assunzione delle decisioni, posto che la motivazione circa attendere o disattendere le risultanze della intelligenza artificiale, consentirà, difatti, all’amministratore di tutelarsi laddove la decisione assunta dal medesimo dovesse poi avere conseguenze dannose per la Società. La motivazione, difatti, diverrà ancor di più, in tali casi, la tutela principe per l’amministratore in relazione all’obbligo di “agire informati”, essendo l’unico elemento da cui sarà possibile comprendere, in trasparenza, le valutazioni di merito effettuate dallo stesso e i razionali alla base delle scelte assunte.

Anche se non è escluso ed è forse ipotizzabile che nel medio-lungo periodo l’AI possa entrare a far parte dei consigli di amministrazione, attualmente ciò non è giuridicamente e fattualmente possibile, sebbene l’utilizzo dell’AI nei consigli di amministrazioni (soprattutto a livello internazionale) sia già da anni una realtà da tenere in debita considerazione e imparare a gestire. Si pensi, per esempio, al fondo di Venture Capital, Deep Knowledge Ventures, in Hong Kong, che nel 2014 aveva comunicato di aver nominato una AI (ossia Vital – Validating Investment Tool for Advancing Life Sciences) nel suo board – precisando poi che si trattava di un mero osservatore (dunque privo di diritto di voto), il parere del quale doveva però necessariamente sostenere le scelte di investimento degli amministratori –; o alla società scandinava TIETO, che nel 2016 ha inserito l’applicazione di AI “Alicia T” in un leadership team di una nuova unità di business, con funzione di supporto al processo decisionale guidato da dati e di sviluppo di nuove strategie data-driven (anche grazie a un sistema di interazione che le consentiva di avere una conversazione con gli altri membri del team, nonché esprimere propri giudizi).

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