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Approfondimenti

Sono esenti gli interessi transfrontalieri da finanziamenti a medio e lungo termine

15 Novembre 2016

Massimo Antonini, Avvocato, LL.M., Responsabile dipartimento fiscale, Paolo Ronca, Dottore commercialista, Chiomenti Studio Legale

Sommario: 1. Premessa – 2. Il quadro normativo di riferimento – 3. Ambito soggettivo – 4. Ambito oggettivo – 5. I chiarimenti forniti dall’Agenzia

 

1. Premessa

Con la Risoluzione n. 84/E del 29 settembre 2016 (cfr. contenuti correlati), l’Agenzia delle entrate ha risposto al quesito formulato nell’ambito di un’istanza di interpello presentata da un soggetto non residente, in ordine al regime fiscale degli interessi transfrontalieri da finanziamenti a medio e lungo termine.

In particolare, la banca istante, residente ai fini fiscali in Austria, ivi stabilita e priva di stabile organizzazione in Italia, con riferimento ai finanziamenti a medio e lungo termine erogati in favore di imprese residenti in Italia, ha chiesto se l’esonero dall’applicazione della ritenuta alla fonte a titolo d’imposta previsto dall’articolo 26, comma 5-bis, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (“DPR n. 600/1973”) comportasse l’obbligo per il percettore non residente di presentare la dichiarazione dei redditi in Italia al fine di assoggettare ad imposta i suddetti interessi[1].

Nel rispondere al quesito, l’Agenzia delle entrate ha affermato che gli interessi in esame non devono essere assoggettati a tassazione in Italia da parte della banca, in capo alla quale, pertanto, non si pone alcun obbligo dichiarativo.

2. Il quadro normativo di riferimento

Come noto, ai sensi dell’articolo 151, comma 1, del TUIR, il reddito complessivo delle società e gli enti commerciali non residenti in Italia “è formato soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato, ad esclusione di quelli esenti dall’imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o di imposta sostitutiva”.

Inoltre, in base all’articolo 152, comma 2, del TUIR, con riferimento ai soggetti non residenti privi di stabile organizzazione in Italia, “i redditi che concorrono a formare il reddito complessivo sono determinati secondo le disposizioni del Titolo I, relative alle categorie nelle quali rientrano”.

Nello specifico, gli interessi ed altri proventi relativi ai finanziamenti a medio e lungo termine erogati da banche estere costituiscono in capo alle stesse redditi di capitale ai sensi dell’articolo 44, comma 1, del TUIR.

Qualora siano corrisposti da un soggetto che riveste la qualifica di sostituto d’imposta, tali interessi scontano una ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 26, del D.P.R. n. 600/1973.

In particolare, in base al relativo comma 5, gli interessi dovuti alle banche estere, prive di stabile organizzazione in Italia, che concedono finanziamenti a soggetti residenti in Italia, sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta nella misura del 26 per cento, ovvero nella misura ridotta prevista dalla convenzione per evitare le doppie imposizioni eventualmente in vigore con il Paese del soggetto percettore.

Il successivo comma 5-bis esclude l’applicazione della ritenuta di cui al comma 5, qualora gli interessi e altri proventi derivino da finanziamenti a medio e lungo termine erogati ad imprese residenti da parte di: (i) enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’Unione Europea (U.E.); (ii) enti individuati all’articolo 2, paragrafo 5, numeri da 4) a 23), della Direttiva 2013/36/UE[2]; (iii) imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri della UE e (iv) investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria, di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239, soggetti a forme di vigilanza nei paesi esteri nei quali sono istituiti[3].

La norma, introdotta dall’articolo 22, comma 1, del Decreto legge 24 giugno 2014, n. 91 (“Decreto Competitività”), convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014, n. 116, mira a favorire i finanziamenti alle imprese italiane, ampliando la platea di soggetti nei cui confronti si rende applicabile il regime di esonero da ritenuta alla fonte sugli interessi, precedentemente riservato soltanto ai soggetti residenti in Italia (Relazione illustrativa alla L. n. 116/2014).

Più in particolare, la disposizione in esame si prefigge di eliminare il rischio di doppia imposizione giuridica a carico delle imprese italiane, data la prassi di traslare sul debitore l’onere fiscale mediante clausole contrattuali (c.d. clausole di gross-up) e favorire, al tempo stesso, l’accesso dei soggetti residenti alle fonti di finanziamento estere.

3. Ambito soggettivo

I soggetti beneficiari del regime di esonero da ritenuta, di seguito riepilogati, sono tassativamente individuati dalla norma in esame.

(I) Banche

Per quanto riguarda le banche, il requisito rilevante è rappresentato dal relativo stabilimento in un paese membro dell’Unione Europea[4].

La nozione di stabilimento, derivata dal Testo Unico Bancario (T.U.B.), sembra, da una parte, consentire l’applicazione del regime anche ai finanziamenti erogati dalle sedi secondarie comunitarie di banche extraeuropee e, dall’altra, escluderne l’estensione ai finanziamenti effettuati dalle sedi secondarie extraeuropee di banche europee[5].

(II) Assicurazioni

Con riferimento alle assicurazioni, il regime è riservato ai soggetti costituiti ed autorizzati ai sensi delle normative degli Stati membri dell’Unione Europea.

Pertanto, l’esonero dall’applicazione della ritenuta non può spettare ad assicurazioni costituite in un paese non U.E., anche se il finanziamento è erogato dalla filiale situata in un paese U.E., mentre potrà essere invocata da filiali non U.E. di imprese di assicurazione costituite ed autorizzate in un paese U.E.[6].

(III) Enti di cui all’art. 2, par. 5, n. da 4) a 23) della Direttiva 2013/36/UE

Si tratta di una serie di enti individuati all’art. 2, paragrafo 5, numeri da 4) a 23), della Direttiva 2013/36/UE[7].

(IV) Investitori istituzionali

Con la modifica introdotta dall’art. 6, comma 1, D.L. 24 gennaio 2015, n. 3. (cd. Decreto Investment Compact), l’esenzione è stata estesa agli interessi corrisposti agli investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria, di cui all’art. 6 del D.Lgs. n. 239/1996, purché soggetti a vigilanza regolamentare nei paesi esteri nei quali sono istituiti[8].

Si segnala che, a differenza di quanto avviene per le altre categorie di soggetti interessati dalla norma, per gli investitori istituzionali l’ambito geografico è esteso ai soggetti white-list per effetto del rinvio all’art. 6, del D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239[9].

In ipotesi di trasferimento del finanziamento in favore di un soggetto diverso dal prestatore iniziale, si ritiene che il requisito soggettivo per l’applicabilità dell’esonero da ritenuta vada verificato, di volta in volta, in capo al soggetto beneficiario degli interessi, a prescindere dallo status del primo finanziatore.

Pertanto, a titolo esemplificativo, il finanziamento erogato da una banca U.E. e successivamente trasferito ad un fondo black-list non beneficia dell’esonero da ritenuta in relazione agli interessi corrisposti a tale ultimo soggetto; diversamente, un finanziamento erogato da una banca stabilita in un paese non U.E. e successivamente acquistato da una banca U.E. beneficia dell’esenzione con riferimento agli interessi ricevuti da quest’ultima[10].

Tale conclusione appare del tutto coerente, peraltro, con il principio di cassa che disciplina l’applicazione delle ritenute alla fonte.

Per quanto attiene invece al soggetto finanziato (borrower), il testo della disposizione richiede che si tratti di una “impresa”. Sul punto, è dubbio se, ricorrendo a tale espressione, il legislatore abbia inteso limitare l’operativa dell’esonero da ritenuta ai casi di provvista messa a disposizione di soggetti che svolgono un’effettiva attività di impresa secondo la nozione civilistica ovvero ai soggetti che realizzano un reddito di impresa ai sensi della normativa fiscale.

Il tema si pone in tutte quelle ipotesi in cui il borrower pone in essere attività economiche complesse ed organizzate, necessitanti ingenti impieghi finanziari, non qualificabili come attività di impresa (i.e., fondi di investimento, mobiliari o immobiliari, o di trust non svolgenti attività d’impresa). Sul tema, piuttosto rilevante, appare opportuno un chiarimento dell’Amministrazione finanziaria[11].

Da ultimo, si segnala che l’articolo 17, comma 2, del Decreto Legge 14 febbraio 2016, n. 18 (“D.L. 18/2016”), convertito, con modificazioni dalla Legge 8 aprile 2016, n. 49, ha modificato la disposizione in esame aggiungendo – all’inizio dell’art. 26, co. 5-bis, D.P.R. n. 600/1973 – il seguente inciso: “ferme restando le disposizioni in tema di riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385”.

Tale precisazione ha evidentemente matrice regolamentare. Tuttavia, la relazione illustrativa al D.L. 18/2016 precisa che l’esonero dall’applicazione della ritenuta disciplinato dal comma 5-bis è subordinato al rispetto delle norme del T.U.B. in materia di riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico.

4. Ambito oggettivo

Con riferimento all’ambito oggettivo della disposizione, l’esenzione trova applicazione sugli interessi ed altri proventi derivanti da “finanziamenti a medio e lungo termine”.

In primo luogo, si rileva che, nel riferirsi genericamente alla nozione di “finanziamento”, che non assume un significato autonomo in ambito tributario né corrisponde ad uno specifico contratto tipizzato nel diritto civile, il legislatore ha delineato un ambito di applicazione della norma volutamente ampio, che prescinde dalla forma giuridica con cui la provvista è messa a disposizione del prenditore.

Pertanto, si ritiene compresa nell’ambito applicativo della norma qualsiasi forma contrattuale (i.e., mutuo, aperture di credito, cessione di crediti, altri strumenti di gestione dei crediti di natura commerciale, etc.).

In secondo luogo, affinché gli interessi possano beneficiare dell’esenzione, deve trattarsi di finanziamenti “a medio e lungo termine”.

In assenza di specifiche indicazioni sull’orizzonte temporale idoneo a qualificarsi come medio o lungo termine, ragioni di ordine sistematico inducono a riferirsi al termine di 18 mesi rilevante ai fini dell’applicabilità dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio-lungo, di cui agli artt. 15 ss. del D.P.R. n. 601/1973[12]. Del resto, milita in tal senso la circostanza che l’introduzione della norma in commento sia stata accompagnata da modifiche anche alla disciplina dell’imposta sostitutiva[13].

Da ultimo, si precisa che, ai fini della valutazione della durata del finanziamento, occorre assumere:

  1. quale dies a quo, la data di erogazione della provvista (oppure la data della prima erogazione laddove la stessa sia frazionata nel corso del tempo), in ipotesi di finanziamento strutturato con la forma giuridica del contratto di mutuo, ovvero la data dalla quale la somma è stata posta a disposizione da parte del prestatore (che può non coincidere con l’effettiva corresponsione della provvista), nel caso in cui il contratto concluso dovesse essere di natura consensuale;
  2. quale dies ad quem, la scadenza convenuta dalle parti nel contratto (ossia il termine ultimo entro il quale il prenditore deve adempiere al proprio obbligo di restituzione) a prescindere dalla durata residua al momento del pagamento degli interessi (presupposto per l’applicazione della ritenuta).

5. I chiarimenti forniti dall’Agenzia

Come anticipato, la formulazione letterale del comma 5-bis esclude l’applicazione della ritenuta di cui al comma 5 qualora gli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese siano erogati dai soggetti individuati nel paragrafo 3.

In effetti, la norma non dispone l’esenzione in senso lato di tali interessi.

Pertanto, nelle more della Risoluzione in commento, era stata avanzata l’ipotesi che la non applicazione della ritenuta alla fonte a titolo d’imposta non si traducesse in un’esenzione bensì, piuttosto, nel ben più gravoso obbligo per il percettore estero di assoggettare ad imposta gli interessi attraverso la presentazione di una dichiarazione dei redditi[14].

A tal riguardo, con la Risoluzione in commento, l’Agenzia delle entrate ha chiarito chetale interpretazione non può essere condivisa, in quanto si pone in radicale contrasto con la ratio stessa dell’articolo 26, comma 5-bis, del D.P.R. n. 600 del 1973.

Infatti, richiamando la Relazione illustrativa al Decreto Competitività, l’Agenzia ha ribadito che, con la disposizione in esame, il legislatore ha inteso eliminare il rischio di doppia imposizione giuridica degli interessi, che economicamente risultava traslato sul debitore attraverso apposite clausole contrattuali, con l’obiettivo ultimo di favorire l’accesso alle imprese italiane anche a fonti di finanziamento estere a costi competitivi.

Pertanto, considerato che l’esclusione prevista dal comma 5-bis del citato articolo 26 del D.P.R. n. 600 del 1973 concerne una ritenuta a titolo d’imposta e che la stessa ha carattere di prelievo definitivo, l’Agenzia delle entrate ha concluso affermando che gli interessi sui finanziamenti a medio e lungo termine erogati dalla banca istante non debbano essere assoggettati a tassazione in Italia. Conseguentemente, nessun obbligo dichiarativo si pone in capo al soggetto finanziatore estero.

Sotto altro profilo, l’Agenzia delle entrate ha incidentalmente fornito un ulteriore rilevante chiarimento in relazione al rapporto che si configura tra il regime di esenzione di cui al comma 5-bis e la riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico prevista dal T.U.B., recentemente inserita nel comma 5-bis ad opera dell’art. 17, co.2, del D.L. 18/2016.

Infatti, sul punto, l’Agenzia ha chiarito che la verifica del rispetto della riserva di legge regolamentare rappresenta una “condizione per l’applicazione” della norma in esame.

Ne consegue che tale verifica, in quanto prodromica all’applicazione del comma 5-bis, rappresenta un onere posto in capo al borrower all’atto dell’erogazione di interessi, al fine di escludere l’applicazione dell’imposta, introducendo, di fatto, un elemento di compliance contrario allo spirito della disposizione stessa.

 


[1] La norma prevede che “ferme restando le disposizioni in tema di riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 la ritenuta di cui al comma 5 non si applica agli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese erogati da enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’Unione europea, enti individuati all’articolo 2, paragrafo 5, numeri da 4) a 23), della direttiva 2013/36/UE, imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell’Unione europea o investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria, di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, soggetti a forme di vigilanza nei paesi esteri nei quali sono istituiti”.

[2] Sono gli enti individuati all’art. 2, paragrafo 5, numeri da 4) a 23), della Direttiva 2013/36/UE, tra cui è annoverata, per l’Italia, la Cassa Depositi e Prestiti.

[3] Tale ultima categoria è stata introdotta dall’art. 6 del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 marzo 2015, n. 33.

[4] La nozione di “stabilimento” non ha matrice né civilistica, né tributaria, bensì trova il proprio riferimento normativo nel D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, art. 15. (T.U.B.).

[5] Cfr. M. Gusmeroli, “Prime considerazioni in merito al nuovo regime di esenzione da ritenuta su interessi da finanziamenti a medio e lungo termine”, in Boll. trib., n. 15/16 del 2014, pag. 1133 e V. Provenzano Amendola, “Interessi ed altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine. Nuovo regime della ritenuta sui pagamenti a favore di non residenti”, in Strumenti finanziari e fiscalità, ottobre 2014, pag. 31.

[6] V. Provenzano Amendola, op.cit., pag. 35.

[7] Ad esempio, per il Regno Unito, sono annoverati la “National Savings Bank”, la “Commonwealth Development Finance Company Ltd”, la “Agricultural Mortgage Corporation Ltd”, la “Scottish Agricultural Securities Corporation Ltd”, i “Crown Agents for overseas governments and administrations”, le “credit unions” e le “municipal banks”; per la Spagna, è indicato l’ “Instituto de Crédito Oficial”; per la Francia, è menzionata la “Caisse des dépôts et consignations”.

[8] Rientrano in tale definizione, a titolo di esempio, le società di assicurazione, i fondi comuni di investimento, le SICAV, i fondi pensione, le società di gestione del risparmio (cfr. Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 2/E del 15 febbraio 2012). Ai fini della nozione di vigilanza, occorre fare riferimento alle precedenti istruzioni emanate dall’Agenzia, ove si considera integrato il requisito nelle ipotesi in cui l’avvio dell’attività sia soggetto ad autorizzazione preventiva e l’esercizio dell’attività stessa sia sottoposto in via continuativa a controlli obbligatori sulla base di disposizioni normative vigenti nello Stato estero di residenza. (cfr. Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 16 dicembre 2001 ).

[9] Sul punto, la dottrina ha osservato che “tale disparità di trattamento appare giustificabile rilevando come gli investitori istituzionali esteri che il Governo intendeva incentivare alla fornitura di credito alle imprese italiane, vale a dire i “fondi di credito”, sono spesso localizzati in paesi extraeuropei (a cominciare dagli Stati Uniti, per proseguire con i paesi asiatici).”. Cfr. C. Galli, “Esenzione da ritenuta sugli interessi transfrontalieri da finanziamenti a medio e lungo termine”, in Corr. Trib. n. 30 del 2015, pagg. 2311 e ss..

[10] Cfr. C. Galli, op. cit., p. 2311.

[11] In favore dell’applicazione della norma ai finanziamenti erogati in favore di soggetti che non svolgono un’effettiva attività d’impresa cfr. C. Galli, op.cit., p. 2311. In senso contrario si esprime V. Provenzano Amendola, op.cit., pag. 36.

[12] Cfr. C. Galli, op.cit., p. 2311 e ss..

[13] Cfr. M. Gusmeroli, op.cit., pag. 1135.

[14] La dottrina ha fin da subito ritenuto tale interpretazione contraria allo spirito della norma. Sul punto cfr. C. Galli, op.cit., p. 2311 e ss.. e V. Provenzano Amendola, op.cit., pag. 33.

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