Non si può far cessare un trust con un atto di “risoluzione consensuale”. Sicché, la (ri)assegnazione del patrimonio al disponente è soggetta all’ordinaria disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni contenuta nel D.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346.
Questo è quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella Risposta ad Interpello n. 355 del 30 agosto scorso.
Il caso oggetto di interpello riguarda un trust istituito in Italia e regolato dalla legge di Jersey. Poiché l’atto istitutivo del trust prevede espressamente che “i beneficiari non possono estinguere anticipatamente il Trust”, le “parti” del trust intenderebbero procedere alla sua cessazione per mutuo consenso ex art. 1372 c.c.
In quest’ambito, i beni in trust non verrebbero trasferiti ai beneficiari ma ritornerebbero nel patrimonio del disponente. Conseguentemente, ad avviso dell’istante, non sarebbe dovuta l’imposta sulle successioni e donazioni in quanto “(…) la risoluzione di un atto istitutivo di un Trust che non ha ancora comportato trasferimento di ricchezza ai Beneficiari (…), non comporta a sua volta un trasferimento di ricchezza assoggettabile ad imposta (…)”.
In realtà, l’esclusione dal perimetro di applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, presta il fianco ad alcune critiche.
Ed invero, come evidenziato dall’Amministrazione Finanziaria, il trust non è un vincolo di per sé originabile da disposizioni di tipo contrattuale traendo invece il suo fondamento da una volontà unilaterale del disponente[1]. Ed è proprio la sua natura di atto unilaterale a renderlo difficilmente assoggettabile a risoluzione per “mutuo consenso”[2].
Pertanto, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, a fronte di un iniziale atto di dotazione in trust attraverso cui il settlor ha conferito i beni in trust a favore del trustee cui compete la titolarità esclusiva dei beni stessi, il caso oggetto di interpello non rappresenta un mero “scioglimento del contratto per mutuo consenso” ma bensì un vero e proprio “trasferimento a titolo gratuito delle quote societarie a favore del disponente da parte del trustee …” con conseguente “applicazione dell’ordinaria disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni”[3][4].
A conferma del proprio pensiero, l’Agenzia delle Entrate evidenzia inoltre che: i) “le parti che dovranno partecipare all’atto di “risoluzione consensuale” del suddetto Trust (…) sono diverse rispetto al disponente che ha istituito il Trust”; ma soprattutto, ii) l’oggetto dei due atti – di trust e di successiva risoluzione consensuale – è diverso: “[i]n effetti, nel trust è stato conferito denaro da parte del disponente mentre con l’atto in questione il disponente ricevere quote societarie (…)”.
Ciò detto, appare opportuno, a nostro avviso, evidenziare un tema che è stato – forse – poco approfondito: ci riferiamo al ruolo della legge regolatrice del trust ai fini della corretta definizione del regime fiscale applicabile al trust, soprattutto ai fini delle imposte sui redditi.
Ma vediamo perché.
Il trust oggetto dell’interpello è regolato dalla legge di Jersey.
Ora, la legge di Jersey sul trust del 1984 all’art. 43, comma 3 così dispone: “Without prejudice to the powers of the court under paragraph (4) and notwithstanding the terms of the trust, where all the beneficiaries are in existence and have been ascertained and none are interdicts or minors they may require the trustee to terminate the trust and distribute the trust property among them”[5]. Tale disposizione normativa dovrebbe costituire la codifica della nota previsione del diritto dei trust inglesi c.d. Saunders v. Vautier (risalente ad un precedente giurisprudenziale del 1984[6]), in forza della quale i beneficiari di un trust, se tutti in vita e capaci, ove “absolutely entitled”, possono disporre dei beni come desiderano e quindi hanno diritto di pretendere dal trustee la cessazione del trust. E ciò anche a prescindere da eventuali disposizioni in contrasto dell’atto costitutivo.
Ma se così è – ovverosia se la clausola prevista dall’atto istitutivo del trust oggetto di interpello secondo cui “i beneficiari non possono estinguere anticipatamente il Trust” è tamquam non esset, e, quindi, beneficiari possono disporre dei beni in trust a prescindere dalla discrezionalità attribuita al trustee dal disponente – ci si potrebbe domandare se siamo in presenza o meno di un autonomo soggetto di diritto tributario[7].
Con la conseguenza che la ricostruzione del fenomeno in base ai principi generali dell’ordinamento potrebbe comportare l’applicazione della regola fiscale generalmente accolta per l’Amministrazione finanziaria della c.d. “trasparenza fiduciaria” e, quindi, i beni costituenti il trust fund (e i correlati redditi) dovrebbero essere attribuiti direttamente all’interponente (ad esempio, disponente o beneficiari) e non al trust.
[1] Cfr. ex multiis M. Lupoi, Trusts, 2001, Giuffré Editore, pag. 156 e ss. nel quale si puntualizza che: “Il trust espressamente istituito ha quale propria fonte un atto unilaterale (…) al quale accedono o fanno sèguito (o perfino precedono) uno o più atti di disposizione”. L’Agenzia delle Entrate nella presente Risposta sostiene peraltro in modo analogo che: “(…) anche l’atto di dotazione attraverso cui il settlor conferisce i beni nel trust è anch’esso atto unilaterale formato esclusivamente dal disponente, che si spoglia del potere di disporre del bene conferito a favore del trustee cui compete la titolarità esclusiva dello stesso”.
[2] Secondo l’Agenzia delle Entrate, nella Risposta in commento difatti: “In virtù della configurazione dell’atto istitutivo di un trust quale atto unilaterale, la scrivente ritiene che non sia applicabile l’articolo 1372 del codice civile, che regola la diversa ipotesi di scioglimento del contratto per mutuo consenso”.
[3] Sul dibattito giurisprudenziale in tema di tassazione dei vincoli di destinazione e dei trust, cfr. ex multiis Cassazione Sez. Tributaria, Sentenza n. 21416/2016, Sentenza n. 975/2018, Sentenza n. 13626/2018, Sentenza 1131/2019.
[4] Per completezza si evidenzia che il ri-trasferimento dei beni al disponente potrebbe beneficiare di esenzione da imposta nel caso di costituzione di un vincolo di destinazione avente finalità assistenziale ex art. 6, comma 4 della Legge n. 112 del 22 giugno 2016. Per un ulteriore approfondimento si veda lo Studio n. 33-2017/T del Consiglio Nazionale del Notariato, “La legge sul “Dopo di Noi” e la fiscalità degli strumenti di destinazione patrimoniale”.
[5] Edizione rivista 13.875, gennaio 2019.
[6] Per approfondimenti sul punto cfr., tra l’altro, S. Bartoli, D. Muritano, Le clausole dei trust interni, Torino, 2008, pag. 7; M. Lupoi, L’integrazione fra il diritto civile italiano e il diritto straniero in un originale atto istitutivo di trust, in Vita Notarile, 2013, pag. 1055; A. Vicari, La scelta della legge regolatrice dei trust: una questione di Principia beneficiarî, Trust e attività fiduciarie, 7, 2011, pag. 370. Cfr. altresì S. Massarotto, M. Altomare, Il monitoraggio fiscale degli investimenti all’estero e delle attività estere di natura finanziaria, in AA. VV. Temi di fiscalità nazionale ed internazionale, Cedam, 2014, pag. 824 e segg.
[7] Come noto, l’art. 73 del T.U.I.R. ha ricondotto tra i soggetti passivi ai fini I.R.E.S. sia “i trust, residenti nel territorio dello Stato” sia “i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato”. Secondo l’Amministrazione finanziaria (circolare dell’Agenzia delle Entrate del 6 agosto 2007, n. 48/E, par. 6), le modifiche alla soggettività passiva del trust avrebbero una valenza meramente ricognitiva, “posto che già prima delle disposizioni in esame i trusts erano considerati soggetti IRPEG (e poi IRES) quali enti, commerciali o non commerciali, ai sensi dell’art. 73, comma 2, del TUIR”, riconducendoli tra le “altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell’imposta si verifica in modo unitario ed autonomo”. In tale prospettiva, poiché il trust sarebbe riconducibile, dal punto di vista tributario, ad un fenomeno di soggettività se e in quanto organizzazione di beni non appartenenti ad altro soggetto passivo, laddove emerga che il trustee sia privo di poteri sostanziali sul trust fund, il patrimonio, seppure “formalmente” segregato, risulterebbe appartenente ad altro soggetto passivo e non potrebbe, dunque, trovare applicazione la soggettivizzazione passiva del trust di cui all’art. 73 del T.U.I.R..