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Attualità

Rilevanza ai fini IVA degli accordi di riequilibrio e dei support payments

4 Ottobre 2023

Federico Aquilanti, Managing Associate, Legance

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo, muovendo dall’analisi delle due risposte dell’Agenzia delle Entrate n. 85 del 19 gennaio 2023 e n. 399 del 27 luglio 2023, rispettivamente in materia di “accordi di riequilibrioe di “support payments”, svolge alcune considerazioni più generali in materia di IVA.


1. Introduzione

Nel corso del 2023, l’Agenzia delle entrate si è pronunciata in materia di IVA con riferimento a due fattispecie particolari:

Le risposte in commento – al di là delle peculiarità del caso specifico – offrono l’occasione per svolgere alcune considerazioni più generali in materia di IVA e interrogarsi sui possibili impatti applicativi derivanti da esse.

2. Rilevanza ai fini IVA degli “accordi di riequilibrio” alla luce della Risposta a interpello n. 85/2023

La risposta in commento si può così sintetizzare.

a) Fattispecie e conclusioni dell’Agenzia delle entrate

Il caso riguardava un complesso e articolato investimento effettuato da tre soggetti (“Investitori”). In maggior dettaglio:

  • gli Investitori sottoscrivevano un contratto per l’acquisto di una partecipazione in una determinata società (“Società”);
  • al contempo, gli Investitori sottoscrivevano un patto parasociale volto a disciplinare il regime di circolazione delle partecipazioni nella Società. Nell’ambito del patto si prevedeva che gli Investitori non avrebbero potuto procedere all’acquisto di ulteriori partecipazioni nella Società senza il preventivo consenso di certi Investitori.
  • successivamente, gli Investitori sottoscrivevano un accordo di “consenso e riequilibrio”, in forza del quale uno degli Investitori prestava il proprio consenso affinché gli altri Investitori potessero acquistare ulteriori partecipazioni della Società. L’accordo prevedeva, altresì, che in caso di disinvestimento da parte di uno degli Investitori, al verificarsi di talune condizioni legate al raggiungimento di un certo rendimento in sede di exit, quest’ultimo avrebbe dovuto pagare una somma in denaro o in natura all’Investitore che aveva prestato il proprio consenso al fine di riequilibrare il rendimento della partecipazione di quest’ultimo (“Balance Consideration”);
  • in sede di disinvestimento si verificavano le condizioni per il pagamento del Balance Consideration, che veniva così corrisposto al rispettivo investitore.

Sulla base di ciò, il contribuente istante chiedeva all’Agenzia delle entrate se le somme citate fossero da assoggettare a IVA ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (“DPR 633/72”).

A tale riguardo, l’Agenzia delle entrate ha argomentato che:

  • per stabilire se una prestazione di servizi è soggetta a IVA occorre verificare se tra prestatore e committente “… intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato [dal committente] …”[1];
  • una volta appurato che tra le parti intercorra il suddetto rapporto giuridico, occorre verificare la sussistenza o meno di un nesso diretto “… fra il servizio prestato e il controvalore ricevuto …”; a tal fine, come emerge da quanto sopra “… il carattere incerto della stessa esistenza di un compenso spezza il nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario e il compenso eventualmente ricevuto …”[2].

Tanto premesso, venendo al caso oggetto della risposta a interpello, si è evidenziato che:

  • il pagamento della somma in commento era incerto nell’an e nel quantum fin dall’origine, in quanto dipendente dal realizzarsi di un insieme di accadimenti, la cui sussistenza è verificabile soltanto al momento del disinvestimento;
  • da tale incertezza ne deriva l’impossibilità di configurare la Balance Consideration come il corrispettivo del consenso ricevuto, dal momento che tale somma non presenta un nesso diretto ai fini IVA con il consenso di cui sopra.

In definitiva, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto che la somma in commento non rappresentasse “… il corrispettivo di una prestazione di servizi rilevante ai fini IVA per difetto del presupposto oggettivo del tributo e [fosse] pertanto esclusa dall’applicazione dell’IVA …”.

Il ragionamento seguito e le relative conclusioni appaiono coerenti con l’interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione europea e i precedenti di prassi dell’Agenzia delle entrate[3].

Infatti, laddove la prestazione di una parte sia certa e già eseguita, mentre la controprestazione dell’altra sia per sua natura incerta nell’an e nel quantum, dipendendo interamente da un evento futuro, non pare potersi configurare una prestazione di servizi rilevante ai fini IVA, stante l’assenza di nesso diretto “… fra il servizio prestato e il controvalore ricevuto …”.

b) Possibili conseguenze derivanti dall’applicazione dei principi desumibili dalla Risposta n. 85/2023

In linea generale, è evidente come questa posizione, dal punto di vista pratico, possa comportare rilevanti conseguenze:

  • in primo luogo, le prestazioni di servizi relative a contratti qualificabili civilisticamente come “contratti aleatoridovrebbero considerarsi di per sé fuori campo IVA, in quanto a tali fini – in coerenza con l’interpretazione di cui sopra – non sussisterebbe un nesso diretto “… fra il servizio prestato e il controvalore ricevuto …”. Tale conclusione, tuttavia, non convince fino in fondo, in quanto porterebbe ad escludere dal campo di applicazione di IVA una serie piuttosto ampia di prestazioni che presentano profili di alea[4]. Dal punto di vista pratico, quindi, in presenza di un contratto aleatorio pare opportuno svolgere comunque un’analisi specifica per stabilire il trattamento IVA delle prestazioni ivi contenute, valutando attentamente la sussistenza o meno dei parametri interpretativi di cui sopra, anche tenuto conto delle circostanze del caso concreto e soprattutto se le condizioni eventuali a cui è subordinata la prestazione dipendono, in tutto o in parte, dalla volontà delle parti.
    Ragionando in questi termini, ad esempio, ci si potrebbe domandare se le somme corrisposte a titolo di carried interest a lavoratori autonomi (qualificabili come reddito di lavoro autonomo e non come reddito di natura finanziaria), in ragione del loro carattere aleatorio[5], siano da ritenersi escluse o meno dal campo di applicazione IVA.
  • in secondo luogo, va osservato che per le prestazioni di servizi in commento, essendo escluse dal campo di applicazione dell’IVA, non opera il principio di alternatività tra IVA e imposta di registro di cui all’articolo 40 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (“TUR”). Di conseguenza, tali accordi (se redatti per iscritto) dovrebbero – in linea di principio – essere soggetti a registrazione in “termine fisso” e all’imposta di registro nella misura del 3% ai sensi dell’articolo 9 della Tariffa, Parte Prima, allegata al TUR, salvo la conclusione di questi ultimi per scambio di corrispondenza ai sensi dell’articolo 1, lett. a) della Tariffa, Parte Seconda, allegata al TUR (in tal caso, l’accordo sarebbe soggetto a registrazione solo in caso d’uso).

3. Rilevanza ai fini IVA dei cd. “support payments” alla luce della Risposta a interpello n. 399/2023

La risposta in commento si può così sintetizzare.

a) Fattispecie e conclusioni dall’Agenzia delle entrate

Il caso riguardava, inter alia, un contratto di fornitura di alcuni beni concluso tra due società, in virtù del quale la società fornitrice si impegnava a proseguire la produzione dei citati beni a fronte del riconoscimento di un contributo in denaro destinato appunto a salvaguardare la propria continuità aziendale e il flusso produttivo dei citati beni.

Sulla base di ciò, il contribuente istante chiedeva all’Agenzia delle entrate se l’operazione descritta configurasse una prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del DPR 633/72 (“… Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da […] obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte …”).

A tale riguardo, l’Agenzia delle entrate sulla base, sostanzialmente, del medesimo percorso argomentativo di cui sopra, ha ritenuto che il contributo corrisposto alla società fornitrice fosse qualificabile come il corrispettivo dell’impegno assunto da quest’ultima di garantire un costante flusso produttivo dei citati beni.

In definitiva, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto che la prestazione in commento rappresentasse una prestazione di servizi rilevante ai fini IVA, in quanto riconducibile a un’obbligazione di fare della società fornitrice a fronte della percezione di un corrispettivo (i.e. “support payments”).

b) Aspetti dubbi relativi al trattamento IVA dei cd. “support payments”

Nonostante i chiarimenti resi dall’Agenzia delle entrate circa il trattamento IVA dei cd. “support payments”, permangono alcuni dubbi sul punto. Nello specifico, ci si domanda se i “support payments” finalizzati alla produzione di un determinato bene, che verrà poi acquistato dal soggetto che ha effettuato tale pagamento, debbano considerarsi ai fini IVA (i) una prestazione di servizi autonoma e distinta rispetto alla cessione del bene (così come nella risposta in commento), (ii) un’operazione principale e accessoria oppure (iii) un’operazione “complessa”.

Tale aspetto non è stato oggetto di trattazione nella risposta in commento.

In base principi espressi dalla CGUE in materia di IVA, si ricorda in sintesi che:

    • una prestazione è considerata accessoria ad una prestazione principale quando costituisce per la clientela non già un servizio con un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore[6]; mentre
    • si configura un’operazione “complessa” qualora due prestazioni risultano entrambe indispensabili per la realizzazione della prestazione complessiva, in quanto gli elementi che la caratterizzano sono strettamente connessi a tal punto da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale[7].

Tanto premesso, con riferimento ai “support payments” si possono prospettare due ipotesi:

  • a fronte della corresponsione dei “support payments”, la società fornitrice, benché si impegni a garantire un costante flusso produttivo di beni, non porta a compimento la produzione degli stessi e pertanto non effettua alcuna cessione;
  • a fronte della corresponsione dei “support payments”, la società fornitrice porta a compimento la produzione dei beni e pertanto provvede alla cessione degli stessi.

Relativamente alla prima ipotesi, si condivide la ricostruzione dell’Agenzia delle entrate per cui i “support payments di cui sopra afferiscono a una prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del DPR 633/72 (“… Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da […] obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte …”).

Maggiori perplessità si pongono con riferimento alla seconda ipotesi. In effetti, in questo caso, pare legittimo domandarsi se la prestazione di servizi di cui sopra e la successiva cessione dei beni costituiscano o meno un’operazione unica ai fini IVA nei termini anzidetti (operazione “complessa” oppure operazione principale/accessoria).

È evidente che l’una o l’altra qualificazione potrebbe produrre conseguenze differenti ai fini IVA (ad esempio, inter alia, ai fini del regime IVA applicabile oppure della formazione del plafond)[8].

Sulla base della ricostruzione di cui sopra relativa alla nozione di operazioni “complesse” e accessorie pare potersi ritenere fondata la tesi per cui l’impegno a garantire un certo flusso produttivo di beni e la successiva cessione degli stessi configurino un’operazione unitaria ai fini IVA. In effetti, la remunerazione di tale impegno non è funzionale a sostenere la produzione del fornitore in sé, bensì ad assicurarsi l’acquisto dei beni oggetto della produzione.

Su questo presupposto, quindi, il citato impegno costituisce un elemento indispensabile dell’operazione di cessione di beni. Pertanto, nel caso in cui la cessione di beni si perfezioni, sembrerebbe logico ritenere che si realizzi un’operazioni “complessa”, dal momento che gli elementi che la compongono sono a così strettamente connessi da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica.

 

[1] Ex multis, sentenza della CGUE del 2 giugno 2016, C-263/15, Lajvér.

[2] Ex multis, sentenza della CGUE del 10 novembre 2016, C-432/15, Bastova.

[3] Si fa riferimento, in particolare, alla risposta a interpello del 25 agosto 2021, n. 550.

[4] Sul punto, P. Scarioni – A. F. Martino, La nozione di “onerosità” della prestazione di servizi ai fini IVA, in Corriere tributario, n. 2, 2022, p. 184 ss.

[5] La natura aleatoria di tali somme è espressamente riconosciuta anche dall’Agenzia delle entrate, secondo cui “… La natura di retribuzione correlata alla prestazione lavorativa del manager non può venir meno in considerazione dell’aleatorietà del provento, erogato – al pari degli utili – solo se il fondo genera profitti che superano un ‘livello minimo di rendimento’, atteso che analoga incertezza sussiste anche per la retribuzione variabile incentivante …” (enfasi aggiunta; cfr. Circolare del 16 ottobre 2017, n. 25/E).

[6] Ex multis, sentenza della CGUE del 16 aprile 2015, C-42/14, Wojskowa Agencja Mieszkaniowa w Warszawie.

[7] Ex multis, sentenza della CGUE del 19 luglio 2012, C-44/11, Deutsche Bank.

[8] Si pensi, ad esempio, al seguente caso: un soggetto passivo IVA stabilito in Italia corrisponde un contributo a sostegno della produzione di un proprio fornitore strategico (anch’esso soggetto passivo IVA stabilito in Italia) affinché quest’ultimo provveda poi a cedergli i relativi beni prodotti. I beni una volta acquisiti sarebbero poi oggetto di cessione all’esportazione a favore di un soggetto extra-Ue. In questo caso, a seconda della qualificazione dell’operazione, si potrebbero prospettare due scenari: (i) il contributo si considera afferente a una prestazione di servizi ai fini IVA, con la conseguenza che tale prestazione sarebbe soggetta ordinariamente a IVA in Italia; la successiva cessione dei beni all’esportazione sarebbe, invece, soggetta – al ricorrere dei relativi requisiti – al regime di non imponibilità IVA ex art. 8 del DPR 633/72; (ii) il contributo si considera afferente a un’operazione “complessa” ai fini IVA, con la conseguenza che quest’ultimo sarebbe qualificabile ai fini IVA come una sorta di acconto del prezzo di cessione dei beni; in tal caso, la somma in questione potrebbe beneficiare – a certe condizioni – del regime di non imponibilità IVA ex art. 8 del DPR 633/72.

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