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Attualità
NPL

Riflessioni a margine del documento “Resolution of non performing loans – policy options”

16 Ottobre 2017

Margherita Gagliardi

Di cosa si parla in questo articolo
NPL

Premessa

La pubblicazione del documento “Resolution of non performing loans – policy options”, di Baudino e Yun, per l’autorevolezza della sede che lo ospita ed il momento in cui è stato pubblicato, suggerisce una riflessione specifica sulle modalità in cui l’intervento pubblico è destinato ad interagire con le dinamiche di mercato che, al presente, convergono verso l’applicazione di strumenti innovativi ai portafogli di NPLs che danno contenuto alle attività di molte banche europee, anche di rilevanza sistemica.

Non v’è dubbio che l’attuale quadro normativo suggerisce l’applicazione dei più recenti strumenti della gestione collettiva del risparmio e, in particolare, dei FIA riservati che possono investire in crediti, in linea con le previsioni della Direttiva AIFMD (n. 2011/61/UE) e della relativa disciplina di attuazione (d.m. 5 marzo 2015, n. 30 e Provvedimento della Banca d’Italia 19 gennaio 2015). Tuttavia, numerose riflessioni – nel cui solco si colloca quella dianzi menzionata – suggeriscono la necessità di azioni esogene, avviate da istituzioni volte ad attuare specifiche policies per il superamento delle condizioni in cui versano gli enti che non riescono a recuperare il credito erogato. Si avverte, infatti, l’esigenza di comprendere le direttrici che perseguiranno azioni siffatte, in quanto il nostro ordinamento risulta informato a fini di utilità sociale ben individuati dalla Costituzione.

Utilità degli approfondimenti promossi dal Financial Stability Institute

In tale contesto, l’approfondimento promosso dal Financial Stability Institute evidenzia i principali elementi che dovranno esser presi in considerazione ai fini della risoluzione della problematica in esame. Pertanto, ogni successiva riflessione operativa non potrà prescindere dalla valutazione dell’entità dei NPLs detenuti da un ente creditizio rispetto alla capacità di quest’ultimo di far fronte agli inadempimenti dei relativi debitori (e, quindi, di assorbirne l’impatto economico negativo), avendo riguardo sia alle condizioni (macroeconomiche e strutturali) del mercato in cui esse si realizzano, sia ai profili andamentali del relativo ordinamento (da cui discende la possibilità di ottenere in via giudiziale il ristoro dei propri diritti). Sicché, è il costante riferimento a tali caratteristiche che può consentire al privato (prima) ed al pubblico (poi) di individuare strategie di gestione degli NPLs che possano condurre a risultati efficaci in un determinato Paese.

Si è in presenza, dunque, di una chiara preferenza (degli autori del documento) per l’attivazione di ‘policy instruments’, all’uopo suggerendo una qualche forma di coordinamento che consenta di gestire la problematica degli NPLs a livello sistemico e non individuale, all’uopo preferendo meccanismi alternativi a quelli che una banca può attivare ricorrendo agli strumenti di mercato più diffusi. Evidente appare, quindi, la sfiducia per la possibilità che un ente riesca a trasferire gli attivi più problematici al di fuori della propria economia senza realizzare perdite di valore.

In definitiva, di un’interpretazione che appare condizionata dalle evidenze empiriche delle principali operazioni di cartolarizzazione degli NPLs, le quali – nel nostro Paese – sono state ancorate a cessioni realizzate a prezzi ben al di sotto dei valori di bilancio. Da qui una critica ad una indagine (qual è quella che da contenuto al documento in esame) che ricerca nel pubblico quell’intervento risolutivo che l’Europa aveva cercato di superare con la direttiva BRRD (n. 2014/59/UE). Analoga considerazione critica investe l’opzione di procedere ad un’analisi delle policies in parola incentrata sull’alternativo interesse ad aiutare il debitore o la banca (i.e. debtor-focused versus bank-focused, nel linguaggio degli autori), laddove – come anticipato – l’ordinamento europeo persegue la stabilità dei prezzi e quello italiano la tutela del risparmio (che è affluito nel patrimonio delle banche e che è stato impiegato nei crediti che oggi mostrano problemi di performance).

Ciò posto, viene in considerazione la valorizzazione del perimetro di intervento, circoscritto in ambito nazionale, in ragione dell’assenza di una autorità politica di livello più elevato (in grado di attivare la decisione di un intervento pubblico in subiecta materia). È evidente che, al presente, soluzioni che auspicano formule di burden e risk sharing tra diversi Stati (ancorché membri dell’UE o dell’UEM) non solo risultanodifficilmente ipotizzabili, ma appaiono esposte a specifici problemi di coordinamento (ancorché esso venga affidato ad autorità munite della necessaria autorevolezza tecnica e peso economico, come ad esempio la BCE).

Non va trascurato di considerare che ogni strategia di intervento, oltre ai necessari presupposti politici, dovrà aver riguardo ad analisi tecnico-finanziarie in grado di rilevare con accuratezza sia la dimensione del fenomeno, sia la portata dei relativi effetti. È appena il caso di far presente che la prassi ha evidenziato sia una ridotta qualità delle informazioni a disposizione delle autorità (dati mancanti, reporting imprecisi, incentivi contabili a estendere le misure di tolleranza), sia la propensione ad utilizzare strumenti di verifica che privilegiano l’accuratezza alla tempestività delle analisi (col rischio di richiedere tempi di esecuzione abbastanza lunghi da rendere tardiva la reazione del pubblico). Va da sé che le difficoltà di stima del fenomeno si amplificano nel riferimento alla necessità di valutare la perdita attesa (e inattesa) delle banche, con l’ovvia conseguenza che risulta difficile coordinare un’azione generalista con le pregresse politiche di svalutazione dei crediti, nonché con la dinamica dei presidi di vigilanza prudenziale che dovrebbero assicurare la resilienza delle banche.

Conclusioni

Numerose indagini hanno tentato di approfondire le ragioni delle difficoltà che gli enti creditizi stanno incontrando nella gestione degli NPLs. Tratto comune dei relativi risultati è il riferimento alle condizioni di mercato, le quali, in un primo tempo, hanno incentivato il ricorso al credito e, al presente, rendono difficile il superamento delle difficoltà che hanno impedito ai clienti di adempiere con regolarità agli impegni assunti nei confronti della banca.

Trattasi di condizioni da cui muove anche il documento in esame, senza tuttavia arrivare a prendere in considerazione le opzioni poste a fondamento degli Accordi di Basilea in vigore, i quali non hanno previsto la possibilità di una gestione attiva dei crediti maggiormente problematici, tale cioè da realizzarsi attraverso la valorizzazione delle misure di forbearance, nel riferimento a regole di capital adequacy in grado di ascrivere carattere permanente (rectius immobilizzato) alle poste rappresentative di rapporti giuridici che non rispettano l’originario piano di ammortamento.

Del resto, ancora una volta, appare inesplorata la possibilità di aggiornare il modello posto a fondamento della vigilanza prudenziale al fine di consentire una gestione segregata di attivi siffatti, rapportandone l’incasso ad una dinamica temporale compatibile con le nuove condizioni economiche del cliente, senza che ciò si traduca in un peso per l’intermediario. Da qui, l’opportunità di un nuovo approfondimento promosso dalla Banca dei regolamenti internazionali che indichi le modalità in cui le soluzioni di mercato possono evitare che la ‘risoluzione degli NPLs’ venga ancorata all’impiego di un backstop erariale o monetario.

 

Della gestione degli NPL anche alla luce delle Linee guida della BCE parleremo nel Convegno del prossimo 26-27 ottobre a Milano. Per il programma dell’evento e per maggiori informazioni sulle modalità di iscrizione v. la pagina dedicata all’evento indicata tra i contenuti correlati.
 

 

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