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Regole nuove per le rilevazioni usurarie

19 Giugno 2015

Aldo Angelo Dolmetta, Ordinario di Diritto Privato nell’Università Cattolica di Milano

SOMMARIO. 1.- Micro mappa dei problemi della normativa anti-usura. – 2. Disaggregazione del TEGM. – 3. Ristrutturazione delle «categorie omogenee» per macro tipi (o grandi ceppi). – 4. Il nodo delle «operazioni escluse» perché sotto mercato. – 5. Costo complessivo del credito e voci economiche da rilevare. – 6. Rapporti nuovi e rapporti già in essere. – 7. Clausole «parassita». – 8. Rilievo dell’«applicato» (in quanto tale).

 

1.- Micro mappa dei problemi della normativa anti-usura. – La normativa anti-usura sta attraversando una stagione intricata, specie sul piano del diritto vivente; il tema è noto al punto da rendere superfluo ogni racconto e descrizione. Conviene, piuttosto, concentrarsi sui problemi, che sono tanti: di ordine legislativo (come quello di tracciare con maggior energia l’autonomia del profilo civile rispetto al penale; di meglio disegnare, sempre sotto il profilo civile, le strutture rimediali al riscontro di un fatto di usura[1]; di andare a verificare, a ben vedere, la stessa idea di un TEGM «a fotografia», com’è quello attuale); e di ordine giudiziale (sopra tutti gli altri, a me pare, quello della concreta distribuzione probatoria della materia); e non meno di ordine amministrativo (MEF e Banca d’Italia), come in punto dell’attività di realizzazione esecutiva dei precetti della legge n. 108/1996, secondo quanto dispone la norma dell’art. 2 della legge stessa (sulle rilevazioni trimestrali, così).

Nella presente sede intendo soffermarmi sull’aspetto per ultimo indicato. La scelta dipende dallo spunto (obliquamente) offerto dal recentissimo intervento compiuto dalla Banca d’Italia in proposito (cfr. il documento per la consultazione del 30 aprile 2015): se il precipitato reale è piccola cosa davvero («meglio poco che niente», chiosa il Sole-24 Ore nel sottolineare le migliorate modalità di calcolo usurario della CIV[2]), il fatto stesso di un nuovo intervento in materia potrebbe fors’anche esprimere e significare – essere ottimisti, comunque, non costa nulla – l’idea di un «avvio»: per l’obiettivo, appunto, di una nuova, rifondata (rispetto a quella dell’agosto del 2009, che fu di rivisitazione ampia), disciplina delle «Istruzioni dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura»[3].

Questo tema è, in effetti, di importanza primaria: e a mio avviso senz’altro esige, come pure merita, lo svolgimento di un forum aperto di discussione. Qui di seguito vengo, perciò, a manifestare qualche idea in proposito: in termini concisi, quanto (peraltro) pure un po’ disordinati[4]. Com’è caratteristica corrente, in fondo, di tutte le discussioni che si rispettino.

2.- Disaggregazione del TEGM. – Nel mio pensiero, un punto essenziale per l’accennata rivisitazione sta nella disaggregazione del TEGM secondo le diverse voci economiche che risultano praticate dall’operatività. La tesi, più di preciso, si compone di due linee: in positivo, l’indicazione scomposta dei valori dei vari oneri economici considerati; in negativo, la non indicazione del valore unitario – e complessivo – del TEGM. Non credo, per la verità, che la normativa della legge anti-usura richieda per forza un’espressa e formale enunciazione del dato aggregato; sì che ritengo possibile – e senz’altro preferibile, allora – la seconda e maggiore versione della tesi (per sé intuitivo, il senso della mancata «formalizzazione» di un TEGM viene in ogni caso esplicitato nell’ultimo capoverso del paragrafo).

Per formulare una stringa di sintesi: i valori medi di periodo verrebbero unificati – tratti ad unum, meglio – in funzione delle varie fattispecie concrete.

Il guadagno, che ne deriverebbe, appare notevole, di spessore. Sul piano conoscenziale e informativo, evidente: si pensi, tra le altre cose, all’utilità fornita dal riscontro dei valori medi delle «penali» per i giudizi di eccessività di cui all’art. 1384 c.c.[5]; ovvero alle utilità derivabili dalla conoscenza delle effettive dinamiche formative di prezzi dei contratti bancari[6].

Non meno netto sarebbe poi, e in via segnata, il vantaggio sul punto della reale corrispondenza del dato rilevato con le fattispecie concrete di cui occorra verificare un’eventuale usurarietà: che è tema, quest’ultimo, fondamentale in un sistema basato su rilevazioni fotografiche, come quello attuale. Non sempre le fattispecie concrete presentano tutte le voci che sono considerate dal dato aggregato (da quello attuale, come pure da un «qualunque» altro); così come, del resto, ben possono capitare casi concreti con voci «anomale» rispetto al dato aggregato e di cui va presa distinta considerazione. Soprattutto, l’idea dei dati disaggregati si manifesta in buona sostanza necessaria con riferimento ai c.d. oneri eventuali: si tratta appunto di oneri destinati – per definizione intrinseca alle loro funzioni – a entrare in applicazione solo nel ricorrere di dati presupposti eventuali. Impensabile, a mio avviso, lasciare fuori questo tipo di oneri dal sistema della legge anti-usura, posta se non altro la fortissima incidenza economica che possono venire a possedere, come nel caso degli oneri da inadempimento (classe che sarebbe ingiustificato restringere ai soli interessi moratori)[7]. Altrettanto impensabile sarebbe metterli comunque nel conto: anche perché quelli eventuali sono oneri (tra loro) eterogenei. Si pensi al tema della estinzione anticipata: un conto è se scende dall’esercizio di una facoltà del cliente, un altro se segue invece a una decadenza anticipata ex art. 1186 c.c.; presupposti diversi e diverse voci economiche: sarebbe assurdo fare di tutto questo un unico calderone.

A parte questo, che poco non è, occorre pure tenere conto di (almeno) un altro profilo della materia. Per sé, compito dell’Autorità amministrativa è di fotografare la realtà del mercato; compito delle imprese bancarie (sub specie dei servizi di compliance) è di proporre alla clientela, e di applicare, oneri che rimangano al di sotto della soglia usuraria (se non altro); compito del giudice è di verificare se la soglia vietata non venga per un verso o per l’altro superata. Nella realtà delle cose dei vent’anni passati, tuttavia, il dato aggregato ha finito per assumere – agli occhi delle banche (e non forse non solo di quelle) – un discutibilissimo ruolo di copertura. E’ bene che ciascuno torni ai propri compiti e ruoli. Non è corretto totemizzare il TEGM perché comunque si tratta del frutto di un lavoro della Banca d’Italia: nei fatti, questa è solo una fuga da responsabilità. Oppure una mera utopia: nessun sistema di rilevazioni a fotografia del mercato potrebbe mai consegnare alle imprese delle certezze veramente assolute[8].

3.- Ristrutturazione delle «categorie omogenee» per macro tipi (o grandi ceppi). – Un altro punto nodale della normativa anti-usura è dato dal tema delle «categorie omogenee» che, secondo il disposto dell’art. 2 legge n. 108/1996, è compito della Banca d’Italia isolare, sì da venire poi ad organizzare, per ciascuna di esse, un apposito e distinto TEGM. Due le osservazioni di fondo che credo si debbano svolgere al riguardo: connesse tra loro e, tuttavia, anche qui – ove assunte come scomposte – una minore rispetto all’altra.

Se si guarda all’attuale organizzazione delle categorie (Istruzioni del 2009 e successivi decreti trimestrali), ne esce, a me pare, un fronte non già lineare, quanto piuttosto pasticciato, che di necessità va riformulato: questa, per l’appunto, la tesi minore. Così, per fermare qualche impressione a volo di uccello, perplessità desta la collocazione in distinte categorie della cessione del quinto (Cat. 8) e della delegazione di pagamento (Cat. 10); come pure quella di separata sistemazione degli anticipi su crediti e documenti (Cat. 2) e del factoring (Cat. 5). Confusa appare, dal canto suo, la gestione del credito revolving di cui alla categoria 9 («linea di fido diversa dalle apertura di credito in conto corrente, da utilizzare interamente o parzialmente … presso venditori convenzionati» ed eventualmente «connessa con l’utilizzo di una carte di credito»), anche in relazione alla Cat. 3 (prestito personale), alla Cat. 1 (apertura di credito in conto corrente) e alla Cat. 4 (credito finalizzato). Senz’altro non giustificato si manifesta poi lo scorporo degli sconfinamenti da deposito dal ceppo dell’apertura di credito (Cat. 1), che è stato disposto dall’inizio del 2010. Ma pure la categoria del mutuo, di cui alla categoria 7, andrebbe rivista dalle fondamenta: si pensi anche solo all’individuazione dei presupposti la cui presenza occorre perché la stessa entri in applicazione.

Attualmente, le diverse «categorie» selezionate dalla Banca d’Italia producono un gran numero di distinti TEGM (nell’oggi, se ne contano 25). La tesi maggiore, che vengo qui a esprimere, è che la riformulazione delle categorie omogenee abbandoni senz’altro la via della frammentazione e parcellizzazione, che è stata sin qui prediletta (in modo crescente, anzi, col passare del tempo). E imbocchi, per contro, la strada delle (poche) macro-categorie operative ovvero, per usare altra e forse più evocativa espressione, dei «macro-tipi». Secondo un’opzione che non è solo di semplificazione, ma che pure risulta intesa, e non meno, all’efficiente assorbimento delle «esplosioni» del carico economico che specifiche operatività possano portare sul mercato.

In ogni caso, è da abbandonare il criterio del «livello dei tassi di mercato rilevati», che nell’attuale è per contro assunto a fattore base delle divisioni di confine fatte dall’Autorità amministrativa (cfr. la «Nota metodologica» che accompagna i decreti trimestrali dei TEGM). La nuda differenza di carico economico presente sul mercato è criterio che risulta (estraneo e anzi) respinto dalla norma dell’art. 2 legge anti-usura, in quanto criterio di per sé distorsivo di una corretta formazione dei tassi medi (: «se alla base della separazione categoriale si pone il nudo fatto del carico economico all’epoca praticato dagli intermediari, nella sostanza è l’insieme formato da questi ultimi che viene a stabilire, secondo il proprio arbitrio, le categorie»[9]). Con attenzione e controllo estremi, poi, va utilizzato il criterio della «forma tecnica», cui pure si richiama la detta Nota metodologica. Solo se assunta in un’accezione particolare, l’idea della forma tecnica può corrispondere a quella della «natura» dell’operazione, secondo il criterio selezionato al riguardo dalla legge; non è questione di nomina, qui, o di singoli dettagli: a potere contare è il rilevante impatto che sull’onere economico dell’operazione è capace di produrre – ed effettivamente produce – la presenza di una data caratteristica strutturale intima al meccanismo tipico dell’operazione medesima. 4.- Il nodo delle «operazioni escluse» perché sotto mercato. – Sotto la intitolazione «B2. Operazioni escluse», le vigenti Istruzioni dichiarano che una serie di operazioni – tra cui quelle «a tassi di favore» e quelle «a tasso agevolato» – «sono escluse dall’obbligo di segnalazione per la rilevazione …, ma non dall’applicazione della legge 108/96». La frase, per la verità, pare un po’ inquietante: non tanto perché ammette in modo esplicito una disformità tra le operazioni segnalate e le operazioni poste in essere dagli stessi soggetti tenuti alle segnalazioni[10]; quanto piuttosto perché pure in modo esplicito ammette che delle operazioni «di favore» ben possano comportare, per il «favorito», carichi economici anche superiori alla linea dell’usura.

Al di là di questa notazione, come anche al di là della constatazione che la coniata nozione di operazione «di favore» non risulta per nulla chiara, il punto basico del rilievo è però un altro. Il punto da mettere in discussione, cioè, è se i «finanziamenti … concessi a condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato» (così, la formula utilizzata dall’art. 111 comma 4 TUB per il microcredito) debbano di principio essere contati per le rilevazioni oppure no. A mio giudizio, si impone la risposta positiva.

Se si intende fotografare la linea media degli oneri economici correnti, non si vede alcuna ragione obiettiva per escludere dal conto quelle operazioni che – secondo la fisiologia loro propria – vengono ad occupare la fascia (più) bassa del mercato. Questa, dunque, la necessaria linea guida in proposito; nel senso che – per esonerare dalla rilevazione operazioni di questo genere – occorrerebbe una motivazione tanto forte, quanto puntuale: non meno che di immediata ragionevolezza.

5.- Costo complessivo del credito e voci economiche da rilevare. – Quello degli oneri economici da conteggiare per le rilevazioni trimestrali – ovvero da verificare per il riscontro di eventuale usurarietà delle fattispecie concrete – è senza dubbio il tema più vissuto, più «problematico», di questi ultimi anni.

A me pare che la vigente regolamentazione dell’usura abbia – secondo quanto si desume dalla legge n. 108/1996 – il proprio focus nel costo complessivo che l’operazione di credito possiede per il cliente: non già risolvendosi in «pezzi» sparsi del medesimo, variati e più o meno casualmente assemblati. Ora, se questo è vero, l’enunciazione di principio, che ne deriva, è sostanzialmente «obbligata»: occorre rilevare tutte le voci che il detto costo complessivo vanno a formare[11]. Né vale obiettare che meno voci si includono nel conto, più si tiene basso il livello dei tassi: nei fatti, il rilievo è meramente nominalistico; ovvero di nuda apparenza («perbenista», si potrebbe anche dire). La realtà è quella che è: come in ogni caso manifestata dagli oneri economici concretamente (pattuiti e) applicati.

Per scendere un poco più nel dettaglio, a me sembra ad esempio che non sia possibile escludere dalle rilevazioni l’onere aggiuntivo prodotto dal meccanismo anatocistico, sin tanto almeno che questo – vietato meno che sia – risulti significativamente praticato dall’operatività[12]. E così pure l’aggravio del carico economico che viene prodotto dalle imputazioni alle spese e agli interessi, piuttosto che al capitale; e ancora la crescita addizionale che segue all’inserimento di un «maxicanone inziale» nei contratti di leasing. Ma lo stesso è pure da ripetere per gli oneri da inadempimento e risoluzione, secondo i termini, peraltro, che si sono già riferiti sopra nell’ambito del n. 2.

Un cenno a parte occorre, poi, per le «spese». Per segnalare, prima di tutto, l’opportunità di bandire in modo espresso l’utilizzabilità della clausola – nella pratica oggi corrente – per cui il ribaltamento delle spese (o di date spese) è fissato al «recupero spese sostenute»: certo, la clausola è di per sé stessa nulla (se non altro ex art. 117 TUB), ma la sua confezione sostanziale sembrerebbe fatta apposta per aggirare i meccanismi della disciplina anti-usura.

Per cercare di superare, altresì, le difficoltà interpretative date dal fatto che, per la legge, a contare sono le spese «collegate» all’operazione di credito (equivalente l’aggettivo «connesse» adottato dalle attuali Istruzioni). In effetti, non sempre è agevole tirare il confine tra il «collegato» e quanto non lo è. Per fare un esempio: l’utilizzatore di un immobile preso in locazione copre le spese ordinarie di gestione e conservazione dell’immobile, il proprietario quelle straordinarie; nel leasing, tuttavia, l’utilizzatore copre pure le spese straordinarie, per quanto non sia (e per definizione) proprietario. Altre volte, invece, neppure si intende quale sia la «causale» effettiva di un ribaltamento spese: è quanto avviene, sempre ad esempio, per il c.d. handling charge (talvolta, denominato come handling fee) nelle operazioni di factoring.

Tenuto conto anche di questi aspetti, a me pare che delle nuove Istruzioni dovrebbero esprimere – in luogo dell’attuale agnosticismo (: «sono inclusi … ogni altra spese ed onere contrattualmente previsti, connessi con l’operazione di finanziamento»; cfr. così in C4.) – una presunzione di collegamento della spesa all’operazione (va da sé, una presunzione semplice). Secondo quanto già deriva, in fondo, dal principio della rilevanza del costo complessivo dell’operazione (v. all’inizio del paragrafo), che porta con sé pure l’indicazione che, per sottrarre un peso dal relativo conteggio, è necessario mostrare la positiva estraneità dello stesso rispetto all’operazione.

In via correlata, l’elencazione delle voci «incluse» dovrebbe anche portare l’espressa menzione del suo carattere solamente esemplificativo. Elenco di oneri che, del resto, andrebbe – tra compensi secondari e spese – sicuramente aggiornato parecchio: così, per dire un po’ alla rinfusa, con le c.d. «commissioni dilatorie» del factoring; con le spese per «singole erogazioni» dei mutui a s.a.l.; con le spese ipotecarie (riduzione, restrizione e frazionamento compresi); con la «penale» da decadenza dal beneficio del termine (che, tra l’altro, non suppone necessariamente un inadempimento del debitore); con l’anzidetto handling; con le «commissioni di portafoglio»; e con parecchie altre cose ancora.

6.- Rapporti nuovi e rapporti già in essere. – Il punto C2. delle attuali Istruzioni stabilisce che – se per i finanziamenti in apertura, su anticipi, di factoring e di credito revolving devono essere rilevati «tutti i rapporti intrattenuti nel trimestre» – per tutte le altre categorie vanno per contro rilevati «esclusivamente i nuovi rapporti di finanziamento accesi nel periodo di riferimento».

Quest’ultima parte delle prescrizioni vigenti – come afferente al mutuo et similia – non riesce, tuttavia, a convincere. Non si vede perché mai, in effetti, i tassi dei rapporti in essere non debbano comunque concorrere alla formazione dei TEGM anche per i trimestri successivi a quello dell’avvio del rapporto. E questo, per la verità, indipendentemente dall’eventualità che il tasso sia stato conformato come variabile o come fisso.

Da quest’angolo visuale, che il contratto di credito sia ricalcato sulla radice basica del mutuo (anche a s.a.l.) o su quella invece della rotatività (secondo il modello dell’apertura in c/c) non fa proprio differenza, secondo quanto parrebbero per contro stimare le citate Istruzioni[13]. Per loro natura, i contratti di credito tendono comunque a dipanare e a proiettare la loro efficacia rispetto a ciascuna cadenza temporale – frazione temporale, per frazione temporale – in cui è destinato a svilupparsi il relativo rapporto. Il contratto conchiuso oggi, di conseguenza, non viene a rimanere estraneo al mercato che andrà a svolgersi nel futuro (nei vari segmenti temporali in cui, per l’appunto, il rapporto è in concreto destinato a durare). Di sicuro, poi, un nuovo contratto di mutuo (aut similia) non va «fuori mercato» alla chiusura del suo primo trimestre di vita[14].

7. Clausole «parassita». – Un altro profilo da prendere in attenta considerazione concerne la crescente prassi di congegnare il carico economico dell’operazione fermando la misura degli interessi compensativi (e/o di quelli moratori) direttamente sul livello della soglia dell’usura (nel caso, sottraendo dal punto massimo un qualche spread).

Questa prassi operativa non può certo essere approvata; e dovrebbe, anzi, venire espressamente scoraggiata – e con forza – dalle Istruzioni per la rilevazione[15].

Si tratta, in effetti, di una clausola che coltiva l’ambizione di sottrarsi dal concorrere alla formazione dei prezzi del mercato; e di andare, bensì, a rimorchio dei risultati tempo per tempo raggiunti da quello (e per tale ragione, naturalmente, l’ho definita come espressiva di un’azione parassitaria).

Come si può agevolmente constatare, la situazione è assai diversa da quella prodotta da una semplice clausola c.d. di salvaguardia: in cui viene fissato un dato saggio, variabile come fisso e, per il caso questo tasso venga poi – nel procedere dello svolgimento del rapporto – a oltrepassare la soglia consentita, in prevenzione se ne stabilisce l’automatica riduzione sul limite del consentito[16]. Una clausola di quest’ultimo genere si preoccupa del futuro; quella parassitaria, per contro, intende solamente sfruttare il passato.

8. Rilievo dell’«applicato» (in quanto tale). – Ancora un’osservazione. Le attuali Istruzioni per le rilevazioni sembrerebbero privilegiare, nel loro complesso, l’angolo prospettico che è dato dal «patto» rispetto a quello prodotto dal «fatto»: cfr., in via segnata, il punto C2 («base di calcolo dei dati da segnalare»), dove si prevede la comunicazione solo delle variazioni delle «condizioni contrattuali relative a durata, importo erogato e tasso di interesse» (e pure di tutto il resto, che rileva direttamente per il profilo economico, è da presumere[17]). In effetti, quella dell’attenzione rivolta unicamente (o quasi) al patto è ottica molto diffusa nella letteratura dell’usura.

Quanto, per la verità, ottica per nulla convincente. La normativa della legge n. 108/1996 sembra assai chiara, in realtà, nel dare pari cittadinanza – e pari rilievo – tanto alla «promessa» di vantaggi usurari, quanto al fatto in sé stesso della «dazione» di vantaggi usurari. Così dando forza e corposità a una prospettiva sistematica tutt’altro che priva di altri riscontri: e si confronti, in tale direzione, la norma dell’art. 144 comma 3-bis TUB, dove l’«applicazione alla clientela di oneri non consentiti» è formalmente equiparata all’«inserimento nei contratti di clausole nulle».

Anche il caso della mera applicazione di interessi e oneri maggiori rispetto alla soglia integra, dunque, gli estremi del fatto di usura: con tutte le conseguenze, anche di ordine civilistico, che ne derivano[18]. E di tale circostanza – che in sé stessa si manifesta di importanza capitale (non solo sotto il profilo dommatico, ma pure sotto quello strettamente operativo) – le Istruzioni dovrebbero senz’altro recare traccia profonda. E, volendo, non solo in funzione delle segnalazioni che gli intermediari debbono effettuare, ma pure allo scopo (indiretto) di ricordare agli stessi l’effettiva realtà normativa della disciplina usuraria.

 

[1] Sia in tema di usura originaria, sia in tema di usura sopravvenuta: tra l’altro, lo squilibrio tra le rispettive soluzioni che attualmente propone il diritto vivente (riduzione a zero, nel primo caso; alla soglia massima del consentito, nel secondo) è talmente grosso da venire da sé solo a mostrare l’inefficienza del relativo sistema.

[2] Cfr. Plus24 – Il Sole 24 Ore, 30 maggio 2015, p. 13, Usura, Bankitalia torna solo in parte sui suoi passi, a firma di Ursino.

[3] Rivisitazione che peraltro dovrebbe pure comportare, sotto il profilo strutturale, un «inglobamento» – organico e coerente – delle FAQ in essere. E pure l’approfondimento del quesito se, per il futuro, sia opportuno avvalersi ancora di un simile metodo di «normazione»: in effetti, per loro propria natura, le FAQ danno vita a regole poco lineari e tendenzialmente asistematiche.

Sul tema delle FAQ v. ora anche Marcelli, nel suo intervento sul citato documento di consultazione della banca d’Italia, 30 aprile 2015.

[4] E cercando, altresì, rimanere nei limiti della mia competenza professionale, ché in effetti si tratta di una tema che sconta più, e tante, specializzazioni. Si pensi anche solo alla «metodologia di calcolo del TEG», di cui al punto C3. delle attuali Istruzioni.

[5] Che sono giudizi relativi all’eccessività della specifica e singola voce economica (qui, sub specie, del carico da inadempimento) e perciò cosa del tutto diversa dal riscontro della complessiva usurarietà del carico economico, di cui alla legge n. 108/1996.

[6] Per un riscontro immediato (e davvero di livello «clinico»), si può rinviare al peso (fino a pareggiare, talora, quello degli interessi compensativi) che le c.d. commissioni «bancarie» e/o «finanziarie» vengono a possedere nell’ambito dell’operatività della cessione del quinto.

[7] Per constatare la «materiale» impossibilità di tagliar fuori dai calcoli usurari gli oneri da inadempimento nonché quelli da risoluzione, basta leggere certe fattispecie concrete capitate al vaglio dell’ABF: che sono veramente impressionanti.

Per non appesantire il presente scritto, che intende rimanere rapido, rinvio al mio Rilevanza usuraria dell’anatocismo (con aggiunte note sulle clausola «da inadempimento»), in dirittobancario.it, 2015, gennaio, dove tra l’altro si descrivono (nota 3) le specie di cui ad ABF Napoli, n. 5018/2014; ABF Milano, n. 6210/2014; ABF Napoli, n. 5143/2014; ABF Napoli, n. 3685/2014.

[8] Sul tema v. ampiamente il mio Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, spec. p. 150 ss.

[9] Amplius in proposito il mio Alle soglie dell’usura: tra apertura, sconfinamento e «scoperti senza affidamenti», in IlCaso.it, 23 settembre 2013, dove pure la frase ritrascritta nel testo.

[10] Il Collegio di coordinamento dell’ABF (cfr., tra le altre decisioni, quella n. 1875/2014) assegna un valore «logico», e anzi para-ontologico, al c.d. «principio di simmetria» corrente tra i conti fatti dalle rilevazioni trimestrali e quelli da utilizzare per la verifica dell’eventuale usurarietà delle fattispecie concrete.

Come è agevole constatare, tuttavia, si tratta in realtà di una regola solo più relativa (e per vero pure, in fondo in fondo, non attendibile: non si è mai capito perché – nel caso di disformità tra dati delle rilevazioni e dati dei riscontri in concreto – il lato «zoppo» della regola non potrebbe stare nella particolare interpretazione della legge che sia data dall’Autorità amministrativa). Non v’è dubbio, pertanto, che tale regola sia – nel concorso di determinate circostanze – senz’altro superabile anche nel sistema vigente.

[11] Sul punto della forte esigenza di comunicare per voci disaggregate i dati medi rilevati v. sopra, n. 2.

[12] Dal punto di vista dell’usura, il fatto che l’anatocismo sia o meno vietato non è, di per sé, cosa particolarmente rilevante. Nel senso che l’operatività a vantaggio della nullità di protezione ex art. 127 TUB fa sì che il giudizio di verifica usuraria si svolga prima (cioè indipendentemente) da quello sulla (in)validità delle clausole relative al complesso dell’onere economico caricato sul cliente.

Su questo tema v. ora Girolami, Azzeramento di ogni remunerazione a favore della banca o mera cancellazione della clausola che porta al superamento del tasso soglia del TEG?, di prossima pubblicazione su Banca, borsa, tit. cred. in nota critica all’intervento del Collegio di coordinamento ABF, n. 4838/2014, che in effetti mostra di essere del tutto digiuno delle peculiari caratteristiche proprie della nullità di protezione.

[13] Non a caso la Comunicazione della Banca d’Italia 3 luglio 2013, (Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura) – se afferma che gli oneri economici relativi ai «finanziamenti a utilizzo flessibile» (quelli appunto imperniati sul ceppo dell’aperura in conto corrente) sono «sensibili alle variazioni di mercato, fermo restando quanto disposto dalla legge in tema di variazioni contrattuali unilaterali» – tace affatto a proposito dei finanziamento che hanno ceppo nel mutuo.

Il punto, naturalmente, rimbalza anche sul versante che è proprio della c.d. usura sopravvenuta.

[14] Cfr. Giampiccolo, Comodato e mutuo, nel Tratt. dir. civ. diretto da Grosso e Santoro-Passarelli, Milano, 1972, p. 85 s.: «qualunque corrispettivo» del contratto di credito «quando pur fosse inglobato in un’unica prestazione , dovrà intendersi sempre commisurato alla prevista durata del prestito».

Sul tema tratta nel testo v. amplius il mio Problemi dell’usura: sul perimetro del carico economico rilevante, in Dir. banca, 2014, I, p. 694 ss.

[15] In questa direzione v. già Marcelli, nel suo citato intervento, che discorre di un utilizzo di clausole «contrario allo spirito della legge».

Del resto, la stessa Banca d’Italia ha già giudicato severamente – con specifico riferimento all’operatività della cessione del quinto –l’ «orientamento [di] alcuni intermediari [di] determinare il costo del finanziamento in maniera del tutto scollegata da ogni valutazione in merito alla qualità creditizia dei debitori, sottraendo una prestabilita quota percentuale (ad esempio uno per cento) dal tasso soglia dell’usura; meccanismo questo che non rispecchia appropriate pratiche di pricing dei finanziamenti».

[16] Il problema dato da quest’altra tipologia di clausole attiene all’accertamento dell’effettività e della tempestività (non appena la soglia è passata, non già, per dire, a fine trimestre) della riduzione (nella prativa chiamata anche «cimatura»). A quanto sembra, molti giudici si accontentano, improvvidamente, della mera esistenza senza procedere ad alcuna sorta di verifica.

[17] Come, peraltro, non sarebbe per nulla inopportuno venisse sancito in modo espresso.

[18] Quale, nel caso, quella dell’eliminazione degli oneri economici ex art. 1815. Il punto richiede peraltro una piccola illustrazione, anche a integrazione di quanto rilevato nella precedente nota 12.

Per sé, l’applicazione concreta da parte dell’intermediario di oneri usurari troverebbe nell’ordinamento – nell’ipotesi si tratti di applicazione non supportata da nessun patto materiale – la risposta della condictio indebiti di cui all’art. 2033 c.c.; così come ugualmente dovrebbe essere nel caso di clausola nulla per ragioni diverse da quelle usurarie. Sta in fatto, però, che la nullità da usura dà vita a una nullità di protezione ex art. 127 TUB (che opera a vantaggio del cliente, cioè): sì che la riscontrata sussistenza in concreto di un fatto usurario (secondo la scelta «a vantaggio» operata appunto dalla posizione del cliente) viene ad assorbire in sé stessa – a ricomprendere strutturalmente nel proprio corpo, si potrebbe anche dire – ogni altro eventuale vizio di fattispecie.

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