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Regole di vigilanza prudenziale comuni al mondo TUB e al mondo TUF: il conflitto di interessi degli amministratori nel decreto di attuazione della direttiva UE CRD IV e del regolamento UE 525 del 2013

29 Luglio 2015

Daniele Maffeis, Ordinario di Diritto Privato nell’Università di Brescia

1.-Premessa.

Nel presente scritto illustro l’opinione secondo cui il conflitto di interessi degli amministratori di banca e degli intermediari finanziari, a seguito dell’entrata in vigore del d. lgs. 72/2015, di attuazione della direttiva CRD IV, si articola nei seguenti precetti:

i) l’amministratore deve dare notizia al consiglio ed al collegio sindacale, in persona del presidente, di qualsiasi interesse del quale egli sia portatore, per conto proprio o di terzi, in relazione alla delibera da discutere e da mettere al voto, anche se egli valuta che l’interesse non sia in conflitto con l’interesse sociale, e ciò in forza del testuale richiamo del disposto dell’art. 2391, comma 1 cod. civ., il quale richiede all’amministratore di dare notizia di <<ogni>> interesse;

ii) tuttavia, l’amministratore, che ha dato notizia dell’interesse, anche se non <<in conflitto>> con quello della società, deve, poi, astenersi – sia dalla discussione, sia dal voto – soltanto se egli valuta che l’interesse, del quale ha dato notizia, sia effettivamente <<in conflitto>> con l’interesse sociale e soltanto in tal caso – cioè, se egli si astiene perché valuta che l’intesse sia <<in conflitto>> – la delibera del consiglio di amministrazione, in quanto adottata con l’astensione dell’amministratore interessato, non deve essere adeguatamente motivata ai sensi dell’art. 2391, comma 2 cod. civ.;

iii) se, invece, valuta che l’interesse, del quale ha dato notizia, non sia in conflitto con l’interesse sociale, l’amministratore può non astenersi, bensì discutere – se crede – e votare, ed in tal caso la delibera del consiglio di amministrazione, in quanto adottata con la partecipazione dell’amministratore interessato, deve essere adeguatamente motivata, ai sensi dell’art. 2391, comma 2 cod. civ.; questa distinzione tra le ipotesi (ii) e (iii) è sorretta da argomenti sistematici ma, innanzitutto, è la conseguenza del testuale disposto della disciplina recata, sul punto, dal d. lgs. n. 72/2015 che sostituisce il comma 4 dell’art. 53 TUB;

iv) sia la violazione dell’obbligo di dare notizia di <<ogni>> interesse, sia la violazione dell’obbligo di astensione, in presenza di una situazione di conflitto di interessi, comportano l’impugnabilità della deliberazione del consiglio di amministrazione di banca e del soggetto abilitato, ai sensi dell’art. 2391, comma 3 cod. civ., e ciò alla condizione che ricorra il requisito del danno potenziale per l’interesse sociale (e così se la delibera, per come adottata ed anche se non ancora attuata, è in contrasto con l’interesse sociale);

v) la violazione del dovere di trasparenza, e del dovere di astensione, quando sussistente, può contribuire a comportare, per l’amministratore interessato e per l’intero consiglio di amministrazione, la conseguenza che la Banca d’Italia può, inter alia, disporne la rimozione, qualora la permanenza in carica sia di pregiudizio per la <<sana e prudente gestione>> della banca o dell’intermediario finanziario.

2.-Le nuove disposizioni.

L’art. 3, comma 1, lett. f) della legge delega n. 154 del 7 ottobre 2014 prevedeva che <<Nell’esercizio della delega per l’attuazione della direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del  Consiglio,  del  26 giugno 2013, il Governo è tenuto a seguire, oltre  ai  principi  e  criteri direttivi di cui all’articolo 1,  comma  1,  in  quanto  compatibili, anche i seguenti principi e criteri direttivi specifici: (…) al fine di assicurare l’efficace recepimento  della  direttiva 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 575/2013 nonché di rafforzare i presidi relativi ai conflitti di interessi  degli  intermediari  e  a tutela delle  esigenze  di  trasparenza  e  correttezza  sostanziale, stabilire a carico dei soci e degli amministratori degli intermediari l’obbligo  di  astenersi  dalle  deliberazioni  in  cui  abbiano   un interesse in conflitto>> [1].

Peculiare rilievo assume, nella prospettiva della disciplina del conflitto di interessi, il riferimento, contenuto nella legge delega, alla cura <<sostanziale>> dell’interesse sociale, che assume un significato pregnante, nell’intenzione dichiarata del legislatore delegante, per segnare un distacco da una visione squisitamente procedimentale del conflitto di interessi degli amministratori, che tuttavia, come evidenzierò tra poco, potrebbe rivelarsi, oggi nel caso in esame, più apparente che reale, atteso che la disciplina recata in attuazione della legge delega n. 154 del 2014 è largamente ispirata proprio ad una visione procedimentale della disciplina del conflitto di interessi, che non necessariamente garantisce la cura <<sostanziale>> dell’interesse protetto.

Dunque, il d. lgs. 12 maggio 2015, n. 72, attuativo della direttiva 2013/36/UE, c.d. CRD IV [2], ha modificato la disciplina del conflitto di interessi degli amministratori di banca e dei soggetti abilitati alla prestazione dei servizi di investimento – gli intermediari finanziari – , che si articola, come è noto, a livello di fonte primaria, nelle due discipline, quella civilistica dell’art. 2391 cod. civ. (la disciplina generale della situazione di conflitto di interessi) e quella penalistica dell’art. 136 TUB (la disciplina, anch’essa modificata dal d. lgs. n. 72 del 2015, di una ben precisa situazione di conflitto di interessi, che riguarda le <obbligazioni degli esponenti bancari>>, e che richiama espressamente il rispetto della disciplina generale dell’art. 2391).

L’art. 53, comma 4 del TUB prevede ora, per gli amministratori di banca, che essi, <<fermi restando gli obblighi previsti dall’art. 2391, primo comma, del codice civile, si astengono dalle deliberazioni in cui abbiano un interesse in conflitto, per conto proprio o di terzi>>.

Con identica previsione, l’art. 6, comma 2 – novies del TUF prevede ora, per gli amministratori dei soggetti abilitati alla prestazione di servizi di investimento, che essi, <<fermi restando gli obblighi previsti dall’art. 2391, primo comma, del codice civile, si astengono dalle deliberazioni in cui abbiano un interesse in conflitto, per conto proprio o di terzi>>.

La disciplina richiama dapprima <<gli obblighi previsti dall’art. 2391, primo comma, del codice civile>>, e,poi, prevede che gli amministratori <<si astengono dalle deliberazioni in cui abbiano un interesse in conflitto, per conto proprio o di terzi>>.

L’art. 2391 cod. civ., come è noto, prevede, per gli amministratori di società per azioni, che <<L’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata>>.

L’esegesi della nuova disciplina, che, come si vedrà, non sembra del tutto lineare e scontata, può giovarsi di una breve premessa sui modelli di disciplina del conflitto di interessi, proprio per vagliare se, e come, i <<presidi relativi ai conflitti di interessi degli intermediari>>, nelle parole della legge delega, effettivamente garantiscano <<la tutela delle esigenze di trasparenza e correttezza sostanziale>>.

3.-Il modello della trasparenza seguita dall’astensione.

Il modello della trasparenza è sempre strumentale ad un operato informato e consapevole del consiglio di amministrazione.

Tuttavia, il modello della trasparenza è poi compatibile con modelli di comportamento successivo, da parte dell’amministratore interessato, e con modelli di disciplina dei requisiti contenutistici della delibera da adottare, antitetici: da un lato, esso è compatibile con un modello di disciplina in cui l’amministratore in conflitto, una volta data notizia dell’interesse di cui è portatore, debba astenersi, senza che la delibera debba contenere alcuna specifica motivazione sulle ragioni della sua adozione e sulla sua rispondenza sostanziale all’interesse sociale  – come accadeva, sebbene su presupposti assai diversi da quelli attuali, nella vigenza del testo dell’art. 2391 cod. civ. precedente alla riforma di cui al d. lgs. n. 6 del 2003 [3] –, dall’altro lato, esso è compatibile con un modello di disciplina del tutto opposto in cui, al contrario, una volta data notizia dell’interesse di cui è portatore, l’amministratore possa votare [4] e la delibera debba motivare sulle ragioni della sua adozione e sulla sua rispondenza sostanziale all’interesse sociale. Primo modello: abstain. Secondo, alternativo modello:disclose.

Secondo l’opinione nettamente dominante in dottrina – e in assenza di sentenze edite sul punto – l’amministratore di società per azioni, alla stregua dell’art. 2391 cod. civ., nel testo vigente successivo alla riforma delle società del 2003, dopo avere adempiuto agli obblighi di dare notizia di <<ogni>> interesse di cui sia portatore, per conto proprio o di terzi [5], può partecipare alla deliberazione, sia nel senso che può partecipare alla discussione, sia nel senso che può votare [6].

La ratio consiste nel garantire che tutti gli amministratori, diversi dall’amministratore interessato, partecipando alla discussione e al voto, siano ugualmente informati che la deliberazione può incidere sull’interesse di cui quell’amministratore è portatore, per conto proprio o di terzi. E, a tal fine, non occorre che l’amministratore interessato si astenga.

Si è trattato della novità più significativa della riforma dell’art. 2391 cod. civ. operata dal d. lgs. n. 6 del 2003 [7].

Oggi, la disciplina del conflitto di interessi degli amministratori di banca e degli intermediari finanziari supera l’alternativa, accolta con la riforma del 2003 per gli amministratori di società per azioni, tra modello dell’astensione e modello della trasparenza e, come emerge già ad una prima lettura, cumula i due modelli, andando ben oltre il cumulo generico di cui al testo dell’art. 2391 vigente prima del. d. lgs. n. 6 del 2003, e così dando vita ad un nuovo modello [8]: il modello, diremmo, della trasparenza analitica seguita dall’astensione, non più disclose or abstain, ma del disclose and abstain.

La ratio del divieto di partecipare alla discussione ed al voto risiede nel prevenire il pericolo che, partecipando alla discussione, l’amministratore interessato possa incidere sulla raffigurazione dell’interesse sociale, cui egli stesso e gli altri amministratori sono chiamati [9].

Senonché, bisogna subito andare oltre una semplice prima lettura, perché, come emerge inequivocabilmente dal testo della nuova disciplina, il presupposto di applicazione dell’art. 53, comma 4 come introdotto in attuazione della direttiva CRD IV, presenta profili di complessità e di potenziale incoerenza linearità del legislatore – una incoerenza, che è sempre compito dell’interprete tentare di superare – e ciò perché, mentre l’art. 2391, comma 1 cod. civ., testualmente richiamato, prevede l’obbligo di dare notizia di <<ogni>> interesse, per conto proprio o di terzi, quindi anche di un interesse non in conflitto – come testimoniato dalla rubrica e dal testo dell’articolo e dalla lettura unanime fornita in questo decennio dalla dottrina [10]– invece l’art. 53, comma 4, dopo avere richiamato l’art. 2391, comma 1 cod. civ., dispone che gli amministratori si astengono quando hanno un interesse <<in conflitto>>, per conto proprio o di terzi, con quello della società.

A mio avviso, non vi è ragione per superare il dato testuale, che può spiegarsi, perché l’astensione – com’era sotto il testo dell’art. 2391 cod. civ. precedente alla riforma del 2003, e com’è in molti altri modelli di disciplina del conflitto di interessi – si giustifica soltanto se l’interesse è in conflitto con quello della società, e così se sussiste una situazione di conflitto di interessi, con il conseguente pericolo che l’amministratore, discutendo e votando, agisca in conflitto di interessi, perseguendo l’interesse in conflitto con quello della società. La valutazione circa la sussistenza della situazione di conflitto, che obbliga ad astenersi, va fatta ex ante ed è, necessariamente, rimessa allo stesso amministratore interessato.

Del resto, la pluralità di nozioni di conflitto di interessi non è una novità nell’ordinamento e non è di per sé un dato negativo [11]- al più l’espressione può essere univoca se riferita ad una possibile categoria ordinante cui assegnare valore conoscitivo [12]–, a patto che l’interprete ricostruisca un precetto univoco, così sfuggendo all’errore di considerare il conflitto di interessi una clausola generale, o un princìpio, magari extragiuridico [13]: ciò che, nel nostro ordinamento, il conflitto di interessi non è [14] e non è neppure per gli amministratori di banca e dell’intermediario finanziario.

4.-Spunti critici sul modello della trasparenza seguita dall’astensione.

Non è detto che l’interpretazione qui proposta, ove considerata non implausibile, conduca effettivamente l’amministratore a distinguere tra mero interesse nella deliberazione e interesse in conflitto, e ciò al fine di dare bensì la <<notizia>>, ma poi di votare. La sottigliezza della distinzione nei casi concreti potrebbe costituire un rilevante disincentivo.

Tuttavia, almeno sulla carta esistono valide ragioni perché la nuova disciplina sia interpretata in senso letterale (sottolineo, in senso letterale, non restrittivo), perché la distinzione è testuale.

Può considerarsi al riguardo che vietare all’amministratore, che si trova in una situazione di conflitto di interessi, di partecipare alla deliberazione, e al voto, ha bensì l’effetto di prevenire il pericolo che, partecipando alla discussione, l’amministratore interessato voti contro l’interesse sociale ed influenzi il convincimento degli altri, ma ha, altresì, l’effetto di privare il consiglio di amministrazione del contributo, che si presume utile, di un suo amministratore, e ciò quando gli altri amministratori sono stati informati, e quindi dovrebbero essere consapevoli, di <<natura, termini, origine e portata>> dell’interesse del loro collega e quando egli ha valutato ex ante che un conflitto non sussista.

Come anticipato in apertura, la convinzione che la procedimentalizzazione delle situazioni di conflitto di interessi costituisca la via migliore, per assicurare che l’interesse in conflitto non incida sull’atto, non è sempre fondata [15].  Perché, nella materia del conflitto di interessi, il precetto di non agire in conflitto di interessi – e più in generale la disciplina di una qualsiasi situazione di conflitto di interessi – è sempre un precetto ancillare al precetto che obbliga ad agire, nella sostanza, nell’interesse: la disciplina del conflitto di interessi è un mezzo, non è il fine.

Si ha una riprova di ciò se si considera che, nel panorama giurisprudenziale, numerose sentenze condannano l’amministratore al risarcimento del danno per avere approvato atti svantaggiosi per la società – perché incisi da un interesse in conflitto -, mentre sono rarissime, quasi inesistenti le sentenze che annullano una delibera del consiglio di amministrazione per conflitto di interessi. Il dato è significativo [16]: le sentenze che condannano l’amministratore al risarcimento del danno non condannano per aver agito in situazioni di conflitto di interessi, ma per avere agito contro l’interesse della società. Non sono sentenze sul precetto ancillare – la disciplina del conflitto di interessi – ma sono sentenze sul precetto primario – l’obbligo di agire, nella sostanza, nell’interesse –, com’è dimostrato dalla constatazione che la condanna dell’amministratore presuppone un danno e il danno presuppone la contrarietà, del risultato dell’atto, all’interesse sociale, che non è più grave o meno grave per il fatto di dipendere, o meno, dall’incidenza di un interesse in conflitto, piuttosto che della semplice mancanza della diligenza professionale.

La Corte di cassazione, non a caso, interpreta la disposizione dell’art. 2392 cod. civ., laddove si riferisce alla <<diligenza richiesta dalla natura dell’incarico>> [17], nel senso di indentificare in essa il dovere primario dell’amministratore di agire nell’interesse – nelle parole della Corte Suprema: <<considerare gli interessi della società (…) amministrata>> – e di ricondurre all’art. 2392 cod. civ., e non all’art. 2391 cod. civ., la responsabilità dell’amministratore per avere <<valorizza(to) nel (contratto)interessi di cui era portatrice la controparte>> e cioè un caso, lampante, di risultato dell’azione in conflitto di interessi. A dimostrazione, appunto, che l’amministratore risponde per la contrarietà dell’atto all’interesse della società (conflitto di interessi, inteso come risultato dell’azione), non perché abbia agito in situazione di conflitto di interessi (conflitto di interessi, inteso come situazione). Esemplare, in tal senso, anche l’altra affermazione della Corte di cassazione, che, chiamata a statuire se l’art. 2391 cod. civ. debba interpretarsi nel senso che l’amministratore che si trova in situazione di conflitto di interessi risponda dei danni verso la società, ha chiarito che <<Il punto di diritto non è stabilire se l’amministratore che abbia agito in conflitto di interessi con la società debba rispondere dei danni a questa causati (del che nessuno dubita); ma è la ben diversa questione di stabilire se mero accertamento del conflitto di interessi, anche in assenza della prova del danno, basti ex se a pronunciare una sentenza di condanna>> [18].

Oggi, l’inconveniente dell’adozione incondizionata di un modello procedimentalizzato, che imponga l’astensione, in presenza di un mero <<interesse>> anche non in conflitto,  non sarebbe soltanto, da una prospettiva, quello di appesantire lo svolgimento delle riunioni del consiglio di amministrazione [19], ma sarebbe anche, da altra prospettiva, quello di indurre, ex post, il giudice ordinario, o la stessa Banca d’Italia, a presumere, secondo il metodo della inferenza probabilistica, che, siccome l’amministratore interessato ha dato compiuta notizia dell’interesse, e si è anche astenuto, l’atto non sia inciso dall’interesse in conflitto e, comunque, non sia contrario all’interesse sociale. Una presunzione che può comunque essere smentita nei casi in cui l’atto compiuto in una situazione di conflitto di interessi di uno, o più amministratori, sia perfettamente rispondente all’interesse sociale, ricostruito alla stregua della business judgement rule [20] oppure sia contrario all’interesse sociale – da valutarsi sempre alla stregua della business judgement rule – per una ragione diversa dall’incidenza di un interesse in conflitto.

5.-Invalidità e responsabilità.

5.1.-Invalidità: in particolare, il limitato ambito di operatività del requisito contenutistico dell’adeguata motivazione della delibera ed il presupposto della contrarietà all’interesse sociale per l’impugnativa della delibera.

La disposizione del nuovo art. 53, comma 4 TUB, secondo cui restano <<fermi (…) gli obblighi previsti dall’art. 2391, primo comma, del codice civile>>, impone innanzitutto di verificare se, al conflitto di interessi degli amministratori di banca e dei soggetti abilitati, si applichino i restanti commi dell’art. 2391 cod. civ., ancorché non richiamati espressamente dal legislatore.

Conviene affrontare partitamente i commi successivi dell’art. 2391.

5.1.1.-Il requisito dell’adeguata motivazione.

Il comma 2 prevede che <<Nei casi previsti dal precedente comma (il comma 1, appunto)la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione>>.

Se l’amministratore interessato, ritenuto che il suo interesse non sia in conflitto, partecipa alla discussione e al voto, sussiste a mio avviso l’obbligo di motivazione, sancito dal comma 2 dell’art. 2391, perché la motivazione agevola il controllo ex post, da parte del giudice, e comunque dei soci e dei terzi, e della Banca d’Italia, circa l’incidenza sulla deliberazione dell’interesse dell’amministratore [21], tale da rendere la deliberazione contraria all’interesse sociale, per l’incidenza dell’interesse in conflitto, secondo un giudizio probabilistico [22].

Il punto è se il consiglio, informato dell’interesse in conflitto, nei casi in cui l’amministratore interessato, avendo valutato che l’interesse del quale è portatore per conto proprio o di terzi sia in conflitto, si astiene dal discutere e votare, debba <<adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione>>.

A mio avviso, proprio perché la ratio dell’obbligo di motivare è di agevolare il controllo ex post, il fatto che l’amministratore di banca e dei soggetti abilitati si astenga dalla deliberazione elimina in radice il pericolo che il suo interesse incida sulla deliberazione [23] e quindi elimina in radice la ratio dell’applicazione del comma 2. Nel caso dell’amministratore che siede in consiglio, si tratta di evitare che l’interesse della società sia pregiudicato dall’incidenza, sulla deliberazione, dell’interesse dell’amministratore medesimo. Ma una volta che dell’esistenza e della consistenza di questo interesse siano compiutamente informati gli altri amministratori, oltre al collegio sindacale, il pericolo non è più quello che l’amministratore interessato voti contro l’interesse della società, bensì è quello che gli altri amministratori votino contro l’interesse della società. Se ad incidere sulla deliberazione è quell’interesse, veicolato dal voto di un altro amministratore, significa che questo altro amministratore aveva un interesse in conflitto per conto di terzi (cioè per conto dell’amministratore interessato) o per conto proprio (in funzione del vantaggio dell’amministratore originariamente interessato), sicché non sorge l’obbligo di motivazione – e quindi non si pone un problema di applicazione del comma 2 dell’art. 2391 cod. civ. –, bensì sorge, prima, l’obbligo di astensione del secondo amministratore che si fa portatore, per conto terzi, dell’interesse del primo – e il problema che per lui si ripropone è l’applicazione, testualmente sancita, del comma 1 dell’art. 2391 cod. civ. –.

5.1.2.-Il presupposto della contrarietà all’interesse sociale per l’impugnativa della delibera.

Il comma 3 dell’art. 2391 cod. civ. prevede che <<Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due precedenti commi del presente articolo ovvero nel caso di deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con il voto determinante dell’amministratore interessato, le deliberazioni medesime, qualora possano recare danno alla società, possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro data; l’impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di informazione previsti dal primo comma. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione>>.

Si tratta della disposizione che disciplina l’invalidità della deliberazione e che, nella parte in cui si riferisce all’inosservanza del comma 2, è inapplicabile agli amministratori di banca e dei soggetti abilitati, quando il comma 2 non si applica perché l’amministratore interessato non ha partecipato alla deliberazione. Quanto alla parte in cui si riferisce alle <<deliberazioni (…) adottate con il voto determinante dell’amministratore interessato>>, la disposizione è applicabile, sia quando l’amministratore ha partecipato alla deliberazione potendolo fare sia quando ha partecipato alla deliberazione, mentre avrebbe dovuto astenersi. Nel primo caso la sequenza è quella consueta del modello introdotto nel 2003 (l’amministratore interessato può discutere e votare, e lo fa, ma l’interesse in conflitto incide sulla delibera e il suo voto è determinante) mentre, nel secondo caso, la sequenza è quella consueta del modello precedente alla riforma del 2003 (l’amministratore interessato non può partecipare, ma lo fa, l’interesse in conflitto incide sulla delibera e il suo voto è determinante).

Resta la parte della disposizione che si riferisce all’inosservanza del comma 1, e così alla violazione dell’obbligo di dare notizia di <<ogni>> interesse. Al riguardo, sembra preferibile l’applicazione dell’art. 2391, comma 3 cod. civ. – che richiede che la deliberazione <<possa recare danno alla società>> – all’applicazione dell’art. 2388, comma 4 cod. civ. – che presuppone la sola <<non (…) conformità alla legge>>, certamente sussistente se l’amministratore di banca viola l’art. 53, comma 4 del TUB e se l’amministratore del soggetto abilitato viola l’art. 6, comma 2 – novies del TUF –.

5.2.Responsabilità.

Si applica il comma 4 dell’art. 2391 cod. civ., il quale dispone che <<L’amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione>>, e che ricalca i princìpi.

6.-Il conflitto di interessi e la vigilanza prudenziale.

È uno dei pilastri della legge delega n. 154 del 2014 – art. 3 lett. e) – quello di <<attribuire alla Banca d’Italia il potere di rimuovere gli esponenti aziendali degli intermediari quando la loro permanenza in carica sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione>>

Poiché banche e soggetti abilitati, a differenza delle altre società per azioni, sono bensì imprese, ma sono soggette al potere normativo della Banca d’Italia [24] ed alla vigilanza prudenziale [25] – proprio quella che il d. lgs. n. 72 del 2015 rafforza e che può qualificare la banca come <<ufficio di diritto privato>> [26] o come impresa soggetta a <<imprenditorialità vigilata>> [27]  in vista del <<bene giuridico prioritario da tutelare affinché sia conservata la struttura stessa del mercato ai sensi dell’art. 41, comma 1 Cost.>> [28] –, la violazione del dovere di trasparenza, e del dovere di astensione – indipendentemente dalle conseguenze civilistiche, in termini di validità o di responsabilità, di cui si è detto al paragrafo che precede, e sulle quali è competente a pronunciarsi il giudice ordinario – assoggetta non soltanto l’amministratore interessato, ma anche l’intero consiglio di amministrazione, al potere di intervento disciplinato dall’art. 53 – bis del d. lgs. n. 72 del 2015 che in particolare, al comma 1, lettera e), dispone che <<La Banca d’Italia può disporre, qualora la loro permanenza in carica sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione della banca, la rimozione di uno o più esponenti aziendali>> nonché, inter alia, al potere di rimozione collettiva di cui all’art. 70 – bis secondo cui <<La Banca d’Italia può disporre la rimozione di tutti i componenti degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche (…) quando ricorrano gravi irregolarità nell’amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l’attività della banca>>.Quanto ai soggetti abilitati, l’art. 7, comma 2 – bis del TUF dispone che <<La Banca d’Italia può disporre la rimozione di uno o più esponenti aziendali di Sim, società di gestione del risparmio, Sicav e Sicaf, qualora la loro permanenza in carica sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione del soggetto abilitato >>.

7.-Conflitto di interessi in concreto e condizioni e limiti per l’assunzione delle attività di rischio.

Un potere significativo della Banca d’Italia è previsto nella parte finale dell’art. 53, comma 4 TUF, laddove è disposto che <<Ove verifichi in concreto l’esistenza di situazioni di conflitto di interessi, la Banca d’Italia può stabilire condizioni e limiti specifici per l’assunzione delle attività di rischio>> e ciò con riferimento alla previsione, di cui alla prima parte del medesimo comma 4, secondo cui <<La Banca d’Italia disciplina condizioni e limiti per l’assunzione, da parte delle banche o dei gruppi bancari, di attività di rischio nei confronti di coloro che possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza sulla gestione della banca o del gruppo bancario nonché dei soggetti a esso collegati>>.

La <<situazione>> di conflitto di interessi <<in concreto>> non va confusa con l’azione in conflitto di interessi che presupporrebbe che l’operazione sia già stata deliberata. Né va confusa con il risultato dell’azione in conflitto di interessi, che presupporrebbe che si possa apprezzare ex post l’incidenza dell’interesse in conflitto sul perseguimento dell’interesse sociale e quindi presupporrebbe che l’operazione sia già stata attuata.

Certo non è escluso che la Banca d’Italia possa intervenire anche quando l’operazione sia già stata deliberata o ne sia già stata intrapresa l’attuazione, ma di norma la Banca d’Italia interviene nella <<situazione di conflitto di interessi in concreto>> e così quando, ad una valutazione ex ante, e cioè prima della stessa discussione e del voto, essa ravvisi non già il semplice sospetto circa la presenza, in capo ad uno o più amministratori, di un interesse in conflitto, bensì ravvisi che un interesse, in capo ad uno o più amministratori, effettivamente sussiste  e che non si tratta di un interesse qualsiasi (<<ogni>> interesse), ma si tratta di un interesse <<in conflitto>>.

8.-La particolare fattispecie tipizzata di conflitto di interessi e la sanzione penale.

Il nuovo testo dell’art. 136 TUB dispone che <<Chi svolge funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso una banca non può contrarre obbligazioni di qualsiasi natura o compiere atti di compravendita, direttamente od indirettamente, con la banca che amministra, dirige o controlla, se non previa deliberazione dell’organo di amministrazione presa all’unanimità con l’esclusione del voto dell’esponente interessato e col voto favorevole di tutti i componenti dell’organo di controllo, fermi restando gli obblighi previsti dal codice civile in materia di interessi degli amministratori e di operazioni con parti correlate (…)>> [29].

Si tratta di una tipica fattispecie in cui il conflitto di interessi non è la fattispecie, ma la ratio di un espresso divieto, motivato alla struttura della fattispecie – tipico esempio nella materia dei contratti è il contratto con se stesso disciplinato dall’art. 1395 cod. civ. – sicché l’obbligo di astensione, penalmente sanzionato, non presuppone alcuna valutazione circa la sussistenza o meno di una situazione di conflitto. L’amministratore interessato darà notizia del suo interesse, nei termini analitici imposti dall’ar.t 2391 cod. civ. [30], si asterrà e la deliberazione dovrà essere motivata, in applicazione del comma 2 dell’art. 2391 cod. civ., come testualmente imposto dalla disposizione (<<fermi restando gli obblighi previsti dal codice civile in materia di interessi degli amministratori>>).

 

[1] Il conflitto di interessi dell’amministratore ed il conflitto di interessi del socio possono essere destinatari di una disciplina ispirata ad uno stesso modello – la trasparenza; l’astensione – ma sono fenomeni diversi. Pertanto, è singolare che le disposizioni del d. lgs. n. 72 del 2015, che introducono lart. 53, comma 4 del TUB e l’art. 6, comma 2 – novies del TUF, accomunino soci ed amministratori prevedendo che <<I soci e gli amministratori (…) si astengono>> (quanto ai soli amministratori, <<fermi restando gli obblighi previsti dall’art. 2391, primo comma, del codice civile>>). Questa singolarità suggerisce all’interprete che il descritto modello della trasparenza seguita dall’astensione sia nato un po’ per caso: per la volontà di dettare la regola dell’astensione, trascurando se essa sia preceduta – come accade agli amministratori – dall’obbligo di dare notizia dell’interesse, o – come accade al socio – non lo sia.

[2] In materia V. Calandra Buonaura, Il ruolo dell’organo di supervisione strategica e dell’organo di gestione nelle Disposizioni di vigilanza sulla corporate governance e sui sistemi di controllo interno delle banche, in Banca impr. soc., 2015, I, pag. 19; L. Ardizzone, Il ruolo del presidente della società bancaria, in Riv. soc., 2014, pag. 1308; F. Accettella, L’accordo di Basilea III: contesti e processo di recepimento all’interno del diritto dell’UE, in Banca borsa tit. cred., 2013, pag. 494.

[3] La vecchia disciplina dell’art. 2391 cod. civ., rubricata <<Conflitto d’interessi>>, così disponeva: <<L’amministratore, che in una determinata operazione ha, per conto proprio o di terzi, interesse in conflitto con quello della società, deve darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, e deve astenersi dal partecipare alle deliberazioni riguardanti l’operazione stessa. In caso d’inosservanza, l’amministratore risponde delle perdite che siano derivate alla società dal compimento dell’operazione. La deliberazione del consiglio, qualora possa recare danno alla società, può, entro tre mesi dalla sua data, essere impugnata dagli amministratori assenti o dissenzienti e dai sindaci se, senza il voto dell’amministratore che doveva astenersi, non si sarebbe raggiunta la maggioranza richiesta. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione>>.

[4] D. Maffeis, Il nuovo conflitto di interessi degli amministratori di società per azioni  e di società a responsabilità limitata: (alcune) prime osservazioni, in Riv. dir. priv., 2003, pag.  521.

[5] Già D. Maffeis, Il “particolare rigore” della disciplina del conflitto di interessi nelle deliberazioni del consiglio di amministrazione di società di capitali, in Riv. dir. comm., 2004, pag. 1061. Adde G. Zamperetti, Il «nuovo» conflitto di interessi degli amministratori di s.p.a.: profili sparsi di fattispecie e di disciplina, in Società, 2005, pag. 1085; M. Lembo, L’articolo 136 del t.u.b. dopo l’adozione della nuova disciplina delle operazioni con parti correlate. Brevi riflessioni anche in relazione al riformato articolo 53 del t.u.b ed alla recentissima disciplina dei “soggetti collegati”, in dirittobancario.it, 2012, pag. 7. Da ultimo L. Enriques, sub art. 2391, in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Delle società – Dell’azienda – Della concorrenza, Torino, 2015, pag. 336.

[6] L. Enriques, sub art. 2391, cit., pag. 338; M. Lembo, L’articolo 136 del t.u.b., cit., pag. 8; M. Franzoni, Società per azioni, in Commentario Scialoja-Branca a cura di F. Galgano, Bologna – Roma, 2008, pag. 397; G. Minervini, Gli interessi degli amministratori di s.p.a., in Giur. comm., 2006, I, pagg. 149 e 160; P. Ferro Luzzi, Dal conflitto di interessi agli interessi degli amministratori. Profili di sistema, in Riv. dir. comm., 2006, pag. 674; F. Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, pag. 120; F. Galgano, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, 2003, pag. 261; N. Salanitro, Gli interessi degli amministratori nelle società di capitali, in Riv.soc., 2003, pag. 51; V. Salafia, Amministrazione e controllo delle società di capitali nella recente riforma societaria, in Società, 2002, pag. 1468; S. Ambrosini, Appunti in tema di amministrazione e controlli nella riforma delle società, in Società., 2003, pag. 355; D. Maffeis, Il nuovo conflitto di interessi, cit., pag.  517 e Id., Il conflitto di interessi nel contratto dell’amministratore di società per azioni, in Contratti, 2006, 440. Il legislatore delegato non ha raccolto l’invito rivoltogli dalle Commissioni riunite II (Giustizia) e VI (Finanze) della Camera dei deputati in data 12 dicembre 2002, le quali avevano individuato quale punto critico proprio quello dell’obbligo di astensione e per conseguenza, in sede di parere favorevole, avevano posto la condizione che il Governo valutasse <<l’opportunità di mantenere la previsione dell’obbligo, contenuto nella vigente formulazione dell’articolo 2391, per gli amministratori non delegati, di astenersi dalle deliberazioni riguardanti operazioni societarie nel caso di sussistenza di interessi personali nell’operazione>>. Contra, per la permanente vigenza, nel regime attuale dell’art. 2391 cod. civ., dell’obbligo di astensione, G. Guizzi, Sub art. 2391, in Società di capitali, Commentario a cura di A. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, pag. 657 e ora Id., Interessi degli amministratori e operazioni con parti correlate, ne La governance della società di capitali, diretto da M. Vietti, Milano, 2013, pag. 175; F. Gianni, Il consiglio di amministrazione: composizione e competenze. Il conflitto di interessi, in Banche e banchieri, 2008, pag. 374. Un problema, che non interessa approfondire qui, è quello di stabilire se, per gli amministratori di società per azioni, diverse da banche ed intermediari finanziari, assuma rilievo, nell’interpretazione dell’art. 2391 cod. civ., come indice sistematico, il fatto che il legislatore, nel ridisciplinare il conflitto di interessi degli amministratori di banche, e dei soggetti abilitati, abbia sentito il bisogno di precisare che l’amministratore, dopo aver dato notizia dell’interesse, deve astenersi. Se ubi lex dixit, voluit – nel d. lgs. n. 72 del 2015, la legge lo dice – ubi noluit, tacuit – nell’art. 2391 cod. civ., la legge non lo dice –, oggi c’è un elemento ermeneutico in più, per seguire l’opinione dottrinale dominante, e ritenere, per l’appunto, che gli amministratori di società per azioni, diverse da banche e soggetti abilitati, devono dare notizia dell’interesse, ma possono discutere e votare.

[7] Esprimono de iure condito perplessità sulla scelta legislativa di eliminare l’obbligo di astensione G. Minervini, Gli interessi cit., pag. 160; P. Ferro Luzzi, Dal conflitto di interessi agli interessi degli amministratori, cit., pag. 674.

[8] Modello sul quale esprime perplessità M. Tofanelli, Strani incroci tra conflitti e astensioni, in fchub.it, gennaio 2015.

[9] Contra, nel senso che l’amministratore di banca interessato non potrebbe votare, ma potrebbe partecipare alla discussione che precede la deliberazione <<anche per illustrare eventualmente la non dannosità di questa per la società>>, M. Tofanelli, Strani incroci, cit.

[10] Ex plurimis G. Guizzi, Interessi degli amministratori, cit., pag. 171. Non basta il conflitto dipendente da un <<interesse apparente>>, bensì occorre uno <<scopo reale>> contrario all’interesse della società: Cass., 19 agosto 1983, n. 5404, in Giur.it., 1984, I, 1, col. 256.

[11] D. Maffeis, Tutela dell’interesse e conflitto di interessi nella rappresentanza e nel mandato, in Riv. dir. priv., 2004, pag. 253.

[12] U. Mattei, Il conflitto di interessi come categoria ordinante. Interesse di un’ipotesi di lavoro, in Riv. dir. priv., 2004, pag. 247.

[13] Sull’uso di princìpi e clausole generali F. DENOZZA, Clausole generali, interessi protetti e frammentazione del sistema, in Studi in ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano, 2011, pag. 25.

[14] D. Maffeis, Tutela dell’interesse, cit., pag. 253.

[15] Critico, invece, sulla scelta del legislatore della riforma del 2003 di non contemplare, nell’art. 2391 cod. civ., l’obbligo di astensione G. Oppo, Le grandi opzioni della riforma e la società per azioni, in Riv. dir. civ., 2003, pag. 484.

[16] Sul tema più generale del rapporto tra azione di impugnazione della delibera invalida e azione di risarcimento del danno G. Niccolini, Giorgio Oppo e la nuova disciplina della invalidità delle deliberazioni assembleari delle s.p.a., in Riv. dir. civ., 2015, pag.476.

[17] Cass., 2 febbraio 2015, n. 1783, in Plurisdata.it. In dottrina, sull’art. 2392 cod. civ. P. Montalenti, Amministrazione e controllo nella società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Riv. soc., 2013, pag. 45.

[18] Cass., 4 febbraio 2014, n. 2418, in Plurisdata.it.

[19] G. Minervini, Gli interessi degli amministratori, cit., pag. 154.

[20] E sull’interesse sociale nella crisi dell’impresa A. ZOPPINI,Emersione della crisi e interesse sociale, in juscivile.it.

[21] G. Guizzi, Interessi degli amministratori, cit., pag. 173. Segnala che informazione e trasparenza sono lo <<strumento per la “tracciabilità” dei comportamenti, anche al fine della ricostruzione dei profili di responsabilità>> P. Montalenti, Amministrazione e controllo nella società per azioni, cit., pag. 44.

[22] D. Maffeis, Il “particolare rigore” della disciplina del conflitto di interessi, cit., pag. 1078. Aderisce, esplicitamente, G. Minervini, Gli interessi degli amministratori, cit., pag. 159.

[23] C. Marchetti, Il conflitto di interessi degli amministratori di società per azioni: i modelli di definizione di un problema in un’analisi economica comparata, in Giur. comm., 2004, I, pag. 1234.

[24] R. Costi, Governo delle banche e potere normativo della Banca d’Italia, in Giur. comm., 2008, I, pag. 1270.

[25] F. Riganti, L’evoluzione del sistema dei controlli interni nell’impresa bancaria, in Nuove leggi civ. comm., 2015, pag. 304

[26] Per i soggetti abilitati, D. Maffeis, La natura e la struttura dei contratti di investimento, in Riv. dir. priv., 2009, pag. 86.

[27] A. Antonucci, voce Banche, in Digesto IV. Disc. Comm., s.d. ma Torino, 2012, pag. 73.

[28] D. Siclari, Gli intermediari bancari e finanziari tra regole di mercato e interesse pubblico, Napoli, 2012, pag. 163. A proposito del superiore interesse pubblico, il considerando n. 31 del regolamento UE n. 575 del 2013 così recita: <<la vigilanza microprudenziale non può salvaguardare efficacemente la stabilità finanziaria se non tiene in debito conto gli sviluppi al macrolivello, mentre la vigilanza macroprudenziale ha senso solo se è in grado di incidere in qualche modo sulla vigilanza al macrolivello>>.

[29] Ex plurimis, F. Gianni, Il consiglio, cit., pag. 373. Sull’art. 136 TUF, nella giurisprudenza penale Ass. App. Venezia, 11 marzo 2009, in Plurisdata.it; in dottrina R. Maggiore – D. Quattrocchi, La “nuova” disciplina delle obbligazioni degli esponenti bancari: alcune considerazioni sistematiche, in dirittobamcario.it, 2013, pag. 1; M. Lembo, L’articolo 136 del t.u.b., cit., pag. 1;A. Colavolpe, Le nuove regole Bankitalia in materia di obbligazioni degli esponenti bancari, in Società, 1997, pag. 840;U. Morera, Disciplina delle obbligazioni degli esponenti bancari, in Società, 1994, pag. 1704.

[30] Sull’applicazione della disciplina penale accanto a quella civile L. Donato – C. Fabbri, in E. Galanti (cur.), Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, Padova, 2008, pag. 1329.

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