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Attualità

Regime PEX e verifica del Requisito della Residenza

25 Ottobre 2022

Giulio Mazzotti, BonelliErede

Michele Barcellona, BonelliErede

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza la Risposta n. 481 del 27 settembre 2022 con cui l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sul regime di participation exemption (Regime PEX) di cui all’art. 87 TUIR soffermandosi sulle considerazioni svolte rispetto al Requisito della Residenza in ipotesi di realizzo di partecipazioni infragruppo.


1. Introduzione

L’Agenzia delle Entrate è tornata a fornire chiarimenti sul regime di participation exemption di cui all’art. 87 TUIR (“Regime PEX”) con la recente Risposta n. 481 del 2022, precisando inter alia le condizioni necessarie per integrare il requisito della residenza in uno Stato diverso da quelli a fiscalità privilegiata.

Il caso affrontato dall’Agenzia riguardava una fattispecie particolare (liquidazione di una società controllata estera), ma i principi della Risposta possono interessare un’ampia platea di contribuenti e svariate casistiche, potendo di fatto investire tutte le ipotesi di realizzo di partecipazioni estere, con risultati nell’operatività alquanto problematici.

2. La Risposta dell’Agenzia sul Regime PEX

La Risposta, in estrema sintesi, riguardava il seguente caso:

  • ALFA detiene una partecipazione del 100% in BETA, società di diritto americano;
  • BETA è stata costituita da GAMMA negli anni ‘80 del secolo scorso;
  • per effetto di alcune operazioni straordinarie fiscalmente neutrali, la partecipazione in BETA è transitata nel corso del tempo da GAMMA ad ALFA.

Nell’ambito della liquidazione di BETA, si pone il tema relativo alla tassazione (in capo ad ALFA) della plusvalenza costituita dalla differenza tra: (i) le somme distribuite BETA a titolo di ripartizione delle riserve di capitale e (ii) il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione in BETA (“Plusvalenza”) [1].

Tanto premesso, col terzo dei quesiti interpretativi proposti, ALFA chiedeva chiarimenti in merito ai criteri per determinare la residenza fiscale della partecipata estera ex art. 87, comma 1, lett. c), TUIR (“Requisito della Residenza”) ai fini dell’applicazione del Regime PEX. Considerato che tali criteri sono mutati più volte nel corso del tempo, ALFA chiedeva in specie di conoscere se la verifica dovesse essere effettuata impiegando i criteri pro tempore vigenti in relazione ai singoli periodi di possesso della partecipazione ovvero mediante il criterio attuale anche con riferimento ai periodi d’imposta antecedenti alla sua introduzione.

La quaestio interpretativa si poneva poiché il D.Lgs. 29 novembre 2018, n. 142 – di recepimento delle direttive ATAD 1 (2016/1164) e ATAD 2 (2017/952) (“Decreto ATAD”) – nella revisione del Regime PEX (e, in particolare, del Requisito della Residenza) non ha per l’appunto previsto una disciplina transitoria che stabilisca regole applicabili alle plusvalenze realizzate successivamente all’entrata in vigore dello stesso Decreto ATAD, ma riferite a partecipazioni già detenute a tale data.

3. Il contesto normativo di riferimento

In caso di realizzo di partecipazioni infragruppo, oggi il Requisito della Residenza richiede di verificare che, ininterrottamente, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, la società partecipata sia stata fiscalmente in  uno Stato (c.d. “white”) diverso da quelli considerati a fiscalità privilegiata (cc.dd. “black”)[2].

Al riguardo, si ricorda che i criteri per l’individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata (art. 47-bis TUIR) variano a seconda che la partecipazione nella società estera sia una partecipazione di controllo ovvero non di controllo. In particolare:

  1. nel caso di partecipazioni di controllo, sono considerati a fiscalità privilegiata quei Paesi che garantiscono un livello di tassazione effettiva inferiore al 50% di quello a cui la partecipata sarebbe stata soggetta qualora fosse stata residente in Italia (“Criterio del Tax Rate Effettivo”). Il Criterio del Tax Rate Effettivo impone quindi di effettuare un confronto tra (a) il tax rate effettivo estero (dato dal rapporto tra le imposte sul reddito dovute da parte della controllata estera e l’utile ante imposte così come risultante dal bilancio della medesima controllata) e (b) il tax rate “virtuale” italiano (dato dal rapporto tra l’imposta che sarebbe stata dovuta in Italia sul reddito prodotto dall’entità estera, rideterminato secondo le disposizioni fiscali italiane in materia di reddito d’impresa, e l’utile ante imposte come risultante dal bilancio)[3];
  2. nel caso di partecipazioni non di controllo, invece, sono considerati a fiscalità privilegiata quei Paesi il cui livello di tassazione nominale risulti inferiore al 50% di quello applicabile in Italia (“Criterio del Tax Rate Nominale”). A questi fini, occorre tenere conto anche degli eventuali “regimi speciali” fruiti dalla partecipata nel Paese estero.

Non si considerano comunque a fiscalità privilegiata i Paesi dell’Unione Europea (ovvero dello Spazio Economico Europeo) con cui l’Italia ha stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni.

Allo stato attuale, pertanto, per poter applicare il Regime PEX al realizzo infragruppo di plusvalenze su partecipazioni estere (diverse da quelle in società UE/SEE), occorre verificare se, sin dall’inizio del periodo di possesso, la partecipazione sia da considerare white (sulla base del Criterio del Tax Rate Effettivo, nel caso di partecipazioni di controllo, ovvero del Criterio del Tax Rate Nominale, “rettificato” da eventuali regimi speciali, nel caso di partecipazioni non di controllo) e, quindi, sia possibile affermare che, per tutti i periodi di possesso, la partecipata estera sia stata sottoposta ad una tassazione (effettiva o nominale) congrua (i.e., non inferiore alla metà di quella a cui sarebbe stata soggetta qualora residente in Italia).  Ciò significa che qualora anche per un solo anno la partecipata estera non superi il suddetto test, per poter applicare il Regime PEX il contribuente deve fornire la dimostrazione – anche a seguito di interpello c.d. probatorio, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. b), legge n. 212/2000 – che “dalle partecipazioni non consegua l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato” (esimente c.d. della “tassazione congrua”, prevista dall’art. 47-bis, comma 2, lett. b), TUIR).

I criteri di individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata hanno subìto nel corso del tempo svariate modifiche:

  • originariamente – per effetto del rinvio all’art. 167 TUIR contenuto nell’art. 87 TUIR – il Requisito della Residenza richiedeva che la società partecipata fosse residente in un Paese diverso dai “paradisi fiscali” elencati dal D.M. 21 novembre 2001 (c.d. black list relativa alla disciplina CFC);
  • questa impostazione è rimasta sostanzialmente immutata fino alle modifiche apportate dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), per effetto delle quali i “paradisi fiscali” andavano individuati, oltre che sulla base dell’elencazione tassativa fornita dalla black list del 2001, anche tenendo conto di regimi fiscali speciali che accordassero un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia;
  • dal 1° gennaio 2016, la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha abrogato il D.M. 21 novembre 2001 e ha assunto come parametro di riferimento per l’individuazione dei “paradisi fiscali” il livello nominale dell’aliquota di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile in Italia, tenendo conto, a questi fini, anche dei regimi speciali presenti nelle giurisdizioni a fiscalità ordinaria;
  • da ultimo, il Decreto ATAD ha stabilito nuovi criteri per l’individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata, che trovano applicazione a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018 (cioè, per i contribuenti “solari”, dal 2019), nonché alle plusvalenze realizzate a decorrere dallo stesso periodo d’imposta (cfr. art. 13, comma 6, Decreto ATAD).

4. La soluzione interpretativa proposta dal contribuente…

Nel caso oggetto della Risposta il contribuente chiedeva all’Agenzia delle Entrate di confermare che, ai fini dell’applicazione del Regime PEX alla Plusvalenza, la verifica del Requisito della Residenza dovesse essere effettuata impiegando le regole di identificazione dei Paesi a fiscalità privilegiata pro tempore vigenti in relazione ai singoli periodi di possesso della partecipazione in BETA.

A fondamento di tale soluzione proposta, l’istante:

  1. richiamava il principio sotteso alla disposizione introdotta, con riferimento ai dividendi, dall’art. 1, comma 1007, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018), che ha previsto che non si considerano provenienti da Paesi black gli utili (i) maturati in periodi d’imposta in cui la partecipata era considerata white sulla base delle norme pro tempore vigenti e (ii) percepiti in periodi d’imposta in la partecipata è invece da considerarsi black. Considerato che l’intervento normativo si è reso necessario per non ledere il principio di legittimo affidamento del contribuente che abbia confidato nella natura “non black” del Paese in cui ha effettuato l’investimento [4], l’istante riteneva corretto, da un punto di vista logico-sistematico, che anche per la plusvalenze dovessero essere applicati i criteri pro-tempore vigenti al fine di verificare il Requisito della Residenza;
  2. rilevava, poi, come l’applicazione retrospettiva del Criterio del Tax Rate Effettivo (essendo quella in BETA una partecipazione di controllo), oltre a ledere il legittimo affidamento degli investitori, avrebbe implicato per la società controllante il recupero di un set documentale (es. bilanci di verifica, fondi imposte, dichiarazioni) di anni assai risalenti, la cui conservazione avrebbe potuto anche non essere più obbligatoria per norma di legge, e in ogni caso particolarmente oneroso; infatti, in quel caso, si sarebbe dovuto recuperare un set documentale di quasi quarant’anni prima, che per ovvie ragioni di carattere temporale non era più disponibile;
  3. evidenziava, infine, come la soluzione proposta fosse ulteriormente avallata dalla considerazione che, se gli utili oggetto di realizzo fossero stati distribuiti, applicando le regole pro tempore vigenti in materia di residenza (in ossequio al principio stabilito dalla legge di bilancio 2018), avrebbe potuto trovare applicazione il regime di dividend exemption; considerazione, quest’ultima, che mette in luca la disparità di trattamento oggi esistente tra il socio che percepisce dividendi pregressi (considerati white al momento della maturazione) in regime di dividend exemption, e il socio che, invece, realizzando i medesimi utili sotto forma di plusvalenza, vede tassata integralmente tale plusvalenza sulla base del Criterio del Tax Rate Effettivo applicato retrospettivamente [5].

5. … la replica dell’Agenzia delle Entrate

Disattendendo la soluzione interpretativa proposta dal contribuente istante, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che la verifica del Requisito della Residenza deve invece essere condotta in relazione a ciascun periodo di possesso della partecipazione in basi ai criteri identificativi dei regimi a fiscalità privilegiata attualmente vigenti (i.e., quelli oggi individuati dall’art. 47-bis TUIR).

La verifica deve essere condotta in una prospettiva “anno per anno”, tenendo conto della specifica situazione in cui versa il contribuente in ciascuno dei periodi d’imposta oggetto di monitoraggio. Questo significa, dunque, che il requisito del controllo, il livello di tassazione (a seconda dei casi, effettiva o nominale estera), il livello di tassazione (a seconda dei casi, virtuale “virtuale” o nominale italiana), e ogni altro elemento utile a tali fini andranno considerati sulla base della situazione esistente in ciascun periodo di possesso della partecipazione [6].

L’Agenzia arriva quindi a concludere che l’applicazione del Regime PEXcomporta in linea di principio il monitoraggio del requisito della residenza fiscale della partecipata, nel caso in esame, sin dalla costituzione della stessa avvenuta in data (n-37)”, considerando così irrilevanti, a tal fine, i passaggi intermedi in neutralità fiscale che hanno interessato la partecipazione. Tuttavia – aggiunge – posto che nei periodi d’imposta precedenti al 2001 non era in vigore alcuna normativa in materia di partecipazioni detenute in Paesi a fiscalità privilegiata, la verifica del Requisito della Residenza può arrestarsi a tale anno.

6. Alcune osservazioni critiche

La Risposta avrebbe potuto rappresentare l’occasione per fare ordine sull’attuale Regime PEX rispetto alle partecipazioni estere, che difetta – come anticipato – di una normativa transitoria di accompagnamento all’attuazione della nuova disciplina CFC introdotta col recepimento della Direttiva ATAD (e, in ultima istanza, a semplificare la vita dei contribuenti su un aspetto nevralgico del Regime PEX e di immediato impatto soprattutto in occasione di riorganizzazione societarie di gruppi multinazionali). Invece, privilegiando un approccio abbastanza “formalistico” del dato normativo, l’Agenzia delle Entrate ha scelto una soluzione contraria a quella suggerita in dottrina e auspicata dal mondo imprenditoriale.

Anche se in qualche modo in una certa continuità con la posizione già assunta su una tematica analoga nell’ambito della Circolare 4 agosto 2016, n. 35/ (par. 3.3.1), l’Amministrazione finanziaria sembra piuttosto non aver voluto correggere l’incoerenza (a)sistematica dell’attuale regime, che finisce per trattare diversamente situazioni con significativa analogia di sostanza (i.e., il socio che monetizza gli utili esteri sotto forma di dividendi, anziché di plusvalenza), senza che ciò, peraltro, trovi apparentemente un’adeguata giustificazione in effettive esigenze di contenimento di pratiche abusive rispetto al Requisito della Residenza (atteso che non si può certo immaginare un caso di abuso rispetto a un periodo temporale ultradecennale, o persino maggiore, e finanche relativo a periodi in cui vigeva un diverso criterio di qualificazione dei Paesi a fiscalità privilegiata).

Resta poi la mortificazione del legittimo affidamento di quanti hanno effettuato investimenti in società estere che, all’epoca dell’investimento, erano da considerarsi residenti in Paesi a fiscalità ordinaria in base alla normativa al tempo applicabile. Né, da ultimo, possono essere sottaciute le oggettive difficoltà in cui molte imprese e gruppi oggi si trovano a operare, chiamate a reperire documentazione risalente a più di vent’anni fa, e a sostenere rilevanti oneri ai fini dello svolgimento della verifica (sempre che sia possibile) del Requisito della Residenza.

Spiace constatare come, purtroppo, a distanza di quasi quattro anni dall’entrata in vigore del Decreto ATAD non sia stata ancora diramata dagli uffici centrali dell’Agenzia delle Entrate una circolare esplicativa sulle modifiche apportate al Regime PEX: essa potrebbe peraltro costituire la sede per rivedere la posizione assunta con la Risposta in esame, anche in un’ottica di maggiore ragionevolezza e consapevolezza pragmatica rispetto ad oneri dimostrativi sproporzionati, che – se assunti su base necessariamente ventennale (i.e., oggi a ritroso fino al 2001) – rappresenterebbero per molte realtà industriali una vera e propria probatio diabolica [7], di fatto ostativa rispetto a ogni margine di manovra, soprattutto in caso di necessità di riorganizzazioni di gruppi internazionali con società (specie) controllate da decenni pur in Paesi a fiscalità tradizionalmente “ordinaria”.

Da ultimo – volendo in qualche modo comunque cogliere degli aspetti positivi nella Risposta – si osserva come, da quanto affermato dall’Agenzia, eventuali operazioni “realizzative” intervenute nel corso della detenzione delle partecipazioni estere dovrebbero portare a ritenere interrotto il relativo periodo di possesso rilevante ai fini del Regime PEX, con la conseguente possibilità, quindi, di ridurre l’arco temporale di verifica a ritroso sullo status fiscale della partecipata. Ciò sembra potersi ricavare – seppur implicitamente – da taluni passaggi argomentativi della Risposta, che fanno riferimento “operazioni fiscalmente neutrali intervenute medio tempore nel periodo di possesso della partecipazione”. Da tale precisazione, peraltro, sarebbe del pari ragionevole ricavare il principio per cui la suddetta interruzione valga anche per le operazioni realizzative effettuate in regime di c.d. neutralità indotta (quali i conferimenti di partecipazioni ex artt. 175 e 177 TUIR).

 

[1] Per effetto del rinvio operato all’art. 87, comma 6, TUIR all’art. 86, comma 5-bis, TUIR, il Regime PEX trova applicazione  – in presenza dei relativi requisiti – anche alle plusvalenze che emergono in sede di liquidazione.

[2] Per le partecipazioni detenute da più di cinque periodi di imposta e oggetto di realizzo con controparti non appartenenti allo stesso gruppo del dante causa, è sufficiente che il Requisito della Residenza sussista, ininterrottamente, per i cinque periodi d’imposta anteriori al realizzo stesso.

[3] Cfr. Circolare n. 18/E del 2021, par. 4.

[4] Cfr., in questo senso, la risposta n. 52 fornita dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito dell’incontro con la stampa specializzata tenutosi il 31 dicembre 2019: “L’intento perseguito dal legislatore è […] quello di tutelare l’affidamento di quanti abbiano confidato nella natura non paradisiaca del Paese in cui hanno effettuato l’investimento quando tale Paese integri i nuovi presupposti dettati dall’art. 167, comma 4, del Tuir”.

[5] La soluzione interpretativa proposta dalla società istante riproponeva, di fatto, le criticità già messe ben in evidenza da Assonime nella Circolare n. 15/2021, cui si rinvia per più approfondite considerazioni.

[6] Resta dubbio, tuttavia, come vada condotta la verifica nel caso in cui uno o più elementi rilevanti mutino nel corso del periodo d’imposta (es., per effetto dell’integrazione del requisito del controllo in corso d’anno). In questi casi, in ottica semplificatoria e di praticità, sembrerebbe ragionevole poter fare riferimento alla situazione cristallizzatasi al termine di ciascun periodo d’imposta.

[7] Peraltro senza tener conto del fatto che le imprese e i gruppi interessati dal regime in esame, in modo perfettamente legittimo, ben possono non aver conservato la documentazione contabile e fiscale relativa ad anni risalenti oltre quelli specificamente previsti dalle disposizioni normative italiane e dei singoli Paesi in cui le rispettive controllate hanno sede.

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