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Product governance: le Linee guida ESMA di definizione del target market

31 Luglio 2017

Francesco Mocci e Jessica Facchini, Studio Legale Zitiello e Associati

Di cosa si parla in questo articolo

1.- La product governance: il quadro normativo di riferimento

La crisi finanziaria degli ultimi anni ha evidenziato l’inadeguatezza delle regole dettate in materia di prestazione dei servizi di investimento a garantire il rispetto del principio generale di agire nel miglior interesse dei clienti, mostrando una perdita di fiducia nella trasparenza dei mercati e nel corretto adempimento degli obblighi gravanti sugli operatori del settore.

Se, difatti, i regimi dettati dalla direttiva 93/22/Cee (di seguito, la “ISD”) e dalla direttiva 2004/39/CE (di seguito, la “MiFID”) si fondavano su una fiducia nei meccanismi di trasparenza e nelle regole di condotta – ritenendo che, se correttamente osservati, tali presidi avrebbero garantito al cliente un adeguato livello di tutela –, con la direttiva 2014/65/UE (di seguito, la “MiFID II”) si manifesta una presa di coscienza dell’insufficienza di tali misure, le quali, se applicate esclusivamente alla fase di distribuzione dei prodotti, non sono ritenute più sufficienti a garantire la tutela degli investitori.

Si potrebbe affermare, banalizzando, che, in vigenza della precedente normativa, un’impresa di investimento avrebbe potuto vendere qualsiasi prodotto a qualunque tipologia di cliente, purché avesse rispettato gli obblighi informativi, di trasparenza e di condotta cui era tenuta e avesse avvertito dunque l’investitore delle caratteristiche e dei rischi connessi allo strumento finanziario; obiettivo della MiFID II, viceversa, è quello di prevedere, all’origine, che gli strumenti finanziari non possano essere venduti indistintamente a qualsiasi tipologia di cliente, bensì unicamente all’interno di un mercato di riferimento pre-individuato.

Al fine di assicurare che il miglior interesse dei clienti sia perseguito durante tutte le fasi di vita dei prodotti e dei servizi – fin dalla loro creazione – e di rafforzare nuovamente la fiducia nei mercati finanziari, la MiFID II ha dunque introdotto obblighi di governance dei prodotti finanziari [1], passando da una logica di servizio a una logica di prodotto, con la quale si anticipa la tutela dell’investitore finale al momento genetico del prodotto.

La product governance trova il proprio fondamento normativo negli artt. 16, paragrafo 3, e 24, paragrafo 2, della MiFID II, nonché negli artt. 9 e 10 della direttiva delegata n. 2017/593 della Commissione del 7 aprile 2016 (di seguito, la “Direttiva delegata”), disposizioni, queste ultime, che ne dettano una disciplina più articolata e delineano più dettagliatamente gli obblighi facenti capo rispettivamente ai produttori [2] e ai distributori [3].

In linea generale, a partire dal 3 gennaio 2018, i manufacturers saranno tenuti a individuare – nell’ambito del processo di approvazione del prodotto – il mercato di riferimento (c.d. target market) di clienti finali per le cui esigenze, caratteristiche e obiettivi il prodotto è compatibile e a cui pertanto tale prodotto dovrà essere destinato; come parte di tale processo, i produttori dovranno identificare anche il c.d. target market negativo, ovvero individuare quel gruppo di clienti per le cui esigenze, caratteristiche e obiettivi lo strumento finanziario non è ritenuto adatto: si tratterà di target market astratti e potenziali, in quanto basati su conoscenze ed esperienze teoriche, in assenza di una specifica ed effettiva conoscenza dei clienti cui i prodotti saranno effettivamente distribuiti o a cui i prodotti non dovranno assolutamente essere venduti.

Oltre a definire il target market, i produttori dovranno anche specificare una strategia di distribuzione che sia coerente con il target market identificato.

Tali informazioni – soggette a riesame periodico – dovranno essere messe a disposizione dei distributors, i quali dovranno, in primo luogo, essere in grado di comprendere le caratteristiche degli strumenti finanziari che decideranno di offrire in vendita o raccomandare, gli specifici rischi agli stessi connessi, nonché la struttura dei relativi costi.

I distributori, a loro volta, sulla base delle informazioni ricevute dai produttori e di quelle fornite dai loro clienti, dovranno individuare un target market di riferimento più concreto e attuale rispetto a quello individuato dai manufacturers; allo stesso modo, dovranno individuare anche un target market negativo.

I distributors dovranno inoltre stabilire una strategia di distribuzione coerente con il target market delineato e saranno tenuti alla revisione periodica dei dispositivi di governance, dei prodotti di investimento offerti o raccomandati e dei servizi prestati, al fine di valutare se lo strumento finanziario e il servizio di investimento risultino sempre coerenti con il target market individuato e se la strategia di distribuzione continui ad essere appropriata.

Nell’adempiere a tali obblighi, come vedremo infra, il distributore dovrebbe partire dalle scelte operate dal manufacturer, senza discostarsi dalle decisioni fondamentali prese da quest’ultimo, a meno che ciò non si rilevi necessario.

Alla luce di quanto previsto dalla nuova normativa, le regole di governance dei prodotti dovranno trovare applicazione con riguardo a tutti i prodotti finanziari commercializzati – siano essi distribuiti sul mercato primario o sul mercato secondario; tali obblighi, tuttavia, dovranno essere applicati in maniera proporzionale, tenendo in considerazione la natura del prodotto finanziario, il servizio di investimento prestato e iltarget market di riferimento.

Benché la product governance costituisca una delle maggiori novità introdotte dalla MiFID II, è bene precisare che alcuni provvedimenti emanati negli ultimi anni, sia a livello europeo che nazionale, avevano già anticipato alcuni principi che la nuova normativa ha cristallizzato a livello normativo [4].

A tal riguardo, meritano di essere menzionati:

  1. il Joint Position emanato nel novembre 2013 dalle Autorità di Vigilanza Europee EBA – ESMA – EIOPA, avente ad oggetto i processi di supervisione e di governance dei prodotti. Tale documento – ponendosi l’obiettivo di rafforzare la protezione dei consumatori intervenendo sul processo di approvazione dei prodotti, al fine di evitare che prodotti e servizi potenzialmente dannosi potessero giungere sul mercato – esprimeva già principi attinenti alla responsabilità dei produttori nella definizione di processi, funzioni e strategie per la progettazione e la commercializzazione degli strumenti finanziari (quale l’individuazione di un corretto target market), nonché alla revisione del ciclo di vita dei prodotti;
  2. il report intitolato “Regulation of Retail Structured products”, emanato dalla IOSCO nel dicembre 2013 – avente lo scopo di rendere più efficiente e trasparente il mercato dei prodotti strutturati destinati alla clientelaretail –, che manifestava già inter alia le necessità di: (i) definire un processo di approvazione dei prodotti che tenesse conto degli eventuali conflitti di interessi esistenti tra il produttore e il cliente; (ii) individuare un corretto target market; (iii) svolgere test sui prodotti già presenti sul mercato; (iv) implementare la strategia di distribuzione dei prodotti;
  3. l’Opinion pubblicata dall’ESMA nel marzo 2014 in materia di “Structured Retail Products – Good practices for product governance arrangements”, che affermava l’importanza dei presidi di governo del prodotto (complesso) – sia in fase di strutturazione che di distribuzione – ritenuti fondamentali per la tutela degli investitori; in tale documento, in particolare, veniva evidenziata la rilevanza del processo di approvazione del prodotto, dell’individuazione di un corretto target market da parte del manufacturer e di affinamento dello stesso da parte del distributor, del monitoraggio continuo dei prodotti e delle definizione di un’adeguata strategia di distribuzione condivisa tra produttore e distributore;
  4. la Comunicazione Consob sulla distribuzione dei prodotti finanziari complessi ai clienti retail, del dicembre 2014, con la quale l’Autorità di Vigilanza – facendo proprie le indicazioni dell’ESMA – raccomandava agli intermediari di effettuare un’accurata due diligence dei prodotti, considerandone ogni possibile profilo di complessità, nonché i costi connessi all’investimento e di astenersi dal consigliarne l’acquisto nel caso in cui, ad esito della valutazione, avessero ritenuto il prodotto inidoneo a soddisfare al meglio gli interessi della clientela target. In tale Comunicazione, la Consob introduceva di fatto il concetto di c.d. target market negativo, raccomandando agli intermediari di non consigliare l’investimento, né di curare la distribuzione, nei confronti della clientela al dettaglio, di determinati prodotti inclusi nella c.d. black list [5]. L’Autorità di Vigilanza anticipava inoltre il concetto di “deviazione dal tarket market”, precisando che la vendita di tale prodotti era consentita esclusivamente al ricorrere di determinati presupposti.

Come si è visto, dunque, nonostante la product governance venga percepita come una delle più grandi novità della MiFID II, l’importanza dei meccanismi di governo dei prodotti, in realtà, era già stata evidenziata a più riprese nel recente passato; tale aspetto, peraltro, è stato evidenziato dall’ESMA anche in occasione della valutazione dell’impatto in termini di costi che la nuova normativa potrà avere sulle imprese di investimento.

In proposito, l’Autorità di Vigilanza, rispondendo alle osservazioni mosse in sede di consultazione, ha rilvato come le imprese di investimento, alla luce dei sopracitati provvedimenti, dovrebbero già essersi – almeno in parte [6] – conformate ai principi dettati da tali documenti e aver già pertanto adottato alcuni presidi al fine di adeguarsi alle migliori pratiche ivi previste; ciò, a detta dell’Autorità di Vigilanza, dovrebbe dunque ridurre l’impatto dei costi complessivi relativi all’implementazione delle Guidelines (e, in generale, degli obblighi di product governance dettati dalla MiFID II).

2.- La definizione del target market: le Linee guida ESMA

Come anticipato, aspetto centrale della product governance è l’individuazione del target market, ovvero del mercato di riferimento per il quale un determinato strumento finanziario risulti compatibile e a cui tale prodotto sarà pertanto destinato; a seconda che la definizione di tale concetto venga effettuata dal produttore o dal distributore, il target market potrà essere astratto e potenziale o concreto e determinato: una corretta individuazione del target market è fondamentale per garantire un’applicazione comune e uniforme della normativa.

In considerazione dell’importanza che tale aspetto riveste, e al fine di garantire un’attuazione coerente e armonizzata delle nuove disposizioni in materia di governance dei prodotti, l’ESMA ha sviluppato delle linee guida aventi ad oggetto, principalmente, la definizione da parte dei manufacturers e dei distributors del mercato di riferimento.

A tal fine, il 5 ottobre 2016, l’ESMA ha posto in consultazione il documento in parola, attinente all’applicazione degli artt. 16, paragrafo 3, e 24, paragrafo 2, della MiFID II (di seguito, le “Linee guida” o “Guidelines”), che dovranno trovare attuazione – in conformità con quanto previsto dagli artt. 9, paragrafo 1, e 10, paragrafo 1, della Direttiva delegata – in maniera adeguata e proporzionata, in ragione della natura dello strumento finanziario, del servizio di investimento prestato e del target market di riferimento. Ad esito delle consultazioni, il 2 giugno 2017, l’ESMA ha emanato il Final Report, contenente la versione definitiva delle Linee guida, che risultano divise, sia nella versione in bozza, sia in quella definitiva, sulla base della loro applicabilità ai produttori, ai distributori o ad entrambe le categorie.

2.1.- Le Linee guida per i produttori

(i) Le categorie da considerare nell’identificazione del target market

Il primo tema affrontato dall’ESMA attiene all’individuazione delle categorie che i manufacturers dovrebbero prendere in considerazione nell’identificazione del target market potenziale; a tal fine, l’Autorità di Vigilanza ha (inizialmente) definito sei categorie – ritenute la “minimum basis” per la determinazione del target market – da valutare necessariamente nell’ambito del processo in parola, prevedendo inoltre la possibilità per le imprese di investimento di aggiungerne di ulteriori qualora lo avessero ritenuto importante.

In particolare, le categorie inizialmente individuate erano: (i) tipologia di cliente al quale il prodotto è rivolto; (ii) conoscenza ed esperienza; (iii) situazione finanziaria, con particolare attenzione alla capacità di sopportare le perdite; (iv) tolleranza al rischio e compatibilità del profilo di rischio / rendimento del prodotto con il target market(v) obiettivi del cliente; (vi) bisogni del cliente.

Con riferimento alla “tipologia di cliente”, nello specifico, l’ESMA suggeriva l’utilizzo delle categorie MiFID II di “cliente retail”, “cliente al dettaglio” e “controparte qualificata”, concedendo inoltre la facoltà ai produttori di utilizzare descrizioni aggiuntive, al fine di rendere maggiormente dettagliata la categorizzazione.

In merito a quanto previsto dall’ESMA nella bozza delle Guidelines, il mercato, nell’ambito delle consultazioni, ha prevalentemente osservato che la lista delle categorie individuate dall’Autorità di Vigilanza dovrebbe costituire una “lista chiusa” (suggerendo pertanto di limitare la possibilità di aggiungerne di ulteriori) e che i concetti utilizzati dovrebbero essere definiti in modo univoco, ciò al fine di rendere possibile ed efficace lo scambio di informazioni tra manufacturers e distributors ed evitare situazioni di incertezza: a tal riguardo, gran parte degli interpellati, con riferimento alla “tipologia di cliente”, ha suggerito di utilizzare esclusivamente le categorie MiFID II, senza apportare ulteriori specificazioni.

Il mercato ha inoltre proposto di fondere in un’unica categoria gli aspetti riguardanti gli obiettivi e i bisogni dei clienti, per evitare situazioni di confusione, anche in considerazione del fatto che non tutti i prodotti di investimento potrebbero presentare caratteri tali da soddisfare particolari bisogni dei clienti (quali il desiderio di realizzare “green investment” o “ethical investment”) e ciò porterebbe (necessariamente) a disattendere il suggerimento dell’ESMA di considerare tutte le categorie dalla stessa previste.

A fronte delle osservazioni pervenute, l’ESMA, nella redazione della versione definitiva delle Linee guida, ha apportato alcune modifiche al testo posto in consultazione; in particolare: (i) ha eliminato la possibilità per i manufacturers di considerare ulteriori categorie rispetto a quelle individuate, a meno che ciò non si dovesse rilevare essenziale e, in ogni caso, tenendo in considerazione il canale di informazione esistente con il distributore; (ii) al fine di garantire una migliore armonizzazione nell’implementazione della nuova normativa, ha eliminato la possibilità per i produttori di ricorrere all’utilizzo di ulteriori descrizioni della tipologia di cliente, convenendo in merito all’opportunità di utilizzare esclusivamente le categorie MiFID; (iii) ha accolto il suggerimento di fondere le due categorie aventi ad oggetto gli obiettivi dei clienti e i bisogni, creandone una unica.

Alla luce delle modifiche apportate, pertanto, i produttori, al fine di identificare il target market potenziale, saranno tenuti a considerare le seguenti cinque categorie: (i) tipologia di cliente – in termini di cliente retail, cliente professionale o controparte qualificata – a cui il prodotto è rivolto; (ii) conoscenza ed esperienza – potendo tali aspetti compensarsi nell’ambito della definizione del target market [7]; (iii) situazione finanziaria, con particolare attenzione alla capacità di sopportare le perdite: il manufacturer sarà tenuto a indicare la percentuale di perdite che il cliente dovrebbe essere in grado di sostenere; (iv) tolleranza al rischio e compatibilità del profilo di rischio / rendimento del prodotto con il target market, potendo a tal fine il produttore utilizzare gli indicatori di rischio descritti nel Regolamento UE n. 1286/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014 (di seguito, il “Regolamento PRIIPs”) e nella Direttiva del Parlamento europeo n. 2009/65/CE (di seguito, la “UCITS”), con riferimento ai prodotti soggetti a tali discipline; (v) obiettivi e bisogni del cliente, facendo in particolare riferimento all’orizzonte temporale dell’investimento.

(ii) Definizione del target market sulla base della natura del prodotto e del cliente

L’individuazione del target market potenziale dovrebbe essere innanzitutto fatta in maniera appropriata e proporzionata alle caratteristiche del prodotto; ciò significa che, nel processo di definizione del target market, il manufacturer dovrà considerare la natura del prodotto e individuarne il mercato di riferimento in maniera più o meno dettagliata a seconda del grado di complessità dello strumento finanziario: per i prodotti più sofisticati, il target market dovrà essere definito in maniera più specifica e puntuale rispetto ai prodotti più semplici.

In occasione delle consultazioni, è emerso che, a detta di parte del mercato, le Linee guida non avrebbero considerato come alcuni prodotti estremamente semplici fossero adeguati, in linea generale, per il mercato retail di massa e non necessitassero pertanto di un’identificazione dettagliata del target market; benché l’ESMA abbia affermato che nella bozza delle Guidelines fosse già chiaramente previsto come la natura del prodotto influisse nella definizione del mercato di riferimento, ha aggiunto nel Final Report alcuni casi di studio relativi alle azioni e agli OICVM non complessi, chiarendo inoltre, al paragrafo 22, in che modo le categorie da considerare dovrebbero essere applicate ai prodotti di investimento più semplici: ha in proposito suggerito l’utilizzo di un approccio comune per gli strumenti dello stesso tipo con caratteristiche sufficientemente paragonabili, nonché una più generica descrizione delle categorie in ragione della semplicità del prodotto.

L’ESMA ha specificato inoltre che l’identificazione del target market dovrà in ogni caso avvenire in maniera sufficientemente granulare al fine di evitare l’inclusione di gruppi di investitori per i cui bisogni, caratteristiche e obiettivi non sia compatibile.

Oltre alla natura del prodotto, parte degli intervistati ha rilevato come dovrebbe essere presa in considerazione, ai fini della definizione del target market in termini di maggiore o minore specificità, anche la tipologia di cliente cui il prodotto è destinato, osservando ad esempio come i manufacturers che producono strumenti finanziari per i clienti professionali non dovrebbero essere tenuti a definire un livello di conoscenza ed esperienza dei clienti target; allo stesso modo, il livello di granularità nella definizione del target market di prodotti destinati alle controparti qualificate dovrebbe essere ridotto al minimo. L’ESMA, in proposito, si è dichiarata concorde sul fatto che per alcuni prodotti creati per clienti professionali e controparti qualificate la definizione del target market dovrà probabilmente essere meno dettagliata (come vedremo infra), non ritenendo tuttavia possibile prevedere un’esenzione generale dalla considerazione delle cinque categorie proposte.

(iii) Strategia di distribuzione e definizione del target market

Un ulteriore aspetto preso in considerazione dall’ESMA nella redazione delle Guidelines attiene alla strategia di distribuzione delineata dal produttore e al suo rapporto con il mercato di riferimento.

In particolare, il manufacturer dovrà proporre una strategia distributiva che sia coerente con il target market del prodotto e sia dunque funzionale a che ogni strumento finanziario venga effettivamente distribuito all’interno del relativo mercato di riferimento; a tal fine, il produttore è tenuto anche a selezionare quei distributori che, per tipologia di clienti e di servizi, risultino compatibili con il target market del prodotto. Inoltre, nel definire la strategia di distribuzione, il manufacturer dovrebbe determinare la portata delle informazioni di cui il distributore potrebbe necessitare al fine di delineare il target market del suo prodotto, nonché indicare i servizi di investimento attraverso i quali sarebbe preferibile distribuire i prodotti.

Nella versione originaria delle Linee guida, l’ESMA aveva inoltre previsto che il produttore, qualora avesse ritenuto che un prodotto potesse essere venduto al di fuori della prestazione del servizio di consulenza, dovesse indicare anche il canale di acquisizione più adatto (ad esempio, via telefono, face-to-faceonline); a fronte delle osservazioni del mercato – che ha ritenuto eccessivamente stringente tale previsione nella misura in cui alcuni prodotti potrebbero legittimamente essere distribuiti per mezzo di diversi canali – ha tuttavia modificato le Guidelines introducendo esclusivamente la possibilità, e non l’obbligo, per i manufacturers di fornire tale indicazione.

2.2.- Le Linee guida per i distributori

Come anticipato, anche i distributori saranno tenuti alla definizione di un proprio target market – più preciso e attuale –, la cui individuazione dovrà essere svolta sulla base delle informazioni fornite dai produttori, nonché di quelle a loro disposizione in ragione del contatto diretto con il cliente; tali informazioni – aventi ad oggetto le caratteristiche dei clienti a cui prestano i servizi di investimento, la natura dei prodotti offerti e la tipologia di servizi di investimenti prestati – potrebbero essere ricavate, ad esempio, dai questionari di profilatura dei clienti, dalle schede di adeguata verificata antiriciclaggio o dai reclami ricevuti.

Nella definizione del mercato target, che dovrà essere fatta – secondo le indicazioni dell’ESMA – sulla base delle medesime categorie individuate per i produttori, i distributori dovrebbero partire dal target market definito dai manufacturers e non dovrebbero discostarsi dalle decisioni fondamentali prese da questi ultimi, valutando tuttavia, con spirito critico, come le stesse possano adattarsi ai propri clienti: i distributori dovranno dunque operare un processo di rifinitura del target market proposto dai manufacturers. Tale operazione dovrà essere basata sul principio di proporzionalità, ovvero dovrà essere svolta in maniera più o meno intensa a seconda del grado di complessità del prodotto, potendo essere addirittura esclusa per il caso in cui si tratti di prodotti comuni e molto semplici.

L’Autorità di Vigilanza ha evidenziato il fatto che l’obbligo del distributore di identificare un “actual target market” e di assicurare che un prodotto venga distribuito ai clienti rientranti nel mercato di riferimento non si sostituisce alle valutazioni di adeguatezza e appropriatezza, bensì attiene a una fase preliminare e deve essere effettuato in aggiunta a tali test; in particolare, l’individuazione del target market e della strategia di distribuzione dovrebbero assicurare esclusivamente che il prodotto venga distribuito all’interno di quella cerchia di investitori per i cui bisogni, caratteristiche e obiettivi è stato disegnato, senza che ciò sostituisca in alcun modo la valutazione dell’effettiva adeguatezza / appropriatezza del prodotto con riguardo a uno specifico cliente; come vedremo infra, sarà proprio al valutazione di adeguatezza nel caso concreto a permettere un’eventuale deviazione dal target market individuato.

(i) La definizione del target market: le caratteristiche dei clienti e i servizi di investimento prestati

Analizzando gli elementi rilevanti nella determinazione del target market da parte del distributore, con riguardo alle caratteristiche dei clienti, nel Final Report l’ESMA ha specificato che il distributor dovrebbe prendere in considerazione non solo i clienti effettivi, ma anche quelli potenziali, con ciò accogliendo le osservazioni formulate nell’ambito delle consultazioni dal mercato, secondo il quale i distributori non dovrebbero concentrarsi esclusivamente sulle “subjective information” relative ai clienti già acquisiti, dal momento che il target market, essendo un concetto generale, dovrebbe essere applicabile anche ai potenziali clienti.

Un aspetto importante nell’ambito di definizione del target market attiene poi all’interazione con i servizi di investimento prestati.

Si è visto come il principio di proporzionalità permea l’intero impianto normativo della product governance e come lo stesso trovi applicazione anche con riguardo all’obbligo del distributore di individuare e definire il target market: tale dovere deve essere applicato in maniera proporzionale anche con riguardo alla tipologia di servizio di investimento prestato; in particolare, per i casi in cui il distributore presti servizi esecutivi in regime di appropriatezza o di execution only [8], la portata di tale obbligo sarà più limitata rispetto alle ipotesi in cui presta servizi di investimento in regime di adeguatezza.

In proposito, l’ESMA ha considerato come il servizio di investimento influisca su due differenti fronti: (i) da un lato, la definizione del target market “attuale” è influenzata dal servizio di investimento fornito in quanto il livello di informazioni disponibili – dalle quali dipende il grado di approfondimento con cui il target market può essere definito – deriva dal servizio di investimento prestato e dalle relative regole di condotta dallo stesso imposte; (ii) dall’altro lato, la definizione del mercato di riferimento influenza la scelta del tipo di servizio da prestare in relazione alla natura del prodotto e ai bisogni del target market, considerando che il livello di protezione degli investitori varia da servizio a servizio.

In particolare, ad esempio, i distributori dovrebbero considerare che, in occasione della prestazione di servizi di natura esecutiva, l’identificazione del target market concreto potrà essere condotta solo con riguardo alle categorie della conoscenza ed esperienza dei clienti; per il caso poi in cui prestino servizi esecutivi in regime di execution only, non potranno neppure utilizzare tali parametri.

Al ricorrere di tali circostanze, sarà importante che i distributori prestino particolare attenzione alle informazioni fornite dai produttori, a maggior ragione se il prodotto presenta caratteristiche particolari o un grado di complessità / rischio elevato: il distributore, sulla base delle informazioni tratte dal produttore, potrebbe poi adottare un approccio prudenziale e decidere di non includere il prodotto nel proprio catalogo oppure potrebbe decidere di lasciare al cliente la possibilità di operare non in regime di consulenza, avvertendolo preliminarmente di non poter pienamente valutare la compatibilità del suo profilo con il prodotto.

(ii) La strategia distributiva

Nel definire la propria strategia distributiva – ovvero nel decidere in che modo “vendere” i prodotti finanziari ai clienti finali – il distributore dovrà prendere in considerazione la strategia distributiva delineata dal manufacturer e rivederla con uno sguardo critico; in particolare, potrebbe decidere di adottare un approccio maggiormente prudente di quello proposto, prestando servizi di investimento che garantiscano una maggior protezione del cliente – quale ad esempio la consulenza in materia di investimenti – o, al contrario, di optare per un approccio meno protettivo: tale scelta dovrà essere presa sulla base delle caratteristiche dei clienti, attuali e potenziali, del distributore – che dovrà agire nel loro migliore interesse – nonché delle caratteristiche dei prodotti offerti.

Qualora il distributore decidesse di adottare un approccio meno prudente – cui potrà optare solo a seguito di un’approfondita analisi – dovrà informare di tale circostanza il manufacturer, affinché quest’ultimo possa tenerne conto nel processo di product governance e nella scelta dei distributori.

(iii) Le deviazioni dal target market: la gestione patrimoniale, le esigenze di diversificazione del portafoglio e di copertura

Già nel Consultation Paper, l’ESMA aveva affrontato il tema della possibile “deviazione” dal target market, ipotizzando casi in cui, benché un cliente non rientrasse nel mercato target del prodotto, il distributore – nell’ambito di una gestione patrimoniale o della prestazione del servizio di consulenza di portafoglio – avrebbe potuto comunque vendere o raccomandare lo strumento finanziario all’investitore in un’ottica di diversificazione del portafoglio o a fini di copertura [9]; ciò esclusivamente qualora, in ragione delle peculiarità del caso di specie, il prodotto risultasse conforme ai requisiti di adeguatezza e, in particolare, agli obiettivi di investimento del cliente.

L’Autorità di Vigilanza, nel testo in consultazione, pur prevedendo tale possibilità, aveva precisato che tale situazione non avrebbe dovuto verificarsi “on a regular basis” – in considerazione del fatto che la raccomandazione di un prodotto al di fuori del mercato di riferimento, se correttamente individuato, dovrebbe costituire una sorta di eccezione alla regola – e che in ogni caso qualsiasi “deviazione” dal target market individuato (sia essa consistente nella vendita al di fuori del target market positivo oppure nella vendita all’interno del target market negativo) avrebbe dovuto essere comunicata al manufacturer.

L’ESMA aveva considerato inoltre l’ipotesi in cui un’impresa di investimento potesse identificare, con riferimento a determinati prodotti, più di un target market di clienti finali – ognuno caratterizzato da diversi obiettivi di investimento e bisogni –, in modo tale da non dover operare delle giustificate “deviazioni” dall’unico e generico target market individuato.

Nell’ambito delle consultazioni, il tema in parola ha costituito uno dei punti maggiormente dibattuti.

Gran parte del mercato ha manifestato il proprio disappunto in merito alla previsione secondo cui le deviazioni dal mercato di riferimento non dovrebbero verificarsi in modo regolare, rilevando come ciò potrebbe comportare una grave limitazione nel potere decisionale dei gestori di portafogli e contrastare gli effettivi interessi del cliente; è stato inoltre osservato come la vendita di un prodotto ai fini di diversificazione del portafoglio o di copertura non dovrebbe essere considerata come eseguita al di fuori del target market, suggerendo a tal proposito all’ESMA di prevedere che il perseguimento di tali scopi non solo dovrebbe rendere possibile la vendita di determinati prodotti al di fuori del target market positivo, bensì dovrebbe consentire di venderli anche all’interno del target market negativo.

A fronte di tali osservazioni, le Guidelines sono state modificate: l’ESMA ha innanzitutto eliminato il riferimento all’impossibilità di operare “deviazioni” “on a regular basis”, precisando ad ogni modo che ogni vendita al di fuori del mercato individuato dovrà essere giustificata dalle caratteristiche del caso concreto e che tali ragioni dovranno essere debitamente documentate, eventualmente nel report di adeguatezza, qualora esistente.

Accogliendo i suggerimenti del mercato, inoltre, l’Autorità di Vigilanza ha introdotto nella Linee guida i paragrafi 52 – 55 rubricati “Portfolio management, portfolio approach, hedging and diversification”: gli ultimi due paragrafi hanno ad oggetto gli obblighi di reporting del distributore nei confronti del produttore per i casi di deviazione dal target market da quest’ultimo individuato; in particolare, per il caso in cui il distributore dovesse vendere alcuni prodotti al di fuori del target market positivo per esigenze di diversificazione del portafoglio o di copertura – e tali transazioni risultino adeguate considerando il portafoglio complessivo del cliente o valutando la copertura dei rischi – il distributore non sarà tenuto ad informare il produttore di tale circostanza: previsione che costituisce una novità rispetto al testo delle Linee guida posto in consultazione; al contrario, qualora la vendita dovesse avvenire all’interno del target market negativo – benché la stessa sia finalizzata alla diversificazione del portafoglio o eseguita per esigenze di copertura – di tale fatto il distributore deve avvisare il manufacturer e, come specificato dall’ESMA, tale ipotesi dovrà in ogni caso costituire una rara eccezione.

In merito all’esonero di reporting di cui al paragrafo 54, pare il caso di precisare che – nonostante dal testo finale delle Linee guida parrebbe che tale esenzione operi in ogni caso in cui la vendita del prodotto al di fuori del target market positivo sia determinata da esigenze di diversificazione del portafoglio o di hedging – considerando quanto specificato al paragrafo 42 dell’Annex III del Final Report [10] (relativo ai Feedback sul Consultation Paper), parrebbe che in realtà tale esenzione non sia applicabile ai casi in cui la “deviazione” riguardi la tipologia di cliente e la conoscenza ed esperienza, riducendone pertanto in modo significativo la portata.

(iv) Revisione periodica dei dispositivi di product governance e flussi informativi tra distributore e produttore

Produttori e distributori, in forza di quanto previsto dall’art. 16, paragrafo 3, della MiFID II e dagli artt. 9 e 10 della Direttiva delegata, saranno tenuti a riesaminare, su base periodica, (rispettivamente) i prodotti e i servizi offerti allo scopo di valutarne la continua compatibilità con il mercato target individuato: i produttori dovrebbero a tal fine considerare, in maniera proporzionata, di quali informazioni necessitino e in che modo possano ottenerle; i distributori, per supportarli in tale revisione, dovrebbero informarli in merito alla loro esperienza con i prodotti.

In particolare, le informazioni pertinenti da comunicare potrebbero includere dati sui canali di distribuzione utilizzati e sulla quantità di vendite effettuate al di fuori del mercato target individuato, informazioni sintetiche delle tipologie di clienti, sintesi di eventuali reclami ricevuti o la presentazione di domande suggerite dal produttore a un campione di clienti per ottenere un feedback.

I distributori dovrebbero inoltre informare i produttori in merito ad eventuali errori nell’identificazione del target market o nel caso in cui un prodotto o un servizio non risultasse più compatibile con il mercato individuato, indicandone le circostanze sopravvenute; i flussi informativi saranno anch’essi soggetti al principio di proporzionalità e tali informazioni, in linea generale, dovrebbero essere fornite in forma aggregata, salvo casi di particolare rilevanza per i quali risulterà necessario fornire informazioni specifiche con riguardo a un determinato strumento finanziario.

Per quanto riguarda infine le informazioni relative alle vendite al di fuori del mercato target del produttore, i distributori dovrebbero essere in grado di fornire tutte le decisioni prese a tal fine o allo scopo di ampliare la strategia di distribuzione raccomandata dal produttore, nonché di segnalare le vendite effettuate al di fuori del target market (comprese le vendite all’interno del target market negativo), tenendo in ogni caso in considerazione le eccezioni di cui al sopra citato paragrafo 54 delle Linee guida.

(v) Distribuzione di prodotti creati da manufacturers non soggetti alla MiFID II

Un’altra questione affrontata nelle Linee guida attiene al ruolo dei distributori per il caso di offerta di strumenti finanziari prodotti da manufacturersnon soggetti alla disciplina MiFID: secondo l’ESMA, in tali ipotesi i distributori dovrebbero essi stessi svolgere i processi necessari al fine di garantire una situazione – in termini di servizio e di tutela dei clienti – paragonabile a quella che si sarebbe avuta se il prodotto fosse stato ideato in forza della disciplina MiFID.

In particolare, il distributore sarà tenuto a definire il target market del prodotto – in maniera appropriata e proporzionata – anche per il caso in cui tale mercato non sia stato definito dal manufacturer e non abbia dunque ottenuto dallo stesso informazioni in merito al processo di approvazione del prodotto; sarà inoltre suo onere garantire che il livello di informazioni ottenute dal produttore siano tali da assicurare che i prodotti siano distribuiti in conformità delle caratteristiche, degli obiettivi e dei bisogni del target market.

Qualora le informazioni rilevanti non siano pubblicamente disponibili – in quanto ad esempio non esista il KID o il prospetto dello strumento – il distributore dovrebbe concludere un accordo di distribuzione con il manufacturer (o rivedere gli accordi già esistenti) al fine di ottenere le informazioni necessarie per la definizione del target market [11].

Detti obblighi, ad ogni modo, dovrebbero essere adempiuti in maniera proporzionale con riguardo al grado di informazioni disponibili e alla complessità del prodotto; in ragione di ciò, l’eventuale accordo non dovrebbe essere richiesto nel caso di prodotti comuni non complessi – quali le azioni ordinarie –, in quanto le relative informazioni potrebbero essere ricavate dalle molteplici fonti disponibili, alimentate per fini regolamentari.

Oltre all’ipotesi ora delineata, il distributore potrebbe trovarsi a dover definire il target market in assenza di una preventiva individuazione dello stesso da parte del produttore anche nel caso in cui i prodotti da vendere siano stati confezionati prima del 3 gennaio 2018 (ovvero prima dell’applicabilità della MiFID II), ma siano distribuiti successivamente a tale data: in tale circostanza, il distributore dovrebbe comportarsi come se il prodotto fosse stato creato da un manufacturer non soggetto agli obblighi dettati dalla nuova disciplina. Ad ogni modo, accogliendo le osservazioni del mercato in merito, l’ESMA si è mostrata concorde sul fatto che se il target market sia stato individuato dal produttore (per sua spontanea volontà o in forza di un contratto con il distributore) e ciò sia avvenuto in conformità di quanto previsto dalle Linee guida, il distributore – dopo averlo sottoposto a un vaglio critico – potrebbe far affidamento su quanto indicato dal produttore.

2.3.- Le Linee guida applicabili sia ai produttori che ai distributori

Nella terza e ultima parte delle Linee guida, l’ESMA si è espressa su alcuni temi riguardanti sia i produttori, sia i distributori; in particolare, in tale sezione l’Autorità di Vigilanza ha affrontato principalmente due problemi: (i) quello dell’individuazione del target market negativo e della vendita dei prodotti al di fuori del target market positivo e (ii) quello relativo all’applicazione degli obblighi di target market con riguardo ai clienti professionali e alle controparti qualificate.

(i) L’individuazione del target market negativo

Si è già anticipato che sia i produttori che i distributori saranno tenuti a considerare se un prodotto sia incompatibile con un determinato target di clienti e, nel fare ciò, dovrebbero applicare le medesime regole illustrate per la definizione del target market positivo; i distributori dovrebbero inoltre identificare quei gruppi di clienti per i cui obiettivi, caratteristiche e bisogni un servizio connesso alla distribuzione di un determinato prodotto potrebbe non essere compatibile.

Alcune caratteristiche utilizzate nella definizione del target market positivo porteranno automaticamente a individuare investitori per i quali il prodotto non può essere compatibile: ad esempio un prodotto compatibile con un obiettivo di rischio speculativo non potrà essere adatto per clienti con un obiettivo di rischio basso; in tali casi, il target market negativo potrebbe essere definito dichiarando l’incompatibilità del prodotto o del servizio per ogni cliente al di fuori del target market positivo.

Anche nella definizione del target market negativo le imprese di investimento dovranno tenere in considerazione il principio di proporzionalità: l’approfondimento dei fattori e dei criteri da considerare dipenderanno dalla natura del prodotto, con particolare riguardo alla sua complessità e al profilo di rischio / rendimento. In ragione di ciò, dunque, con riguardo a un prodotto molto semplice e comune come un plain vanilla, vi sarà un gruppo molto piccolo di investitori per i quali tale strumento non sarà compatibile; l’estensione del target market negativo, al contrario, tenderà ad aumentare in presenza di prodotti maggiormente complessi.

Come si è visto, potrebbero esserci situazioni in cui, al ricorrere di determinate circostanze, un prodotto potrebbe essere venduto al di fuori del target market positivo individuato; ciò deve ad ogni modo essere giustificato dalle peculiarità del caso e le ragioni che hanno consentito tale “deviazione” devono essere chiaramente documentate e riportate, ove esistente, nel report di adeguatezza.

(ii) Applicazione degli obblighi di target market con riguardo ai clienti professionali e alle controparti qualificate

Gli obblighi di product governance sono stabiliti con riferimento al concetto di cliente finale: gli artt. 16, paragrafo 3, e 24, paragrafo 2, della MiFID II specificano difatti che per ogni prodotto deve essere individuato il relativo target market di clienti finali; in proposito l’ESMA ha dunque chiarito che un’impresa di investimento non sarà tenuta a individuare un mercato target per clienti professionali o controparti qualificate che agiranno a loro volta come intermediari, dovendo al contrario definire il mercato di riferimento avendo in mente esclusivamente il cliente posto alla fine della catena di intermediazione, i.e. il cliente finale.

Di conseguenza, se un cliente professionale o una controparte qualificata dovessero acquistare un prodotto allo scopo di rivenderlo ad altri clienti – agendo dunque in qualità di intermediario – non dovrebbe essere considerati quali clienti finali, rivestendo viceversa il ruolo di distributore con ciò che ne consegue in termini di rispetto degli obblighi di product governance a quest’ultimo facente capo; inoltre, se la controparte qualificata dovesse apportare delle modifiche al prodotto prima di rivenderlo, dovrebbe essere soggetta anche alle regole di product governance dettate per i manufacturers, oltre a quelle previste per i distributori.

Al contrario, potrebbe capitare che un cliente professionale o una controparte qualificata assumano la qualità di cliente finale; è stato dunque affrontato il problema di come debbano declinarsi gli obblighi di product governance al ricorrere di tale eventualità.

Ai sensi della disciplina MiFID, è possibile ritenere che i clienti professionali possiedano la conoscenza e l’esperienza richieste per comprendere i rischi connessi a determinati prodotti o servizi per i quali sono stati classificati in tal modo; la MiFID, tuttavia, distingue a tal proposito i clienti professionali di diritto dai clienti professionali su richiesta, prevedendo che per tale ultima categoria di clienti non sia possibile presumere il possesso della conoscenza e dell’esperienza come per i clienti professionali di diritto. In ragione di ciò, l’Autorità di Vigilanza ha precisato che, nell’ambito della definizione del target market, le imprese di investimento dovrebbero considerare le differenze, in merito al requisito della conoscenza, intercorrenti tra i clienti al dettaglio e ai clienti professionali e, all’interno di tale ultima categoria, tra i clienti professionali di diritto e su richiesta.

Per il caso in cui il target market di clienti finali dovesse essere composto esclusivamente da controparti qualificate, benché gli obblighi di product governance si applicheranno a prescindere dalla natura del cliente finale, la valutazione complessiva potrà presumibilmente essere meno approfondita.

Sul punto, si precisa ad ogni modo che, come già osservato in precedenza, le imprese di investimento non potranno ritenersi esentate dal definire il target market tenendo in considerazione le cinque categorie individuate dall’Autorità di Vigilanza.

[1] Per “prodotti finanziari” devono intendersi: (i) gli strumenti finanziari, come definiti nell’Allegato I, Sez. C, della MiFID II e (ii) i depositi strutturati, come definiti dall’art. 4, comma I, n. 43 della MiFID II.
[2] Per “produttori”, in conformità di quanto previsto al Considerando n. 15 e dall’art. 9 della Direttiva delegata, devono intendersi le imprese di investimento che creano, sviluppano, emettono e concepiscono prodotti finanziari, compresi quelli che prestano consulenza agli emittenti societari in merito al varo di nuovi strumenti finanziari.
[3] Per “distributori”, in conformità di quanto previsto al Considerando n. 15 e all’art. 10 della Direttiva delegata, devono intendersi le imprese di investimento che offrono o raccomandano strumenti finanziari e servizi ai clienti; l’ESMA, in proposito, ha chiarito che tale concetto deve intendersi in senso ampio, dovendosi considerare distributore, ai fini della product governance, l’intermediario che presta qualsiasi servizio di investimento, ivi incluso il servizio di gestione di portafoglio, nonché i servizi di natura esecutivi, anche in modalità di execution only.
[4] I provvedimenti emanati a livello europeo, peraltro, sono stati richiamati dall’ESMA sia nel Final Report del 19 dicembre 2014, avente ad oggetto “ESMA’s Techincal Advice to the Commission on MiFID II e MiFIR”, sia nel Consultation Paper che nel Final Report aventi ad oggetto le “Guidelines on MiFID II product governance requirements”.
[5] In particolare, fra le tipologie di prodotti a elevata complessità individuate nella c.d. black list, la Consob ha indicato le seguenti come non normalmente adatte alla clientela retail(i) prodotti finanziari derivanti da operazioni di cartolarizzazione di crediti o di altre attività (quali ad esempio gli Asset Backed Securities); (ii) prodotti finanziari per i quali, al verificarsi di determinate condizioni o su iniziativa dell’emittente, sia prevista la conversione in azioni o la decurtazione del valore nominale (quali ad esempio i Contingent Convertible Notes); (iii) prodotti finanziari credit linked (esposti a un rischio di credito di soggetti terzi); (iv) strumenti finanziari derivati di cui all’art. 1, comma 2, lettere da d) a j) del TUF non negoziati in trading venues, con finalità diverse da quelle di copertura; (v) prodotti finanziari strutturati, non negoziati in trading venues, il cui pay-off non rende certa l’integrale restituzione a scadenza del capitale investito dal cliente.
[6] Benché la product governance, ai sensi della MiFID II, dovrà difatti trovare applicazione con riguardo a qualsiasi prodotto – a prescindere dalla sua natura – le imprese di investimento, almeno con riguardo ai prodotti c.d. complessi, dovrebbero già essersi conformate ai principi e alle prescrizioni contenute nei documenti sopra citati.
[7] La possibilità di compensare tra loro i requisiti della conoscenza e dell’esperienza è molto rilevante sul piano pratico; si pensi ad esempio al caso di un cliente che non abbia mai effettuato investimenti in un determinato strumento finanziario, ma che sia in grado di colmare tale “lacuna” con un’approfondita conoscenza del prodotto: qualora non fosse consentita la compensazione tra i parametri, in assenza di pregressa esperienza, il prodotto non potrebbe essere venduto al cliente, circostanza invece possibile in virtù della previsione in parola.
[8] In proposito, pare opportuno riflettere sul concetto di execution only che il legislatore comunitario può aver avuto in mente nella individuazione degli obblighi di governance dei prodotti; parrebbe che sia stata data per presupposta una preventiva individuazione, da parte del distributore, di un catalogo di prodotti da “vendere” in modalità di mera esecuzione di ordini.
[9] Si pensi, ad esempio, alla vendita di un Interest Rate Swap al di fuori del target market in ragione della necessità del cliente di coprirsi dal rischio di tasso che gli deriva da altre attività già presenti nel suo portafoglio: tale “deviazione” potrebbe essere consentita laddove le caratteristiche del prodotto siano tali da neutralizzare effettivamente i rischi finanziari assunti dall’investitore.
[10] Al citato paragrafo 42 si legge difatti quanto segue: “ESMA has also clarified (in paragraphs 54 and 55 of the guidelines) how distributors are expected to report sales outside the positive target market or within the negative target market for diversification or hedging purposes. It should however be noted that the reporting exception granted in paragraph 54 should not apply to the categories ‘the type of clients to whom the product is targeted’ and ‘knowledge and experience’”.
[11] Ciò, in particolare, potrà rilevare nei casi di distribuzione degli OICVM, in quanto gli ideatori di tali strumenti non saranno tenuti, fino al 2020, alla redazione del KID – in ragione dell’esenzione per i primi due anni dell’applicabilità della disciplina prevista per i PRIIP – e l’attuale KIID non contiene tutte le informazioni necessarie all’adempimento degli obblighi di product governance.
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