Il presente contributo analizza il primo caso di applicazione della riformata disciplina della responsabilità dei sindaci, rappresentato dall’ordinanza emessa dal Tribunale di Bari lo scorso 24 aprile 2025.
Come noto è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28 marzo 2025 la legge 14 marzo 2025, n. 35, che modifica l’articolo 2407 del codice civile, in materia di responsabilità dei componenti del collegio sindacale.
Tra le più rilevanti novità introdotte dalla riforma vi è sicuramente l’introduzione di un limite alla responsabilità patrimoniale del sindaco che viola i propri doveri e causa un danno. Quest’ultimo, infatti, al di fuori delle ipotesi di dolo, risponde per i danni cagionati alla società, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi, nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito, suddiviso in tre fasce:
- per i compensi fino a 10.000 euro annui, il risarcimento massimo può arrivare a quindici volte il compenso;
- per i compensi da 10.000 a 50.000 euro annui, il risarcimento è limitato a dodici volte il compenso;
- per i compensi maggiori di 50.000 euro annui, il risarcimento massimo è pari a dieci volte il compenso.
Tale limitazione, che non costituisce un’esimente della responsabilità del sindaco, determina solamente una limitazione quantitativa della sua responsabilità in relazione al danno conseguente ad una sua condotta colposa.
La riforma è intervenuta anche sul termine di prescrizione dell’azione di responsabilità nei confronti dei sindaci, introducendo un quarto comma nell’articolo 2407 c.c., che fissa il termine a cinque anni dal deposito della relazione ex art. 2429 c.c., allegata al bilancio dell’esercizio in cui si è verificato il danno.
La disposizione normativa così modificata è entrata in vigore il 12 aprile 2025, generando non pochi profili di incertezza interpretativa.
Alcune di tali questioni sono state recentemente affrontate dal Tribunale di Bari con l’ordinanza n. 1981 del 24 aprile 2025, la quale rappresenta la prima pronuncia applicativa della Legge n. 35/2025 in materia di responsabilità dei sindaci.
L’ordinanza in esame fornisce infatti un primo e significativo contributo all’interpretazione e all’applicazione della riformata responsabilità dei componenti del collegio sindacale, chiarendo aspetti sia di natura giuridica sia di rilevanza pratica.
Tale ordinanza arriva a conclusione di un procedimento ex art. 671 c.p.c. per sequestro conservativo promosso dalla curatela fallimentare di una società, nei confronti di amministratori, sindaci e revisore legale; procedimento in cui, con precedente provvedimento, il Tribunale aveva disposto un sequestro cautelare per somme di rilievo, affermando il principio secondo cui il collegio sindacale è tenuto a esercitare un controllo diligente, attivo e concreto sulla gestione societaria, con l’obbligo di intervenire tempestivamente in presenza di gravi irregolarità.
Accertata – per quanto in via cautelare – la presunta responsabilità dei sindaci, il Collegio giudicante ha esaminato la questione relativa all’applicabilità della nuova disciplina ai fatti accaduti anteriormente alla sua entrata in vigore, considerata l’assenza di una specifica norma di diritto transitorio.
In particolare, con riferimento al termine di prescrizione, il Tribunale chiarisce che tale previsione “si applicherà alle condotte successive all’entrata in vigore di tale legge e, quindi, diventerà operativa a partire dai bilanci dell’esercizio 2024. Infatti, la disposizione sulla prescrizione disciplina un istituto di diritto sostanziale e non è stata prevista dal legislatore alcuna disposizione che preveda l’applicabilità della nuova normativa ai giudizi pendenti, cioè alle condotte anteriori all’entrata in vigore della riforma, sicché la retroattività va esclusa in ragione della previsione generale di cui all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, secondo cui “la legge non dispone che per l’avvenire”.
La nuova disciplina relativa alla prescrizione quinquennale della responsabilità dei sindaci, dunque, non si applica retroattivamente.
Il Tribunale ha osservato altresì che “sarebbe in conflitto con l’art. 24 Cost. un’interpretazione della predetta disposizione che, pendente la precedente disciplina (codicistica) sulla decorrenza della prescrizione applicando la quale il diritto al risarcimento non è ancora estinto, determini l’estinzione di detto diritto quale effetto dell’entrata in vigore della nuova legge poiché, alla data di tale entrata in vigore, è ormai decorso il termine di prescrizione decorrente dal deposito della relazione dei sindaci”.
Quanto al dies a quo della prescrizione, il Tribunale fa riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 115 del 9 maggio 2024 – relativa alla decorrenza della prescrizione dell’azione di responsabilità nei confronti dei revisori contabili – ed applica gli stessi principi anche ai sindaci.
Il Giudice di Bari, infatti, accerta che il termine di cinque anni dalla data della relazione di cui all’art. 2429 c.c. si applica soltanto con riguardo alla responsabilità verso la società che ha conferito l’incarico, poiché, sin dal deposito di una relazione inesatta o scorretta, il sindaco “è inadempiente verso la società che gli ha conferito l’incarico ed il suo inadempimento produce un danno alla società medesima, la quale può già far valere la pretesa risarcitoria”. Il medesimo termine non può invece valere nei confronti dei soci e dei terzi, i quali, “fintantoché l’affidamento ingenerato dalla relazione erronea o scorretta non abbia determinato un concreto sviamento della loro posizione, non subiscono danni”. Il dies a quo della prescrizione dell’azione risarcitoria dei soci o terzi dev’essere pertanto individuato nel momento in cui il danno diventa percepibile da parte di questi ultimi.
In ordine alla previsione del tetto massimo alla responsabilità patrimoniale del sindaco, determinato in relazione a un multiplo del compenso annuo da lui percepito, il Tribunale statuisce la sua applicabilità anche ai fatti pregressi all’entrata in vigore della normativa riformatrice, “trattandosi di previsione lato sensu procedimentale poiché si limita ad indicare al Giudice un criterio di quantificazione del danno (tetto massimo), senza che una tale interpretazione incida sulla permanenza del diritto stesso al risarcimento, limitando solo il quantum rispetto a soggetti comunque responsabili in solido con gli amministratori”.
Ne deriva, pertanto, che detta disposizione, non incidendo sull’esistenza stessa del diritto al risarcimento, può essere applicata con efficacia retroattiva nei giudizi pendenti, senza violare il divieto di cui all’articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale.
In tale contesto, il Tribunale di Bari richiama l’orientamento della Suprema Corte, che con le ordinanze nn. 5252/2024 e 8069/2024 ha confermato, in relazione al criterio equitativo di liquidazione del danno previsto dall’art. 2486 c.c., come la disciplina relativa alla responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 della Legge fallimentare nei confronti dell’amministratore, e il conseguente meccanismo di quantificazione del “differenziale dei netti patrimoniali” ai sensi dell’art. 2486, comma 3, c.c., come novellato dall’art. 378, comma 2, D.lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), sia applicabile anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della riforma, in quanto la norma introduce non un nuovo regime probatorio, bensì un criterio valutativo rivolto al giudice, finalizzato a determinare il danno in relazione a situazioni di responsabilità accertata degli amministratori per comportamenti gestori non conservativi, idonei a ledere l’integrità e il valore del capitale sociale successivamente al verificarsi di un evento di scioglimento della società.
Il Tribunale svolge infine due ulteriori precisazioni significative sulla determinazione del tetto massimo.
In primo luogo, precisa che il tetto massimo va calcolato per ciascun evento dannoso legato a una specifica violazione dei doveri sindacali, “nel senso che l’indicazione del tetto massimo non riguarda cumulativamente tutte le condotte dannose, ma ciascuna delle condotte dalle quali deriva un danno, come si evince anche dalla lettera della norma (“i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l’ incarico ai suoi soci, ai creditori e ai terzi nei limiti di …”) che fa riferimento alla violazione dei doveri dai quali deriva un danno, manifestando, quindi, la necessità di un nesso tra ciascuna violazione ed il danno.” Nel caso concreto sono stati individuati due distinti danni: uno per la prosecuzione dell’attività nonostante la perdita totale del capitale e uno per la mancata vigilanza sui finanziamenti. Per ciascuno, è stato calcolato separatamente il limite e poi i due importi sono stati sommati.
In secondo luogo, per stabilire la base su cui calcolare il limite massimo di risarcimento, il Tribunale interpreta il “compenso annuo percepito” come il compenso netto stabilito dall’assemblea al momento della nomina, per evitare che l’inadempimento della società (nel caso in cui non abbia effettivamente pagato il sindaco) impedisca l’applicazione del nuovo limite di responsabilità.