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Giurisprudenza

Operazioni di stock lending: indeducibilità dei costi di commissione

7 Febbraio 2023

Luca Cicozzetti, Avvocato

Cassazione civile, Sez. V, 10 giugno 2021, n. 16475 – Pres. Sorrentino, Rel. Rossi

Nell’ambito di un contratto di stock lending, non è possibile dedurre dal reddito d’impresa il costo relativo alla commissione versata nei confronti del “prestatore” delle azioni, nell’ipotesi di distribuzione di dividendi esclusi al 95% ai sensi dell’art. 89 del TUIR.

Ciò in quanto detto contratto spiega gli stessi effetti dell’usufrutto di azioni, e rientra pertanto nel campo di applicazione del divieto posto dall’articolo 109, comma ottavo del TUIR.

Il principio contenuto nella sentenza in oggetto sembra essere conforme ad un precedente orientamento espresso dalla Corte di Cassazione in materia (cfr. Cass. n. 11872/2017).

Nella fattispecie in esame, una società per azioni impugnava un avviso di accertamento in merito all’IRES relativa all’anno 2004.

In particolare, nell’anno in questione, la ricorrente concludeva con una società fiscalmente residente nella Repubblica Ceca, un contratto di stock lending, avete ad oggetto il prestito di azioni emesse da una società fiscalmente residente in Portogallo, controllata interamente da quella di diritto ceco.

In virtù di tale accordo, la contribuente, “prestataria” delle azioni, acquisiva il diritto all’incasso dei dividendi correlati ai titoli ricevuti in prestito.

Inoltre, laddove l’importo dei dividendi distribuiti in ciascun anno fosse risultato inferiore ad un ammontare stabilito, la contribuente non avrebbe dovuto corrispondere alcuna commissione alla società ceca; nell’ipotesi di distribuzione di dividendi in misura superiore al suddetto ammontare, invece, la contribuente avrebbe dovuto invece riconoscerla in misura proporzionale agli utili distribuiti.

La società prestatrice si impegnava invece ad approvare la distribuzione degli utili prodotti dalla propria controllata in misura integrale.

Nel periodo d’imposta 2004, venivano distribuiti i dividendi alla S.p.A. oltre la soglia minima contrattuale; conseguentemente la prestataria corrispondeva alla società di diritto ceco la commissione come prevista da contratto.

Pertanto, nella dichiarazione fiscale relativa all’anno in esame, la contribuente, da un lato, imputava alla formazione dell’imponibile IRES i dividendi percepiti, limitatamente al 5% del relativo ammontare (ai sensi dell’art. 89, co. 3, del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917); dall’altro, esponeva tra i costi l’intero importo versato a titolo di commissione.

In sede di verifica, l’Amministrazione finanziaria, non contestava l’abuso del diritto ex art. 37-bis del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, ma riconduceva l’operazione nell’ambito di una fattispecie contrattuale nulla per assenza di causa (per difetto dell’alea sulla misura dei dividendi distribuibili), diretta a realizzare, in frode alla legge, un duplice indebito vantaggio fiscale, consistente nell’esclusione dalla tassazione del 95% dei presunti dividendi di fonte estera e nella deduzione integrale dal reddito imponibile della commissione corrisposta alla società ceca, “prestatore” delle azioni.

Tale ricostruzione veniva avallata da entrambi giudici di merito. Pertanto, la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, affidandosi ad una molteplicità di motivi.

Per quanto di interesse, la ricorrente contestava anzitutto contraddittorietà della motivazione, nonché violazione e falsa applicazione dell’articolo 37-bis del d.P.R. 600/1973; a giudizio della società, infatti, l’Amministrazione, contestando la illiceità della causa contrattuale, si sarebbe così sottratta sia agli obblighi motivazionali che procedimentali (contraddittorio preventivo) posti dalla specifica disciplina antielusiva di cui al predetto articolo, vigente ratione temporis.

Il vizio motivazionale e la violazione di legge, peraltro, sarebbero stati integrati anche con riguardo all’articolo 109 comma quinto del TUIR, nella misura in cui le commissioni contrattuali previste erano state, secondo la ricorrente, pacificamente corrisposte, e pertanto, potendo al più considerarsi relative ad un illecito civile e non penale, non potevano considerarsi indeducibili alla stregua dei costi da reato di cui ai commi 4 e 4-bis della l. 24 dicembre 1993 n. 537.

Tali argomentazioni non venivano condivise dal Collegio di Legittimità adito che, con la pronuncia in questione, rigettava il ricorso presentato dalla contribuente.

Nello specifico, secondo il parere della Corte di Cassazione, il percorso argomentativo dei giudici di secondo grado non era corretto, in quanto si incentrava sull’inesatta qualificazione giuridica dell’operazione negoziale compiuta, senza cogliere l’effettivo fondamento del recupero a tassazione operato dall’Ufficio.

Tuttavia, tale percorso, seppur errato, conduceva ugualmente alla conclusione, conforme a diritto, della legittimità della pretesa impositiva accertata.

Il compito di tale Corte, pertanto, risiedeva nella correzione della motivazione della sentenza impugnata, ex art. 384 del c.p.c.

A tal proposito, i giudici di legittimità, richiamando un consolidato orientamento, chiarivano che l’operazione di stock lending, ossia di prestito di azioni con conseguente previsione a favore del mutuatario del diritto all’incasso dei dividendi dietro versamento al mutuante di una commissione, realizza il medesimo fenomeno economico dell’usufrutto di azioni, senza che rilevi, ai fini tributari, che nel primo caso si verta su un diritto di credito e, nell’altro, su un diritto reale.

Ciò comporta l’estensione dei limiti previsti dall’art. 109, co. 8, del D.P.R. n. 917/1986, alle operazioni di stock lending, con conseguente indeducibilità del costo relativo al versamento della commissione (cfr. Cass. n. 20424/2020, n. 10551/2020).

In particolare, il citato art. 109, co. 8, prevede che non è deducibile il costo sostenuto per l’acquisto del diritto di usufrutto o altro diritto analogo relativamente ad una partecipazione societaria da cui derivino utili esclusi ex art. 89 del TUIR.

Tale Corte, in conclusione, riteneva che l’operazione negoziale in esame non fosse nulla per mancanza di causa.

Il contratto di stock lending, per come posto in essere in concreto, integrava un’ipotesi di evasione d’imposta, e conseguentemente inconferenti risultavano le doglianze relative al mancato rispetto delle prescrizioni di cui all’articolo 37-bis del d.P.R. 600/1973.

I costi sostenuti per l’operazione a titolo di commissione versata al mutuante, infatti, dovevano considerarsi indeducibili, senza che avesse alcuna incidenza il regime di imposizione cui era assoggettato il prestatore delle azioni.

In virtù delle ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso della contribuente, condannando quest’ultima al rimborso delle spese processuali in favore dell’Amministrazione finanziaria.

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