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Oltre la barriera: gli effetti del DMA e del Regolamento 2018/302/UE sul geoblocking

27 Agosto 2025

Luciana Romualdi, Ricercatrice in diritto commerciale, Università di Chieti

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: Lo scritto analizza il fenomeno del geoblocking nel quadro del Regolamento 2018/302/UE e del Digital Markets Act (DMA). Il geoblocking, pratica discriminatoria basata sulla nazionalità, residenza o stabilimento del consumatore, viene esplicitamente vietato dal Regolamento 2018/302/UE per garantire parità nell’accesso ai beni e servizi online. Il DMA, invece, introduce obblighi mirati esclusivamente ai cosiddetti gatekeeper, grandi piattaforme digitali in grado di influenzare significativamente la concorrenza e l’accessibilità ai mercati digitali. Sebbene il DMA non menzioni espressamente il geoblocking, l’interpretazione sistematica degli obblighi e divieti previsti suggerisce che esso vieti implicitamente tale pratica per garantire equità e contendibilità del mercato digitale.

ABSTRACT: This paper analyzes the phenomenon of geoblocking within the framework of Regulation (EU) 2018/302 and the Digital Markets Act (DMA). In one hand, Regulation 2018/302, in order to ensure equal access to online goods and services, explicitly prohibits the geoblocking, considering it a discriminatory practice based on a consumer’s nationality, residence or place of establishment. On the other hand, the DMA specifically imposes obligations on the gatekeepers, large digital platforms capable of significantly influencing competition and market accessibility. Thus, although the DMA does not explicitly mention the geoblocking, a systematic interpretation of its obligations and prohibitions suggests that such practices are implicitly prohibited to ensure fairness and contestability in the digital market.


1. Considerazioni introduttive

L’importanza crescente delle piattaforme digitali nell’influenzare le dinamiche del mercato e della concorrenza ha spinto l’Unione europea ad adottare misure volte disciplinare il fenomeno, affiancando ai rimedi previsti dalla disciplina antitrust una serie di obblighi operanti ex ante “allo scopo di imbrigliare l’enorme potere (non solo economico) nel frattempo acquisito dalle grandi piattaforme”[1]. La disciplina della concorrenza interviene, infatti, solo dopo che un illecito si è verificato, spesso in maniera tardiva, ma soprattutto richiede l’individuazione di un mercato rilevante, ovvero del mercato costituito da tutti quei prodotti e servizi che sono considerati sostituibili e intercambiabili dagli utenti in base alle loro caratteristiche, al prezzo e all’uso previsto[2]. Invero tali criteri risultano di difficile applicazione nell’ambito dei mercati digitali, dove i vincoli concorrenziali non sempre derivano dalla sostituibilità tra beni e servizi, le imprese competono sulla base di parametri diversi dal prezzo[3], il mercato geografico è di difficile perimetrazione potendo coincidere con l’intero mondo e le piattaforme sono spesso multiversanti ovvero sono gestori di una pluralità di attività commerciali[4].

Proprio per tener conto di queste peculiarità il 12 ottobre 2022 è stato pubblicato il Regolamento 2022/1925 (UE) del Parlamento e del Consiglio, del 14 settembre 2022, noto come Digital Markets Acts (DMA), divenuto obbligatorio a partire dal 2 maggio 2023. Questo Regolamento mira a proteggere la concorrenza assicurando che i mercati in cui siano presenti delle grandi piattaforme digitali, definite come gatekeeper, che si caratterizzano per essere simultaneamente piazze di mercato per operatori terzi e negozi virtuali per offrire prodotti e servizi autonomamente sviluppati[5], siano e rimangano equi e contendibili[6]. Ciò avviene indipendentemente dagli “effetti reali, potenziali o presunti sulla concorrenza in un dato mercato derivanti dal comportamento di un dato gatekeeper”[7]. Si tratta cioè di misure volte a prevenire future distorsioni del mercato, quindi indipendentemente dall’esistenza attuale di effetti pregiudizievoli, ponendosi in misura complementare rispetto alla disciplina della concorrenza[8]. E questo perché, sebbene le piattaforme online offrano alle imprese uno spazio per posizionarsi nel mercato digitale e intercettare le esigenze dei consumatori, costringono gli operatori commerciali di agire in un contesto in cui le dinamiche di mercato e la libera concorrenza possono essere facilmente distorte[9].

Sulla base di tale obiettivo il DMA traccia una serie di obblighi che vanno dall’individuazione delle piattaforme digitali, all’introduzione di una serie di divieti specifici inflessibili[10], alla cui violazione sono collegate delle specifiche sanzioni.

L’introduzione del Regolamento 2022/1925/UE si inserisce nella più ampia strategia unionale[11], avviata nel 2015 dalla Commissione europea, volta a realizzare e sviluppare un mercato unico digitale. Quest’ultimo è inteso come un mercato “in cui è garantita la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali e in cui, quale che sia la loro cittadinanza o nazionalità o il luogo di residenza, persone e imprese non incontrano ostacoli all’accesso e all’esercizio delle attività online in condizioni di concorrenza leale e potendo contare su un livello elevato di protezione dei consumatori e dei dati personali”[12].

Alla luce di questi presupposti, il presente lavoro mira a delineare brevemente il quadro normativo e ad analizzare i collegamenti esistenti tra il fenomeno del geoblocking, disciplinato dal Regolamento 2018/302/UE[13], e le misure introdotte dal DMA. Entrambi i provvedimenti normativi perseguono l’obiettivo comune di realizzare un mercato unico digitale europeo equo e accessibile, seppure da prospettive differenti. Così, mentre il DMA si focalizza principalmente sull’attività delle grandi piattaforme digitali per prevenire condotte anticoncorrenziali che potrebbero ostacolare l’accesso dei consumatori e delle aziende al mercato digitale, il Regolamento 2018/302/UE mira direttamente a eliminare le discriminazioni basate su nazionalità, residenza o stabilimento del cliente, garantendo l’accesso paritario ai beni e servizi all’interno del medesimo mercato[14].

2. Il fenomeno del geoblocking nel quadro della disciplina del Regolamento 2018/302/UE

Il geoblocking può essere definito come la tecnica discriminatoria che impedisce ai consumatori di accedere a siti web in base alla loro ubicazione geografica o nazionalità, oppure che consiste nel reindirizzare il consumatore a versioni diverse di un sito web o nel rifiutare la consegna dei prodotti oltre i confini nazionali o, ancora, nel non accettare metodi di pagamento transfrontalieri[15]. Una tecnica simile ma distinta, il geofiltering, consente l’accesso di beni e servizi oltre confine, ma a condizioni differenziate tra gli Stati membri.

Per combattere queste pratiche, nel 2018 l’Unione Europea ha adottato il Regolamento 2018/302/UE, volto a impedire alle imprese che operano sul territorio europeo di utilizzare dei geofattori – la nazionalità, la residenza o il luogo di stabilimento del cliente – per segmentare geograficamente le vendite on line, impattando negativamente sulla tutela della concorrenza[16]. Invero una prima indicazione in questo senso era già contenuta nell’art. 20 della Direttiva 2006/123/CE (c.d. Direttiva servizi)[17], che si limitava a prevedere che i prestatori di servizi stabiliti nel territorio unionale non discriminassero i destinatari degli stessi sulla base della loro nazionalità e del luogo di residenza. Si trattava tuttavia di una norma il cui contenuto generico ha consentito agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità nel recepimento dell’obbligo limitandone, di fatto, l’efficacia[18].

I destinatari del Regolamento 2018/302/UE sono due: da una parte i professionisti che limitano o restringono l’accesso dei clienti a prodotti e servizi, dall’altra i clienti stessi. I professionisti sono definiti come persone fisiche o giuridiche, private o pubbliche, che agiscono, anche tramite una persona che opera per loro conto o nel loro interesse, per finalità inerenti alla propria attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale[19], indirizzando la loro attività sul mercato europeo[20]. Il cliente, invece, è il consumatore con cittadinanza o residenza in uno Stato membro, o anche un’impresa stabilita in uno Stato membro, che riceve un servizio o acquista un prodotto, o intende farlo, esclusivamente per il suo uso finale[21]. L’ambito di applicazione è quello delle offerte e degli scambi di beni e servizi ad esclusione di alcune attività economiche già estranee all’ambito di applicazione della Direttiva servizi[22].

Le pratiche discriminatorie vietate includono sia la discriminazione diretta che quella indiretta, le quali possono venire in rilievo in transazioni che riguardano l’accesso alle interfacce on line (art. 3), l’accesso ai beni e ai servizi (art. 4), l’accesso ai mezzi di pagamento (art. 5)[23] e che rappresentano rispettivamente la fase preliminare alla conclusione del contratto, la fase della conclusione e la fase dell’esecuzione del contratto stesso[24].

Ai sensi dell’art. 3 del Regolamento 2018/302/UE, i professionisti non possono bloccare o limitare l’accesso dei clienti alle loro interfacce online, utilizzando misure tecnologiche o di altro tipo, sulla base della nazionalità, del luogo di residenza o del luogo di stabilimento del cliente. Per tali motivi, non possono neppure reindirizzare i clienti da una versione dell’interfaccia online a un’altra senza il loro esplicito consenso. Si tratta di un divieto che impedisce ai professionisti di utilizzare l’indirizzo IP del cliente per adattare i loro siti web ai diversi Paesi in cui operano, praticando un trattamento ingiustificato. Tale divieto non è assoluto dal momento che può essere superato con l’esplicito consenso del cliente o nell’ipotesi in cui il blocco, la limitazione dell’accesso o il reindirizzamento sono richiesti dalla legge[25].

Il secondo tipo di divieto discriminatorio ingiustificato riguarda l’accesso ai prodotti e ai servizi. L’art. 4, comma 1, stabilisce tre situazioni specifiche in cui è vietata la discriminazione dei clienti in base ai fattori geografici mediante l’applicazione di condizioni generali diverse di accesso ai prodotti e ai servizi. La prima situazione riguarda la vendita di beni materiali. Ai sensi della lettera a) della disposizione sopra citata, il professionista non può applicare diverse condizioni generali di accesso ai propri prodotti per motivi connessi alla nazionalità o al luogo di residenza o di stabilimento del cliente, ove quest’ultimo intenda acquistarli. In questo caso la norma obbliga il professionista a dare al cliente la possibilità di acquistare il prodotto alle stesse condizioni previste per chi è residente nello Stato membro in cui avviene la consegna o il ritiro del prodotto. La seconda situazione riguarda la fornitura di servizi per via elettronica, con l’esclusione di quelli che consento l’accesso a opere protette dal diritto d’autore o da altri beni immateriali protetti. Ai sensi della lettera b) dell’art. 4, comma 1, il professionista non potrà applicare nei confronti del cliente condizioni generali di accesso diverse per motivi legati alla nazionalità o al luogo di residenza o di stabilimento per i propri servizi qualora il cliente intenda ricevere i servizi elettronicamente[26]. L’ultima situazione si riferisce ai servizi forniti dal professionista in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di residenza del cliente. In questo senso, l’art. 4, comma 1, lettera c) prevede che un professionista non applichi condizioni generali di accesso ai propri servizi diverse per motivi inerenti alla nazionalità o al luogo di residenza o di stabilimento del cliente, quando quest’ultimo riceve tali servizi in un luogo fisico nel territorio dello Stato membro in cui il professionista svolge la sua attività[27]. Anche in questo caso è possibile una deroga, purché adottata in modo non discriminatorio per specifici territori o per gruppi di clienti[28].

Infine, con riferimento alla fase esecutiva del contratto, il Regolamento 2018/302/UE lascia ai professionisti la libertà di scegliere i metodi di pagamento accettati, ma vieta loro di applicare condizioni di pagamento differenziate sulla base della nazionalità, della residenza o del luogo di stabilimento del cliente all’interno dell’UE[29].

In definitiva, il Regolamento 2018/302/UE intende garantire un mercato digitale europeo all’insegna della “neutralità tecnologica, della fairness e del principio di non discriminazione”[30].

3. Gli obblighi dei gatekeeper e le pratiche vietate nel DMA

Di diverso tenore sono le previsioni contenute all’interno del DMA, dal momento che esse impongono degli obblighi non a tutti i soggetti operanti nel mercato digitale, ma a solo quei soggetti che assumono la qualità di gateekeeper. Questi ultimi, e semplificando la questione definitoria, vengono indentificati sulla base di due parametri: uno qualitativo, legato al tipo di servizi offerti dalla piattaforma, l’altro quantitativo, relativo agli elementi dimensionali della stessa[31]. Così il gatekeeper è il soggetto, che in presenza cumulativa dei requisiti di cui all’art. 3[32], fornisce uno dei servizi di piattaforma di base, quali: (i) servizi di intermediazione online; (ii) motori di ricerca online; (iii) social network; (iv) servizi di piattaforma di condivisione video; (v) servizi di comunicazione elettronica interpersonale indipendenti dal numero; (vi) sistemi operativi; (vii) servizi cloud computing; (viii) servizi pubblicitari e (ix) assistenti virtuali[33]. In sintesi, il gatekeeper è il soggetto che fornisce un servizio di piattaforma di base ponendosi come intermediario tra chi accede ad Internet – l’utente finale – e chi offre contenuti e servizi nella rete – l’operatore commerciale – esercitando “il controllo dell’informazione che passa all’interno della rete attraverso una porta di accesso”[34].

Quanto agli obblighi che il gatekeepeer deve rispettare, la maggior parte degli stessi è contenuta in due diversi articoli – l’art. 5 e l’art. 6 – il cui contenuto è variamente declinato, e trae spesso origine dalla casistica antitrust già esistente[35]. Questi obblighi, seguendo l’impostazione data dal DMA, possono essere suddivisi in obblighi direttamente applicabili e obblighi che necessitano di ulteriore specificazione.

Gli obblighi di cui all’art. 5 devono essere soddisfatti in merito a ciascun servizio di piattaforma di base elencato nella decisione di designazione. Segnatamente, l’articolo si occupa, preliminarmente, di formulare gli imperativi riguardanti le modalità con le quali il gatekeeper è tenuto a trattare i dati personali degli utenti finali, in modo da prevenire abusi derivanti dalla propria posizione dovuta all’essere fornitore di un servizio di piattaforma di base[36]. La previsione si occupa, poi, di individuare con un grande livello di dettaglio ulteriori obblighi, tra cui: permettere agli utenti commerciali di offrire prodotti o servizi tramite canali alternativi a prezzi o condizioni differenti rispetto a quelli applicati sulla piattaforma del gatekeeper [37]; consentire agli utenti commerciali di promuovere le loro offerte e concludere contratti con gli utenti finali acquisiti sia tramite la loro piattaforma di base sia attraverso altri canali, gratuitamente, come pure di stipulare contratti con tali utenti finali indipendentemente dal fatto che usino o meno i servizi della piattaforma di base del gatekeeper[38]; consentire agli utenti finali di utilizzare applicazioni software diverse da quelle del gatekeeper (c.d. multi-homing)[39]. Inoltre, il gatekeeper non deve impedire né limitare, direttamente o indirettamente, la possibilità per gli utenti commerciali o gli utenti finali di sollevare questioni in materia di inosservanza della pertinente normativa dell’Unione o nazionale da parte del gatekeeper presso qualsiasi autorità pubblica competente[40].

Nell’art. 6 vengono individuati gli obblighi suscettibili di ulteriori specifiche[41]. Nonostante questa denominazione, gli obblighi delineati nell’articolo 6 sono immediatamente applicabili ed esecutivi. Questo significa che non si prevedono modifiche sostanziali alle disposizioni per la loro applicazione, ma piuttosto una possibile chiarificazione pratica su come i gatekeeper dovrebbero attuare tali obblighi per garantirne il rispetto. È previsto, inoltre, che la Commissione Europea possa intervenire con atti esecutivi per dettagliare ulteriormente le misure che i gatekeeper devono adottare, come pure che i gatekeeper possano sollecitare la Commissione per valutare se le misure che intendono adottare, o che hanno già attuato, sono adeguate a garantire la conformità con gli obblighi di cui all’articolo 6.

Le condotte regolamentate da questa disposizione sono considerate comportamenti anticoncorrenziali che i gatekeeper possono esercitare a causa della loro posizione dominante in un dato mercato di servizi di piattaforma di base. Tra tali obblighi vi è, a titolo esemplificativo, il divieto di self-preferencing, ossia di favorire i propri prodotti a discapito di quelli di altri operatori[42]; il divieto imposto al gatekeeper di utilizzare, in concorrenza con gli utenti commerciali, dati non accessibili al pubblico generati o forniti da tali utenti commerciali, ricavati o raccolti attraverso le attività commerciali degli utenti commerciali o dei loro clienti, relativi ai servizi di piattaforma di base o ai servizi forniti contestualmente o in ausilio ai servizi di piattaforma di base del gatekeeper[43]. Viene poi stabilito l’obbligo di fornire l’accesso, a titolo gratuito e in tempo reale, a tutti i dati aggregati e non che sono forniti o generati dallo stesso utente commerciale o da propri clienti utilizzando la piattaforma del gatekeeper, come pure i dati che l’utente commerciale ha generato utilizzando un servizio diverso prestato dal gatekeeper[44]; il divieto di lock-in ossia il divieto per i gatekeeper di limitare a livello tecnico o in altra maniera, la possibilità per gli utenti finali di passare, e di abbonarsi, a servizi e applicazioni software diversi, cui hanno accesso avvalendosi dei servizi di piattaforma di base del gatekeeper[45]. Ancora altri obblighi sono quelli di garantire alle imprese terze che forniscono motori di ricerca online, su loro richiesta, l’accesso a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie (c.d. FRAND) a dati relativi a posizionamento, ricerca, click e visualizzazione per quanto concerne le ricerche gratuite e a pagamento generate dagli utenti finali sui propri motori di ricerca online[46]; come pure l’obbligo di applicare le condizioni FRAND per l’accesso degli utenti commerciali ai propri negozi di applicazioni software, motori di ricerca online e servizi di social network elencati nella decisione di designazione[47].

Infine, ulteriori obblighi sono quelli che riguardano l’interoperabilità dei servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero[48], così da consentire che le funzionalità di base dei servizi offerti dal gatekeeper siano gli stessi servizi di un altro fornitore che offre o intende offrire tali servizi nell’Unione.

Dalla precedente elencazione emerge come si tratti di obblighi multidirezionali e multilivello finalizzati a tutelare sia l’utente finale, garantendogli loro la consapevolezza circa l’utilizzo dei dati e come pure la possibilità di controllare l’utilizzo degli stessi con riguardo ai divieti connessi alla combinazione dei dati per indicizzare l’offerta verso servizi non richiesti, sia l’operatore commerciale il quale, invece, non ha un sufficiente potere negoziale per opporsi autonomamente alle condizioni imposte dai gatekeeper [49].

4. Prime (parziali) conclusioni

Le riflessioni svolte finora hanno evidenziato la diversità dei provvedimenti, sia in termini di ambito applicativo sia in riferimento ai comportamenti vietati o imposti. Così mentre il Regolamento 2018/302/UE si applica alle imprese che forniscono un bene e servizio nel mercato digitale allo scopo di concludere una transazione con il cliente, il DMA si rivolge a quei soggetti che offrono un servizio di piattaforma di base, indipendentemente dalla conclusione effettiva della transazione di beni e servizi, almeno nel significato assunto dal regolamento sul geoblocking. Diversi sono anche gli obblighi imposti dall’uno o dall’altro regolamento: più specifici e circoscritti quelli previsti dal Regolamento 2018/302/UE, di più ampia portata quelli del DMA, così come sono diversi i destinatari delle misure protettive.

Tuttavia, nonostante nel DMA non vi sia alcun riferimento esplicito alle politiche di geoblocking e al relativo divieto, una lettura sistematica degli obblighi e dello scopo del DMA conduce a ritenere che tale divieto sia perfettamente aderente alle misure che sono state introdotte nel DMA stesso.

Lo scopo dichiarato della DMA è di “assicurare che i mercati in cui sono presenti i gatekeeper siano e rimangano contendibili ed equi”. Sebbene tali concetti non siano definiti esplicitamente nel regolamento, alcune indicazioni possono trarsi dalla lettura dei diversi considerando. La contendibilità viene definita come la capacità delle imprese di superare efficacemente le barriere all’ingresso e all’espansione e di sfidare il gatekeeper per quanto riguarda il merito dei rispettivi prodotti e servizi[50]. L’equità, invece, riguarda la presenza di uno squilibrio, in termini di potere contrattuale, tra i diritti e gli obblighi degli utenti commerciali in cui il gatekeeper trae un vantaggio sproporzionato, impedendo ai partecipanti al mercato (compresi gli utenti commerciali dei servizi di piattaforma di base e i fornitori alternativi di servizi forniti contestualmente o in ausilio a tali servizi di piattaforma di base) di cogliere adeguatamente i vantaggi derivanti dai loro sforzi innovativi o di altro tipo[51]. Si tratta quindi di scopi, interconnessi tra loro[52], che sono volti a promuovere, il primo la concorrenza tra piattaforme mentre il secondo, l’equità la concorrenza all’interno della piattaforma stabilendo rapporti equilibrati tra aziende e gatekeeper[53].

Ed è proprio con riferimento all’equità che si può cogliere il legame con le pratiche di geoblocking. Invero, nonostante nel DMA il concetto di equità sia prevalentemente riferito agli utenti commerciali, il considerando 62, che tratta dell’accesso ai negozi di applicazioni software, chiarisce che le condizioni tariffarie o altre condizioni generali di accesso devono essere considerate ingiuste se comportano uno squilibrio tra diritti e obblighi imposti agli utenti commerciali, attribuiscono al gatekeeper un vantaggio sproporzionato rispetto al servizio fornito dal gatekeeper agli utenti commerciali oppure se determinano uno svantaggio per gli utenti aziendali nella fornitura di servizi identici o simili a quelli forniti dal gatekeeper. Tra i criteri per valutare l’equità delle condizioni di accesso si indicano i “prezzi o condizioni imposti dal fornitore del negozio di applicazioni software per lo stesso servizio in regioni geografiche diverse”. Così si potrebbe dire, argomentando a contrario, che se la parità di prezzo o di condizioni deve essere rispettata per gli operatori commerciali indipendentemente dalla localizzazione geografica, a fortiori tale obbligo deve ritenersi applicabile anche a beneficio degli utenti finali, i quali sono, in ultima istanza, i destinatari dei beni e dei servizi che sono oggetto di scambio nel mercato digitale. Un secondo riferimento può essere, poi, rinvenuto nel considerando 7, che richiama tra le pratiche sleali dei gatekeepers le “condizioni e pratiche commerciali diverse in Stati membri diversi”, richiamo che parrebbe evocare proprio le logiche del geoblocking.

Da un’altra e diversa prospettiva, al medesimo risultato può giungersi attraverso l’analisi degli obiettivi che implicitamente derivano dagli art. 5 e art. 6 del DMA. Dalla lettura di tali obblighi si evince che le misure imposte mirano sua alla tutela degli operatori commerciali, creando mercati digitali equi e aperti, nel rispetto della libertà di impresa di cui all’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sia alla protezione dei consumatori e dei loro diritti fondamentali online [54]. Si pensi, ad esempio, alle regole in tema di multi-homing, a quelle sul trattamento, utilizzo e trasferimento dei dati, o ai divieti relativi ai servizi obbligatori[55] e di lock-in. Tutti questi obblighi sono accomunati dallo scopo di consentire all’utente finale di aver accesso ad un mercato nel quale le imprese operano in un regime di concorrenza avendo accesso alle medesime informazioni e ai medesimi benefici. Così interpretata la questione, il divieto di geoblocking risulta perfettamente coerente con la logica del DMA, in quanto finalizzato a garantire, al pari degli altri obblighi e divieti espressamente indicati nel DMA stesso, un accesso equo ai beni e servizi a tutti gli utenti finali indipendentemente dalla nazionalità, dal luogo di residenza o dallo stabilimento. In questo senso allora il divieto di geoblocking concorre, unitamente agli altri divieti e obblighi, alla realizzazione di un mercato digitale equo e contendibile.

 

[1] G. Olivieri, Sulle ‘relazioni pericolose’ fra antitrust e privacy nei mercati digitali, in Orizzonti del diritto commerciale, 2021, p. 373.

[2] Così A. Postiglione, Relevant market definition in the digital markets, in Digital ecosystems market challengers and pro-competitive solutions, a cura di V. Falce, Torino, 2024, p. 105.

[3] Tra i tanti v. P. Manzini, Equità e contendibilità dei mercati digitali: la proposta di Digital Market Act, in Annali Aisdue, 2021, p. 31, che evidenzia come i servizi digitali sono offerti agli utenti finali senza corrispettivo monetario ma in cambio, spesso inconsapevole, della condivisione di dati e informazioni che rappresentano il vero valore delle transazioni.

[4] G. Contaldi, Il dma (digital markets act) tra tutela della concorrenza e protezione dei dati personali, in Ordine internazionale e diritti umani, 2021, p. 299 ss.; V. Falce, Market challenges and Pro-competitive Solutions, in Digital ecosystems market challengers and pro-competitive solutions, a cura di V. Falce, Torino, 2024, p. 4; P. Manzini, Unraveling the proposal of Digital Market Act. La proposta di legge sui mercati digitali: una prima mappatura, in Orizzonti del diritto commerciale, 2021, p. 9. Sulle caratteristiche del mercato digitale v. anche M. Libertini, Digital markets and competition policy. Some remarks on the suitability of the antitrust toolkit, in Orizzonti del diritto commerciale, 2021, p. 338 ss.

[5] G. Contaldi, Il dma (digital markets act) tra tutela, cit., p. 296; M. Cappai e G. Colangelo, Taming digital gatekeepers: the ‘more regulatory’ approach to antitrust law, in Computer Law & Security Review, 2021, p. 2; A. Manganelli, Navigating Essentiality: A Compass for Digital Platforms  Regulation, in Digital ecosystems market challengers and pro-competitive solutions, a cura di V. Falce, Torino, 2024, p. 115; A. Licastro, Il self-preferencing come illecito antitrust?, in Il diritto dell’economia, 2021, p. 404 ove il rilievo per cui le piattaforme digitali operano sia come arbitri, quando in qualità di intermediari digitali, facilitano la messa in contatto fra venditori e consumatori, che come giocatori, quando divengono rivenditori di beni e servizi sulla piattaforma in concorrenza con i fornitori terzi; M.A. Rossi, Il ruolo delle piattaforme nell’economia dei Big data, in Informazione e big data tra innovazione e concorrenza, a cura di G. Ghidini, G. Olivieri, V. Falce, Milano, 2018, p. 83.

[6] Art. 1, e Considerando n. 7.

[7] Così Considerando n. 11.

[8] Così Considerando n. 9 e 11. Sulla necessità di integrare le regole sulla concorrenza per affrontare le sfide del mercato digitale si v. M. Libertini, Il regolamento europeo sui mercati digitali e le norme generali in materia di concorrenza, in Riv. trim. dir. pubbl., 2022, p. 1069; V. H.S.E. Robertson, The Complementary Nature of the Digital Markets Act and Articles 101 and 102 TFEU, in Journal of Antitrust Enforcement, 2024, p. 325 ss., in cui viene proposta anche una tabella con le principali differenze tra DMA e norme antitrust; A. de Streel, P. Larouche, The European Digital Markets Act: A Revolution Grounded on Traditions, in Journal of European Competition Law & Practice, 2021, p. 543 ss; C. Massa, The Digital Markets Act between the EU Economic Constitutionalism and the EU Competition Policy, in Yearbook of antitrust and regulatory studies, 2022, p. 115, per la quale il regolamento “appears as a hybrid between the traditional forms of economic regulation and competition law, as it imposes on market actors, at the same time, positive obligations requiring them to perform certain actions, and negative obligations prohibiting them to undertake certain actions”.

[9] In questo senso v. D. Delfino, Repressione della concorrenza sleale e DMA. Il caso TikTok, in Riv dir. ind., 2024, II, p. 203.

[10] V. Falce, Private enforcement and the DMA: looking for a happy ending story, in Digital ecosystems market challengers and pro-competitive solutions, a cura di V. Falce, Torino, 2024, p. 214.

[11] Così Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on contestable and fair markets in the digital sector (Digital Markets Act), COM/2020/842 final, p. 5.

[12] Comunicazione della Commissione al Parlamento, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Strategia per il mercato unico digitale in Europa, COM (2015) 192 final, p. 3. Si tratta, a ben vedere, di un’interpretazione evolutiva del concetto di mercato unico definito nell’art. 26 TFUE.

[13] Regolamento (UE) 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2018, volto a contrastare i blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate sulla nazionalità, sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti nell’ambito del mercato interno e che modifica i regolamenti (CE) n. 2006/2004 e (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, GU 2018 L 60I.

[14] Le preoccupazioni che queste forme di discriminazione possano minare il corretto funzionamento del mercato interno sono espresse nei Considerando n. 1,18,19 del regolamento.

[15] Così V. Falce, Appunti sul regolamento europeo sul geo-blocking e la neutralità geografica. In cammino verso il mercato unico digitale, in Contratto e impresa, 2019, p. 1288, nt.9. La nozione di blocco geografico ingiustificato è contenuta, ai fini interpretativi, nel Considerando n. 1, secondo cui con tale terminologia si intende la prassi comune ai professionisti operanti in uno stato membro volte ad impedire ai clienti di altri stati membri di effettuare transazioni commerciali transfrontaliere bloccando o limitando l’accesso alle lore interfacce on line, come i siti Internet e le applicazioni; in dottrina v. G. M. Ruotolo, La lotta alla frammentazione geografica del mercato unico digitale: tutela della concorrenza, uniformità, diritto internazionale privato, in Diritto del commercio inter., 2018, 503 ss., dove una esemplificazione accurata delle diverse fattispecie di blocchi geografici; D. Sarti, Il geoblocking fra princìpi generali del trattato e discipline settoriali dei regolamenti UE, in Nuove leggi civili commentate, 2020, p. 1238 ss.

[16] Nello specifico, ai sensi dell’art. 1(1) il Regolamento si propone di “contribuire al buon funzionamento del mercato interno, impedendo i blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate, direttamente o indirettamente, sulla nazionalità, sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti”.

[17] Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 settembre 2006 relativa ai servizi del mercato interno.

[18] G.M. Ruotolo, La lotta alla frammentazione geografica, cit., p. 514.

[19] Art. 2 (1)(17).

[20] Nulla è specificato con riguardo alla cittadinanza del professionista. Così secondo alcuni, e conformemente a quanto accade per la Direttiva servizi, la disciplina trova applicazione esclusivamente nei confronti del professionista europeo ai sensi dell’art. 54 TFUE. Per altri, invece, il riferimento contenuto nel considerando n.1 del Regolamento 2018/302/UE ai professionisti operanti in suo Stato membro, è esplicativo della volontà del legislatore di adottare un concetto più ampio di quello di stabilimento tale da ricomprendere anche i fornitori extra-Ue che operino da remoto: nel primo senso G. Gimigliano, Il regolamento c.d. geoblocking nel quadro della disciplina sul commercio elettronico, in Ianus. Rivista di studi giuridici, 2018, 182; G.M. Ruotolo, La lotta alla frammentazione geografica, cit., p. 518.

[21] Art. 2 (2)(13).

[22] Art. 1(3), e precisamente ai sensi dell’art. 2(2) della Direttiva servizi, sono esclusi i) i servizi non economici di interesse generale, ii) i servizi finanziari quali l’attività bancaria, il credito, l’assicurazione e la riassicurazione, le pensioni professionali o individuali, iii) i servizi del settore dei trasporti, iv) i servizi audiovisivi e radiofonici e vi) le attività di azzardo.

[23] Per questa suddivisione v. anche V. Falce, Appunti sul regolamento europeo sul geo-blocking, cit., p. 1292.

[24] In questi termini G. Gimigliano, Il regolamento c.d. geoblocking, cit., p. 191.

[25] Art. 3 (3).

[26] Come indicato nel Considerando n. 24, tale divieto comprende, a titolo esemplificativo, i servizi di cloud computing, l’archiviazione di dati, i servizi di archiviazione dati, l’hosting di siti Internet e l’installazione di firewall, nonché l’utilizzo di motori di ricerca e di elenchi su internet.

[27] Tali situazioni, ai sensi del Considerando n. 25, riguardano la fornitura di servizi diversi da quelli forniti tramite mezzi elettronici, quali sistemazioni alberghiere, manifestazioni sportive, noleggio auto e la vendita di biglietti d’ingresso per festival musicali o parchi di divertimento.

[28] Art. 4 (2).

[29] A tale riguardo, il Considerando n. 32 aggiunge che è espressamente vietato anche un trattamento differenziato ingiustificato basato su motivi connessi all’ubicazione del conto di pagamento, al luogo di stabilimento del prestatore di servizi di pagamento o al luogo di emissione dello strumento di pagamento nell’Unione.

[30] V. Falce, Appunti sul regolamento europeo sul geo-blocking, cit., p.1303.

[31] P. Manzini, Equità e contendibilità, cit., p. 37.

[32] Nello specifico l’art. 3 stabilisce che un’impresa è designata come gatekeepeer se a) ha un impatto significativo sul mercato interno declinato sulla base di criteri dimensionali indicati nel par. 2, lett. a) del medesimo art.3; b) fornisce un servizio di piattaforma di base che funge da importante gateway per gli utenti aziendali per raggiungere gli utenti finali e c) possiede una posizione consolidata e duratura nelle sue operazioni o è prevedibile che godrà di tale posizione nel prossimo futuro.

[33] Considerando n.14.

[34] D. Delfino, Repressione della concorrenza, cit., p. 205 ss.

[35] In questo senso v. P. Akman, Regulating Competition in Digital Platform Markets: A Critical Assessment of the Framework and Approach of the EU Digital Markets Act, in European Law Review, 2022, p. 85; A. de Streel, R. Feasey, J. Kraemer, G. Monti, Making the Digital Markets Act More Resilient and Effective, 2021, reperibile su SSRN: https://ssrn.com/abstract=3853991, p. 18; M. Colangelo, La regolazione ex ante delle piattaforme digitali: analisi e spunti di riflessione sul Regolamento sui mercati digitali, in Le nuove leggi civili commentate, 2023, p. 9 ss.

[36] Che questa sia la finalità emerge dal medesimo art. 5, comma 2, laddove prescrive il necessario consenso dell’utente finale per superare i divieti elencati. I gatekeeper sono infatti in una posizione di assoluto vantaggio rispetto alle altre imprese in merito alla possibilità di raccogliere i dati personali potendo raccoglierli da molteplici fonti: dal servizio di piattaforma di base; da servizi diversi offerti dallo stesso gatekeeper; tramite soggetti terzi che forniscono i dati personali dei propri utenti finali per poter utilizzare la piattaforma del gatekeeper. Così G. Afferni, Gli obblighi dei gatekeeper, in Digital services act e digital markets act. Definizioni e prime applicazioni dei nuovi regolamenti europei, a cura di L. Bologni, E. Pelino, M. Scialdone, Milano, 2023, p. 317 ss.

[37] Art. 5 (3).

[38] Art. 5 (4).

[39] Art. 5 (5).

[40] Art. 5 (6).

[41] Come rileva M. Colangelo, La regolazione ex ante, cit., 12, la distinzione tra gli obblighi imposti dall’art. 5 e quelli dell’art. 6 non è molto chiara.

[42] Art. 6 (5).

[43] Art. 6 (2).

[44] Art. 6 (10).

[45] Art. 6 (6).

[46] Art. 6 (11).

[47] Art. 6 (12).

[48] L’interoperabilità fa riferimento alla capacità di scambiare informazioni e di fare uso reciproco delle comunicazioni scambiate tramite interfacce o altre soluzioni, in modo che tutti gli elementi dell’hardware e del software funzionino con gli altri hardware e software e con gli utenti in tutti in modi in cui sono destinati a funzionare: così art. 2 (1)(29).

[49] Per quest’ultimo rilievo v. D. Delfino, Repressione della concorrenza, cit., p. 207.

[50] Considerando n. 32

[51] Considerando n. 33.

[52] Come chiaramente emerge dal Considerando n. 34

[53] C. Lombardi, Gatekeepers and their special responsibility under the Digital Markets Act, in Public and private enforcement of EU competition law in the age of big data, a cura di L. Calzolari, A. Miglio, C. Cellerino, F. Croci, J. Alberti, Torino, 2024, p. 166.

[54] C. Massa, The Digital Markets Act, cit., p. 126.

[55] Art. 5, (7) e (8).

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