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Attualità

Obbligazioni subordinate: alcune istruzioni per i risparmiatori

10 Giugno 2016

Gabriele Meggiorini, Consultique SpA

Di cosa si parla in questo articolo

Tanto si è parlato e si parlerà ancora del Bail-in, ma le domande che il risparmiatore si deve porre sono più di una. Sicuramente la prima è se la sua banca è sicura. Su questo aspetto si ricorda che il solo Cet 1 (Common Equity Tier 1) non è sufficiente per dare un giudizio completo sulla capacità di rimborso a scadenza dell’obbligazione acquistata, ma bisogna considerare anche altri indicatori più complessi che possono essere utilizzati regolarmente per le analisi. La seconda domanda riguarda la quotazione o meno del bond su un mercato regolamentato (ad esempio Borsa italiana, EuroTlx) o altro sistema di negoziazione: se la risposta fosse negativa le obbligazioni subordinate di tipo “Lower Tier II” o “Tier II” sono riacquistabili esclusivamente dalla banca che le ha emesse.

In generale, per tutte le obbligazioni di qualunque natura esse siano, è necessario cercare tra le numerose pagine dei fogli informativi o prospetti di offerta, che un investitore dovrebbe sempre consultare prima di acquistare qualsiasi strumento finanziario, se tra i vari rischi sia citato il rischio di liquidità, vale a dire la possibilità per il risparmiatore di poter vendere i titoli acquistati prima della scadenza. E su questo tema era intervenuta la Consob con la comunicazione 9019104/2009 che stabiliva i criteri per definire se il titolo fosse da considerare liquido o illiquido.

Per le subordinate si aggiunge un’ulteriore difficoltà di vendita dovuta al fatto che alle banche vengono posti da Banca d’Italia dei vincoli sul riacquisto dei propri bond subordinati (Circ. 263/2006 e aggiornamenti e disposizione CRR-Capital Requirements Regulation 575/2013, art. 77 e 78).

In sostanza fino alla fine del 2014 le banche avevano facoltà, di ricomprare in autonomia fino al 10% della singola emissione subordinatamentre per importi eccedenti dovevano chiedere autorizzazione a Banca d’Italia. Ma dal 2015 questa autonomia non sembrerebbe più esistere.

I limiti sul riacquisto rispondono a criteri di rispetto degli indici patrimoniali di un istituto di credito che per definizione devono essere stabili nel tempo; le obbligazioni subordinate sono computabili a patrimonio di vigilanza con il grado di rischio che ne deriva in caso di insolvenza dell’emittente e per questo chi le acquista deve essere un investitore professionale in grado non solo di conoscere tutti i rischi a cui va incontro, ma anche di chiedere una giusta remunerazione in termini di tasso all’emittente.

Ci sono ancora diverse centinaia di obbligazioni subordinate in circolazione, per un ammontare stimato di 1,84 miliardi di euro rispetto ai 3,5 miliardi di euro originariamente emesso (la differenza è stata rimborsata perché non più computabile nei fondi propri, come prescritto da Banca d’Italia nella 263/2006 e aggiornamenti).

Come può il risparmiatore diminuire il rischio presente in portafoglio per la presenza di queste titoli? La risposta è semplice: se le obbligazioni non sono quotate su un mercato regolamentato o su un altro sistema di negoziazione deve sperare che la sua obbligazione rientri tra quelle non più computabili a patrimonio (CRR 575/2013), senza vincolo di riacquisto per l’emittente.

In tal caso le banche hanno l’interesse a ricomprarsi i titoli emessi con tassi elevati e quindi molto onerosi per i bilanci. Al contrario, un’obbligazione ancora computabile a patrimonio di vigilanza della banca diventa di fatto illiquida, a meno che non vi sia un’esplicita autorizzazione al riacquisto da parte dell’Organo di Vigilanza.

La Consob in questi ultimi mesi si è mossa e in particolare con le 3 Consultazioni del 9 maggio 2016 atte a migliorare le “Avvertenze per l’Investitore”, i “Principi guida sulle informazioni chiave da fornire ai clienti al dettaglio nella distribuzione dei prodotti finanziari” e la “distribuzione degli strumenti finanziari tramite una sede di negoziazione multilaterale”, ma forse si continuano a scrivere regole nuove che diventano subito obsolete per il semplice motivo che l’industria del risparmio già si è inventata un nuovo prodotto non ancora contemplato nei regolamenti.

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