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Giurisprudenza

Mancanza di forma scritta del contratto di investimento, o bancario, e non configurabilità di una ratifica o convalida tacita

11 Giugno 2013

Prof. Avv. Daniele Maffeis

Cassazione Civile, Sez. I, 22 marzo 2013, n. 7283

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza in commento, la Prima Sezione Civile della Corte di cassazione, Relatore il dott. Renato Rordorf, ha occasione di statuire una regola, in punto di forma dei contratti di investimento – e dunque nell’ambito di applicazione dell’art. 23 TUF – felice e convincente, e che appare applicabile  anche in punto di forma dei contratti bancari – e dunque nell’ambito di applicazione dell’art. 117 TUB.

Statuisce la Corte che, una volta “escluso che vi sia mai stato un contratto d’investimento (c.d. contratto quadro) sottoscritto (dagli investitori)”, opera automaticamente “la nullità delle operazioni d’investimento successivamente compiute dalla banca, stante la previsione dell’art. 23 del TUF; e se tali operazioni sono da considerarsi nulle, per difetto di un indispensabile requisito di forma richiesto dalla legge a protezione dell’investitore, è evidentemente da escludere che se ne possa predicare la ratifica tacita”.

La statuizione è particolarmente importante, atteso che, in senso opposto, è notoriamente diffusa, in giurisprudenza, una prima tendenza – che considero quella più genuina, anche se inconfessata – a ritenere che il cliente, che agisce per la declaratoria di nullità o che la eccepisce, dopo avere eseguito – ad esempio rendendosi accipiens di somme – viola il divieto di venire contra factum proprium, nonché una seconda tenenza – più marcatamente diffusa nella dottrina più recente, ed in numerose opere di taglio monografico – alla riconduzione della nullità relativa all’annullabilità e, per questa via, all’ammissibilità della convalida (o “ratifica”) tacita, che il codice civile prevede per l’annullabilità medesima all’art. 1444 cod.civ.

Queste tendenze non sono meritevoli di accoglimento: ed è per questo che appare invece condivisibile la statuizione appena riportata della Corte di cassazione e, del pari, appare assai convincente la statuizione secondo cui “quando il legislatore richiede la forma scritta per meglio tutelare una delle parti del contratto, sarebbe manifestamente contraddittorio ammettere che quel difetto di forma sia rimediabile mediante atti privi anch’essi di forma scritta”.

Non a caso, nella civilistica tradizionale la convalida tacita del contratto nullo è esclusa principalmente per la perdurante necessità di distinguere tra nullità ed annullabilità.

Ma rispetto a questa motivazione, quella indicata oggi dalla Corte Suprema appare più convincente: ammettere la convalida tacita di un contratto soggetto a nullità relativa per difetto di forma significa, letteralmente, rovesciare l’intenzione del legislatore. Perché, mentre la convalida del contratto annullabile si spiega col carattere privato dell’interesse protetto, invece la nullità formale relativa si spiega, prima e più che con l’esigenza, che pure è presente, di proteggere il cliente della banca, con l’esigenza di ordine pubblico che nessuna operazione bancaria o di investimento sia posta in essere senza previa analitica informazione, data tramite la forma.

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