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Linee direttrici della normativa europea in materia di previdenza complementare e sviluppo degli investimenti a lungo termine

28 Giugno 2017

Maddalena Marchesi, Docente incaricato di diritto dell’economia e dei mercati finanziari, Pontificia Università Lateranense

Di cosa si parla in questo articolo

1. Dai Trattati di Roma all’unione dei mercati dei capitali: il ruolo della previdenza complementare[*]

Il Libro verde sull’Unione dei mercati dei capitali del febbraio 2015[1] si apre con un’affermazione quanto mai calzante con il tema del convegno: “Il principio della libera circolazione dei capitali è stato sancito dal trattato di Roma più di cinquant’anni fa. Si tratta di una delle libertà fondamentali dell’Unione europea e dovrebbe essere il fulcro del mercato unico. Eppure, nonostante i progressi compiuti, oggi i mercati dei capitali rimangono ancora segmentati e sono in genere organizzati su base nazionale. Dopo una fase di approfondimento, il livello di integrazione dei mercati finanziari in tutta l’UE è diminuito in seguito alla crisi, con il ripiegamento delle banche e degli investitori sui mercati di origine”.

Si tratta al tempo stesso di un riconoscimento dello stato dell’arte in materia all’esito della crisi finanziaria internazionale e di una riaffermazione importante del principio contenuto all’art. 3 del Trattato Istitutivo della Comunità Economia Europea, contestualizzato nella realtà moderna.

Da tale riaffermazione è scaturita la proposta, contenuta nel Libro Verde, e poi sostanziatasi nel successivo Piano d’azione[2], di costituire una “Unione dei mercati dei capitali”, con la finalità specifica di convogliare i finanziamenti vero l’economia reale e di consentire per tale via “un ritorno alla crescita sostenibile e alla creazione di posti di lavoro”. Detto altrimenti, creare un circolo realmente virtuoso tra i mercati dei capitali, l’economia reale, la crescita e l’occupazione, riducendo la dipendenza delle imprese dal finanziamento bancario[3] e migliorando l’accesso ai finanziamenti in particolare per le PMI e per le infrastrutture.

Nell’ambito di tale proposta un ruolo specifico è stato attribuito alla previdenza complementare, sull’assunto per cui i fondi pensione, quali importanti investitori istituzionali a lungo termine, possono non solo contribuire alla sostenibilità e all’adeguatezza del sistema pensionistico – funzione sociale primaria e imprescindibile – ma anche essere, in misura sempre maggiore, una fonte di investimento nell’economia reale. Costituisce corollario dello stesso assunto quello per cui un ruolo in tal senso, aggiuntivo rispetto alla funzione propria di sostegno a pensioni adeguate, può essere assegnato anche ai piani pensionistici individuali, rispetto ai quali ancora non sussiste una disciplina europea né un quadro normativo armonizzato.

Il progetto, recte il Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali (CMU Action Plan), scaturito da tale proposta è quindi l’ambito nel quale si possono collocare gli interventi adottati in materia di previdenza complementare; interventi che, pertanto, si collocano in linea “diretta” con i Trattati di Roma.

La priorità dichiarata del Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali, datato 2015, è il rafforzamento dell’economia europea e lo stimolo agli investimenti nell’ottica di creazione di posti di lavoro. Tale obiettivo viene perseguito mediante un approccio graduale e l’adozione di varie misure, non solo legislative, da implementare entro il 2019, incentrate su diversi settori dichiarati come prioritari, tra cui, per quanto qui di interesse: agevolare gli investimenti di lungo termine e il finanziamento di infrastrutture (3); promuovere le possibilità di investimento per gli investitori istituzionali e retail (4); abbattere le barriere agli investimenti transfrontalieri e sviluppare mercati dei capitali per tutti gli Stati Membri (6).

Di tali misure diverse sono riferibili ai fondi pensione e più in generale alla previdenza complementare: dalla revisione della normativa prudenziale ai fini dell’investimento in infrastrutture[4], alla valutazione dell’opportunità di realizzare “un quadro strategico” per la creazione di un mercato europeo dei piani pensionistici individuali (cd. terzo pilastro)[5], allo studio degli ostacoli fiscali agli investimenti transfrontalieri dei fondi pensione[6].

Prima di accennare sinteticamente ad alcune di tali misure, è il caso di ricordare che la Commissione, nel settembre 2016, ha pubblicato un’altra Comunicazione, emblematicamente intitolata “Unione dei mercati dei capitali – Accelerare le riforme[7]” per riaffermare l’obiettivo finale perseguito, spronare un’accelerazione delle riforme, soprattutto in termini di processo legislativo, e rivedere le priorità.

In tale contesto, peraltro, la CMU è dichiarata essere l’elemento centrale del programma europeo di riforme a favore di un mercato più profondo ed equo e l’adozione rapida delle future proposte legislative è collegata all’esigenza di assicurare finanze più sostenibili[8]. Si legge a tale ultimo proposito: “riforme per una finanza sostenibile sono necessarie per sostenere gli investimenti nelle tecnologie pulite e nel loro impiego, per assicurare che il sistema finanziario possa finanziare la crescita in modo sostenibile nel lungo periodo e per contribuire alla creazione di un’economia a basse emissioni di carbonio, resiliente ai cambiamenti climatici. Tali riforme sono essenziali per conseguire gli obiettivi climatici e ambientali che ci siamo prefissi, per tener fede agli impegni internazionali, tra cui gli impegni assunti dall’UE nel quadro dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, e per conseguire gli obiettivi del pacchetto sull’economia circolare del 2015[9].

Inoltre è di pochi mesi fa la pubblicazione in pubblica consultazione del documento sulla cd Mid-term review[10], ovvero del documento di ricognizione dei progressi compiuti nell’implementazione del Piano di azione sulla CMU, con l’indicazione delle iniziative portate a compimento e di quelle a venire. Tra queste vi è anche la creazione di un gruppo di esperti di alto livello sulla finanza sostenibile[11], con la mission di presentare alla Commissione un report su sfide e opportunità della finanza sostenibile, identificando aree di riforme al quadro di politica finanziaria dell’UE, ai fini dell’incremento della finanza verde e sostenibile.

Nell’ambito attività di tale gruppo, all’interno della normativa europea che sarà oggetto di analisi da parte dello stesso in un’ottica di possibile integrazione per i profili della finanza sostenibile, vi è la Direttiva (UE) 2016/2341 relativa alle attività e alla vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali[12], meglio nota come IORP II.

2. La disciplina degli investimenti degli enti previdenziali nella IORP II

La IORP II, in verità, ha un’origine più lontana, rispetto al Piano di azione per la Capital Market Union, in quanto trova la propria “fonte” nel Libro verde sulle pensioni del 2010 e la sua ratio nel mutato contesto economico, normativo e sociale rispetto alla Direttiva 2003/41/CE cd. IORP che va a sostituire.

La IORP II non è in effetti nemmeno citata nei documenti della Commissione di cui sopra. Non di meno, dato che l’iter procedurale e i negoziati sulla stessa si sono svolti parallelamente alle discussioni sulla Unione dei mercati dei capitali, è di tutta evidenza che un filo conduttore lega la nuova Direttiva al Piano di azione. Si legge infatti nel Considerando 6 della Direttiva che “Un autentico mercato interno degli enti pensionistici aziendali o professionali è un elemento fondamentale per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro nell’Unione e per affrontare le sfide poste dall’invecchiamento della popolazione”.

Trattasi di un’ennesima conferma del ruolo a sostegno dell’economia e alla creazione di posti di lavoro che gli enti pensionistici aziendali o professionali sono chiamati a svolgere, pure ribadito nel Considerando 8, laddove si fa riferimento al finanziamento a lungo termine dell’economia dell’Unione, oltre che ovviamente all’erogazione di prestazioni pensionistiche sicure[13].

Tra le varie novità introdotte dalla Direttiva IORP II si vogliono richiamare in questa sede quelle in relazione agli investimenti, in quanto applicative della volontà di incoraggiare gli investimenti a lungo termine da parte degli enti pensionistici aziendali e professionali.

I regimi pensionistici rientrano (ancora) principalmente nelle responsabilità degli Stati membri e, per questo, la Direttiva è di armonizzazione minima (Considerando n. 3[14]). Conseguentemente l’articolo 19 della IORP II, in linea di continuità con l’articolo 18 della precedente Direttiva, da un lato stabilisce la cornice di norme europee per l’investimento delle risorse degli enti pensionistici aziendali e professionali (paragrafo 1), dall’altro enuncia i limiti che devono osservare gli Stati membri nell’emanare la normativa nazionale in materia (paragrafi successivi). Ciò non di meno essa introduce alcune innovazioni rispetto alla prima Direttiva sia in relazione al primo profilo (cornice europea), sia in relazione al secondo (limiti e divieti alla normativa nazionale).

In base all’articolo 19 gli Stati membri devono esigere che gli EPAP investano le risorse dei propri aderenti conformemente al principio della “persona prudente”, nonché conformementead una serie di regole prudenziali.

Sono espressione del principio della persona prudente[15], le disposizioni che stabiliscono che le attività di tali enti devono essere investite in maniera adeguata alla specifica natura e durata delle loro passività e alla struttura dell’affiliazione al singolo fondo (Considerando n. 45), ovvero: nel migliore interesse a lungo termine dell’insieme degli aderenti e dei beneficiari (lett. a); tenendo conto del potenziale impatto a lungo termine delle decisioni di investimento sui fattori ambientali, sociali e di governance (lett. b); in modo da garantire la sicurezza, la qualità, la liquidità e la redditività del portafoglio nel suo complesso (lett. c); in attività adeguatamente diversificate, per evitare che ci sia un’eccessiva dipendenza da una determinata categoria di attività, emittenti o gruppi di imprese, e che nel portafoglio complessivamente considerato vi siano concentrazioni del rischio (lett. f).

Il potenziale impatto a lungo termine delle decisioni di investimento in riferimento a fattori ambientali e sociali, oltre che di governance si viene quindi ad aggiungere ai criteri che devono guidare gli “enti prudenti” nell’effettuare le scelte d’investimento.

Nessuna novità è stata invece introdotta con riferimento alle regole prudenziali, ovvero quelle in virtù delle quali gli Stati membri devono assicurare che: a) le attività siano investite in misura predominante sui mercati regolamentati, mentre gli investimenti in attività non ammesse allo scambio su un mercato finanziario regolamentato siano in ogni caso mantenute a livelli prudenziali (lett. d); b) l’investimento in strumenti finanziari derivati sia possibile nella misura in cui essi contribuiscano a ridurre il rischio di investimento o facilitino una gestione efficiente del portafoglio (lett. e)[16]; c) gli investimenti nell’impresa promotrice non possano superare il 5 % del portafoglio nel suo complesso e, in caso di impresa promotrice appartenente ad un gruppo, gli investimenti nelle imprese del gruppo non possano superare il 10 % del portafoglio (lett. g)[17].

L’articolo 19, nei successivi paragrafi da 4 a 7 dell’articolo 19 lascia intatto il margine discrezionale degli Stati membri quanto alle norme in materia di investimenti. Infatti è previsto che gli Stati membri possono emanare regole più dettagliate, incluse regole quantitative, e regole più rigorose, purché esse – oltre a non limitare il libero movimento dei capitali – siano giustificate da criteri prudenziali (art. 19, par. 6 e Considerando n. 47). Tuttavia, al fine di garantire che gli enti pensionistici dispongano di un adeguato livello di libertà di investimento (Considerando n. 48), la Direttiva stabilisce altresì precisi paletti normativi agli Stati Membri, prevedendo che questi ultimi, recte le regole da essi imposte non possano: i) imporre l’investano in particolari categorie di attività (art. 19 par. 6); ii) assoggettare le decisioni di investimento ad autorizzazione preventiva o a notifica sistematica (art. 19 par. 5); iii) vietare agli EPAP di investire fino al 70% in titoli negoziabili su mercati regolamentati, sistemi multilaterali di scambi o sistemi organizzati di scambi; iv) vietare agli EPAP di investire fino al 30% in attività denominate in valute diverse.

Rilevano, per i profili qui di interesse, le previsioni, introdotte dalla IORP II, per cui le regole nazionali non possono vietare agli EPAP di investire in: a) strumenti a lungo termine e che non siano scambiati in mercati regolamentati, sistemi multilaterali di scambi o sistemi di scambi organizzati; b) strumenti emessi o garantiti dalla BEI e forniti nel quadro del Fondo Europeo per gli investimenti strategici, dei Fondi di investimento europei a lungo termine (cd. ELTIF), dei fondi europei per l’imprenditoria sociale (EuSEF) e dei fondi europei per il venture capital (cd. EuVECA).

Gli Stati membri non potranno quindi vietare agli EPAP di investire in attività poco liquide, a lungo termine e non scambiate nelle sedi di negoziazione disciplinate dalla normativa europea e/o strumenti destinati al finanziamento di progetti infrastrutturali, a lungo termine e trasfrontalieri, nonché di specifici settori quali le start-up innovative o le imprese specializzate nel sociale.

Trattasi degli strumenti previsti proprio nell’ambito dell’Unione dei mercati dei capitali per l’incentivazione degli investimenti a lungo termine, quali ad esempio i cd. Fondi di Investimento Europeo a Lungo Termine (“ELTIF”)[18].

In base al Regolamento UE n. 760/2015 che lo ha introdotto, questo tipo di organismo di investimento collettivo del risparmio[19] dovrebbe facilitare gli investimenti da parte di investitori istituzionali, quali per l’appunto i fondi pensione[20], in progetti che richiedono l’impiego a lungo termine di capitale[21] e nell’economia reale, in linea con l’obiettivo dell’Unione di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva (art. 1).

Gli ELTIF sono organismi con vocazione spiccatamente transfrontaliera incentivata dalla disciplina dettata da un Regolamento – per bypassare il problema dell’introduzione di norme diverse da parte dei vari legislatori nazionali[22] – che stabilisce, tra l’altro, quali sono le attività d’investimento “ammissibili” per tali soggetti[23].

Rispetto alla disciplina previgente, la IORP II non si limita quindi ad affermare il principio per cui determinate tipologie di investimento da parte degli Enti Pensionistici non possono essere vietate, ma individua gli strumenti nell’ambito del risparmio gestito (e regolamentato a livello europeo[24]) attraverso cui gli EPAP potranno esplicare le proprie facoltàper concorrere al finanziamento a lungo termine dell’economia dell’Unione.

Esula dall’oggetto del presente lavoro un’analisi del potenziale impatto delle nuove disposizioni europee sulla disciplina italiana attualmente portata dal DM 166/2014, il quale peraltro ha già segnato il passaggio della disciplina da un approccio quantitativo ad uno più qualitativo[25]; si può ipotizzare però che si tradurrà in una maggiore possibilità, almeno teorica, di investimento in strumenti a lungo termine e non negoziati nei mercati regolamentati[26].

Il carattere transfrontaliero degli investimenti degli EPAP è incoraggiato dalla Direttiva IORP II anche attraverso la previsione dell’art. 19 8° paragrafo, in base alla quale gli Stati membri non possono imporre limiti ulteriori rispetto a quelli stabiliti nella Direttiva medesima agli investimenti ai fondi esteri che effettuano attività transfrontaliera nel proprio territorio. Tale previsione va quindi nel senso di rimuovere e, comunque, evitare che limiti normativi impediscano lo sviluppo dell’attività transfrontaliera dei Fondi Pensione. Certamente, perché ciò possa effettivamente realizzarsi, occorrerà che siano rimossi, gli ostacoli, in primis fiscali, che di fatto non permettono tale operatività.

A tal proposito è interessante evidenziare che, in una recente Relazione, la Commissione ha individuato gli ostacoli nazionali – ex ante, in itinere ed ex post – ai flussi transfrontalieri di capitali[27]. Ivi si legge, a proposito della nota preferenza nazionale nella scelta degli investimenti dei fondi pensione, che le restrizioni nazionali applicate agli investimenti ovvero i limiti nazionali all’investimento in diverse classi di attività, in azioni negoziate in mercati non regolamentati o in azioni non quotate, nella grande maggioranza si applicano unicamente agli investimenti al di fuori dell’UE, del SEE e/o dell’OCSE. “Conseguentemente che tali restrizioni sembrano tutte giustificate da norme prudenziali generali e non costituiscono il principale ostacolo agli investimenti transfrontalieri nell’UE”. Viceversa, secondo la Commissione, la preferenza per gli investimenti nazionali di alcuni fondi pensione è spiegabile “in considerazione di altri fattori di influenza delle decisioni d’investimento, come il contesto imprenditoriale, le garanzie legate ai progetti e gli ostacoli amministrativi e fiscali”.

Per questo la Commissione, tra le varie misure proposte nell’ambito della già citata Unione dei mercati dei capitali, ha avviato uno studio volto a identificare i potenziali trattamenti fiscali discriminatori degli investimenti transfrontalieri dei fondi pensione e delle imprese di assicurazioni sulla vita, i cui risultati sono attesi nell’anno corrente[28].

3. Il Pan-European Personal Pension product (PEPP): prove tecniche di integrazione

Sempre nell’ambito dell’Unione dei mercati dei capitali, sebbene la discussione in merito sia iniziata precedentemente[29], e in linea di continuità con la volontà di sviluppo transfrontaliero della previdenza complementare, può collocarsi anche il progetto di un mercato unico europeo per i prodotti di previdenza complementare ad adesione individuale (3° pilastro), avente la finalità di contribuire alla sostenibilità e adeguatezza del sistema pensionistico dei Paesi membri e di sviluppare gli investimenti nell’economia reale.

In origine, nell’idea della Commissione, le opzioni che l’EIOPA doveva valutare consistevano, alternativamente o in combinazione tra di loro, nell’emanazione di una cornice normativa europea per i piani pensionistici individuali già esistenti nei vari Stati membri, ovvero nell’emanazione di una disciplina europea (cd. 29 regime o 2° regime) relativa a uno specifico prodotto transnazionale – cd. Pan-European Personal Pension product – ulteriore rispetto ai singoli piani pensionistici nazionali. Il Piano di azione sulla CMU ha dato impulso a tale seconda idea[30] e, a seguito di pubblica consultazione, l’EIOPA ha diffuso un anno fa il proprio report finale[31].

È attesa a breve la presentazione della proposta di Regolamento in materia[32].

Tale nuova forma di prodotto pensionistico individuale sarà caratterizzata da un elevato grado di standardizzazione e, quanto agli investimenti, per i potenziali sottoscrittori da un’opzione base accompagnata da un limitato numero di altre opzioni di investimento.

Il principio che dovrebbe guidare l’investimento da parte dei fornitori di tali piani dovrebbe essere lo stesso della Direttiva IORP II, ovvero quello della “persona prudente”, e la finalità ultima dovrebbe consistere nel perseguimento del miglior interesse dell’aderente, declinato in qualità e redditività in relazione a dei livelli di rischio predefiniti[33].

Nelle intenzioni dell’EIOPA “The PEPP should have a long-term perspective in its investment policy to better reflect the long-term nature of retirement savings. […]. In order to allow this long-term investment horizon, the PEPP should envisage minimum holding periods to mitigate the surrender risk. Sustainable investment in illiquid assets should match liabilities with a correspondent illiquid profile”[34].

Ad oggi non è certo se e quali aspetti del prodotto standardizzato saranno lasciati alla competenza degli Stati membri, né quale sarà il trattamento fiscale, o i trattamenti fiscali, ad esso riservati. Piuttosto si vuole sottolineare che l’EIOPA sta valutando l’idea di uno schema pan europeo a contributi definiti anche nel cd secondo pilastro[35].

Occorrerà attendere l’emananda regolamentazione del PEPP per capire se questo strumento possa essere la leva e il modello per prossime venture ipotesi di integrazione europea in materia previdenziale.



* Relazione al Convegno “A 60 anni dai Trattati di Roma: il processo di integrazione europea in materia previdenziale e antiriciclaggio”, svoltosi presso il Dipartimento Politiche Europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri e presso la Pontificia Università Lateranense, Roma 24 e 25 maggio 2017.

[1] Commissione Europea, Libro verde Costruire un’Unione dei mercati dei capitali, COM(2015)63 final, 18 febbraio 2015, p. 4.

[2] Commissione Europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali COM(2015)468 final, 30 settembre 2015.

[3] La dipendenza dal credito bancario, nelle parole della Commissione, rende l’economia europea più vulnerabile (in particolare per le PMI) ad una stretta del credito da parte delle banche, come è avvenuto durante la crisi finanziaria Commissione Europea, COM(2015)63 def. p. 8.

[4] La misura proposta in questo caso è essenzialmente normativa e riguarda la revisione delle calibrazioni proposte dalla Direttiva cd Solvency II per gli investimenti degli enti a questa soggetti nelle infrastrutture e nei fondi di investimento europei a lungo termine (cd. ELTIF). Cfr Commissione Europea, COM(2015)468 def. p. 16.

[5] Partendo dal dato di fatto consistente nella mancanza di un mercato unico efficace per i piani pensionistici individuali del “terzo pilastro”, e individuata nell’esistenza di un coacervo di norme a livello dell’UE e a livello nazionale la causa dell’assenza di un mercato competitivo e di grandi dimensioni in questo settore, la Commissione si è data l’obiettivo di valutare l’opportunità di realizzare un quadro per la creazione di un mercato europeo dei piani pensionistici individuali, e la necessità di una normativa UE a sostegno di tale mercato Cfr Commissione Europea, COM(2015)468 def. p. 21-22.

[6] Si legge nella Comunicazione che “un ulteriore ostacolo agli investimenti transfrontalieri è rappresentato dalla potenziale tassazione discriminatoria dei fondi pensione e delle imprese di assicurazioni sulla vita”. Cfr Commissione Europea, COM(2015)468 def. p. 28-29. È stato quindi promosso uno studio sul trattamento fiscale discriminatorio che ostacola gli investimenti transfrontalieri da parte delle imprese di assicurazioni sulla vita e dei fondi pensione.

[7] Commissione Europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Unione dei mercati dei capitali – Accelerare le riforme COM(2016)601 final, 14 settembre 2016.

[8] È agevole osservare che i medesimi obiettivi sono stati ribaditi nella dichiarazione dei leader del 27 Stati membri, del Consiglio Europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea sottoscritta a Roma il 25 marzo 2017, in particolar modo nel secondo di questi, ovvero quello di realizzare un’Unione prospera e competitiva. Nell’ambito di tale obiettivo, oltre al riferimento alla moneta unica, si trova il riferimento alla promozione della crescita sostenuta e sostenibile attraverso gli investimenti e le riforme strutturali. La CMU è quindi confermata elemento centrale dell’Unione Europea dei prossimi dieci anni.

[9] Commissione Europea, COM(2016)601 final, p. 5.

[10] European Commission, Consultation Document, Capital Markets Union Mid-Term Review 2017.

[11] L’annuncio della costituzione del gruppo di esperti risale alla Comunicazione della Commissione di cui alla nota che precede. Il Gruppo di Esperti è stato poi concretamente istituito il 22 Dicembre 2016.

[12] Per tali intendendosi un “ente, a prescindere dalla sua forma giuridica, operante secondo il principio di capitalizzazione, distinto da qualsiasi impresa promotrice o associazione di categoria, costituito al fine di erogare prestazioni pensionistiche in relazione a un’attività lavorativa sulla base di un accordo o di un contratto stipulato: a) individualmente o collettivamente tra datore di lavoro e lavoratore, o i loro rispettivi rappresentanti o b) con lavoratori autonomi, individualmente o collettivamente, conformemente alla legislazione dello Stato membro di origine e dello Stato membro ospitante, e che esercita le attività direttamente connesse” (art. 6 Direttiva IORP II).

[13] Ancor più adamantino il Considerando n. 32, il quale recita che “Gli EPAP sono enti pensionistici con un fine sociale che forniscono servizi finanziari. Essi sono responsabili dell’erogazione di prestazioni pensionistiche aziendali o professionali e di conseguenza dovrebbero soddisfare determinati requisiti prudenziali minimi per quanto concerne le loro attività e le condizioni per il funzionamento, tenendo conto delle regole e tradizioni nazionali. Tuttavia, tali enti non dovrebbero essere considerati dei semplici prestatori di servizi finanziari. La loro funzione sociale e il rapporto trilaterale tra lavoratore, datore di lavoro ed EPAP dovrebbero essere adeguatamente riconosciuti e sostenuti come principi guida della presente direttiva”

[14] Recita tale Considerando che “La presente direttiva mira a un’armonizzazione minima e non dovrebbe pertanto impedire agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni supplementari per tutelare gli aderenti e i beneficiari degli schemi pensionistici aziendali o professionali, a condizione che tali disposizioni siano coerenti con gli obblighi che incombono agli Stati membri in virtù del diritto dell’Unione”.

[15] Il principio della persona prudente è stato uno dei punti cardine della Direttiva IORP, per incoraggiare l’orientamento del risparmio verso il settore degli schemi pensionistici aziendali e professionali (Considerando n. 6), Nella IORP II tale funzione catalizzatrice viene attribuita altresì all’attività transfrontaliera degli stessi (Considerando n. 46).

[16] È stabilito che gli strumenti finanziari derivati siano valutati in modo “prudente”, tenendo conto dell’attività sottostante e inclusi nella valutazione degli attivi di un EPAP. Inoltre che gli EPAP evitino anche un’eccessiva esposizione di rischio nei confronti di una sola controparte e di altre operazioni su derivati.

[17] Con la precisazione per cui, qualora le imprese promotrici siano più di una, gli investimenti siano effettuati secondo criteri prudenziali e con un’adeguata diversificazione.

[18] CAVALLO, I nuovi fondi di investimento europei a lungo termine (ELTIF), in Diritto Bancario, giugno 2015.

[19] Si legge nel “Gli ELTIF sono, per definizione, fondi di investimento alternativi dell’UE (FIA UE) gestiti da un gestore di fondi di investimento alternativi (GEFIA) autorizzato ai sensi della direttiva 2011/61/UE”(Considerando n. 8).

[20] Si legge nei Considerando n. 1 e n. 2 del citato Regolamento “I fondi di investimento europei a lungo termine (European long-term investment funds — ELTIF) forniscono finanziamenti di lunga durata a progetti infrastrutturali di varia natura, a società non quotate ovvero a piccole e medie imprese (PMI) quotate che emettono strumenti rappresentativi di equity o strumenti di debito per i quali non esiste un acquirente facilmente identificabile”, e ancora “gli ELTIF possono offrire un flusso costante di proventi ad amministratori di fondi pensione, imprese di assicurazione, fondazioni, comuni e altri soggetti che presentano periodicamente e ripetutamente passività e cercano rendimenti a lungo termine nell’ambito di strutture ben regolamentate”.

[21] Negli auspici gli ELTIF dovrebbero altresì stimolare la domanda degli investitori retail, rivolgendosi in particolare a quelli che “contino sulla regolarità dei flussi di cassa che sono in grado di produrre” e a quelli che “non ricevono un flusso costante di proventi” (Considerando n. 2).

[22] Adamantino sul punto il Considerando n. 4.

[23]Il Regolamento 760/2015 individua agli artt. 9 e ss. le attività di investimento ammissibili stabilendo che in esse il Fondo debba investire almeno il 70 per cento del proprio capitale e vietando, tra l’altro, l’investimento in strumenti finanziari derivati se non a scopo di copertura dei rischi inerenti ai propri investimenti. Per una disanima della (proposta di) disciplina si rinvia a MOLONEY, EU Securities and Financial Markets Regulation, Oxford, 2013, p. 315 e ss. A dicembre 2016 l’ESMA ha quindi pubblicato una proposta di Standard Tecnici (RTS) in merito (ESMA, Draft regulatory technical standards under the ELTIF Regulation, 8 June 2016 – ESMA/2016/935).

[24]Si segnala che il 21 giugno u.s. il MEF ha posto in consultazione il D.Lgs. di adeguamento del T.u.F. al Regolamento 2015/760 recante per la disciplina degli ELTIF. Si legge nella Relazione di accompagnamento allo schema di decreto legislativo in questione che, data la diretta applicabilità del Regolamento UE dal 9 dicembre 2015, e l’obbligatorietà dello stesso i “minimi” interventi al T.u.F. riguardano le residue potestà degli Stati membri, ovvero l’individuazione delle autorità nazionali competenti per la vigilanza sul rispetto della disciplina e l’attribuzione alle stesse di tutti i poteri di indagine e sanzionatori per l’esercizio delle funzioni.

[25]In merito si rinvia a PELLEGRINI, Il decreto 166: nuovi limiti agli investimenti per i Fondi pensione in Strumenti finanziari e fiscalità, 2015, p. 75 e ss.. In merito si veda anche GRIPPO – SANSONE, Fondi pensione e investimenti alternativi: tra tentativi di riforma e nuova regolamentazione, in Diritto Bancario, dicembre 2014.

[26]Occorre dar conto del dibattito, tutto italiano, di un paio di anni fa sulle modalità per convogliare le risorse dei fondi pensione alle piccole e medie imprese non quotate, tradottosi poi in un credito d’imposta previsto dalla legge di stabilità del 2015 per gli investimenti a medio lungo termine dei fondi pensione. Sia consentito sul punto il rinvio a MARCHESI, Una finanza a sostegno dell’economia reale e del lavoro, in FELICE TAIANI, Bene comune dignità e libertà tra ragione e regole, Roma, 2017, p. 81-95. SI evidenzia in questa sede che la disciplina portata dall’art. 1 comma 92 della L. 190/2014 è stata abrogata dall’art. 1 comma 96 della L. 232/2016 (legge di bilancio 2017) la quale ha introdotto una nuova agevolazione (ie l’esenzione dall’imposta sul reddito) per i redditi derivanti dagli investimenti effettuati dai fondi pensione, tra l’altro, in quote o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio residenti nel territorio dello Stato o in Stati membri dell’Unione europea. A differenza della previgente disciplina non sono previsti requisiti degli strumenti finanziari oggetto dell’agevolazione in relazione al loro contenuto o settore.

[27]COMMISSIONE EUROPEA, Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo, Accelerare l’unione dei mercati dei capitali eliminando gli ostacoli nazionali ai flussi di capitale, COM(2017)147 final, p. 6

[28]L’opportunità di un tale studio/valutazione è del resto ribadita anche nel Considerando n. 6 del Regolamento ELTIF, nel quale esso è indicato quale presupposto per il corretto funzionamento del mercato interno degli investimenti a lungo termine.

[29]La discussione sullo sviluppo di un mercato interno degli schemi pensionistici individuali nasce da un discussion paper EIOPA pubblicato a maggio 2013 cui ha fatto seguito da parte della stessa autorità un primo Report a febbraio 2014 (EIOPA, Towards an EU single market for personal pensions An EIOPA Preliminary Report to COM, EIOPA-BoS-14/029). In seguito al Piano di azione sulla CMU, l’EIOPA ha scelto di limitare l’ambito della consultazione alla creazione di un prodotto europeo standardizzato e di uno specifico regime normativo per esso (EIOPA, Consultation Paper on the creation of a standardised Pan-European Personal Pension product (PEPP) EIOPA-CP-15/006).

[30]Si legge nel Libro Verde “Sulle pensioni integrative, i prestatori sono soggetti a una serie di diversi atti legislativi dell’UE. Si tratta quindi di capire se l’introduzione di un prodotto standardizzato, ad esempio attraverso un regime paneuropeo o un “29°” regime, che elimini gli ostacoli che si frappongono a un accesso transfrontaliero, possa rafforzare il mercato unico dei regimi pensionistici integrativi” COM(2015)63 final p. 19.

[31]EIOPA, Final Report on Public Consultation No. CP-15/006 on the creation of a standardised Pan-European Personal Pension product (PEPP) EIOPA-16/341. Ivi si legge “Due to the specific attention given to the 2nd regime PPP in COM’s CMU Green Paper, EIOPA decided – in agreement with the Commission – to initially focus the scope of its work on the envisaged creation of a 2nd regime introducing a pan-European personal pension product (PEPP)” (p. 2). Cfr anche EIOPA, EIOPA’s advice on the development of an EU Single market for personal pension products (PPP) EIOPA- 16/457.

[32]EUROPEAN COMMISSIONE, Communication from the Commissione to the Parliament, the Council, the European Economic and social Committee and the Committee of Regions on the Mid-Term Review of the Capital Markets Union Action Plan, COM(2017)292 final. Ivi è indicata come data la fine del corrente mese

[33]Si legge a tal proposito nel Report Finale dell’EIOPA “With regard to introducing a duty of care – providers must adhere to the Prudent Person Principle and act solely in the best interest of consumers with respect to investment matters. Because one of PEPP’s objectives is to help consumers secure a source of retirement income, investment options available in PEPPs, and in particular the default investment option, must protect consumers from inappropriate risk exposure through adequate and systematic re-balancing of asset allocations as they approach retirement or other appropriate means” (p. 7).

[34]BERNARDINO, Sustainable long-term investments and the Pan-European Personal Pension Product, relazione al Rome Investment Forum 2016, disponibile sul sito EIOPA.

[35]È già stata annunciata la diffusione nel corrente anno di un discussion paper contenente proposte in materia.

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