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Approfondimenti

Le passività subordinate emesse dalle imprese di assicurazione nel quadro di Solvency II

1 Dicembre 2016

Umberto Cunial e Edoardo Avato

Di cosa si parla in questo articolo

1. Introduzione. Una diffusa prassi di rafforzamento patrimoniale

Il perdurante contesto di bassi tassi d’interesse, insieme con le sempre più avvertite istanze di rafforzamento patrimoniale, hanno determinato il crescente ricorso delle imprese di assicurazione all’emissione di passività subordinate [1], che risultano notevolmente più utilizzate rispetto ad altri strumenti finanziari astrattamente in grado di incrementare i mezzi propri, contribuendo al complessivo miglioramento dei ratios [2]. 

Si associano, infatti, a tale istituto alcuni benefici particolarmente apprezzati dal mercato. Accanto a benefici di ordine prettamente finanziario, come il c.d. effetto leva, l’emissione di titoli di debito subordinato non determina (almeno necessariamente) una diluizione del capitale sociale, risultando quindi tendenzialmente neutra rispetto alla struttura di governance dell’impresa emittente.

Inoltre, se confrontata con un’operazione di aumento di capitale, l’emissione di passività (obbligazioni) subordinate determina oneri legali e regolamentari più contenuti [3].

Si aggiungano, poi, taluni specifici vantaggi che l’emissione di passività può determinare nell’ambito delle relazioni infra-gruppo, sotto i profili societario e fiscale [4].

In tale contesto la disciplina assicurativa, già nel previgente quadro di cui alla direttiva 2002/83/CE (“Solvency I”), sottoponeva l’emissione di passività subordinate ad uno specifico procedimento di vigilanza che vedeva attivamente coinvolta l’autorità di settore nel valutare le condizioni del prestito subordinato ai fini dell’inclusione nel “margine di solvibilità disponibile” della compagnia emittente [5].

Con l’entrata in vigore della direttiva 2009/138/CE (la “Direttiva”, o “Solvency II”) e della conseguente introduzione delle norme di Primo Pilastro tale regime è stato radicalmente rivisto, modificandosi in modo profondo il complessivo quadro regolamentare (anche con riguardo ai relativi poteri di IVASS) [6].

Poste queste sintetiche premesse, il presente contributo svolgerà alcune brevi considerazioni circa:

  1. le principali novità in materia di emissione di passività subordinate, introdotte dal quadro Solvency II e, segnatamente, dal Regolamento Delegato 2015/35/UE (il “Regolamento Delegato”) – come trasposto nel Codice delle Assicurazioni Private (il “CAP”); dalle rilevanti Linee Guida EIOPA sull’attuazione dei requisiti di Primo Pilastro (le “Linee Guida EIOPA”) – come recepite dal recente Regolamento IVASS n. 25/2016 (il “Regolamento IVASS 25”) (cfr. infra, Capitolo II); e
  2. alcuni possibili profili critici connessi all’utilizzo dell’istituto in commento, in relazione alla sana e prudente gestione delle imprese, nonché alla distribuzione di strumenti di debito subordinato presso investitori al dettaglio (cfr. infra, Capitolo III).

2. La nuova disciplina Solvency II: dall’inclusione nel margine di solvibilità disponibile ai fondi propri di base

1. I margini di solvibilità

Nel quadro di Solvency I, vigente il sistema dei margini di solvibilità richiesto e disponibile (quest’ultimo identificandosi, in sostanza, con un’eccedenza patrimoniale, liberamente utilizzabile dall’impresa) [7], la disciplina di vigilanza sulle passività subordinate – insieme alle ragioni di carattere imprenditoriale che ne potevano giustificare l’emissione – ruotava attorno al procedimento di “inclusione” delle stesse nel margine di solvibilità disponibile [8].

In particolare l’impresa era tenuta a comunicare preventivamente l’emissione all’IVASS, corredando la comunicazione, oltreché della documentazione di emissione, di “tutte le informazioni utili” a consentire all’autorità le valutazioni del caso, la quale si pronunciava sull’inclusione nel margine di solvibilità disponibile nel termine di 60 giorni [9]. In tale contesto, quindi, IVASS aveva il potere di “escludere o limitare l’ammissibilità nel calcolo del margine disponibile delle passività subordinate sulla base di valutazioni fondate sulla sostenibilità finanziaria dell’operazione da parte dell’impresa emittente, sull’onerosità dell’operazione anche tenuto conto della durata della stessa” [10].

Uno specifico procedimento autorizzativo era poi previsto per i casi di successivo rimborso delle passività emesse [11].

2. La nuova disciplina di Primo Pilastro

Con l’attuazione di Solvency II e, nello specifico, con l’introduzione della normativa dei fondi propri e dei requisiti di solvibilità (in sostituzione della precedente disciplina dei margini) [12], il quadro è radicalmente mutato.

Nel dettaglio, le passività subordinate [13] sono ora espressamente considerate tra gli elementi costitutivi dei “fondi propri di base” (i.e. il capitale di maggiore qualità, nella maggiore disponibilità dell’impresa, perché tra l’altro in grado di “assorbire le perdite”)[14], come disposto dalla Direttiva, dal Regolamento Delegato e dalle nuove previsioni del CAP [15].

Tale espressa previsione normativa rende le passività subordinate, che rispettino determinate caratteristiche [16], “di per sé” idonee ad essere considerate tra gli elementi che compongono il requisito patrimoniale di solvibilità dell’impresa, venendo così meno ogni procedura di comunicazione preventiva e approvazione dell’IVASS (insieme ai relativi poteri di esclusione dal calcolo nel requisito di solvibilità), a beneficio delle esigenze di certezza e celerità degli operatori.

Impostazione, questa, che certamente valorizza l’autonomia delle imprese emittenti (i) nella valutazione degli strumenti di debito emessi e (ii) nella scelta degli opportuni presidi interni di risk management e di corretta rappresentazione dei dati (c.d. data governance), in linea con l’approccio risk-based predicato dalla Direttiva.

Il Regolamento IVASS 25 [17] declina, poi, nel dettaglio il trattamento contabile delle passività subordinate – insieme con gli altri elementi patrimoniali costitutivi dei fondi propri di base – e, in continuità con il regime previgente, seppur con alcuni distinguo, prescrive un procedimento di autorizzazione preventiva per il rimborso [18].

Di particolare interesse è anche la nuova disciplina regolamentare in materia di riserva di riconciliazione [19]. Si tratta di un’ulteriore posta degli elementi costitutivi dei fondi propri di base che, potendo essere positiva o negativa [20], permette di: (i) scontare eventuali gravami sugli strumenti emessi; e, con specifico riferimento alle relazioni infra-gruppo, (ii) evitare la creazione di fondi propri di gruppo fittizi [21].

3. La classificazione in livelli delle passività subordinate: spunti

Non è, peraltro, sufficiente limitarsi ad indicare le passività subordinate come elementi dei fondi propri di base, nei termini anzidetti.

La normativa nazionale ed europea, primaria e secondaria, prescrive infatti l’ulteriore classificazione in diversi “livelli” dei fondi propri, graduati progressivamente da 1 a 3 a seconda della libertà dell’impresa nell’utilizzo del relativo capitale [22].

Se da un lato le passività subordinate sono chiaramente sussunte tra i fondi propri di base, dall’altro risulta meno immediato comprendere quando e in quale misura una passività subordinata possa essere ricondotta entro il livello 1 (i.e. il capitale nella piena disponibilità dell’impresa, che deve corrispondere almeno ad un terzo del totale dei fondi a copertura del Requisito Patrimoniale di Solvibilità) [23].

In tale prospettiva, è di preminente importanza il combinato disposto degli artt. 44-septies e 44-octies del CAP. A norma dello stesso, perché un elemento dei fondi propri di base possa essere ricompreso tra quelli di cui al livello 1 è necessario che presenti le caratteristiche di (i) disponibilità permanente e (ii) subordinazione [24]. Al contrario, risulta sufficiente il tratto sub (ii) perché un elemento dei fondi propri di base possa essere ritenuto di livello 2 [25].

Non può sottacersi la difficoltà di tradurre in concreto e senza incertezze la previsione legislativa. Ai sensi del CAP, infatti, la caratteristica della “diponibilità permanente” è presente quando “l'elemento è disponibile, o può essere richiamato su richiesta, per assorbire interamente le perdite nella prospettiva di continuità aziendale, nonché in caso di liquidazione”. Si ha “subordinazione”, invece, quando “in caso di liquidazione dell’impresa, l'importo totale dell'elemento è disponibile per assorbire le perdite e il rimborso dell'elemento al possessore avviene solo dopo che sono state onorate tutte le altre obbligazioni, comprese quelle di assicurazione e di riassicurazione nei confronti dei contraenti e dei beneficiari dei contratti di assicurazione e di riassicurazione”.

Qualora ci si volesse limitare al dettato del legislatore primario, facile sarebbe ritenere per un’ammissibilità tout court delle passività subordinate entro l’alveo degli elementi dei fondi propri di base di cui al livello 1.

Una lettura che consideri la normativa nazionale e il Regolamento Delegato solleva, invece, talune questioni.

In particolare, avendo riguardo alle passività subordinate, il Regolamento Delegato introduce, tra gli “aspetti che determinano la classificazione” [26] di livello 1, il criterio dell’“immediata disponibilità” [27], nonché quello della “durata indeterminata” [28]. Del pari, pur concentrandosi soprattutto su azioni ordinarie e privilegiate, il Regolamento IVASS 25, declina e specifica quanto stabilito dal Regolamento Delegato, anche in tema di passività subordinate, aprendo la strada a distinti scenari interpretativi [29].

3. Alcune riflessioni a margine

Alla luce del nuovo quadro normativo, per sommi capi introdotto, l’emissione di passività subordinate appare ora agevolata, almeno sotto il profilo degli adempimenti di vigilanza, e maggiormente devoluto ai presidi interni di gestione del rischio delle imprese emittenti.

1. Maggiore autonomia delle imprese e potenziali rischi per la sana e prudente gestione

A tale ultimo riguardo, appare plausibile che il nuovo quadro Solvency II possa ulteriormente incrementare la prassi, che come visto è già piuttosto diffusa, dell’emissione di passività subordinate, anche a scapito dell’utilizzo di altri strumenti di rafforzamento patrimoniale che potrebbero determinare modifiche nell’assetto di governance dell’impresa emittente (segnatamente, aumenti del capitale sociale).

In questa prospettiva, il ricorrente e strategico utilizzo dell’emissione di passività potrebbe di fatto porre il socio di controllo, in particolare nei gruppi chiusi [30], in condizione di mantenere costantemente inalterata la composizione dell’azionariato dell’impresa, potenzialmente generando squilibri nella struttura finanziaria di quest’ultima [31].

Occorre quindi chiedersi se, in tali ipotesi di rischio per la sana e prudente gestione dell’impresa (seppur nel rispetto dei requisiti patrimoniali della stessa e non in uno scenario di crisi), IVASS non abbia il potere di imporre al socio di controllo di dotare l’impresa di liquidità attraverso strumenti diversi dal debito, ad esempio richiedendo un aumento di capitale, nell’ambito della propria discrezionalità.

In proposito, tuttavia, l’autorità di settore non pare abbia, per lo meno espressamente, gli stessi strumenti generali di cui è invece dotata l’autorità di vigilanza bancaria [32]. Un’eccezione a tale impostazione generale potrebbe darsi per i soci di mutue di assicurazione [33].

Qualora non si accogliesse tale possibilità, si sosterrebbe una soluzione di puro mercato, la quale peraltro risulta in linea con l’impianto generale della nuova disciplina [34]. Se l’attuale livello dei tassi debitori rappresenta un indubbio incentivo al ricorso all’emissione di passività subordinate, un eventuale (e in parte atteso) aumento degli stessi condurrebbe tuttavia, sul piano della teoria economica, all’esito opposto [35].

Sarà pertanto interesse delle stesse imprese assicurative esercitare un attento calcolo del trade-off tra ricorso ad ulteriore debito ed emissione di equity sì da prevenire, in un mutato scenario e secondo l’approccio “prospettico” nella gestione dei rischi aziendali [36], un aumento del costo delle fonti di finanziamento e limitando eventuali squilibri dell’assetto finanziario dell’impresa.

2. La distribuzione delle passività (obbligazioni) subordinate presso gli investitori retail

Per quanto, storicamente, le passività subordinate emesse dalle compagnie assicurative siano state in via generale offerte a investitori istituzionali, non mancano tuttavia casi di titoli offerti anche presso il pubblico [37].

Da quest’angolo visuale, la crescente raccolta di debito subordinato da parte delle imprese deve essere valutata anche nel contesto delle regole, afferenti alla disciplina dei servizi d’investimento [38], poste a tutela dell’investitore retail.

Per quanto, infatti, i rischi associati alla distribuzione degli strumenti finanziari rappresentativi di passività subordinate emesse dalle compagnie non siano necessariamente identificabili con quelli recentemente emersi in ambito bancario [39] – forse anche in ragione delle peculiarità del “ciclo produttivo” e della riserva di attività del settore assicurativo [40] – è indubbio che si pongano concreti problemi di adeguatezza dell’investimento e di corretta rappresentazione dei rischi (in generale: di effettivo rispetto delle regole di condotta), soprattutto alla luce del nuovo trattamento regolamentare, per molti aspetti equivalente alle azioni, sopra descritto (cfr. Sez. II.3 supra).

Sul punto, non può non richiamarsi l’applicazione della normativa di dettaglio emanata da ESMA e Consob in tema di “prodotti finanziari complessi” (e a complessità “molto elevata”) [41], con particolare riferimento alle obbligazioni subordinate: (i) “convertende” ad iniziativa dell’impresa emittente; (ii) “perpetue”; ovvero (iii) che incorporino componenti derivative (quali, ad esempio, le obbligazioni “sintetiche”) [42].

Ulteriore profilo di vigilanza (assicurativa e finanziaria), nello specifico inerente alla gestione dei conflitti d’interesse, può infine riguardare la tutela dei contraenti e aventi diritto alle prestazioni assicurative che siano, nel contempo, sottoscrittori delle passività subordinate [43].

4. Conclusioni

Come si è cercato di illustrare brevemente, il trattamento delle passività subordinate è significativamente mutato, nel quadro di Solvency II, incrementandosi lo spazio di autonomia delle imprese, tanto sotto il profilo della valutazione dei requisiti patrimoniali quanto sotto il profilo dell’intervento della vigilanza sull’operazione di emissione.

Tale nuovo contesto può tuttavia comportare l’emersione di alcuni possibili rischi, così contribuendo a determinare un quadro regolamentare piuttosto complesso, che impone l’adozione di tecniche di gestione del rischio di tipo prospettico, al fine di garantire nel contempo la sana e prudente gestione dell’impresa e l’adeguata protezione dei contraenti e degli aventi diritto.

 

[1] Il termine “passività subordinate” verrà nel presente contributo riferito, con buona approssimazione, agli elementi del passivo patrimoniale diversi dal capitale e che presentano un generale grado di subordinazione rispetto agli altri creditori dell’impresa emittente, quali, come già individuati dalla normativa assicurativa previgente (cfr. l’abrogato art. 45 del CAP; per una puntuale analisi funzionale delle differenze tra capitale di debito e capitale di rischio, v. A. P. Perrone, “Il Diritto del Mercato dei Capitali”, Milano, 2016, pag. 21). Sotto il profilo civilistico, l’espressione “passività” verrà quindi utilizzata per compendiare genericamente le operazioni di finanziamento, tanto contrattuali quanto cartolari (si veda, per un’aggiornata disamina delle diverse fattispecie delle operazioni di finanziamento societario, tipiche e atipiche, A. Giannelli, “Obbligazioni convertibili, convertende e a conversione sintetica”, Riv. Soc., 4/2016, pagg. 689 ss, spec. 671).

[2] Come riportato da IVASS, nel decennio 2006 – 2015 l’ammontare delle passività subordinate emesse dalle imprese italiane è più che triplicato, crescendo da 4,9 a 14,9 miliardi di Euro (cfr. IVASS, Relazione per l’anno 2015, pag. 62). Diversamente, l’istituto dell’aumento del capitale sociale è utilizzato solo in via residuale rispetto a quanto avviene nell’attiguo settore bancario, dove quest’ultimo è invece lo strumento di rafforzamento patrimoniale più diffuso e spesso raccomandato dalla vigilanza di settore (cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale 2015, pagg. 149 – 150).

[3] In proposito, si consideri che l’emissione di titolo di debito (non convertibili) non dà luogo, a differenza dell’aumento di capitale, ad una modifica statutaria: il che, oltre a non rendere necessaria una delibera assembleare (e i relativi adempimenti formali di carattere civilistico), permette anche di non determinare l’applicazione della procedura di vigilanza assicurativa di approvazione delle modifiche statuarie (cfr. art. 4 del Regolamento ISVAP n. 14/2008). Allo stesso modo, l’emissione di passività è esente dalla complessa procedura di autorizzazione prevista per l’acquisto di partecipazioni rilevanti del capitale sociale da applicarsi in caso di (apprezzabili) cambiamenti nella compagine azionaria ad esito, ad esempio, di un aumento di capitale (cfr. Comunicazione ISVAP n. 3/2009 – Comunicazione sulla direttiva in materia di partecipazioni).

[4] Al riguardo si possono segnalare: (i) il mantenimento, a monte, della partecipazione di controllo inalterata (diretta conseguenza della già menzionata neutralità sull’asseto di governo societario); (ii) gli effetti positivi del transfer-pricing del finanziamento infra-gruppo; nonché (iii) l’incidenza dei tassi d’interesse passivi sulla determinazione del reddito imponibile dell’impresa di assicurazione emittente.  

[5] V. Capitolo II, infra,nel testo.

[6] Il procedimento di valutazione iniziale dell’emissione da parte di IVASS è infatti venuto meno, mentre permangono i poteri autorizzativi, già previsti nel regime previgente seppur con alcune sostanziali differenze, soltanto per i casi di rimborso o riscatto (cfr. infra, nel testo, Capitolo II).

[7] Cfr. i previgenti artt. 44 e ss. del CAP.

[8] Nel rispetto, tra gli altri, di specifici requisiti di postergazione (rispetto a tutti i creditori dell’impresa), di disponibilità delle somme e sino a un ammontare massimo che, nel caso dei prestiti subordinati, corrispondeva al 50% del minor valore tra il margine disponibile dell’impresa ed il margine di solvibilità richiesto (si vedano il previgente art. 45del CAP e il Capo II dell’abrogato Regolamento ISVAP n. 19/2008 – il “Regolamento ISVAP 19”).

[9] Termine che poteva essere sospeso in caso di ulteriori richieste istruttorie (cfr. art. 22, co. 3, Regolamento ISVAP 19).  L’esito del procedimento era, inoltre, oggetto di pubblicazione sul Bollettino di Vigilanza dell’IVASS.

[10] Cfr. art. 22, co. 2, Regolamento ISVAP 19.

[11] Con alcune differenze a seconda che si fosse trattato di: (i) prestiti subordinati a scadenza fissa; (ii) prestiti subordinati a durata indeterminata; e (iii) titoli a durata indeterminata e altri strumenti finanziari (cfr. artt. 15 e ss, Regolamento ISVAP 19).

In particolare, era previsto quanto segue: “l’impresa comunica il piano di rimborso (…), indicando gli elementi del margine disponibile sostitutivi del prestito, avuto anche riguardo alle prevedibili esigenze del margine di solvibilità richiesto alla chiusura dell’esercizio nel corso del quale è prevista l’estinzione del prestito, e le modalità con le quali intende garantire la copertura delle riserve tecniche, anche con riferimento ai prevedibili impegni relativi all’esercizio di estinzione del prestito stesso. L’ISVAP approva il piano entro 60 giorni dalla ricezione della documentazione”.

[12] Cfr. il nuovo Capo IV del CAP.

[13] Delle quali non è più prevista, nella normativa di emanazione Solvency II, l’espressa partizione in “prestiti subordinati, titoli a durata indeterminata e altri strumenti finanziari”, di cui al regime abrogato (cfr. nt. (1), supra). Non vi è tuttavia ragione per non continuare a considerare valide tali specificazioni anche nell’attuale quadro normativo, ai fini dell’individuazione delle singole fattispecie rilevanti.

[14] Cfr. i considerando nn. 47, 62 e l’art. 93, par. 1, della Direttiva.

[15] Cfr., rispettivamente, artt. 69, lett. b) e 44-quater. È il caso di segnalare che il Regolamento Delegato puntualizza che le passività subordinate, per poter essere considerate fondi propri di base, devono essere state effettivamente “versate” (cfr. art. 69, lett. b)).

[16] Si veda, anche per la disamina dei diversi “livelli” di fondi propri di base cui ricondurre le passività in ragione delle condizioni dell’operazione di finanziamento, quanto illustrato sub Capitolo II.3, infra, nel testo.

[17] Sul quale si veda, su questa Rivista: http://www.dirittobancario.it/news/assicurazioni/solvency-ii-primo-pilastro-le-novita-dei-regolamenti-ivass-del-26-luglio-2016.

[18] O di “ogni altro accordo che abbia lo stesso effetto economico di un rimborso”. A differenza di quanto previsto nel vigore di Solvency I (cfr. nt. (11) supra), il nuovo procedimento di autorizzazione previsto dal Regolamento IVASS 25 sposta la valutazione di vigilanza sulla coerenza del piano di rimborso rispetto alle procedure e politiche interne dell’impresa emittente (in linea con il ricordato approccio risk-based), dal momento che quest’ultima è tenuta a illustrare “in che modo l’operazione oggetto dell’istanza [di autorizzazione] è coerente con il piano di gestione del capitale a medio termine dell’impresa e con la sua valutazione interna del rischio e della solvibilità di cui all’articolo 30-ter del Codice” (cfr. art.  24, co. 1, lett. a), Regolamento IVASS 25).

[19] La quale corrisponde, in termini generali, all’eccedenza del totale delle attività rispetto alle passività, corretta da alcuni altri elementi del passivo (tra cui le azioni proprie, cfr. art. 70, Regolamento Delegato e art. 6, Regolamento IVASS 25).

[20] V. considerando n. (35), Regolamento Delegato.

[21] Per il peculiare rilievo che tale riserva può rivestire nell’ambito di emissioni (di passività subordinate e di azioni) nell’ambito di un gruppo assicurativo, si tenga presente il seguente esempio formulato da EIOPA nelle Linee Guida sull’attuazione del Primo Pilastro, così come trasposto da IVASS nell’Allegato Esemplificativo al Regolamento n. 25/2016:

 “Si consideri il caso di due imprese assicurative L e N, controllate dall’impresa di assicurazione B, facenti parte di un gruppo in cui C è la holding di partecipazione assicurativa che controlla B.

Una banca A, esterna al gruppo, riceve un prestito subordinato di € 200.000 dall’impresa L e uno di € 100.000 dall’impresa N.
Allo stesso tempo, C riceve un prestito subordinato di € 300.000 dalla banca A.

Tali operazioni coinvolgono una parte terza e sono tra loro collegate, tuttavia, a differenza dell’esempio 4, costituiscono gravami. Il finanziamento della holding da parte della banca A ha un impatto, indiretto, sui fondi propri delle imprese L e N, e quindi, nella sostanza, l'effetto economico che deriva dalle operazioni descritte, per le imprese L e N, equivale al possesso di azioni proprie.

Le riserve di riconciliazione di L e N vanno diminuite, rispettivamente, di € 200.000 e € 100.000” (cfr. esempio n. 5; si veda anche l’esempio n. 6).[22] Il CAP (art. 44-decies, co. 1, lett. a) e b)), in particolare, è chiaro nello stabilire che, ai fini del rispetto della copertura del Requisito Patrimoniale di Solvibilità (corrispondente, ai sensi dell’art. 45-ter, co. 4, CAP, al “valore a rischio dei fondi propri di base dell’impresa soggetto ad un livello di confidenza del novantanove virgola cinque percento (99,5%) su un periodo di un anno” e da calcolarsi di norma applicando la Formula Standard), “la proporzione degli elementi di livello 1 nei fondi propri ammissibili è superiore ad un terzo dell’importo totale” degli stessi, mentre “l’importo ammissibile degli elementi di livello 3 è inferiore ad un terzo dell’importo totale dei fondi ammissibili”. È intuitivo concludere, pertanto, che sia interesse delle imprese di assicurazione mantenere quanto più possibile elevato l’ammontare dei fondi propri ammissibili di livello 1.

[23] Cfr. nt. 22, supra.

[24] Cfr. art. 44-septies, co. 1, lett. a) e b), Regolamento IVASS 25.

[25] Sul punto, bisogna sottolineare la diversa impostazione adottata dal legislatore europeo in tema di regolamentazione bancaria. Il Regolamento (UE) 575/2013 (“CRR”) non ricomprende, infatti, le passività subordinate tra gli elementi Tier 1 (cfr. art. 26 del CRR), né tra gli strumenti aggiuntivi di classe 1 (cfr. artt. 51 e 52 del CRR). Al contrario, le qualifica come strumenti Tier 2 (cfr. art. 63 del CRR).

[26] Cfr. art. 71 del Regolamento Delegato.

[27] Cfr. art. 71, co. 1, lett. c), Regolamento Delegato.

[28] Cfr. art. 71, co. 1, lett. f), punto (ii), Regolamento Delegato.

[29] Se la lettura dei diversi testi normativi consente di intendere “immediatezza” e “permanenza” della “disponibilità” come equivalenti, non altrettanto supporto può trarsi al fine di attribuire a queste un significato concreto che non intenda unicamente essere sinonimo di subordinazione. Forse derubricabile la precedente osservazione a “noterella di stile”, altrettanto non può dirsi dei rilievi che spontanei sorgono riguardo alla durata dell’elemento dei fondi propri di base, che il Regolamento Delegato prescrive indeterminata.

Ci si domanda, infatti, perché il legislatore del CAP introduca la “scadenza” e “la durata relativa (duration) dell’elemento rispetto alla durata relativa (duration) degli impegni di assicurazione […] dell’impresa” (art. 44-octies, co. 2 e co. 3, i quali richiamano l’art. 44-septies, co. 2 e co. 3,) come criteri discernitivi tra fondi propri di base di livello 1 e di livello 2.

Non può infatti ammettersi una lettura restrittiva che porti a concludere che, quando sia prevista una scadenza, la passività ricada per ciò solo entro il livello 2. Se così fosse, verrebbe da domandarsi la ragione che ha spinto il legislatore – innovando rispetto al recente passato – ad ammettere le passività subordinate tra gli elementi dei fondi propri di base potenzialmente di livello 1. Parrebbe inusuale voler rinvenire la ratio della disposizione in parola nello stimolo all’emissione di corporate perpetuities.  Secondo un’analisi conservativa della norma, può forse essere di sostegno il secondo periodo dell’art. 71, co. 1, lett. f), punto (ii) del Regolamento Delegato, che ammette una “opportunità” di rimborso o riscatto della passività subordinata qualora questa sia stata emessa da cinque anni. Qualora si leggesse tale opportunità come facoltà dell’impresa di assicurazione, la questione andrebbe riducendosi sensibilmente.

Tale ultima lettura, tuttavia, incontra un ostacolo nell’art. 73, co.1, lett. c), del Regolamento Delegato che, dopo aver individuato la “durata indeterminata o […] almeno di 10 anni” come tratto tipizzante gli elementi dei fondi propri di base di livello 2, parimenti ammette la possibilità che le passività subordinate possano essere rimborsate o riscattate trascorsi cinque anni dall’emissione. Sembra pertanto d’obbligo doversi rintracciare altrove la distinzione tra i due livelli in parola.

La prima può essere individuata nel soggetto e nelle condizioni a cui tali rimborso o riscatto possono avere luogo. Perché l’elemento dei fondi propri di base sia classificato di livello 1, infatti, la facoltà in discorso assume in realtà i tratti di una potestà in capo all’impresa di assicurazione, essendo altrimenti richiesta l’approvazione preventiva dell’IVASS (cfr. art. 71, co. 1, lett. h), del Regolamento Delegato). Al contempo, rimborso e riscatto non possono in alcun caso aver luogo quando il requisito patrimoniale di solvibilità non sia “superato con un margine adeguato” (cfr. art. 71, co. 1, lett. h), del Regolamento Delegato). Per quanto il Regolamento Delegato ribadisca tale limite soggettivo anche in relazione agli elementi dei fondi propri di base di cui al livello 2, ammette in tal caso “incentivi limitati a rimborsare o riscattare l’elemento a condizione che gli incentivi non si verifichino prima di 10 anni dalla data di emissione” (cfr. art. 71, co. 1, lett. d), e) del Regolamento Delegato)). Tali incentivi assumono la forma di uno “step-up del tasso di interesse associato a un’opzione call limitata, qualora lo step-up assuma la forma di un singolo aumento del tasso di cedola e determini un aumento del tasso iniziale”entro i limiti previsti dal Regolamento Delegato stesso (cfr. art. 72, co. 4, del Regolamento Delegato).

Al contrario, incentivi al rimborso o al riscatto sono espressamente esclusi in relazione agli elementi dei fondi di base di cui al livello 1 (cfr. art. 71, co. 1, lett. i) del Regolamento Delegato). Ratio di detta esclusione potrebbe individuarsi principalmente nel favore del legislatore nei confronti dell’emissione di passività, il rimborso delle quali – quantomeno in termini di face value – quasi preveda e implichi una posposizione potenzialmente perpetua. Ulteriore elemento distintivo può rinvenirsi nella disciplina delle distribuzioni.

Nel caso delle passività subordinate di cui al livello 1, il Regolamento Delegato esplicitamente prevede che le distribuzioni (i.e. il pagamento delle cedole) possano essere annullate “in caso di inosservanza del requisito patrimoniale di solvibilità o se la distribuzione comporterebbe detta inosservanza, fino al momento in cui l’impresa rispett[i] detto requisito e la distribuzione non comport[i] la sua inosservanza” . L’impresa di assicurazione, inoltre, “dispone di una piena flessibilità riguardo alle distribuzioni”, le quali possono essere annullate per un periodo illimitato e il cui mancato pagamento “non costituisce un inadempimento da parte dell’impresa di assicurazione” (cfr. rispettivamente, art. 71, co. 1, lett. l), punto (ii), lett. n), co. 4, lett. b) e d)).

Al contrario, le distribuzioni relative alle passività subordinate di cui al livello 2 possono unicamente essere differite (73, co. 1, lett. g), punto (ii)). Per quanto il Regolamento Delegato non si premuri di prevedere una durata massima di tale differimento, non può non notarsi la diversa formulazione del disposto normativo rispetto a quella succitata relativa al livello 1.

Ulteriore indice distintivo si ritrova nel Regolamento IVASS 25 (cfr. art. 11, co. 1, lett. b) che, nell’esplicitare una previsione già presente nel Regolamento Delegato in relazione agli elementi propri di base di cui al livello 1, esclude che l’annullamento della distribuzione legittimi il creditore al pagamento totale o parziale dell’importo investito. Per quanto la formulazione di detta norma sembri limitarsi al pagamento dell’importo capitale, e non anche delle cedole, il fatto che l’annullamento delle distribuzioni sia assunto a triggering event lascia in realtà propendere per l’interpretazione contraria, la quale renderebbe il creditore “privo di diritti”. Tale lettura è peraltro suffragata dalla maggiore tolleranza del Regolamento Delegato in tema di rimborso o riscatto (art. 71, co. 1, lett j) e k)), quando questi avvengano per mezzo di uno “scambio” (rectius, conversione) con un altro elemento dei fondi propri ammissibili di livello 1, segnatamente con azioni dell’impresa di assicurazione.

La conversione in parola rende coerente la comunanza di passività subordinate e azioni entro la categoria dei fondi propri ammissibili di livello 1, la quale sembra dunque ricomprendere, grosso modo, tutti quegli elementi eventualmente riconducibili a capitale di rischio; deve tuttavia ricordarsi, in caso di emissione di passività subordinate convertibili, la permanenza del procedimento presso IVASS.

[30] Come è spesso il caso nelle compagnie assicurative nate nell’alveo di gruppi bancari.

[31] Magari beneficiando, nell’attuale scenario, di tassi debitori elevati, non allineati al mercato.

[32] La quale, in sede di autorizzazione all’esercizio dell’attività può “richiedere ai partecipanti [al capitale dell’istituto di credito]specifiche dichiarazioni di impegno volte a tutelare la sana e prudente gestione della banca”; impegno, questo, che certamente può consistere nel dotare l’istituto di credito di ulteriore capitale (cfr. Parte Prima, Titolo I, Capitolo I, Sezione IV, Circolare della Banca d’Italia n. 285/2013).

[33] Ai sensi della Direttiva è in tal caso prescritto uno specifico potere (a richiesta dell’impresa mutua, non, tuttavia, dell’autorità) di chiedere la corresponsione di contributi ulteriori: “le mutue e le società a forma mutualistica a contributi variabili possono richiedere contributi supplementari dai propri soci (richiami di contributi supplementari dai soci) al fine di incrementare le risorse finanziarie da esse detenute per assorbire eventuali perdite “(cfr. considerando n. 52).

[34] Si pensi, appunto, all’eliminazione della procedura autorizzativa all’emissione di passività subordinate: pare tangibile l’intento di responsabilizzare le imprese di assicurazione in quanto in grado di assumere in autonomia le determinazioni ritenute nell’interesse dei soci, nonché atte a garantire una adeguata protezione dei contraenti. (cfr. ntt. (3) e (6), supra).

[35] L’aumento del debt/equity ratio comporta generalmente un aumento della remunerazione richiesta dagli operatori al fine di assumere un rischio di credito. Tale indicatore, pur utilizzabile come parametro di stima di creditworthiness dell’emittente, non incide tuttavia sul metodo di valutazione delle passività da parte delle imprese di assicurazione, le quali sono sollevate dal compiere “aggiustament[i] per tenere conto del merito di credito” (cfr. art. 75 Solvency II).

Il rapporto in discorso, inoltre, ha scarso significato se analizzato avendo riguardo ad un’unica impresa. Tipicamente, ogni settore di attività ha un proprio benchmark di debt/equity ratio, al superamento del quale si assiste ad un più sensibile aumento del costo del finanziamento. Pertanto, sarà utile verificare su che livelli si assesterà il nuovo benchmark relativo alle imprese di assicurazione. Assumendo il mantenimento del costo del denaro ai livelli attuali e, dunque, un sempre maggior ricorso all’emissione di passività subordinate, sembra ad oggi prevedibile un innalzamento di tale parametro nel breve-medio periodo. Conseguenza ulteriore sarà il possibile ricorso ad ulteriori emissioni senza che il mercato richieda risk-premiums sensibilmente accresciuti.

[36] Si tratta dell’impostazione “forward looking”, ulteriore principio cardine della disciplina Solvency II (cfr. art. 29 della Direttiva e art. 3-bis del CAP).

[37] Si vedano i prospetti delle obbligazioni subordinate quotate, consultabili sul sito www.consob.it.

[38] All’evidenza applicabile non direttamene alle imprese di assicurazione (le quali non possono essere abilitate, salvo l’esercizio della distribuzione dei prodotti finanziari ex art. 25-bis del D. lgs. 58/1998 – “TUF” – alla prestazione dei servizi e delle attività d’investimento), bensì agli intermediari abilitati al collocamento (o, in sede di mercato secondario, anche alla prestazione di ulteriori servizi d’investimento) di volta in volta coinvolti (spesso appartenenti al medesimo gruppo/conglomerato dell’impresa emittente). Si veda, per una completa panoramica dei principi e delle regole di dettaglio in materia di intermediazione, A. P. Perrone, cit., nt. 1, pag. 157 e ss.

[39] Al riguardo si veda, per la disamina dei rischi sottesi e della relativa disciplina, anche in prospettiva BRRD, delle obbligazioni bancarie subordinate, alla luce delle vicende delle “quattro banche”, da ultimo, C. Brescia Morra, “Obbligazioni bancarie e altri strumenti di raccolta del risparmio diversi dal deposito”, in E. Capobianco (a cura di), P. Rescigno – E. Gabrielli, Trattato dei Contratti – I Contratti Bancari, pag. 989 ss.

[40] Si tratta dell’inversione del ciclo produttivo e del principio della riservazione, su cui, per tutti, v. A. Donati – G. Volpe Putzolu, Manuale di diritto delle assicurazioni, Milano, 2016, pag. 6 e ss. Come detto (nt. 38, supra), le imprese di assicurazione non possono prestare servizi d’investimento (quale il collocamento di strumenti di debito), mentre le banche possono esservi abilitate.

[41] Il riferimento è: (i) all’Opinion ESMA del 7 febbraio 2014; (ii) alla Comunicazione Consob del 22 dicembre 2014 (spec. pag. 6 e 9 dell’annesso Elenco di prodotti a “complessità molto elevata”); e (iii) alle relative Q&A del 23 giugno 2015. Con riferimento a tale ultimo provvedimento regolamentare, è utile riportare quanto previsto al par. 31 in tema di obbligazioni subordinate: “la presenza della mera clausola di subordinazione non implica ex se la riconduzione delle obbligazioni in esame nell’alveo dei prodotti a complessità molto elevata di cui all’Elenco. (…) In tale prospettiva,  gli operatori dovranno comunque prestare la massima attenzione alle fasi di distribuzione delle obbligazioni subordinate nei confronti della clientela al dettaglio (cfr. pag. 12).

[42] Cfr. Comunicazione Consob del 22 dicembre 2014 (pag. 6, nota 9, e pag. 9, nota 14), nonché, per la descrizione delle fattispecie di titoli di debito richiamate, A. Giannelli, cit.,  nt. 1) supra, pag. 570.

[43] Non si può infatti escludere che i contraenti/aventi diritto siano finanche clienti-investitori di un intermediario appartenente al medesimo gruppo/conglomerato dell’impresa emittente (v. nt. 38 supra).

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