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Approfondimenti

La sospensione degli obblighi in materia di capitale nel nuovo art. 6 del Decreto liquidità

3 Marzo 2021

Matteo De Poli e Michele Greggio, Studio De Poli – Venezia

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

La virulenza della crisi economica determinata dalla diffusione del virus SARS-Cov-2 (c.d. “Covid-19”) ha richiesto l’adozione di interventi di mitigazione degli effetti negativi di una congiuntura economica tanto rilevante quanto inaspettata[1]. In linea con quanto fatto da altri paesi europei, anche il Governo italiano ha tentato di ridurre l’impatto economico della pandemia sul tessuto economico-produttivo seguendo una duplice direttiva[2]: in primo luogo, cercando di contrastare la crisi di liquidità delle imprese mediante l’iniezione immediata di capitali[3] e, indirettamente, sia attraverso la concessione di garanzie statali sui debiti contratti presso il circuito bancario[4], sia con l’adozione di moratorie sui finanziamenti[5]; in secondo luogo, disponendo, per un tempo limitato, una deroga o una modifica di parte della disciplina prevista dal codice civile in materia societaria[6].

2. L’articolo 6 del Decreto liquidità ante modifica e la nuova formulazione

A tale ultimo riguardo è di notevole rilevanza quanto previsto dall’art. 6 del Decreto Liquidità che ha disposto la deroga al contenuto degli artt. 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, 2482-ter, 2484, comma primo, numero 4) e 2454-duodecies del Codice civile[7]. L’importanza di questa disposizione deriva sia dai considerevoli effetti pratici dell’intervento legislativo – consistente nell’esclusione, seppur temporanea, della rilevanza delle perdite di capitale subite e nella sospensione dell’operatività della causa di scioglimento per riduzione del capitale al disotto del minimo legale -, sia dall’ambiguità dell’enunciato legislativo, a causa del quale i risvolti pratici sopra citati potrebbero assumere connotati anche molto diversi, variabili a seconda dell’interpretazione proposta.

La scelta di sospendere l’obbligo di ridurre il capitale sociale per perdite “rilevanti” – ossia, più precisamente, l’obbligo derivante dalla riduzione del valore del capitale sociale “reale” (i.e. il patrimonio netto), al di sotto del capitale sociale “nominale” per perdite di oltre un terzo del medesimo capitale nominale[8] – e la causa di scioglimento in caso di mancato assolvimento dell’obbligo di riportare il capitale sociale, intaccato da una perdita rilevante, entro il limite del minimo di legge è stata salutata con favore. La Relazione illustrativa al Decreto liquidità ha chiarito efficacemente la ratio sottesa ad essa: «la previsione mira a evitare che la perdita del capitale, dovuta alla crisi da COVID-19 e verificatasi nel corso degli esercizi chiusi al 31 dicembre 2020, ponga gli amministratori di un numero elevatissimo di imprese nell’alternativa – palesemente abnorme – tra l’immediata messa in liquidazione, con perdita della prospettiva di continuità per imprese anche performanti, ed il rischio di esporsi alla responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell’articolo 2486 del codice civile».

Se, però, la finalità è condivisibile – tutelare la potenzialità produttiva delle imprese in bonis dalle conseguenze di un evento eccezionale e incolpevole, oltreché gli amministratori di tali imprese dal rischio di esposizione a responsabilità per una gestione non conservativa ai sensi dell’articolo 2486 del Codice civile[9] -, lo strumento utilizzato per il perseguimento di detta finalità è stato di certo insufficiente, specie con riferimento alla durata limitata della sospensione: la consapevolezza di tale inadeguatezza ha portato il legislatore, nell’ambito della c.d. “Legge di Bilancio” a sostituire l’enunciato originario dell’art. 6[10]. Modifica che, come vedremo, interviene sul più macroscopico limite della precedente formulazione e su taluni dubbi interpretativi, sollevandone però nuovi che merita indagare[11].

In sostanza, la riduzione del capitale prevista dagli artt. 2446, 2447, 2482-bis e 2482-ter, c.c., dapprima sospesa dall’aprile 2020 al 31 dicembre dello stesso anno, ora può essere rinviata fino all’assemblea che approva il bilancio del quinto esercizio successivo (esercizio 2025). È poi prevista la sospensione della causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, n. 4, c.c., anche in questo caso fino all’assemblea che delibererà sul bilancio dell’esercizio 2025.

Va ricordato che la temporanea sospensione degli obblighi non riguarda quelli di cui agli artt. 2446, comma primo, e 2482-bis, commi primo, secondo e terzo, c.c. e, pertanto, Covid o non-Covid, permane l’obbligo degli amministratori di convocare senza indugio l’assemblea al verificarsi di una perdita di oltre un terzo del capitale sociale, anche se essa non intacchi il minimo legale.

2.1. I problemi interpretativi della disposizione previgente. Sull’ambito di applicazione della sospensione.

Nonostante la prima versione dell’art. 6 sia stata abrogata, è necessario partire dall’esame di quest’ultima al fine di meglio comprendere la portata delle novità attraverso un’analisi di tipo differenziale tra vecchia e nuova disciplina. Ciò a tacer del fatto che non si può prescindere dal prendere posizione sulla legittimità delle scelte compiute sotto la vigenza della prima versione dell’art. 6.

In forza di essa, nel periodo compreso tra il 9 aprile 2020 e il 31 dicembre 2020, «per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data» – ora, con la nuova formulazione, per le «perdite emerse nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020» – non trovavano applicazione le disposizioni in tema di:

  1. riduzione del capitale, in sede di approvazione del bilancio dell’esercizio successivo a quello in cui le perdite si erano realizzate, per quelle perdite di valore superiore[12] ad un terzo del capitale che non fossero diminuite a meno di un terzo nel corso dell’”anno di grazia” (artt. 2446, commi secondo e terzo, e 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, c.c.);
  2. riduzione del capitale sociale per perdite – di valore superiore ad un terzo del capitale – al di sotto del minimo legale (artt. 2447 e 2482-ter, c.c.);
  3. scioglimento della società per riduzione del capitale al disotto del minimo legale (art. 2484, comma primo, n. 4, c.c.) o perdita dello stesso (art. 2545-duodecies, c.c. in materia di società cooperative).

In sostanza, con l’originaria formulazione dell’art. 6 venivano sospesi, dal 9 aprile 2020 al 31 dicembre 2020, recependo i suggerimenti avanzati da più parti[13], gli obblighi derivanti dalla riduzione del capitale sociale per perdite rilevanti[14].

Concentriamoci ora sull’ambito applicativo della versione originaria dell’art. 6 e sui molti dubbi che la sua interpretazione ha provocato. Invero, tale ambito è definito dall’ampia espressione «fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro [il 31 dicembre 2020]» e dalla previsione per cui la sospensione opera dal 9 aprile 2020 al 31 dicembre 2020. Il disposto ora riportato si presta ad almeno tre diverse interpretazioni:

i) la sospensione degli obblighi conseguenti alla perdita rilevante del capitale sociale vale solo per le perdite dovute alla crisi da Covid-19 (c.d. “perdite Covid”) e, più precisamente, per quelle formatesi nel periodo ricompreso tra il 9 aprile e il 31 dicembre 2020[15]. Tale interpretazione – di tipo “psicologico”[16], – fa leva sulla intentio legislatoris e, più precisamente, sul brano della Relazione illustrativa ove si fa riferimento alla «perdita di capitale, dovuta alla crisi da COVID-19, e verificatasi negli esercizi chiusi al 31 dicembre 2020». L’effetto di detta interpretazione è che le perdite formatesi nel periodo pre-pandemico – ossia, essenzialmente, le perdite maturate nell’esercizio 2019 – non godono del beneficio della sospensione.

In base ad una seconda e più estensiva interpretazione[17], invece,

ii) la sospensione opera per le perdite rilevanti accertate (dall’organo amministrativo o dall’assemblea[18]) entro il 31 dicembre 2020, indipendentemente dal momento di formazione. Per l’effetto, secondo questa tesi sono comprese nell’ambito di applicazione della sospensione anche leperdite formatesi in un periodo anteriore al 9 aprile 2020 – certamente non dovute alla crisi pandemica – a condizione che non siano state già accertate alla data del 9 aprile 2020. Portando alle estreme conseguenze tale opzione interpretativa, di questa “grazia” legislativa avrebbero potuto beneficiare anche: a) le perdite maturate nell’esercizio chiuso al 31 dicembre 2019, a condizione che il relativo bilancio (accertante le perdite) non fosse ancora stato approvato al 9 aprile 2020, nonché b) le perdite, superiori ad un terzo del capitale sociale ma non intaccanti il minimo legale, maturate nell’esercizio chiuso al 31 dicembre 2018 e portate a nuovo nel 2019 (sempre a patto che il bilancio di tale ultimo esercizio non fosse stato ancora approvato al 9 aprile 2020)[19].

iii) Un terzo indirizzo, infine, ritiene che con il termine “fattispecie” ci si riferisca «sia all’approvazione del bilancio (momento di applicazione della disposizione la cui efficacia è sospesa), sia alla rilevazione delle perdite (che rappresentano il presupposto materiale oggetto di accertamento)»[20]. Questa interpretazione consente di includere nell’ambito applicativo dell’art. 6 sia le perdite “formatesi” tra il 9 aprile 2020 e il 31 dicembre 2020 (presupponendo una loro rilevazione tempestiva), sia le perdite relative agli esercizi chiusi in data anteriore al 9 aprile 2020 (purché con bilancio approvato entro il 31 dicembre 2020), sia le perdite formatesi (e rilevate) prima del 31 dicembre 2020, ma oggetto di bilancio approvato nel 2021[21].

Conclusione comune alle tre opzioni interpretative è l’esclusione della possibilità di applicare la sospensione alle perdite di quelle società il cui esercizio si ponga “a cavallo” del 31 dicembre 2020, ad esempio quelle per le quali l’esercizio si chiuda il 31 marzo 2021, con ciò creandosi un’evidente e illogica disparità di trattamento[22]. Anche per tale ragione il legislatore ha riformato l’art. 6 del Decreto nei termini che ora esamineremo.

3. La nuova formulazione dell’art. 6. Osservazioni sul concetto di perdite “emerse”

La nuova formulazione dell’art. 6, come anticipato, ha sostituito la locuzione «fattispecie realizzatesi» con quella di «perdite emerse nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020». Il resto delle previsioni contenuto nel nuovo art. 6, pur in parte diverso da quello dell’art. 6 previgente, non giova all’opera di inquadramento dell’ambito di applicazione se non, forse, per quanto previsto al quarto comma ove si dispone che gli amministratori debbono indicare nella nota integrativa le perdite sospese, specificando, in appositi prospetti, la loro origine nonché le movimentazioni intervenute nell’esercizio[23]. È evidente che questa previsione opera sul piano dell’informazione e non su quello del fatto da fare oggetto di informazione, sicché, a rigore, essa non interferisce con la fattispecie. Ciononostante, operando un rafforzamento dell’opera di controllo esterno sulle scelte degli amministratori, giocoforza essa sollecita l’esigenza di una più puntuale definizione dell’ambito su cui essa opera.

Per quanto riguarda la ratio della disposizione, la Relazione illustrativa alla Legge di bilancio si limita a precisare che «La disposizione sostituisce integralmente l’articolo 6 del decreto-legge n. 23 del 2020, ampliandone l’ambito di applicazione. […]»[24].

La nuova formulazione dell’art. 6, dunque, non risponde a fini diversi rispetto a quelli originari, ma testimonia la presa d’atto, da parte del legislatore, della necessità di dare adeguato respiro, per ragioni di coerenza tra mezzi e fini, ad un intervento normativo, pur se di natura emergenziale.

Ciò detto, ricadono con certezza all’interno della sospensione le perdite che gli amministratori portino alla luce in un esercizio che comprenda la data del 31 dicembre 2020. Questo, però, non basta a definire la fattispecie perché ben potrebbero essere fatte abusivamente emergere entro questa finestra temporale perdite risalenti ad un momento antecedente all’inizio della pandemia (perdite non-Covid) e colpevolmente occultate[25]. Tali perdite, però, non sembrano rientrare nella fattispecie in esame se, come crediamo, il concetto di emersione sarà interpretato in modo restrittivo[26]: le perdite “emerse” devono essere le perdite conseguite, originate, nel periodo pandemico (i.e. dopo il 9 aprile 2020), coincidente, per molte imprese, ma non per tutte, con l’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020. Esse sono dunque quelle perdite originate dopo il 9 aprile 2020[27] ed accertate contabilmente[28] durante un esercizio in corso al 31 dicembre 2020 o accertate successivamente alla chiusura di tale esercizio dopo essere maturate nel corso dello stesso, o, ancora, accertate anche prima della sua apertura, ma pur sempre entro un periodo che configuri tale accertamento come tempestivo rispetto all’originazione[29].

Questa interpretazione si colloca in modo coerente con la finalità premiale dell’art. 6 e con il disposto del suo quarto comma che fissa l’obbligo degli amministratori di indicare nella nota integrativa le perdite sospese con specificazione della loro origine nonché delle movimentazioni intervenute nell’esercizio[30]. Per converso, appiattendo acriticamente il concetto di emersione su quello di accertamento – o, più precisamente, slegando l’accertamento della perdita dalla sua origine – la finalità della normativa verrebbe frustrata perché l’agevolazione verrebbe consentita anche agli inadempienti, ossia alle società che si siano colpevolmente attardate nella rilevazione delle perdite. Non va dimenticato infatti che l’art. 6 non istituisce una moratoria generalizzata bensì un’agevolazione selettiva, di cui le imprese possono beneficiare solo per ciò che ha una connessione causale con la crisi pandemica.

Alcuni esempi possono essere utili a chiarire la portata del problema. Si pensi al caso in cui la società Alfa, con esercizio corrispondente all’anno solare, abbia maturato perdite rilevanti, tali da rendere il patrimonio netto negativo, a giugno 2019. Tali perdite non dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione del nuovo art. 6 (gravando sull’organo amministrativo l’obbligo di rilevarle prontamente e dunque durante l’esercizio 2019, non più in corso alla data del 31 dicembre 2020), tuttavia qualora le stesse non siano state rilevate senza indugio, ma solo con l’assemblea che approva il bilancio dell’esercizio 2019 (tenutasi, ovviamente, nel corso di esercizio in essere al 31 dicembre 2020), allora, la società Alfa, dopo aver beneficiato della sospensione disposta dall’art. 6 previgente (accordato, si badi, in base alla prima interpretazione estensiva sopra descritta e più aderente, ci sembra, al dettato letterale della disposizione originaria), beneficerebbe anche dell’estensione prevista dal nuovo enunciato.

Si pensi ora alla società Beta, anch’essa con esercizio corrispondente all’anno solare, che abbia maturato, proprio come la società Alfa, perdite rilevanti, anch’esse tali da rendere il patrimonio netto negativo a giugno 2019 ma che, a differenza della prima, si sia prontamente e diligentemente attivata per rilevare le stesse. Inevitabilmente, essendo dette perdite non solo maturate, ma anche emerse, ossia fatte oggetto di accertamento contabile, nel corso di un esercizio non più in corso al 31 dicembre 2020 (ossia l’esercizio 2019), esse non solo non hanno beneficiato della sospensione originaria, ma nemmeno rientreranno nell’ambito applicativo del nuovo art. 6.

Dalla semplice lettura dei due esempi speculari proposti si può comprendere come una corretta interpretazione del nuovo art. 6 del Decreto liquidità non possa prescindere da una previa verifica del rispetto, da parte dell’organo gestorio, degli obblighi di rilevazione tempestiva in capo allo stesso: applicare indiscriminatamente la nuova disposizione a tutte le società che abbiano fatto emergere perdite nel corso di un esercizio in essere al 31 dicembre 2020 rischierebbe, infatti, di determinare ingiustificate disparità di trattamento, premiando l’inerzia di chi abbia atteso di far emergere le perdite a discapito di chi, invece, quelle medesime perdite le abbia rilevate senza indugio[31].

La fondatezza dell’interpretazione qui suggerita merita di essere vagliata alla luce di un potenziale contro-argomento di non poco conto. Esso fa leva su una lettura diversa della finalità della norma, capace di assorbire al suo interno ogni ipotesi di nascita, all’interno del periodo sopra indicato, dell’obbligo di riduzione del capitale sociale (o di decisione connessa)[32]. È da supporre che tale lettura trovi il proprio fondamento nella convinzione che il legislatore debba aiutare le imprese che incontrino problemi a raccogliere capitale non solo a causa della crisi pandemicama, anche, durante la crisi pandemica.

Quest’obiezione non va sottovalutata ma, ciononostante, essa non può essere accolta perché manca un adeguato interesse pubblico ad una deroga, in tali casi, ad una normativa altrimenti inderogabile. Invero, dovendo lasciare al di fuori di quest’analisi le note discussioni in ordine all’utilità del capitale sociale[33] per attenersi allo stato delle cose, rimane certo che i costi sociali dell’estensione della sospensione a società che avevano già perso il capitale sociale prima della pandemia – vieppiù considerando l’ampiezza della sospensione[34] – è maggiore dei suoi vantaggi (che, di fatto, consisterebbero esclusivamente nel far venire a galla perdite fino a quel momento occultate, con il ripristino della funzione informativa dei bilanci). Si pensi solamente agli effetti distorsivi sulla concorrenza[35] o alla selezione avversa che tale interpretazione determinerebbe per quanto riguarda l’attrazione di finanziamenti[36]. D’altro canto, si deve ritenere che l’art. 6 si fondi sul presupposto per cui gli amministratori abbiano agito in conformità ai propri obblighi di legge, rilevando tempestivamente le perdite. Pertanto, è evidente come siano (implicitamente) escluse dall’ambito applicativo della disposizione quelle perdite non riferibili al periodo pandemico e potenzialmente rientranti nella sospensione solo in virtù di una condotta inadempiente degli amministratori.

Per le medesime ragioni, non riteniamo di poter condividere l’interpretazione estensiva che attribuisce alla locuzione “perdite emerse” prevista dalla nuova formulazione, tanto il significato di “perdite maturate”, quanto il significato di “perdite rilevate in un bilancio approvato nel 2020”[37]. In questo senso, se l’enunciato originario dell’art. 6 (che si riferiva alle «fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro» il 31 dicembre 2020) consentiva di includere nella sospensione anche le perdite originatesi in esercizio antecedente a quello 2020, ma oggetto di accertamento (pur tardivo) in un bilancio approvato dopo il 9 aprile 2020, questa soluzione, dopo la modifica correttiva del legislatore, non può più essere proposta anche per la nuova formulazione. Tale interpretazione sembra fondarsi sull’argomento – lontano dai tipici criteri dell’ermeneutica giuridica e più vicino ai paradigmi propri della politica del diritto – per cui l’attribuzione all’espressione “perdite emerse” del medesimo significato originariamente attribuito alla locuzione “fattispecie verificatesi” consentirebbe di assicurare la continuità dell’interpretazione estensiva originaria, garantendo copertura a quelle medesime fattispecie che prima si consideravano ricomprese nella sospensione[38]. Tuttavia, il fatto che il legislatore non abbia mantenuto la formulazione previgente ma abbia deciso di modificarla in senso maggiormente restrittivo, prova proprio il contrario, cioè la volontà di impedire la continuità dell’interpretazione originaria. Essa induce dunque ad escludere l’estensione della nuova sospensione anche alle perdite – prima ricomprese nell’ambito applicativo della disposizione – originatesi e già accertate (o che avrebbero dovuto essere accertate) in esercizi antecedenti a quello in corso al 31 dicembre 2020.

Pertanto, la richiamata interpretazione estensiva, per quanto suggestiva, sembrerebbe non solo contraria al dato letterale[39] e foriera di evidenti disparità di trattamento e di conseguenze contraddittorie[40], ma anche contrastante con il fine espresso dal legislatore, ossia quello di tutelare le imprese solo dalle perdite emerse durante la pandemia, palesandosi altresì come idonea, almeno potenzialmente, a replicare le conseguenze sistemiche negative di cui si è già detto supra, con costi sociali rilevanti.

4. Sul concetto di tempestività dell’accertamento

Che le perdite debbano non solo essere portate in assemblea tempestivamente – questione su cui dottrina e giurisprudenza hanno molto indugiato[41] – ma anche essere rilevate tempestivamente è osservazione in sé e per sé non controvertibile in dubbio[42], nonostante sia diffusissima la prassi delle società chiuse, grandi o piccole, di demandare tale attività alla chiusura dell’esercizio e all’assemblea di approvazione del bilancio.

Ora, tale prassi, che ha ricevuto anche avvalli giurisprudenziali[43], dovrebbe soffrire, a nostro avviso, una rivisitazione in senso (intelligentemente) restrittivo, dovendosi essa conciliare sia con il nuovo secondo comma dell’art. 2086 c.c.[44], sia con la prossima entrata in vigore dell’art. 14 del Decreto legislativo del 12 gennaio 2019, n. 14 (CCI)[45]. Ai sensi di quest’ultimo, gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, hanno l’obbligo di verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente l’adeguatezza dell’assetto organizzativo dell’impresa e la sussistenza dell’equilibrio economico-finanziario. Dette modifiche normative confermano la necessità di una rilevazione tempestiva delle perdite, tuttavia, per quanto rilevanti, non possono giungere al punto di richiedere alle imprese, specie quelle di non grandi dimensioni, standard di diligenza difficilmente realizzabili, indifferenti verso la complessità del procedimento di accertamento dei risultati di gestione. Tale accertamento, infatti, non si limita ad una mera registrazione dei dati contabili, dovendo invece transitare attraverso operazioni di integrazione e di rettifica dei valori contabili “grezzi” – compiute per il tramite della “scritture di assestamento” –: solo dopo la conclusione di tali operazioni si può ritenere (eventualmente) emersa una perdita.

Queste operazioni – si pensi solo alle scritture di ammortamento – non sono né semplici né immediate, pertanto, rendono inesigibili non solo quelle pretese di accertamento continue ed ininterrotte, ma anche quelle pretese di accertamento con periodicità molto stretta[46].

5. Conclusioni sul punto

Concludendo su questo punto, si ritiene che l’ambito applicativo della sospensione ex art. 6 nuova formulazione sia dato dalle perdite originate da vicende gestorie di pertinenza di un esercizio «in corso alla data del 31 dicembre 2020», ossia un esercizio che comprenda la data del 31 dicembre 2020.

Più precisamente, la sospensione potrà essere accordata a quelle perdite, formatesi a partire dal 9 aprile 2020, che siano state oggetto di accertamento nel corso di esercizio in essere al 31 dicembre 2020 o anche oggetto di accertamento prima dell’inizio di tale esercizio purché tempestivamente, nonché a quelle perdite maturate nel corso dello stesso esercizio in essere al 31 dicembre 2020, accertate anche dopo la sua chiusura, ma sempre a condizione che tale accertamento sia stato tempestivo rispetto all’originazione[47].

Sono invece escluse dall’ambito applicativo della sospensione ex art. 6 di nuova formulazionele perdite di competenza degli esercizi precedenti a quello in essere alla data del 31 dicembre 2020 (2019 in primis), quand’anche rilevate contabilmente durante quest’ultimo esercizio a causa di una condotta non tempestiva degli amministratori.

Fermo quanto detto, vi è però da tener presente che fino al 1° gennaio 2021 è stato in vigore un disposto normativo il cui ambito applicativo era di certo più ampio e che ha consentito – almeno a parere di chi scrive – un rinvio al 2021 degli obblighi connessi a: i) perdite, superiori ad un terzo del capitale sociale ma non intaccanti il minimo legale, maturate nell’esercizio chiuso al 31 dicembre 2018 e portate a nuovo nel 2019 (sempre, a patto che il bilancio non fosse stato ancora approvato al 9 aprile 2020)[48]; ii) perdite maturate nel periodo pre-pandemico e oggetto di accertamento solo dopo il 9 aprile 2020. La scelta gestoria di rinviare al 2021 l’adempimento degli obblighi connessi a perdite non-Covid quali quelle ora citate è certamente insindacabile perché coperta da una legge al tempo vigente, ma il privilegio concesso dal legislatore si esaurisce con quel rinvio, non potendo gli amministratori giovarsi della sospensione disposta dalla nuova formulazione dell’art. 6, non essendo tali perdite “emerse” (se non per fatto colpevole degli amministratori) durante un esercizio in corso al 31 dicembre 2020[49].

Per quanto riguarda, invece, le perdite future, ulteriori rispetto a quelle ricomprese nell’ambito applicativo dell’art. 6, ad esse tornerà ad applicarsi il regime ordinario. Dunque, laddove, nell’esercizio successivo a quello in essere al 31 dicembre 2020, si verifichi una nuova perdita di oltre un terzo del capitale, gli amministratori dovranno conformarsi agli obblighi di cui agli artt. 2446, 2482-bis, 2447 e 2482-ter c.c.[50].

6. Gli obblighi dell’organo amministrativo

Resta da esaminare la condotta che gli amministratori dovranno tenere per far giovare la società della sospensione nel rispetto della legge.

Visto quanto abbiamo già detto, detta condotta – per quanto riguarda le sole perdite coperte dall’art. 6 di nuova formulazione[51] – dovrà modellarsi su quella che avrebbero altrimenti tenuto non vi fosse stata la sospensione e, pertanto:

i) la rilevazione delle perdite dovrà essere tempestiva ed altrettanto tempestiva dovrà essere la convocazione dell’assemblea, gradando la tempestività in funzione della misura delle perdite. È chiaro, infatti, che una perdita rilevante che intacchi il minimo legale dovrà essere trattata con maggiore urgenza di una perdita, pur rilevante, che lo preservi;

ii) come abbiamo già detto, gli obblighi contenuti nel primo comma dell’art. 2446 e nei commi, primo, secondo e terzo dell’art. 2482-bis c.c. sono rimasti in vigore, per cui all’assemblea dovrà essere sottoposta una relazione sulla situazione patrimoniale della società;

iii) secondo quanto disposto dal quarto comma dell’art. 6 nuova formulazione, la nota integrativa – da redigersi, dunque, anche in caso di bilancio infrannuale – dovrà contenere specifica indicazione dell’origine delle perdite «emerse nel corso dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020», della loro origine nonché delle movimentazioni occorse nell’esercizio;

iv) la sede deputata per l’assunzione degli opportuni provvedimenti, sia nel caso di perdite rilevanti che non riducono il capitale sociale al di sotto del minimo legale sia di quelle che lo riducono, come si sa, è l’assemblea straordinaria nelle s.p.a. o, nelle s.r.l., un’assemblea la cui verbalizzazione è redatta da notaio. Ciò detto, nei (numerosi) casi in cui gli amministratori, per qualsiasi ragione, già sappiano che i soci delibereranno di avvalersi della sospensione, verrà meno l’esigenza di sostenere il costo (a quel punto inutile) della presenza del notaio;

v) l’ordine del giorno potrà essere generico (ad es.: provvedimenti opportuni”);

vi) l’assemblea dovrà deliberare la sospensione, non essendo essa automatica, e potrà deliberare un rinvio alla chiusura dell’esercizio 2025, come naturalmente accadrà, ma anche avvalersi di un rinvio più contenuto, senza che ciò precluda un successivo utilizzo del termine non sfruttato[52];

vii) nulla impedirà all’assemblea di deliberare la riduzione del capitale in funzione delle perdite accertate, e tale deliberazione si inserirà pur sempre nel solco di quelle dovute, secondo il caso, ai sensi degli artt. 2446, comma secondo, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto c.c. o degli artt. 2447 2482-ter, c.c. Pur non potendosi più parlare di riduzione “obbligatoria”, non si ricadrà nemmeno nell’ipotesi di riduzione “facoltativa”, “volontaria”, ai sensi dell’art. 2445 c.c., con l’effetto che non dovrà essere attivata la speciale tutela dei creditori disposta dallo stesso art. 2445 c.c., congrua ad un caso di riduzione reale, non per perdite;

viii) il termine finale di tale moratoria è, come sappiamo, la conclusione dell’esercizio 2025[53]. Entro tale data la perdita del capitale sociale dovrà aver perduto il carattere di rilevanza, ossia, dovrà essere (almeno) regredita a meno di un terzo del capitale sociale. Il momento di rilevazione di tale condizione, e dell’assunzione dei provvedimenti più opportuni qualora tale regressione non si sia verificata, è l’assemblea di approvazione del bilancio dell’esercizio 2025, per inequivocabile formulazione di legge (art. 6, commi terzo e quarto).

Nulla vi è da chiarire quanto alla sospensione dalla causa di scioglimento, se non che essa è limitata alla sola ipotesi prevista espressamente, ossia la riduzione del capitale sociale al disotto del minimo legale. Resta impregiudicata, pertanto, la vexata quaestio circa la possibilità – da chi scrive esclusa – di trattare come causa di scioglimento per impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale la sopraggiunta incapacità dell’impresa di operare come un complesso economico funzionante destinato a produrre reddito, ossia la perdita della continuità aziendale[54].

Al di là, però, della (remota) possibilità di configurare una situazione di insufficienza patrimoniale come causa di scioglimento, deve restare fermo che la moratoria che abbiamo qui discusso non esonera gli amministratori dall’obbligo di verificare la presenza di uno stato di crisi – oggi da intendersi come lo«stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate»[55] – o perfino di insolvenza[56].

Si ritiene, infatti, che la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali non vada modulata in modo rigorosamente binario, sì da condurli a ritenere che, al di fuori del caso di sussistenza della causa di scioglimento e dell’entrata in vigore di un obbligo di gestione conservativa, la gestione non incorra in limiti. Per contro, una situazione di insufficienza patrimoniale impone loro, alla luce dell’obbligo di “corretta” gestione societaria e imprenditoriale, di valutare prospetticamente in modo rigoroso la solvibilità della società prima di intraprendere operazioni potenzialmente lesive delle ragioni dei creditori.

7. Conclusioni

L’art. 6 del Decreto Liquidità ha l’indubbio merito di preservare il valore di quelle imprese in bonis colpite incolpevolmente dalla pandemia, evitando il ricorso immediato alle procedure concorsuali e al fallimento. Nonostante la nuova formulazione abbia chiarito l’impossibilità di applicare la sospensione anche a quelle imprese già non più performanti nel periodo pre-pandemico, come già precisato, non si può escludere che anche quest’ultime provvedano ad includere tra le “perdite Covid” quelle perdite maturate prima della pandemia, proseguendo dunque nell’attività di impresa. Se ciò è vero, bisogna però notare come, da una parte, una simile condotta possa essere fonte di responsabilità degli amministratori nel caso in cui, terminata la sospensione e ristabilito il regime ordinario, l’impresa si trovi ancora in difficoltà finanziarie[57]; d’altra parte, dal momento che (salvo ulteriori proroghe), le perdite maturate nel 2021 torneranno a seguire il regime ordinario, difficilmente imprese già in difficoltà prima della pandemia e ulteriormente provate da quest’ultima potranno (nonostante le agevolazioni accordate) evitare l’applicazione della disciplina codicistica sospesa e il conseguente ricorso agli strumenti concorsuali.

In ogni caso, qualora, come sembra, la fine dell’attuale crisi pandemica non sia già alle porte, è certo che anche il 2021 sarà un anno di difficoltà e perdite per molte imprese. Se così fosse, la limitazione della sospensione degli obblighi in materia di perdita del capitale sociale alle sole perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020 (e pur con i correttivi di cui si è detto), potrebbe non essere sufficiente a soddisfare lo scopo dello stesso art. 6, ossia la prevenzione dall’immediata messa in liquidazione di quelle imprese performanti prima della crisi, e la conservazione del loro valore, anche a tutela della responsabilità degli amministratori.

Se un’estensione ancora indiscriminata della sospensione potrebbe recare più danni che vantaggi (si pensi agli effetti distorsivi della concorrenza dovuti al proliferare delle c.d. “zombie companies”)[58], ciononostante potrebbe essere utile un’estensione restrittiva, limitata alle perdite “emerse” nel 2021, ma solo presso quelle imprese che operino in settori ancora fortemente colpiti dalla crisi (ad esempio il settore del turismo, il settore dell’ospitalità e quello delle costruzioni)[59].

Per le altre società, invece, tornerebbe ad applicarsi il regime ordinario che, combinato alle probabili politiche pubbliche di espansione economica[60] e alla disciplina prevista dall’art. 182-sexies della Legge fallimentare, dovrebbe fornire strumenti di tutela adeguati – per quelle imprese davvero meritevoli di tutela – nella fase di ripresa economica.

 


[1] Secondo la Commissione Europea, la diffusione della pandemia ha portato ad una contrazione del PIL, nell’area euro, del 6,71% per il 2020 prima di un rimbalzo previsto del 3,7 % nel 2021 e del 3,9 % nel 2022. In ogni caso, sembra che l’economia europea raggiungerà i livelli di produzione precrisi prima di quanto anticipato nelle previsioni economiche d’autunno 2020 (ossia prima del 2023). Cfr. Commissione Europea, European Economic Forecast – Winter 2020, Institutional paper 121, February 2020.

[2] Si tratta di una duplice direttiva condivisa da diversi stati europei, i quali hanno adottato soluzioni simili a quelle previste dal legislatore italiano. Per un’analisi comparatistica si rimanda a S. Madaus e F. Javier Arias, Emergency COVID-19 Legislation in the Area of Insolvency and Restructuring Law, in European Company and Financial Law Review, vol. 17, no. 3-4, 2020, pp. 318 e ss.

[3] L’art. 25 del Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. “Decreto Rilancio”) ha previsto l’erogazione di contributi a fondo perduto a favore dei titolari di partita IVA che, nel mese di aprile 2020, abbiano subito un calo del fatturato pari ad almeno il 33% rispetto al fatturato del mese di aprile 2019. Ulteriori contributi a fondo perduto in favore delle imprese sono stati previsti con l’art. 60, comma 7-sexies del Decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (c.d. “Decreto Agosto”) e con l’art. 1 del Decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (c.d. “Decreto Ristori”).

[4] L’art. 49 del Decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Decreto Cura Italia), sostituito dall’art. 13 del Decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (c.d. “Decreto Liquidità), ha previsto la possibilità di ottenere finanziamenti, senza garanzie aggiuntive, sugli importi garantiti dal Fondo di garanzia per le PMI. Analogo provvedimento, per le imprese di più grandi dimensioni, è stato assunto con l’art. 1 del Decreto Liquidità.

[5] L’art. 56 del Decreto Cura Italia ha previsto la sospensione dei pagamenti delle imprese verso gli istituti di credito fino al 30 settembre 2020, con successive proroghe prima fino al 31 gennaio 2021 e poi fino al 30 giugno 2021 disposte rispettivamente dall’art. 65, comma primo, del Decreto Agosto e dall’art. 1, comma 248, della Legge 30 dicembre 2020, n. 178 (c.d. Legge di Bilancio).

[6] Non è questa la sede per l’analisi delle numerose deroghe emergenziali alla disciplina societaria, per le quali ci si limita ad una breve descrizione: i) l’art. 7 del Decreto Liquidità aveva introdotto la possibilità di valutare le voci di bilancio nella prospettiva della continuità aziendale qualora la stessa risultasse sussistente anche nell’ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020. In seguito, l’art. 38-quater del Decreto Rilancio ha tacitamente abrogato l’art. 7 del Decreto Liquidità, distinguendo fra i bilanci del 2019 e quelli in corso nel 2020 e prevedendo, per quest’ultimi, la medesima regola dell’art. 7 previgente, mentre per i primi, la possibilità, nel valutare la sussistenza della continuità aziendale, di non tenere conto «delle incertezze e degli effetti derivanti dai fatti successivi alla data di chiusura del bilancio»; ii) l’art. 8 del Decreto Liquidità aveva sospeso fino al 31 dicembre 2020gli articoli 2467 e 2497-quinquies, c.c. relativi alla postergazione dei finanziamenti dei soci effettuati a partire dal 9 aprile 2020. Tale sospensione non è stata prorogata; iii) l’art. 3, comma sesto, del Decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183 (c.d. “Decreto Mille Proroghe”) ha prorogato fino al 31 marzo 2021 la deroga agli artt. 2364, secondo comma, e 2478-bis,c.c., già prevista dall’art. 16 del Decreto Cura Italia, con la possibilità di convocare l’assemblea ordinaria entro centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio (in luogo di centoventi giorni). Tale proroga ha riguardato altresì la possibilità di svolgere le assemblee in forma telematica, anche in deroga alle diverse disposizioni statutarie; iv) la Legge 13 ottobre 2020, n. 126 di conversione del Decreto Agosto ha introdotto i commi 7-bis, 7-ter e 7-quater all’art. 60 del medesimo, prevedendo una deroga rilevante alla disciplina prevista dall’art. 2426, primo comma, n. 2), c.c. in tema di ammortamenti. In estrema sintesi, è stata prevista la possibilità, per l’esercizio in corso, di non effettuare fino al 100% dell’ammortamento annuo del costo delle immobilizzazioni materiali e immateriali, mantenendo il loro valore di iscrizione e imputando la quota di ammortamento non effettuata al conto economico relativo all’esercizio successivo; v) infine, la Legge 11 settembre 2020, n. 120 di conversione del Decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. “Decreto Semplificazioni”) ha modificato l’art. 44 dello stesso, ai sensi del quale sino al 30 giugno 2021 in deroga agli articoli 2368, secondo comma, e 2369, terzo e settimo comma, del Codice civile le deliberazioni aventi ad oggetto gli aumenti del capitale sociale mediante nuovi conferimenti sono approvate con il voto favorevole della maggioranza del capitale rappresentato in assemblea anche qualora lo statuto preveda maggioranza più elevate, a condizione che nell’assemblea deliberante sia rappresentata almeno la metà del capitale sociale.

[7] Il testo originario dell’art. 6 era il seguente: «A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-terdel codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile».

[8] Sul punto si noti come a rilevare è solo il capitale sottoscritto e non quello deliberato e non ancora sottoscritto. Cfr. E. Ginevra, Le azioni. Creazione ed estinzione, in Diritto commerciale, M. Cian (a cura di), Torino, 2014, p. 270; R. Nobili e S. Spolidoro, La riduzione del capitale, in Trattato delle società per azioni, G. E. Colombo e G. B. Portale (diretto da), 6, Torino, 1993, p. 301.

[9] Senza trascurare il rilevante effetto di evitare il proliferare di istanze di fallimento, di concordato preventivo o per l’omologazione di accordo di ristrutturazione, determinando un vero e proprio intasamento dei Tribunali. Va ricordato, infatti, che la regola “ricapitalizza, trasforma o liquida” era già stata disattivata in forza dell’art. 182-sexies del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), il cui primo comma dispone che «Dalla data del deposito della domanda per l’ammissione al concordato preventivo, anche a norma dell’articolo 161, sesto comma, della domanda per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bisovvero della proposta di accordo a norma del sesto comma dello stesso articolo e sino all’omologazione non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-terdel codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4, e 2545-duodeciesdel codice civile». Alla luce di ciò, è evidente come l’art. 6 abbia portato, di fatto, ad una perdita di rilevanza dell’art. 182-sexies della Legge fallimentare, perché quanto previsto dall’art. 6 esonera le società performanti prima della crisi pandemica, al fine di evitare l’applicazione delle disposizioni in materia di perdita del capitale, dalla necessità di proporre domanda per l’ammissione al concordato preventivo o per l’omologazione di accordo di ristrutturazione, e ciò con effetti positivi sulla propria reputazione imprenditoriale. Così G. Strampelli, La preservazione (?) della continuità aziendale nella crisi da Covid-19: capitale sociale e bilanci nei decreti “Liquidità” e “Rilancio”, in Rivista delle Società, 2/2020, p. 373, e G. Sacchi Lodispoto, P. Beltrami, F. Macrì, Procedura concorsuali, sostegno di liquidità alle imprese ed emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, in www.dirittobancario.it, p. 1.

[10] Più precisamente, con l’art. 1, comma duecento sessantaseiesimo, della Legge 30 dicembre, n. 178.

[11] Ai sensi del nuovo art. 6: «Per le perdite emerse nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli articoli 2446, secondo e terzo comma, 2447, 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma, e 2482-terdel codice civile e non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodeciesdel codice civile.

Il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo stabilito dagli articoli 2446, secondo comma, e 2482-bis, quarto comma, del codice civile, è posticipato al quinto esercizio successivo; l’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate.

Nelle ipotesi previste dagli articoli 2447 o 2482-terdel codice civile l’assemblea convocata senza indugio dagli amministratori, in alternativa all’immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale, può deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura dell’esercizio di cui al comma 2. L’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve procedere alle deliberazioni di cui agli articoli 2447 o 2482-terdel codice civile. Fino alla data di tale assemblea non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodeciesdel codice civile.

Le perdite di cui ai commi da 1 a 3 devono essere distintamente indicate nella nota integrativa con specificazione, in appositi prospetti, della loro origine nonché delle movimentazioni intervenute nell’esercizio».

[12] In presenza di perdite inferiori al terzo non si applicano gli obblighi di cui agli artt. 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis e 2482-ter, c.c. Nell’avvallare questa conclusione dottrina e giurisprudenza sono unanimi; del resto, ciò sembra imposto dalla chiarezza con cui tali norme si esprimono.Per la giurisprudenza si rimanda a Cassazione, 13 gennaio 2006, n. 543 (la quale ha tuttavia ritenuto che, anche in caso di perdite inferiori al terzo del capitale sociale, permangano gli obblighi informativi in capo all’organo gestorio). Per la dottrina, v. G. F.Campobasso,Diritto commerciale, 2, Milano, 2018, p. 518; F. Guerrera, Artt. 2446-2447, in Società di capitali. Commentario, 2, G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres (a cura di), Napoli, 2004, p. 1203. Si veda altresì Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 122, “Aumento di capitale in presenza di perdite”.

[13] V., tra i molti, Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e Confindustria, Proposte condivise per far fronte all’emergenza da COVID-19, reperibili all’indirizzo https://commercialisti.it/documents/20182/1236821/proposte+commercialisti+e+confindustria.pdf/d834e2dc-c783-4b00-9eee-735953a39bfb.

[14] Si noti come rilevanti sono solo le perdite definitive. Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, la mera aspettativa di ripianare la perdita (salvo il caso in cui tale aspettativa non si fondi su dati concreti) non può giustificare il mancato rilievo della stessa. Cfr. Tribunale di Udine, 1° febbraio 1993, in Società, 1993, p. 1075, secondo cui «In presenza di perdite di entità superiore ad un terzo del capitale sociale, nessun rilievo può essere attribuito alla semplice aspettativa dell’organo amministrativo di pervenire ad un rapido ripianamento delle perdita». Dello stesso avviso, in materia di perdita derivante dalla detenzione di partecipazioni societarie, Tribunale di Prato, 8 novembre 2016, n. 1136 e Tribunale di Prato, 14 settembre 2012,entrambe reperibili in www.dejure.it. Maggiori dubbi, invece, restano con riferimento alla rilevanza, ai fini del calcolo della perdita, dei c.d. “utili di periodo”, da intendersi come «quegli utili rilevati prima della chiusura dell’esercizio e pertanto ancora incerti», così F. Guerrera, op. cit., p. 1205. L’orientamento maggioritario, qui condiviso, sembra però preferire la soluzione affermativa: v. Cassazione, 23 marzo 2004, n. 5740, in Rivista del notariato,5/2004, p. 1258, con nota di N. A. Toscano, secondo cui «Nella determinazione dell’entità complessiva delle perdite sulla quale l’assemblea, ai sensi dell’art. 2447 c.c., è chiamata a provvedere, si deve tener conto anche degli eventuali risultati positivi di periodo (cd. utili di periodo) manifestatisi nella frazione di esercizio successiva all’ultimo bilancio»; Tribunale di Roma, 7 ottobre 2005, in Rivista del notariato, 4/2006, p. 1101 con nota di D. Cupini, per cui«La nozione di perdita rilevante ai fini dell’applicazione del precetto di cui all’art. 2482 bis c.c. è quella determinata al netto delle riserve, dei fondi appostati al passivo, degli utili non distribuiti ed anche degli utili di periodo, purché questi ultimi risultino da situazione patrimoniale approvata dall’assemblea e redatta secondo gli stessi criteri, imposti dalla legge per la formazione del bilancio». Per la dottrina v. G. F. Campobasso, op. cit., p. 518, nota n. 69, cui si rinvia per gli ulteriori arresti della giurisprudenza di merito, nonché Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 68, “Copertura delle perdite e rilevanza degli ‘utili di periodo’(artt. 2446, 2447, 2482-bis e 2482-ter c.c.)”.

[15] Sul punto si vedano le opinioni di A. Busani, Il 2020 come anno “di grazia” per le perdite da COVID-19, in Le società, 5/2020, pp. 538 e ss.; F. Dimundo, La “messa in quarantena” delle norme sulle perdite del capitale e sullo scioglimento delle società, in www.ilcaso.it. Per la giurisprudenza, Tribunale di Catania, decreto 28 maggio 2020, per cui «l’intervallo temporale da prendere in considerazione è esclusivamente quello compreso tra il 9 aprile 2020 e il 31 dicembre 2020 che, nel dettato normativo dell’art. 6 D.l. 23/2020, è considerato congiuntamente sia il periodo in cui sono state neutralizzate temporaneamente le norme societarie, sia l’ambito temporale in cui devono intervenire le “fattispecie” ivi indicate».

[16] È un’interpretazione basata esclusivamente sulla volontà del legislatore, così come emergente dai lavori preparatori.

[17] Sembrerebbe favorire questa interpretazione estensiva, quanto meno sul presupposto dell’impossibilità di discernere tra “perdite Covid” e perdite diverse M. Tola, Le società di capitali nell’emergenza, in Banca Borsa Titoli di Credito, 4/2020, p. 531. Tale posizione è condivisa anche da: Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 191, Sospensione della disciplina in tema di riduzione obbligatoria del capitale a copertura di perdite, nel periodo dell’emergenza Covid-19 (artt. 2446, 2447, 2482-bis e 2482-ter c.c.; art. 6 d.l. 23/2020) [16 giugno 2020]”; C. F. Giampaolino, Congelato l’obbligo di assemblea per perdite di rilevante entità, in Sole24Ore. Focus Norme e tributi, 16 aprile 2020.

[18] Sul punto si noti come le opinioni di chi aderisce al secondo orientamento non siano unanimi. M. Tola, op. cit., sembra demandare l’accertamento già agli amministratori, poi obbligati a convocare l’assemblea. Il Consiglio Notarile di Milano, invece, sembrerebbedemandare l’accertamento all’assemblea stessa laddove precisa che solo con l’approvazione delbilancio si rileverebbe «l’ammontare “finale” della perdita». A nostro parere, se si parla di “accertamento delle perdite”, si deve fare riferimento al loro accertamento contabile, di competenza dell’organo amministrativo. Infatti, se spetta a quest’ultimo valutare costantemente la sussistenza dell’equilibrio economico-finanziario, è evidente come tale valutazione debba passare necessariamente dall’accertamento contabile di perdite rilevanti, che non può attendere l’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea.

[19] Così A. Busani, op. cit., p. 541.

[20] A. Paolini e M. Garcea, Riduzione del capitale sociale per perdite nella legislazione emergenziale “Covid19” e problematiche connesse alla parità di trattamento tra imprese, in Dirittifondamentali.it, 2/2020, pp. 1304 e 1305. Dello stesso avviso sembra essere anche Assonime, Circolare n. 16 del 28 luglio 2020, per cui, «La norma non è chiara sull’ambito di applicazione della disciplina», ma «un’interpretazione funzionale della stessa […] dovrebbe indurre a ritenere che la sospensione operi non solo per le perdite accertate dagli amministratori nel corso dell’anno solare 2020, ma anche per le perdite rilevate con il bilancio d’esercizio 2019, approvato dall’assemblea dopo il 9 aprile 2020».

[21] A tali conclusioni sembra giungere anche G. Strampelli, op. ult. cit., pp. 382 e 383.

[22] Salvo non seguire l’interpretazione per cui la disposizione avrebbe dovuto essere letta nel senso che è solo la sospensione ad operare fino al 31 dicembre 2020, indipendentemente dalla data di chiusura dell’esercizio. Così G. D’Attorre, Disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale ed obblighi degli amministratori di società in crisi, in Il Fallimento, 5/2020, p.599, per cui «La norma va interpretata nel senso che la sospensione opera fino al 31 dicembre 2020, indipendentemente dalla data di chiusura dell’esercizio, e il riferimento alle fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data serve solo a retrodatarne l’operatività a situazione verificatesi prima dell’entrata in vigore del decreto».

[23] Si tratta, a ben vedere, di replica dell’obbligo già previsto dall’articolo 2427, comma primo, n. 7-bis, c.c. in materia di voci del patrimonio netto, per cui si richiede l’indicazione, in appositi prospetti, dell’origine, della possibilità di utilizzazione e della distribuibilità di dette voci. Cfr. sul punto F. Roscini Vitali, Copertura delle perdite 2020 rinviabile al bilancio 2025, in Sole24Ore, 30 dicembre 2020.

[24] Dossier Legge di bilancio 2021, Volume I, pp. 395 e 396.

[25] V. A. Quagli,Sospensione della perdita d’esercizio 2020: tra questioni aperte e rischi di distorsione in bilancio, in www.ipsoa.it, 16 gennaio 2021, secondo cui «Una società, per sfruttare al massimo l’agevolazione, potrebbe essere incentivata a far apparire nell’esercizio in corso al 2020 “quanta più perdita possibile”, anticipando ogni svalutazione e accantonamento (o posticipando ogni rivalutazione) che potrebbero in casi dubbi esser compiuti anche in esercizi successivi perché solo la perdita del 2020 può godere della sterilizzazione. Inoltre, anche dal punto di vista informativo la società ha vantaggi di immagine nell’attribuire alla pandemia la colpa di inefficienze e andamenti negativi che non hanno in realtà relazione con il Covid».

[26] Depone per l’interpretazione restrittiva anche il carattere eccezionale della norma, su cui ci si soffermerà meglio infra.

[27] Il riferimento al termine iniziale del 9 aprile 2020, qui esplicitato, è necessario laddove si consideri che perdite originatesi prima di questa data potrebbero potenzialmente rientrare nell’ambito applicativo del nuovo art. 6, qualora si tratti di perdite maturate e fatte oggetto di accertamento contabile durante esercizio in corso al 31 dicembre 2020 (si pensi a perdite, di una società con esercizio corrispondente all’anno solare, maturate a gennaio 2020). Tuttavia, a nostro parere, non è possibile slegare il concetto di emersione da quello di originazione, così facendo, infatti, si farebbero rientrare indebitamente nell’ambito della disposizione anche perdite non maturate nel corso della pandemia.

[28] Il concetto di “emersione” qui proposto è anche in N. Abriani, Termini di ricapitalizzazione rinviabili fino a cinque anni, in Sole24Ore, 22 dicembre 2020, p. 33.

[29] Riteniamo tale interpretazione preferibile, al fine di salvaguardare la coerenza sistematica della disposizione. Tuttavia, seguendo un’interpretazione strettamente letterale dell’art. 6, le perdite maturate al tramonto dell’esercizio 2020 e (quasi) inevitabilmente emerse solo all’inizio dell’esercizio 2021 (qualora ci si riferisca a società con esercizio corrispondente all’anno solare) non dovrebbero beneficiare della sospensione in quanto emerse durante un esercizio (quello 2021) non più in corso al 31 dicembre 2020; la medesima interpretazione letterale porterebbe ad escludere dall’ambito applicativo della norma le perdite maturate dopo il 9 aprile 2020 ed oggetto di accertamento tempestivo in esercizio non più in corso al 31 dicembre 2020.

[30] La nuova formulazione, così interpretata, consente di superare l’obiezione, avanzata in riferimento all’art. 6 previgente, per cui l’impossibilità di individuare l’origine delle perdite cui ricollegare la sospensione della disciplina in esame avrebbe portato ad applicare quest’ultima indistintamente a tutte le perdite emergenti nel periodo 9 aprile 2020-31 dicembre 2020: M. Ventoruzzo, Continuità aziendale, perdite sul capitale e finanziamenti soci nella legislazione emergenziale da Covid-19, in Le Società, 5/2020, p. 533, secondo il quale «La difficoltà di discriminare quale sia la causa e l’origine, diretta o indiretta, delle perdite, e gli stessi dubbi sulla correttezza, in linea di principio, di collegare il deterioramento dei mezzi propri a singoli e specifici eventi a fronte di questa disciplina, inducono a ritenere il riferimento contenuto nella Relazione, il cui peso ermeneutico è comunque limitato, una sorte di sineddoche in cui viene indicata una parte (la perdita dovuta alla crisi da Covid) per il tutto (le perdite emergenti nel periodo di grazia)». Ma dello stesso avviso sono anche M. Irrera e E. Fregonera, La crisi d’impresa e la continuità aziendale ai tempi del Coronavirus, in Il diritto dell’emergenza: profili societari, concorsuali, bancari e contrattuali, M. Irrera (a cura di), Torino, 2020, p. 31, pp. 31 e 32 e G. Strampelli, op. ult. cit., p. 382.

[31] Si tratta di antinomia individuata, seppur rispetto alla disposizione previgente e al fine di screditarne l’interpretazione estensiva, anche da A. Busani, op. cit., p. 540. Le medesime contraddizioni, peraltro, sorgono anche nel caso di società con esercizi non corrispondenti all’anno solare: anche in questo caso, infatti, società che si siano attardate a rilevare le perdite (attendendo l’approvazione del bilancio 2019) potrebbero ritenersi godere della sospensione a differenza di quelle società che, avendo anch’esse esercizio “a cavallo”, pur avendo subito perdite analoghe, le abbiano rilevate tempestivamente.

[32] Con riferimento all’art. 6 previgenteA. Paolini e M. Garcea, op. cit., p. 1305, secondo cui non sussisterebbe disparità di trattamento tra società che abbiano provveduto ad una rilevazione tempestiva (pre-pandemica) e società che, invece, abbiano provveduto al rilievo solo in periodo pandemico, trattandosi in quest’ultimo caso di società «potenzialmente in una condizione di difficoltà dovuta alla pandemia, ben diversa da quella in cui le imprese si trovavano all’inizio dell’anno in corso (il 2020, ndr)». Dello stesso avviso, con riferimento al nuovo art. 6, Assonime, Circolare n. 3 del 25 febbraio 2021, p. 8, secondo cui «l’intento non è solo quello di sterilizzare gli effetti giuridici delle perdite manifestatesi nel momento della crisi ma anche quello di ovviare alle difficoltà che avrebbero le imprese a reperire sul mercato mezzi di finanziamento aggiuntivi».

[33] Sulla funzione e sull’effettiva utilità del capitale sociale si sono espressi in molti. Tra questi,P. Spada, Un numero che detta regole. Ovvero il ruolo del capitale sociale nel diritto azionario italiano, in Rivista del notariato, 3/2014, p. 437; E. Ginevra, Il senso del mantenimento delle regole sul capitale sociale (con cenni alla s.r.l. senza capitale), in Banca, borsa e titoli di credito, 2/2013, p. 169; G. Ferri Jr, Struttura finanziaria dell’impresa e funzione del capitale sociale, in Rivista del notariato, 4/2008, p. 746.

[34] Che la nuova versione dell’art. 6 porta fino a cinque esercizi.

[35] Sul punto v. G. Strampelli, op. cit., p. 368. Non è dunque un caso che, anche a livello internazionale, si sia notato come «Global bankruptcies declined in 2020 despite a sharp fall in world GDP. This unusual development largely reflects successful government interventions, but disguises underlying financial stress among businesses. Insolvencies could still rise significantly in 2021-2022 and there are longer-term risks of increased ‘zombification’ and rising bad loans at banks. In a normal year, the decline in world GDP seen in 2020 would have prompted a surge in bankruptcies of 20% or more». Così, A. Slater, Low global bankruptcies mask underlying malaise, in Oxfordeconomics.com.

[36] Sul rischio di un’applicazione indiscriminata dei benefici previsti dalla prima formulazione del Decreto liquidità e sui rilevanti costi di sistema sono emblematiche le parole di D. Galletti, Il diritto della crisi sospeso e la legislazione concorsuale in tempo di guerra, in Ilfallimentarista, 14 aprile 2020, secondo cui il legislatore, con formulazioni normative poco chiare, avrebbe «posto le basi […] per una potente ondata di “selezione avversa”, ove le imprese “sane” troveranno quasi impossibile segnalare la propria maggiore efficienza, e dunque saranno valutate dalle controparti in modo deteriore rispetto alla loro oggettiva “meritevolezza”; di contro, molte imprese, anche in realtà non meritevoli, che avranno beneficiato di questa ondata di benefici “a pioggia”, saranno sopravvalutate da operatori economici che così impareranno, per il futuro, che il mercato italiano non offre alcuna premialità per i soggetti più meritevoli, anzi, tutto il contrario».

[37] A. Busani, Quinquennio di grazia per le perdite 2020, in Le Società, 2/2020, p. 208 e Assonime, Circolare n. 3 del 25 febbraio 2021, pp. 7 e 8.

[38] Così A. Busani, op. ult. cit.,p. 203 e Assonime, op. ult. cit., p. 8

[39] Sul punto si noti come la disposizione rappresenti un’eccezione (peraltro temporanea) contenuta in un Decreto-legge a disposizioni altrimenti inderogabili del Codice civile. È evidente, dunque, come si tratti di norma eccezionale, intesa come legge che forma eccezione ad altra regola più generale, derogando, per un più limitato numero di rapporti, a principi posti da un’altra norma per una più ampia categoria, cfr. la storica voce di E. Betti, Interpretazione della legge, in Novissimo Digesto Italiano, Torino, 1957, p. 900. Alla luce di ciò, riteniamo che l’interpretazione estensiva di tale disposizione, se non esclusa, debba essere quanto meno ponderata attentamente, specie alla luce dell’art. 14 delle Preleggi, in forza del quale «Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati».

[40] Per cui si vedano gli esempi supra. Di tali contraddizioni, invero, prende atto anche A. Busani, idem, p. 204.

[41] La necessaria tempestività della convocazione dell’assemblea ci sembra emerga con chiarezza dall’art. 2631 c.c. Ai sensi di tale disposizione, in assenza di un espresso termine di legge, l’obbligo dell’organo amministrativo o di controllo di convocare l’assemblea si intende violato quando siano trascorsi trenta giorni dalla conoscenza del concretizzarsi di tale obbligo in capo agli stessi. Dello stesso avviso, ex multis, N. Abriani, La riduzione del capitale sociale nelle S.p.A. e nelle S.r.l.: profili applicativi, in Le operazioni sul capitale sociale: casi pratici e tecniche di redazione del verbale notarileAtti del Convegno tenutosi a Milano il 29 marzo 2008 (Supplemento al N. 3/2008), Fondazione Italiana del Notariato (a cura di); L. Stanghellini, Commento sub articolo 2446 c.c., in Le società per azioni, P. Abbadessa e G.B. Portale (a cura di), Milano, 2016, p. 2720. Per la giurisprudenza, Cassazione penale, 8 giugno 2017, n. 33895, ove si è affermato che «l’espressione “senza indugio” contenuta agli artt. 2482-bis e 2482-ter c.c., deve essere senz’altro interpretata alla luce del disposto di cui all’art. 2631 c.c., comma 1 […] in tal modo il legislatore ha semplicemente inteso superare le difficoltà scaturenti dall’esatta comprensione di quando la convocazione dell’assemblea dei soci debba intendersi avvenuta “senza indugio” (artt. 2482-bise 2482-terc.c.), eliminando l’ineludibile ambiguità dell’espressione attraverso il ricorso a un parametro certo»; in materia di obbligo per gli amministratori di sottoporre, senza indugio, all’assemblea una relazione sulla situazione patrimoniale della società il più possibile aggiornata, v. Cassazione civile, 21 gennaio 2020, n. 1187.

[42] Poiché la necessità di procedere a soluzioni tempestive in sede assembleare, confermata dal combinato disposto degli artt. 2631, 2446, 2447, 2482-bis e 2482-ter, c.c., dipende dalla capacità dell’organo amministrativo di monitorarela situazione patrimoniale ed economica della società, individuando eventuali perdite rilevanti, è evidente come tale rilevazione (pur non dovendo necessariamente avvenire nel termine breve di trenta giorni) dovrà comunque essere sollecita.

[43] Ha ritenuto che per il ripianamento delle perdite d’esercizio possa attendere fino all’assemblea di approvazione del bilancio e, dunque, fino a centoventi giorni dopo la chiusura dell’esercizio il Tribunale di Udine, 13 gennaio 1999, in Diritto Fallimentare, 2/2000, p. 163, per cui «La locuzione avverbiale senza indugio di cui agli art. 2447 e 2496 c.c. va intesa nel senso che l’assemblea, in caso di riduzione del capitale al di sotto del minimo per l’assunzione dei relativi provvedimenti, deve essere convocata tassativamente in un termine non superiore a quattro mesi, che è il termine ordinario entro il quale approvare il bilancio di esercizio». Tale prassi sembra confermata anche da Assonime, op. ult. cit., p. 7, laddove nel concetto di perdite “emerse” si fanno rientrare le perdite accertate con bilancio annuale o infrannuale.

[44] In base a tale disposizione «L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale».

[45] Disposizione che non è ancora entrata in vigore ma che, ad avviso di chi scrive, è espressione di un principio che la precede e che affonda la sua ragione d’essere nel dovere di diligenza degli amministratori e di professionalità e diligenza dei sindaci.

[46] Per tale ragione vanno respinti atteggiamenti eccessivamente rigoristici quali quello del Tribunale di Roma, 5 febbraio 2018, n. 2602, in Ilsocietario.it, con nota di M. Liva. Secondo il giudice di merito «Gli amministratori sono perciò obbligati a monitorare la consistenza del patrimonio sociale anche durante l’esercizio, […] quando il patrimonio netto sta per raggiungere i minimi di legge, le regole dell’ordinaria diligenza imporranno agli amministratori di effettuare controlli più frequenti ed accurati. Una volta accertata la sussistenza delle condizioni prescritte, gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea». Il Tribunale sembra aver individuato la linea di condotta richiesta agli amministratori per il pronto accertamento delle perdite. In particolare, il giudice ha guardato al calcolo del c.d. “reddito operativo mensile”, consistente nel confronto mensile tra costi e ricavi del mese, tale da consentire di individuare prontamente il reddito (o la perdita) mensile e, dunque, anche l’eventuale «momento in cui l’entità delle perdite accumulate ha eroso il capitale sociale sotto la soglia di legge». Seguendo tali principi, il Tribunale è arrivato a censurare la condotta dell’organo amministrativo che, a seguito di una perdita rilevante a fine giugno, aveva convocato l’assemblea per gli opportuni provvedimenti solo a fine dicembre, quando avrebbe dovuto procedere alla convocazione «entro la prima metà di luglio».

[47] Accogliendo l’interpretazione proposta, sufficientemente rispettosa del dato letterale, pur non succube di essa, da un lato si includono nell’ambito applicativo della norma tutte le perdite maturate durante la pandemia; d’altro lato si escludono quelle perdite non riferibili al periodo pandemico. Inoltre, tale interpretazione consente di applicare la sospensione anche alle perdite che, pur maturate nel corso della pandemia, siano emerse in esercizio diverso da quello in corso al 31 dicembre 2020 non per fatto colpevole degli amministratori, bensì per il naturale ed ineliminabile sfasamento temporale tra originazione della perdita e sua emersione contabile. Così, godranno della sospensione di cui all’art. 6 anche le perdite originate al tramonto dell’esercizio solare 2020 ed emerse solo nell’esercizio 2021, nonché le perdite degli esercizi a cavallo degli anni 2019 e 2020, originatesi dopo il 9 aprile e rilevate tempestivamente anche prima dell’inizio di esercizio ricomprendente la data del 31 dicembre 2020. Analoga motivazione, seppur al fine di giustificare un’interpretazione ancor più estensiva del nuovo art. 6, è adottata da Assonime, op. ult. cit., p. 8, per cui l’interpretazione fondata sul mero dato letterale «non appare coerente con le finalità del complesso dei provvedimenti emergenziali fino ad oggi adottati per contenere gli effetti della crisi Covid sulle imprese».

[48] Tale interpretazione estensiva, proposta da A. Busani, Il 2020 come anno “di grazia” per le perdite da COVID-19, op. cit., p. 41 quale argomento apagogico al fine di favorire l’interpretazione più rigorosa dell’art. 6 previgente, è avallata dallo stesso Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 191, 16 giugno 2020.

[49] Sul punto si noti come l’interpretazione della disposizione fornita in questa sede sia conforme a quella ufficiale ora fornita dal Ministero dello Sviluppo Economico, circolare n. 26890 del 29 gennaio 2021. Contra, invece: Assonime, op. ult. cit.; A. Busani, idem; e A. Busani, Niente sospensione per le perdite del 2021, in Sole24Ore, 6 gennaio 2021, p. 20, il quale, preso atto dell’interpretazione estensiva maggioritaria del previgente art. 6, sostiene che «Quanto alle perdite maturate nel 2019, accertate dal 9 aprile 2020, l’opinione maggioritaria ne aveva sostenuto l’equiparazione alle perdite maturate nel 2020. Seguendo questa linea di pensiero: se nel 2020 sono emerse ulteriori perdite, si inglobano quelle del 2019 con quelle del 2020 e se ne riparla nel 2026; se nel 2020, invece, non fossero state conseguite nuove perdite ma quelle del 2019 risultassero ancora oltre il terzo nel bilancio 2020 (perché, ad esempio, il risultato dell’esercizio 2020 avesse concorso a ripianarle solo parzialmente), il 2020 si deve considerare come il primo di sei anni di grazia poiché, anche in questo caso, il tema del ripianamento si sospende e si riapre nel 2026».

[50] Dello stesso avviso A. Busani, Quinquennio di grazia per le perdite 2020, op. cit., p. 207. Contra Assonime, op. cit., p. 12, per cui anche le perdite successive risulterebbe assorbita «dalla disciplina di posticipazione delle misure di riduzione e ricapitalizzazione dettata dall’art. 6».

[51] Per le altre, invece, resteranno fermi gli obblighi disposti dagli artt. 2446, 2447, 2482-bis, 2482-ter, 2484, comma primo, numero 4) e 2454-duodecies, c.c.

[52] Ciò è confermato anche da Ministero dello Sviluppo Economico, circolare n. 26890 del 29 gennaio 2021.

[53] Suggestiva, ma da noi non condivisa, è l’opinione avanzata da N. Abriani, Termini di ricapitalizzazione rinviabili fino a cinque anni, op. cit., replicata altresì in N. Abriani e F. Buttignon, Legge di bilancio 2021 e patrimonio netto di bilancio nelle società di capitali in Italia: spunti per il superamento di un paradigma, in Ilsocietario, 17 febbraio 2021. Secondo tali Autori, in base ad un’interpretazione letterale del primo comma del nuovo art. 6, le disposizioni in materia di riduzione del capitale sociale non sarebbero mai applicabili, con una sorta di vera e propria sanatoria, alle “perdite Covid”. Una simile interpretazione, tuttavia, rischia di determinare costi di sistema altissimi, consentendo a società che abbiano subito “perdite Covid” anche molto gravi di continuare ad operare pacificamente sul mercato. Non solo. Sempre secondo tali Autori, una lettura combinata dei commi secondo e terzo dell’art. 6 potrebbe indurre a ritenere sostituiti sine die i termini codicistici previsti dagli artt. 2446, secondo comma, 2482-bis, quarto comma, 2447 e 2482-ter, prevedendosi così, d’ora in avanti, che il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo o il capitale deve essere ricostituito può essere posticipato fino al quinto esercizio successivo. A nostro parere, tuttavia, la mera sostituzione (e non la disapplicazione) dei termini codicistici trova conferma sia nella rubrica dell’art. 6, che parla di “Disposizioni temporanee”, sia propriamente nell’enunciato legislativo, laddove il quarto comma stabilisce che «Le perdite di cui ai commi da 1 a 3 devono essere distintamente indicate […]». Non solo. Anche la Relazione illustrativa alla Legge di bilancio sembra sconfessare l’interpretazione sopra proposta laddove precisa che «Gli ulteriori commi inseriti nell’articolo 6 del decreto-legge n. 23 del 2020 integrano tale previsione specificando che il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo non è l’esercizio immediatamente successivo, bensì il quinto esercizio successivo». Sul punto v. G. Gavelli, Perdite 2020, la sospensione si allunga: 5 anni per ripianare il buco in bilancio, in Sole24Ore, 11 gennaio 2021, p. 15. Dello stesso avviso anche G. Ferri Jr, Riduzioni obbligatorie e rilevazione delle perdite da Covid-19, in Rassegna di giurisprudenza e orientamenti del notariato 2020, Seminario del 29 gennaio 2021, www.dirittobancario.it; C. Sottoriva e A. Cerri,La proroga della sospensione della disciplina sulla riduzione obbligatoria del capitale nella legge di bilancio 2021, in Ilsocietario, 14 gennaio 2021; E. Bozza e L. De Angelis, Ossigeno alle società in perdita, in ItaliaOggi 7, 28 dicembre 2020.

[54] Dello stesso avviso, R. Guidotti, Continuità aziendale e scioglimento della società, in www.dirittobancario.it, 13 gennaio 2021.

[55] Art. 2, comma primo, lett. a), Codice della Crisi d’Impresa.

[56] Ossia di quello «stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni»: art. 2, comma primo, lett. b), Codice della Crisi d’Impresa.

[57] Tale rischio, a nostro parere, risulta comunque di molto mitigato dalla lunga durata della sospensione.

[58] Cfr. note n. 35 e 36.

[59] Si tratta dei settori che saranno, anche per il 2021, maggiormente colpiti dalla crisi secondo Cerved Rating Agency, Credit Outlook 2021, estratto da Sole24Ore, 10 febbraio 2021, op. cit.

[60] Ai sensi del considerando n. 46 del Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza, in vigore dal 19 febbraio 2021, dovrebbe essere possibile impegnare giuridicamente entro il 31 dicembre 2022 il 70% dell’importo stanziato dal c.d. “Next Generation EU”.

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