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La responsabilità delle good banks per la vendita delle azioni e delle obbligazioni risolte e le procedure di indennizzo a carico del fondo di solidarietà

17 Febbraio 2016

Paolo Fiorio

Sommario: 1. Premessa –  2. Il programma di risoluzione ed il perimetro della cessione dell’azienda bancaria all’ente ponte nel d.lgs 180/2015 – 3. La disciplina speciale della cessione dell’azienda bancaria agli ente-ponte – 4. I provvedimenti di risoluzione e di cessione delle aziende bancarie alle nuove quattro banche – 5. Le passività escluse dalla cessione ed estinte: i diritti patrimoniali incorporati nelle azioni e nelle obbligazioni subordinate – 6. Le passività comprese nella cessione: gli obblighi restitutori e risarcitori conseguenti alla violazione dei doveri di comportamento degli intermediari – 7. Il fondo di solidarietà istituito dalla l. 208/2015: la natura delle procedure di erogazione degli indennizzi a favore degli obbligazionisti – 8. L’erogazione degli indennizzi: limitazioni soggettive, oggettive, quantitative e i criteri di valutazione – 9. Conclusioni

 

(*)1. Premessa

L’art. 1. comma 842 della l. 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), confermando quanto già previsto con il d.l. 22 novembre 2015, n. 183 decaduto in quanto formalmente non convertito, ha costituito le nuove quattro banche (le “good banks”), individuandone l’oggetto sociale nello “svolgimento dell’attività di ente-ponte ai sensi dell’articolo 42 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180”, con riguardo alle vecchie banche in risoluzione.

L’obiettivo dichiarato è di consentire la continuità delle funzioni in precedenza svolte dalle banche per cederne le partecipazioni o le relative aziende a soggetti terzi in presenza delle appropriate condizioni di mercato. Le banche in crisi irreversibile vengono così sottoposte ad un’“ordinata risoluzione”, ritenuta compatibile con la stabilità finanziaria ed economica del sistema e senza fare ricorso a risorse pubbliche.

Da un’analisi effettuata dalle nuove banche è emerso che il valore nominale delle obbligazioni subordinate risolte in possesso della clientela retail ammonta a circa 431 milioni di euro su complessivi 786 milioni di cui 329 milioni distribuite direttamente dalle banche emittenti e 102 milioni da altri intermediari. Tali obbligazioni sono state acquistate da 10.559 clienti pari a circa l’1% della clientela dei quattro intermediari.

Degli oltre 10.000 soggetti che hanno investito nelle obbligazioni subordinate oltre 1.000, per complessivi 27,4 milioni, hanno acquistato obbligazioni risolte per un valore superiore ad € 50.000, a fronte di un patrimonio finanziario presso la banca inferiore ad € 100.000, e quindi con un livello di concentrazione superiore al 50%. Per quasi 1500 risparmiatori, per complessivi 93,4 milioni di euro, le obbligazioni presentano una concentrazione compresa tra il 30 ed il 50% del patrimonio finanziario presso la banca, complessivamente inferiore a 100.000 euro. Per oltre 8.000 investitori, per complessivi 208,4 milioni di euro, i titoli sono stati acquistati da soggetti con un patrimonio finanziario presso la banca superiore a 100.000 euro e con una concentrazione che dovrebbe essere invece inferiore al 30% .

Degli oltre 400 milioni di euro di obbligazioni vendute alla clientela retail 102 sono stati collocati nel corso del 2013, ovvero in epoca prossima al commissariamento.

In considerazione del fatto che la maggior parte delle obbligazioni non erano quotate sui mercati regolamentati è presumibile che la maggior parte delle operazioni sia avvenuta su richiesta o sollecitazione dell’intermediario, anche considerato l’interesse della banca al successo del collocamento, necessario per dotare la banca del necessario capitale di vigilanza.

Il quadro complessivo che emerge dalla situazione delle quattro banche salvate pare connotato dalla vendita massiccia dei titoli alla stessa clientela della banca, con operazioni potenzialmente inadeguate per dimensioni ed oggetto, che difficilmente possono essere riconducibili ad un interesse dell’investitore. Insomma, a distanza di oltre un decennio dai default della Cirio, della Repubblica Argentina e della Parmalat, non pare che la cura dell’interesse del cliente sia significativamente cambiata.

Le pretese creditorie e risarcitorie dei portatori di strumenti finanziari “risolti” possono essere dunque distinte in tre differenti categorie:

(i) i diritti incorporati negli strumenti finanziari emessi e risolti, quale ad esempio la restituzione del capitale mutuato e degli interessi pattuiti per le obbligazioni subordinate;

(ii) le pretese risarcitorie per la diffusione al pubblico di informazioni economiche inesatte in occasione dell’offerta degli strumenti finanziari,

(iii) le pretese risarcitorie connesse alla prestazione dei servizi di investimento per la violazione del dovere di agire con diligenza e nell’esclusivo interesse del cliente, tenendo l’investitore informato delle caratteristiche e dei rischi connessi alle operazioni di investimento (art. 21 t.u.g. e Reg. Consob 16190/07).

Anche in ragione delle notizie diffuse dai media su numerosi casi di violazione dei più elementari doveri di fornire informazioni corrette e di curare l’interesse del cliente, con la legge di stabilità è stato istituito un fondo di solidarietà per indennizzare gli obbligazionisti fino ad un massimo di 100 milioni di euro.

Nel valutare le prospettive risarcitorie per i risparmiatori che abbiano investito in strumenti finanziari soggetti ai provvedimenti di risoluzione, o bail in, pare opportuno verificare se, ed entro quali limiti, gli enti ponte (good banks) possano rispondere nei confronti degli investitori, anche in considerazione del fatto che le vecchie banche sono insolventi e sostanzialmente prive di patrimonio.

2. Il programma di risoluzione ed il perimetro della cessione dell’azienda bancaria all’ente ponte nel d.lgs 180/2015

L’individuazione del perimetro dei diritti, delle attività e delle passività oggetto della cessione all’ente ponte è determinato dalla Banca d’Italia con il programma di risoluzione, che, ai sensi dell’art. 32 d.lgs 180/2015, deve indicare l’ammontare e le categorie di passività escluse e, in caso di costituzione di un ente ponte, “i beni e i rapporti giuridici da cedere all’ente ponte”.

Tale principio è ribadito all’art. 1, co. 843, l. 208/15  che prevede che alle good banks “possono essere trasferiti azioni, partecipazioni, diritti, nonché attività e passività delle banche sottoposte a risoluzione, ai sensi dell’articolo 43 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180”.

L’art. 43, primo comma, d.lgs 180/15, prevede che la cessione all’ente-ponte, possa riguardare: a) tutte le azioni o le altre partecipazioni emesse dagli enti sottoposti a risoluzione; b) tutti i diritti, le attività o le passività, anche individuabili in blocco, di uno o più enti sottoposti a risoluzione, o parte di essi. Il quarto comma precisa che “fermo restando l’articolo 47, comma 9, l’ ente-ponte succede all’ente sottoposto a risoluzione nei diritti, nelle attività o nelle passività ceduti, salvo che la Banca d’Italia disponga diversamente ove necessario per conseguire gli obiettivi della risoluzione”.

Il provvedimento di risoluzione adottato ai sensi degli artt. 32 e 43 del d.lgs 180/2015 delinea quindi l’azienda bancaria (ovvero l’insieme di diritti, attività e passività) che viene trasferita all’ente ponte.

Con tale provvedimento si concretizza inoltre l’effetto del bail-in, ovvero la risoluzione e l’estinzione delle pretese creditorie relative alle passività azzerate per consentire il risanamento della banca. L’art. 57, terzo comma d.lgs 180/2015 precisa infatti che quando una passività è interamente cancellata, gli obblighi a carico dell’ente sottoposto a risoluzione sorti in relazione alla passività sono estinti a tutti gli effetti e il loro adempimento non può essere richiesto nell’ambito di successive procedure relative all’ente sottoposto a risoluzione, né al suo avente causa.

3. La disciplina speciale della cessione dell’azienda bancaria agli ente-ponte

Gli effetti della cessione sono disciplinati dall’art. 47 del d.lgs 180/2015 che introduce alcune rilevanti deroghe alla disciplina di diritto comune:

(i) non è richiesto il consenso di soggetti diversi dal cessionario, nemmeno per categorie o a maggioranza;

(ii) non è necessaria la notifica della cessione ai sensi dell’art. 1407, primo comma c.c. che è invece efficace dalla pubblicazione sul sito internet della Banca d’Italia anche in caso di mancato adempimento degli ordinari adempimenti pubblicitari;

(iii) per i contratti oggetto della cessione il contraente ceduto può opporre le eccezioni derivanti dal contratto ceduto, ma non quelle relative ad altri rapporti con il cedente; non si applica il regime di responsabilità solidale del cedente in caso di inadempimento del cessionario ai sensi dell’art. 1408, secondo comma, c.c; né il diritto di recesso previsto all’art. 2558, secondo comma c.c.

(iv) se la cessione ha ad oggetto passività, il cedente è liberato in deroga alla disciplina comune (artt. 1273, 2112, 2558 e 2560 c.c.);

(v) gli azionisti, i creditori o comunque i terzi esclusi dalla cessione non possono “esercitare pretese sui diritti sulle attività o sulle passività oggetto della cessione”.

Il quadro normativo delineato dal d.lgs 180/2015, applicabile alla gestione della crisi delle quattro banche, persegue chiaramente l’obiettivo di interesse pubblico di garantire la continuità delle attività delle banche in crisi e la stabilità del sistema che l’insolvenza e la liquidazione potrebbero pregiudicare.

Per tale ragione le misure di risoluzione adottabili consentono la cessione di diritti, attività e passività delle banche sottoposte a risoluzione (ovvero delle loro aziende, depurate delle passività azzerate) secondo un regime speciale deformalizzato, diretto a garantire la liberazione dell’ente sottoposto a risoluzione e la stabilità nell’esercizio dei servizi bancari e di investimento da parte delle nuove banche.

In tal senso è da leggere anche l’art. 1 co. 846 della l. 208/2015 che prevede che dalla data della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del d.l. 22 novembre 2015, n. 183 “per le obbligazioni sociali rispondono soltanto le società con il loro patrimonio”, confermando così la liberazione delle vecchie banche.

Il perimetro della cessione, e quindi anche le passività cedute alle quattro banche ponte, è integralmente determinato dal provvedimento di risoluzione adottato dalla Banca d’Italia alla quale è consentito di scomporre il complesso aziendale determinando l’estinzione di alcune selezionate passività nel solo rispetto dell’ordine stabilito dall’art. 52 d.lgs 180/2015.

4. I provvedimenti di risoluzione e di cessione delle aziende bancarie alle nuove quattro banche

La Banca d’Italia con quattro distinti provvedimenti[1] ha disposto l’azzeramento dei diritti patrimoniali ed amministrativi delle azioni e delle obbligazioni subordinate (il provvedimento dispone infatti “la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato da azioni (…), anche non computate nel capitale regolamentare, nonché del valore nominale degli elementi di classe 2, computabili nei fondi propri (anche per la parte non computata nel capitale regolamentare), con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali”.

La Banca d’Italia, con quattro distinti ma simili provvedimenti del 22 novembre 2015[2], ha contestualmente disposto la cessione di tutti i diritti, le attività e le passività costituenti le aziende bancarie alle nuove banche ponte, precisando che restano escluse dalla cessione dell’azienda soltanto “le passività, diverse dagli strumenti di capitale, come definiti dall’art. 1, lettera ppp), del D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 180, in essere alla data di efficacia della cessione, non computabili nei fondi propri, il cui diritto al rimborso del capitale è contrattualmente subordinato al soddisfacimento dei diritti di tutti i creditori non subordinati dell’ente in risoluzione. I provvedimenti precisano infine che “l’ente ponte succede, senza soluzione di continuità, all’ente in risoluzione nei diritti, nelle attività e nelle passività ceduti ai sensi dell’art. 43, comma 4, del D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 180”.

5. Le passività escluse dalla cessione ed estinte: i diritti patrimoniali incorporati nelle azioni e nelle obbligazioni subordinate

Così delineato il quadro normativo generale di cui al d.lgs 180/2015 per la cessione dell’azienda bancaria agli enti ponte, e quello specifico delle quattro banche in crisi che ad esso si richiama, pare doversi concludere che le uniche passività escluse dalla cessione, e quindi dal perimetro di responsabilità delle good banks siano quelle fondate sui diritti patrimoniali (e amministrativi) incorporati nelle azioni e nelle obbligazioni risolte. Più precisamente, con riguardo alle obbligazioni subordinate, le nuove quattro good banks (o enti ponte) non sono tenute della restituzione del capitale mutuato e degli interessi derivanti dai rapporti di mutuo sottostanti ad ogni emissione. Tali obbligazioni, infatti, oltre ad essere espressamente escluse dalle aziende bancarie cedute, sono risolte e, in applicazione del regime del bail-in, sono da considerarsi estinte d’imperio (l’art. 57, terzo comma d.lgs 180/2015 precisa infatti che quando una passività è interamente cancellata, gli obblighi a carico dell’ente sottoposto a risoluzione sorti in relazione alla passività sono estinti a tutti gli effetti e il loro adempimento non può essere richiesto nell’ambito di successive procedure relative all’ente sottoposto a risoluzione, né al suo avente causa).

6. Le passività comprese nella cessione: gli obblighi restitutori e risarcitori conseguenti alla violazione dei doveri di comportamento degli intermediari

A diverse conclusioni pare invece doversi giungere per le altre azioni restitutorie e risarcitorie, ed in particolare per quelle con le quali sia fatta valere la responsabilità dell’intermediario per la violazione dei doveri di comportamento imposti nella prestazione dei servizi di investimento relativamente alle azioni ed alle obbligazioni risolte. Si tratta infatti di pretese degli investitori, e di passività per le banche, che non trovano origine nei diritti patrimoniali degli strumenti finanziari colpiti dal provvedimento di risoluzione. Tali azioni si fondano invece sugli inadempimenti agli obblighi contrattuali e di legge imposti agli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento, ovvero in un rapporto giuridico distinto dal mutuo collettivo che ha dato origine all’emissione obbligazionaria. Le good banks sono cessionarie di tutti i diritti, le attività e le passività costituenti le aziende bancarie, ad eccezione delle passività, di cui si è detto, oggetto di risoluzione.

Si è visto che l’intera disciplina è sorretta da finalità pubblicistiche dirette a garantire la continuità nella prestazione delle attività e dei servizi della banca per evitare bruschi shock sui mercati. Tale continuità aziendale, nel caso in esame, è stata attuata con la cessione in blocco di tutti i contratti bancari e di investimento in essere con le vecchie banche. Tutti i rapporti bancari e di intermediazione finanziaria, ovvero tutti i contratti, i crediti ed i debiti dagli stessi derivanti, sono ceduti alle nuove banche quali uniche responsabili.

Le nuove banche sono quindi gli unici soggetti legittimati a rispondere di ogni potenziale passività originata dai rapporti bancari ceduti, tra i quali deve essere incluso anche l’obbligo di risarcire i danni derivanti dalla distribuzione alla propria clientela di strumenti finanziari di propria emissione, in violazione delle disposizioni del t.u.f. e dei regolamenti attuativi.

L’art. 47, d.lgs 180/2015, pur delineando un regime speciale per la cessione delle aziende bancarie all’ente ponte, da un lato, libera il soggetto ceduto (le vecchie banche in liquidazione coatta amministrativa) ma, dall’altro (cfr. art. 4, quarto comma), precisa che per i contratti oggetto della cessione “il contraente ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto ceduto, ma non quelle fondate su altri rapporti con il cedente”. Il cliente delle vecchie banche può quindi opporre alle nuove banche cessionarie tutti gli inadempimenti e far valere tutte le proprie pretese derivanti dal contratto per la prestazione dei servizi di investimento previsto all’art. 23 t.u.f. in forza del quale è avvenuta l’operazione di negoziazione o di collocamento delle azioni o delle obbligazioni risolte.

L’opposta soluzione, che ritenesse liberata la nuova banca non solo per i diritti patrimoniali incorporati nelle azioni e nelle obbligazioni risolte, ma anche per le obbligazioni risarcitorie conseguenti alla violazione dei doveri di condotta dell’intermediario nelle relative operazioni di investimento, sarebbe in contrasto con il fondamentale principio che sorregge la Direttiva 2014/59/UE e il d.lgs. 180/2015 del “no creditor worse off” (“NCWO”) in forza del quale nessun creditore deve sostenere perdite più ingenti di quelle che avrebbe sostenuto se la banca fosse stata liquidata con procedura normale di insolvenza.

L’art. 52, secondo comma, d.lgs 180/2015, prevede infatti che le misure di risoluzione sono adottate “a) in modo uniforme nei confronti di tutti gli azionisti e i creditori dell’ente appartenenti alla stessa categoria, proporzionalmente al valore nominale dei rispettivi strumenti finanziari o crediti, secondo la gerarchia applicabile in sede concorsuale e tenuto conto delle clausole di subordinazione, salvo quanto previsto dall’articolo 49, commi 1 e 2; b) in misura tale da assicurare che nessun titolare degli strumenti, degli elementi o delle passività ammissibili di cui al comma 1 riceva un trattamento peggiore rispetto a quello che riceverebbe se l’ente sottoposto a risoluzione fosse stato liquidato nel momento in cui è stata accertata la sussistenza dei presupposti per l’avvio della risoluzione, secondo la liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal Testo Unico Bancario o altra analoga procedura concorsuale applicabile”.

Ritenere che le nuove banche non rispondano degli inadempimenti contrattuali per la prestazione dei servizi di investimento limitatamente alle operazioni aventi ad oggetto gli strumenti finanziari risolti comporterebbe una inaccettabile violazione dei principi sanciti all’art. 52 sotto due profili:

(i) violerebbe il principio di uniformità tra le categorie di creditori, creando in maniera fittizia una categoria di clienti di cui non v’è traccia negli atti di risoluzione della Banca d’Italia;

(ii) comporterebbe per i titolari degli strumenti finanziari un trattamento peggiore di quello che potrebbero ricevere in caso di avvio delle procedure concorsuali applicabili, ove in ragione del principio di parità tra i creditori, non potrebbero essere trattati diversamente da altri investitori titolari di un credito restitutorio o risarcitorio conseguente alla negoziazione di strumenti finanziari diversi da quelli risolti.

7. Il fondo di solidarietà istituito dalla l. 208/2015: la natura delle procedure di erogazione degli indennizzi a favore degli obbligazionisti

L’art. 1 co 855 della l. 208/2015 (la legge di stabilità 2016) prevede l’istituzione di un ”Fondo di solidarietà” la cui finalità è individuata nella “erogazione di prestazioni in favore degli investitori che alla data di entrata in vigore del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio – Societa’ cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa”.

La dotazione finanziaria del Fondo di solidarietà necessaria per l’erogazione delle prestazioni agli obbligazionisti è individuata dal successivo comma 856 nell’importo massimo di 100 milioni di euro a carico del Fondo interbancario di tutela dei depositi istituito ai sensi dell’articolo 96 t.u.b, secondo le modalità ed i termini demandati ai decreti attuativi di competenza del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge.

I decreti attuativi ai sensi del comma 857 devono disciplinare: a) le modalità di gestione del Fondo di solidarietà; b) le modalità e le condizioni di accesso al Fondo di solidarietà, ivi inclusi le modalità e i termini per la presentazione delle istanze di erogazione delle prestazioni; c) i criteri di quantificazione delle prestazioni, determinate in importi corrispondenti alla perdita subita, fino a un ammontare massimo; d) le procedure da esperire, che possono essere in tutto o in parte anche di natura arbitrale; e) le ulteriori disposizioni per l’attuazione dei commi da 855 a 858”.

L’erogazione delle prestazioni dovrà avvenire secondo procedure che in base ai decreti attuativi potranno assumere “in tutto o in parte” anche natura arbitrale. In tale ipotesi il comma 859 precisa chequalora sia previsto e scelto il ricorso alla “procedura arbitrale”, “la corresponsione delle prestazioni è subordinata all’accertamento della responsabilità per violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nellaprestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione o al collocamento degli strumenti finanziari subordinati di cui al comma 855”.

La legge di stabilità non individua con chiarezza la natura dei procedimenti con i quali gli investitori potranno ricevere l’erogazione degli indennizzi a carico del fondo di solidarietà.  Innanzitutto il comma 856 fa riferimento a “procedure” che nella loro concreta configurazione ad opera dei decreti attuativi potrebbero avere natura arbitrale, ma anche altra diversa, e non precisata, natura.

I principi generali di gestione, finanziamento ed accesso al fondo di solidarietà previsti dalla legge di stabilità, e sopra brevemente delineati, non paiono compatibili con la natura arbitrale, intesa in senso tecnico, dei procedimenti. I procedimenti arbitrali disciplinati dal codice di procedura civile richiedono infatti un accordo con il quale due o più parti decidano di sottoporre una controversia, e quindi la decisione sulle domande che una parte può avanzare nei confronti dell’altra, ad uno o più soggetti privati, investiti della funzione di arbitri. Tali caratteristiche, ed in particolare la natura contenziosa delle decisioni, è estranea alla natura del fondo di solidarietà ed alle modalità di indennizzo introdotti con la legge di stabilità.

Anche se le procedure arbitrali avranno ad oggetto l’accertamento della responsabilità per la violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal t.u.f. nella negoziazione delle obbligazioni subordinate, pare trattarsi di un accertamento non contenzioso in quanto effettuato in assenza del naturale contraddittore, ovvero le good banks, quali cessionari delle aziende bancarie, e di ogni diretta conseguenza patrimoniale quali potenziali responsabili delle violazioni accertate. Gli indennizzi sono infatti versati dal fondo di solidarietà alimentato da versamenti a carico del Fondo interbancario di tutela dei depositi istituito ai sensi dell’articolo 96 t.u.b e non dai responsabili delle violazioni accertate.

Pare doversi concludere che in base ai principi generali individuati nella legge di stabilità le procedure dirette all’erogazione dei fondi possano essere avvicinate ai procedimenti per accedere a contributi, sovvenzioni o indennizzi quali, ad esempio, quelli elargiti in caso di particolari eventi naturali (terremoti, alluvioni). Depone in tal senso la stessa denominazione del fondo come di “solidarietà” che sottende ad eccezionali esigenze equitative di limitare i danni subiti dagli obbligazionisti subordinati in conseguenza della crisi delle banche e dei drastici, e per il pubblico inattesi, effetti dei provvedimenti di risoluzione.

L’accertamento della violazione dei doveri di condotta dell’intermediario pare così rappresentare il mero presupposto per accedere alle erogazioni, senza che si tratti di una decisione idonea a dispiegare un’efficacia di giudicato nei confronti dei soggetti responsabili, pressoché assenti nella disciplina del fondo introdotta dalla legge di stabilità.

La natura non contenziosa delle procedure di erogazione degli indennizzi e la conseguente inidoneità degli accertamenti a fare stato tra l’investitore ed i soggetti responsabili delle violazioni accertate trovano conferma al comma 860 che, da un lato, prevede che resta salvo il diritto al risarcimento del danno subito e non indennizzato dal fondo, non pregiudicando quindi le eventuali azioni risarcitorie dell’investitore, e, dall’altro, precisa che il fondo di solidarietà è surrogato nel diritto dell’investitore al risarcimento del danno, nel limite dell’ammontare della prestazione corrisposta”.

In assenza di una specifica disposizione contenuta nella legge delega, pare necessario che la disciplina secondaria presti particolare attenzione alle modalità di coinvolgimento delle quattro nuove banche. Gli interessi del fondo di solidarietà, chiamato ad indennizzare le perdite subite dagli investitori in luogo dei soggetti responsabili, sono infatti potenzialmente confliggenti con quelli delle quattro good banks, nei cui confronti lo stesso fondo potrebbe far valere le azioni di rivalsa surrogandosi alla posizione dell’investitore.

8. L’erogazione degli indennizzi: limitazioni soggettive, oggettive, quantitative e i criteri di valutazione

Passando all’analisi dei profili della disciplina dei procedimenti diretti all’erogazione degli indennizzi sono da sottolineare tre aspetti qualificanti:

1) la limitazione oggettiva degli indennizzi ammessi per i soli obbligazionisti subordinati, ma non per gli azionisti;

2) la limitazione soggettiva degli indennizzi che possono essere riconosciuti solo a persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti;

3) la limitazione quantitativa fissata nell’importo massimo di 100 milioni di euro, con la conseguente necessità, affidata ai decreti attuativi, di calibrare la gravità delle singole violazioni con la somma complessivamente disponibile.

Anche le prime due limitazioni sono chiaramente dirette a contenere l’onere complessivo per il fondo di solidarietà escludendo, da un lato, i danni subiti dagli azionisti e, dall’altro, ogni richiesta proveniente da soggetti diversi da quelli non espressamente indicati, ed in particolare dalle imprese non agricole in forma collettiva. Si tratta di scelte discrezionali del legislatore che paiono però poter aver effetti discriminatori poco ragionevoli.

Gli obblighi di comportamento imposti agli intermediari finanziari non contengono alcuna graduazione dei doveri di informazione in caso di operazioni di investimento in azioni trattate alla stregua di tutti gli altri strumenti finanziari. La natura di strumento finanziario di rischio, quali le azioni, e non di debito, quali le obbligazioni, pur non assegnando all’investitore alcun diritto alla restituzione del capitale investito, in alcune situazioni può perfino accentuare il dovere di informazione e la valutazione di adeguatezza o di appropriatezza del più rischioso (anche se magari meno complesso) investimento.

Ancora meno ragionevole pare l’esclusione delle piccole e medie imprese costituite in forma collettiva. L’ambito di applicazione soggettivo delle misure previste dalla legge di stabilità a tutela degli investitori è infatti anomalo non coincidendo né con quello del codice del consumo (limitato ai soli consumatori, quali le persone fisiche che agiscono per finalità estranee alle attività imprenditoriali o professionali eventualmente esercitate), ma nemmeno con quello del t.u.f. e del Reg. attuativo 16190 che individua invece la figura del cliente al dettaglio non professionale che comprende anche le imprese di medio-piccole dimensioni. Non si spiega quindi per quale ragione possa accedere alle prestazioni del fondo un imprenditore individuale, a prescindere dalle dimensioni dell’impresa esercitata, e non un analoga impresa esercitata in forma collettiva, che può in alcune situazioni, essere stata indotta ad acquistare strumenti finanziari emessi dalle banche per poter accedere al credito.

La limitazione quantitativa delle risorse disponibili è invece il profilo della disciplina maggiormente critico sul quale dovranno inevitabilmente intervenire i decreti attuativi. In considerazione del fatto che il fondo di solidarietà opera nei limiti delle risorse disponibili, la liquidazione delle prestazioni dovrà necessariamente individuare criteri di accesso al fondo e criteri per la quantificazione delle prestazioni che, in ragione della scarsità delle risorse finanziarie disponibili, consentano un trattamento uniforme e non discriminatorio degli obbligazionisti che richiedano di accedere alle prestazioni del fondo.

La natura solidaristica o equitativa del fondo dovrebbe portare a privilegiare quegli indici ancorati alla tutela sostanziale del cliente, a prescindere dal rispetto delle formalità previste dalla disciplina del t.u.f, quali, ad esempio, la conclusione di un contratto scritto di investimento e l’indicazione contenuta nei contratti quadro che escluda la prestazione del servizio di consulenza. Potranno così essere presi in considerazione alcuni elementi quali:

– le caratteristiche soggettive del cliente (età, titolo di studio, esperienza specifica nel settore finanziario);

– il profilo di rischio effettivo dell’investitore risultante dalle precedenti decisioni di investimento e quello risultante dalla compilazione delle schede cliente predisposte dalla banca, compresa la loro modifica in prossimità dell’investimento;

– il canale di acquisto delle obbligazioni (sportello o negoziazione on-line);

– l’incidenza quantitativa dell’investimento sul patrimonio dell’investitore ed in particolare sugli strumenti finanziari e sulla liquidità presente nei depositi accesi con la banca;

– l’adeguatezza dell’investimento in ragione del livello di rischio delle obbligazioni rispetto ai rischi assunti in precedenza dall’investitore, anche considerando l’eventuale acquisto di azione del medesimo emittente;

– l’adeguatezza dell’investimento rispetto agli obiettivi dell’investitore, con speciale riguardo all’orizzonte temporale dell’investimento e alle esigenze di liquidità;

– la negoziazione delle obbligazioni sui mercati regolamentati ed il loro livello di liquidità;

– la prossimità della vendita delle obbligazioni rispetto all’emergere della crisi;

– la previsione di incentivi per il personale della banca addetto alla negoziazione dei titoli;

– la conclusione di altri contratti bancari (concessione di mutui, affidamenti) in prossimità della negoziazione delle obbligazioni.

9. Conclusioni

Il sistema delineato dalla legge di stabilità, ad ora, in attesa dei decreti attuativi, pare configurare un sistema non particolarmente attento alle esigenze di economia processuale e di una rapida ed integrale tutela dell’investitore.

Per le medesime violazioni degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti dal t.u.f. sono infatti ipotizzabili tre azioni separate e prive di ogni coordinamento: la domanda al fondo per ottenere le prestazioni, l’eventuale azione dell’investitore contro i soggetti responsabili per il risarcimento del danno subito e non indennizzato dal fondo; l’azione con la quale il fondo, surrogato ex lege nei diritti dell’investitore, richieda il risarcimento delle prestazioni erogate ai soggetti responsabili.

In tutte e tre le azioni gli “arbitri” nominati e i giudici competenti dovranno procedere all’accertamento ed alla valutazione dei medesimi fatti senza poter fare conto sull’accertamento reso nelle procedure arbitrali. Un maggior coordinamento tra queste azioni avrebbe forse consentito di perseguire con maggiore efficacia gli obiettivi pubblici di tutela del sistema creditizio e quelli di tutela del risparmio.

Altro profilo di criticità riguarda la vaghezza dei principi dettati dalla legge di stabilità per quanto attiene alle procedure e ai criteri di indennizzo. Affidarne la pressoché integrale disciplina a fonti secondarie, soggette all’impugnazione avanti al TAR, potrebbe esporre il sistema di indennizzo a numerose censure di legittimità avanti il giudice amministrativo e alla paralisi stessa delle procedure.

Il sistema di indennizzo delineato dalla legge di stabilità, non tiene poi in alcuna considerazione l’esperienza maturata da oltre un decennio sulla base degli accordi tra associazioni di consumatori ed alcuni grandi gruppi bancari per l’erogazione di indennizzi agli obbligazionisti Cirio e Parmalat. In particolare la procedura di conciliazione paritetica avviata da Banca Intesa, in applicazione di alcuni criteri ed indici concordati tra la banca e le associazioni, ha esaminato in pochi mesi oltre 21.000 richieste di rimborso proponendo  10.348 indennizzi, di cui 1.198 per il risarcimento integrale del danno.

Parrebbe opportuno che la Banca d’Italia, non solo quale autorità competente a dettare le linee di indirizzo per la gestione degli enti ponte, ma soprattutto quale autorità deputata alla tutela della clientela, preso atto della diffusa e grave violazione dei doveri di informazione e correttezza da parte delle vecchie banche, e della responsabilità per tali illeciti delle good banks, stimolasse procedure di conciliazione collettiva aggiuntive, ma coordinate, con quelle previste dalla legge di stabilità.

 

(*) Tenutosi a Trento, 12 febbraio 2016.

[1] I provvedimenti di svalutazione delle azioni e delle obbligazioni subordinate, di contenuto pressoché identico, ad eccezione della diversa indicazione delle emissioni di obbligazioni subordinate risolte, sono reperibili sul sito della Banca d’Italia, quello relativo a Banca Popolare Etruria è reperibile all’indirizzo https://www.bancaditalia.it/compiti/risoluzione-gestione-crisi/provvedimenti-crisi/2015/provv-rilevanti/banca-pop-etruria-lazio/etrurialazio_svalutazione_22112015.pdf

[2] I provvedimenti di cessione, di contenuto pressoché identico ad eccezione della diversa indicazione delle emissioni di obbligazioni subordinate risolte, sono reperibili sul sito della Banca d’Italia, quello relativo a Banca Popolare Etruria è reperibile all’indirizzo https://www.bancaditalia.it/compiti/risoluzione-gestione-crisi/provvedimenti-crisi/2015/provv-rilevanti/banca-pop-etruria-lazio/etruria_lazio_22112015.pdf


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