WEBINAR / 23 Maggio
Titolare effettivo in trust e istituti affini: nuova guida GAFI

ZOOM MEETING
Offerte per iscrizioni entro il 07/05


WEBINAR / 23 Maggio
Titolare effettivo in trust e istituti affini: nuova guida GAFI
www.dirittobancario.it
Articoli

La gestione delle cause di anatocismo e usura: ripartizione dell’onere della prova, ammissibilità degli ordini di esibizione, prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito e impostazione della C.T.U.

16 Ottobre 2012

Anna de Simone

Atti dell’“Incontro di studio sul tema: Le controversie bancarie”, II sessione, C.S.M., Nona Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale, Roma, 17-19 settembre 2012.

SOMMARIO: 1. La gestione delle cause di anatocismo e usura. 1.1. Ripartizione dell’onere della prova. 1.2. Ammissibilità degli ordini di esibizione. 1.3. Prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito. 1.4. Impostazione della C.T.U.

 

1. La gestione della cause di anatocismo e usura.

La gestione della mole di cause in materia di anatocismo bancario e usura ha risentito e tutt’oggi risente delle complesse e tormentate questioni1 relative, essenzialmente, alla legittimità delle clausole contrattuali di capitalizzazione degli interessi debitori e alla decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito, che, nell’ultimo decennio, hanno reso necessario l’intervento, a più riprese, della Corte Costituzionale2 e della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite3, e che, recentemente, si sono arricchite della pronuncia4 di illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del d.l. 29.12.2010, n. 225 (cosiddetto “decreto milleproroghe”), convertito, con modificazioni, in legge 26.2.2011, n. 10.

Alla complessità delle questioni sottese alla gestione delle cause di anatocismo bancario e usura, e al continuo divenire di questa materia, si affianca “la particolare importanza” delle questioni stesse.

Tanto è vero che sul tema della legittimità delle clausole contrattuali di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori la Suprema Corte di Cassazione si è espressa a Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., trattandosi di “questione di massima di particolare importanza”, come emerge dalle motivazioni della sentenza n. 21095/20045.

Parimenti, sulla questione relativa al termine di decorrenza dell’azione di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte dal correntista alla banca a titolo di interessi anatocistici, nonché sulla questione se, accertata la nullità della clausola contrattuale di capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati su un’apertura di credito in conto corrente, gli interessi debbano essere computati con capitalizzazione annuale, o senza alcuna capitalizzazione, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata a Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., stante “la particolare importanza delle questioni sollevate”, come emerge dalle motivazioni della sentenza n. 24418/20106.

La “particolare importanza”, ex art. 374, comma 2, c.p.c., delle questioni sottese alla gestione delle cause di anatocismo bancario e usura attiene non solo al piano strettamente normativo, ovvero di interpretazione e applicazione delle norme, ma anche al piano sociale, economico e del contrasto alla usura.

Va considerato, infatti, che l’anatocismo – termine che deriva dal greco anà (di nuovo) e tokismòs (interesse, usura), e che indica il fenomeno “dell’interesse sull’interesse” (cosiddetto “interesse composto”), ovvero della progressiva capitalizzazione degli interessi maturati su una somma di denaro7 – , da un lato, è oggetto di condivisibili limitazioni, legate, essenzialmente, alla duplice esigenza di prevenire il pericolo di fenomeni usurari e di proteggere il consumatore-cliente debitore della banca dal rischio di un incontrollato aggravamento dell’impegno assunto al di là di quanto originariamente pattuito, come dimostra la disciplina ex art. 1283 c.c.; dall’altro lato, risente di continue pressioni tese a estenderne l’ambito di applicazione, in considerazione degli interessi economici ad esso sottesi, come dimostrano le cosiddette Norme Bancarie Uniformi emesse dall’A.B.I.8.

Con riguardo agli interessi economici sottesi all’anatocismo, la Suprema Corte di Cassazione9 ha evidenziato che, pure rimanendo nell’ambito “del tasso d’interesse limite non usuraio” (cosiddetto “tasso soglia”), “le conseguenze economiche sono diverse a secondo che sulla somma capitale si applichino gli interessi semplici, o quelli composti”, vale a dire anatocistici, in quanto, a titolo esemplificativo, “una somma di denaro concessa a mutuo al tasso annuo del 5% si raddoppia in venti anni, mentre con la capitalizzazione degli interessi la stessa somma si raddoppia in quattordici anni”.

Sul piano, sostanziale e processuale, della gestione delle controversie in materia di anatocismo bancario e usura, e quindi della ripartizione dell’onere della prova e dell’adozione dei provvedimenti istruttori e decisori, assume un ruolo fondamentale il titolo genetico, vale a dire il contratto bancario di conto corrente (o di apertura di credito in conto corrente).

Infatti, a seguito delle modifiche legislative, nonché delle pronunce del Giudice delle Leggi e degli interventi della Suprema Corte di Cassazione, vige un sistema complesso per il quale è necessario distinguere tra contratti bancari di conto corrente stipulati in epoca anteriore al 22 aprile 2000 – data di entrata in vigore della Delibera emessa dal CICR il 9.2.2004, in attuazione dell’art. 120, comma 2, T.U.B., introdotto con l’art. 25, comma 2, d.lgs. n. 342/1999 – le cui clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi sono nulle per violazione dell’art. 1283 c.c., e contratti conclusi successivamente alla data di entrata in vigore della detta Delibera (22.4.2000), le cui clausole anatocistiche sono legittime e valide, purché risultino specificamente approvate in forma scritta e prevedano la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori, sia creditori.

In tale senso depongono sia la interpretazione letterale e sistematica della disciplina legislativa di cui agli artt. 1283 c.c., 120, comma 2, T.U.B. (D.lgs. 1°.9.1993, n. 385), introdotto dall’art. 25, comma 2, d.lgs. 4.8.1999, n. 342, e 2 della delibera del CICR del 9.2.2000, entrata in vigore il 22.4.2000, sia l’orientamento della giurisprudenza di legittimità.

Appare utile, quindi, delineare, sia pure brevemente, il quadro normativo e giurisprudenziale, in cui si inseriscono le questioni sottese alla gestione delle cause di anatocismo e usura, e quindi alla ripartizione dell’onere della prova e all’adozione dei provvedimenti istruttori e decisori in subiecta materia.

L’art. 1283 c.c., rubricato “anatocismo”, ammette la produzione di interessi su interessi scaduti, fatti salvi gli “usi contrari”, soltanto “dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

La dottrina10 e la giurisprudenza di legittimità11 hanno chiarito, senza lasciare spazio a diverse interpretazioni, che la disposizione di cui all’art. 1283 c.c. ha “carattere imperativo”, quindi non è derogabile dai privati, e “natura eccezionale”, quindi non è applicabile oltre i casi e le condizioni da essa previsti, e che le finalità della norma, come accennato, si identificano nella esigenza di prevenzione dalla insorgenza di fenomeni usurari e nella necessità di protezione del consumatore-debitore (cosiddetto “contraente debole”) dal rischio di un incontrollato aggravamento dell’impegno assunto al di là di quanto originariamente pattuito, vale a dire nella necessità di consentire al debitore di conoscere esattamente l’ammontare del suo debito già all’atto della stipulazione del contratto e, quindi, di rendersi conto delle reciproche posizioni di debito e credito e decidere in piena libertà se aderire o non alla pattuizione.

E’ altresì pacifico, in dottrina12 e giurisprudenza13, per quanto rileva in questa sede, che gli “usi contrari” richiamati dall’art. 1283 c.c., vale a dire idonei a derogare al precetto ivi stabilito, sono soltanto quelli “normativi”.

Questi ultimi, con particolare riguardo alla materia dei contratti bancari, sono stati individuati dalla giurisprudenza14 e da una parte della dottrina15, per un ventennio circa, a decorrere dalla sentenza n. 6631 del 1981 della Corte di Cassazione16, nella prassi, contemplata dalle cosiddette “Norme Bancarie Uniformi dell’ABI”, di applicare la capitalizzazione trimestrale sugli interessi passivi dovuti dal cliente e annuale su quelli attivi dovuti dalla banca.

Sulla base di tali premesse, quindi, la giurisprudenza e la dottrina citate hanno riconosciuto la legittimità e validità delle clausole contenute nei contratti di conto corrente bancario, che consentivano alle banche di praticare la capitalizzazione trimestrale sugli interessi passivi a carico del cliente e annuale su quelli attivi a favore delle banche, con evidenti asimmetrie a danno dei clienti – correntisti delle banche17.

Tale situazione, evidentemente favorevole alle banche18, si è protratta sino a quando la Suprema Corte di Cassazione, con la nota sentenza n. 2374 del 16.3.199919, nel sottoporre a “revisione critica il tradizionale orientamento”, ha radicalmente mutato orientamento, ritenendo che “le cosiddette norme bancarie uniformi predisposte dall’associazione di categoria (Associazione bancaria italiana – A.B.I.)”, in forza delle quali le banche praticano la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e annuale di quelli creditori, hanno “natura di usi negoziali” ex art. 1340 c.c., e non di “usi normativi” a cui fa riferimento l’art. 1283 c.c., con la conseguenza che va dichiarata la nullità delle clausole contrattuali anatocistiche, per violazione dell’art. 1283 c.c.

La Suprema Corte, infatti, con le motivazioni della citata sentenza n. 2374/1999, dopo avere premesso che “…il tradizionale orientamento deve essere rivisto, anche alla luce delle obiezioni sollevate da una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito…”, ha chiarito che “<gli usi contrari>, ai quali il legislatore fa riferimento, sono i veri e propri usi normativi, di cui agli artt. 1, 4 e 8 delle disp. prel. al c.c. che, secondo la consolidata nozione, consistono nella ripetizione generale, uniforme, costante, frequente e pubblica di un determinato comportamento (usus), accompagnato dalla convinzione che si tratti di comportamento (non dipendente da un mero arbitrio soggettivo ma) giuridicamente obbligatorio, e cioè conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba fare parte dell’ordinamento (opinio juris ac necessitatis). Agli usi normativi, che costituiscono fonte di diritto obbiettivo, come è noto, si contrappongono gli usi negoziali, disciplinati dall’art. 1340 c.c., consistenti nella semplice reiterazione di comportamenti a opera delle parti di un rapporto contrattuale, indipendentemente non solo dall’elemento psicologico, ma anche dalla ricorrenza del requisito della generalità. La efficacia di detti usi è limitata alla creazione di un precetto del regolamento contrattuale, che si inserisce nel contratto salvo diversa volontà delle parti…”.

Chiarita la distinzione tra “usi normativi” ex artt. 1, 4 e 8 delle disp. prel. al c.c., ai quali si riferisce l’art. 1283 c.c., e “usi negoziali” ex art. 1340 c.c., la Corte di Cassazione, con le motivazioni della citata sentenza, ha evidenziato che “…le cosiddette norme bancarie uniformi predisposte dall’associazione di categoria (Associazione bancaria italiana–A.B.I.)…non hanno natura normativa, ma solo pattizia…”, tenuto conto, sul piano oggettivo, che “si tratta di proposte di condizioni generali di contratto indirizzate dall’associazione alle banche associate…”, e, sul piano “dell’elemento psicologico”, che “…dalla comune esperienza emerge che l’inserimento”, nei contratti bancari, di clausole conformi alle condizioni generali predisposte dall’ABI – che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del cliente e quella annuale degli interessi a credito – “è acconsentito da parte dei clienti” non perché le dette clausole siano ritenute conformi a norme di diritto oggettivo già esistenti o che si ritiene debbano esistere nell’ordinamento, ma perché “sono comprese nei moduli predisposti dalle banche, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione rappresenta al tempo stesso presupposto per accedere ai servizi bancari…”.

Tale “atteggiamento psicologico”, secondo le motivazioni della citata sentenza, è “ben lontano da quella spontanea adesione a un precetto giuridico, di cui, sostanzialmente, consiste la opinio juris ac necessitatis, se non altro per la evidente disparità di trattamento che la clausola stessa introduce tra interessi dovuti alla banca e interessi dovuti dal cliente”.

Sulla base delle suddette motivazioni, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha quindi ritenuto che “la previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un mero uso negoziale, e non su una vera e propria norma consuetudinaria, è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi”.

I principi di diritto e l’orientamento espressi dalla I Sezione della Corte di Cassazione con la citata sentenza n. 2374 del 16.3.1999 sono stati condivisi e ribaditi dalla III Sezione della S.C. con sentenza n. 3096 del 30.3.199920, nelle cui motivazioni si legge che “…va riaffermato che la capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della banca sui saldi di conto corrente passivi per il cliente non costituisce un uso normativo, ma un uso negoziale, essendo stata tale diversa periodicità della capitalizzazione (più breve rispetto a quella annuale applicata a favore del cliente sui saldi di conto corrente per lui attivi alla fine di ciascun anno solare) adottata per la prima volta in via generale su iniziativa dell’ABI nel 1952 e non essendo connotata la reiterazione del comportamento dalla opinio juris ac necessitatis”.

Al radicale mutamento dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, evidentemente espressione di una maggiore sensibilità per la tutela del contraente cosiddetto debole21, ha fatto seguito l’intervento del legislatore, il quale, evidentemente preoccupato22 per la mole dei giudizi pendenti, nonché per gli evidenti effetti, sul piano economico, del revirement operato dalla citata giurisprudenza di legittimità e per l’allarme suscitato presso il ceto bancario a seguito dell’applicazione dei principi affermati dalla Suprema Corte di cassazione con le citate sentenze, ha modificato l’art. 120 T.U.B.

Infatti, con d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342, art. 25, comma 2, il legislatore ha inserito, nell’art. 120 T.U.B., il comma 2 – a tutt’oggi invariato – che demanda al CICR il compito di stabilire “modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori” (art. 25, comma 2, d.lgs. n. 342/1999); inoltre, con l’art. 25, comma 3, del citato decreto legislativo, ha dettato una norma transitoria – successivamente dichiarata incostituzionale con sentenza n. 425 del 17.10.2000 – che sanciva la validità ed efficacia, fino alla data di entrata in vigore della delibera del CICR di cui al comma 2, delle clausole anatocistiche contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della detta delibera (art. 25, comma 3, d.lgs. n. 342/1999).

In sostanza, il d.lgs. n. 342/1999, con le disposizioni di cui all’art. 25, commi 2 e 3, ha formalmente introdotto una disciplina speciale in materia di anatocismo nell’ambito dell’attività bancaria, sottratta, dunque, all’applicazione del citato art. 1283 c.c., che consente la produzione, sotto determinate condizioni, di interessi anatocistici nell’ambito delle operazioni bancarie23.

In attuazione della potestà riconosciuta dall’art. 120, comma 2, T.U.B., introdotto dal citato art. 25, comma 2, d.lgs. n. 342/1999, il C.I.C.R., con delibera del 9 febbraio 2000, entrata in vigore il 22 aprile 2000, ha stabilito, all’art. 1, “che nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito poste in essere dalle banche e dagli intermediari finanziari gli interessi possono produrre a loro volta interessi secondo le modalità e i criteri indicati negli articoli che seguono” (art. 1 delibera CICR); all’art. 2, con riguardo al rapporto di “conto corrente”, che “l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità” (art. 2, comma 1, delibera CICR), fermo restando che “nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori” (art. 2, comma 2, delibera CICR) e a condizione che le “clausole relative alla capitalizzazione degli interessi” siano “specificamente approvate per iscritto” (art. 6 delibera CICR).

Inoltre, la citata delibera del CICR ha previsto “modalità e criteri” di capitalizzazione degli interessi in relazione ai finanziamenti con piano di rimborso rateale (art. 4 delibera CICR).

Non si sono fatte attendere né le critiche della dottrina24 al citato provvedimento legislativo, né le reazioni della giurisprudenza di merito25 – che ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 3, d.lgs. n. 342/1999 -, né le risposte della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 425/200026; né sono mancati i chiarimenti della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la pronuncia n. 21095/200427.

Infatti, la Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 425 del 17.10.2000, ha dichiarato “costituzionalmente illegittimo – in riferimento all’art. 76 Cost., per eccesso di delega rispetto all’art. 1, comma 5, l. 24.4.1998, n. 128 – l’art. 25, comma 3, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342, nella parte in cui stabilisce che le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti bancari stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera del CICR relativa alle modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria (delibera poi emessa il 9 febbraio 2000 ed entrata in vigore il 22 aprile 2000), siano valide ed efficaci fino a tale data e che, dopo di essa, debbano essere adeguate – a pena di inefficacia da farsi valere solo dal cliente – al disposto della menzionata delibera, con le modalità e i tempi ivi previsti”.

Nelle motivazioni della citata sentenza della Corte Costituzionale si legge, infatti, che “…la norma denunciata, senza distinguere fra contratti ed effetti contrattuale anteriori o posteriori alla data della propria entrata in vigore, stabilisce, con formula tipica delle norme di generale sanatoria (<sono valide ed efficaci>), una indiscriminata validità temporanea delle clausole anatocistiche bancarie contenute nei contratti stipulati anteriormente alla entrata in vigore della prevista deliberazione del C.I.C.R., prescindendo dal tipo di vizio da cui sarebbero colpite e da ogni collegamento con il testo unico bancario che non sia meramente occasionale”.

A seguito della richiamata pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma 3, d.lgs. n. 342/1999, la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 21095/2004, si è nuovamente pronunciata a Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., sulla “questione di massima di particolare importanza” “se – incontestata la non attualità di un uso normativo di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista bancario – sia o non esatto escludere anche che un siffatto uso preesistesse al nuovo orientamento giurisprudenziale (Cass. 1999 n. 2374 e successive conformi) che lo ha negato, ponendosi in consapevole e motivato contrasto con la precedente giurisprudenza28.

A tale proposito la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con le motivazioni della citata sentenza n. 21095/200429, ha statuito che “in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi debitori di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 425/2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 76 Cost., l’art. 25, comma 3, d.lgs. n. 342 del 1999, il quale aveva fatto salva la validità e la efficacia – fino all’entrata in vigore della delibera del CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25 – delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, a una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una norma giuridica che già esiste o che si reputa debba fare parte dell’ordinamento giuridico (opinio juris ac necessitatis). Infatti, va escluso che detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di Cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perché non fondate su un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva della esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne la esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe la consolidazione medio tempore di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l’avrebbero creata”.

In altri termini, secondo le statuizioni contenute nella citata sentenza n. 21095/2004 e le successive pronunce della giurisprudenza di legittimità30, per effetto della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, d.lgs. n. 342/1999, le clausole anatocistiche inserite nei contratti bancari stipulati anteriormente alla entrata in vigore della delibera del C.I.C.R. (22 aprile 2000) sono nulle, per violazione dell’art. 1283 c.c.

Non hanno trovato accoglimento, invece, le questioni di legittimità costituzionale31 dell’art. 25, comma 2, d.lgs. n. 324/1999, che, come accennato, prevede, sostanzialmente, che possono essere stabiliti “modalità e criteri” per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni bancarie, così presupponendo, in tale ambito, la liceità dell’anatocismo bancario; che il compito di fissare tali “modalità e criteri” è demandato al C.I.C.R.; che, in ogni caso, deve essere assicurata nei confronti delle clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori.

La Consulta, infatti, con sentenza n. 341/200732, reputando l’intervento legislativo in questione concretamente finalizzato al necessario adeguamento del T.U.B. al contesto economico europeo ovvero al contenuto della Direttiva del Consiglio 89/646/CEE del 15.12.1989, conformemente alla relativa legge delega (art. 1, comma 5, l. 24.4.1998, n. 128, recante disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità Europea), tanto più che la Corte di Cassazione, con la citata sentenza n. 2374/1999, aveva dato una lettura diversa dal passato in tema di clausole bancarie anatocistiche, ha affermato che “non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, d.lgs. n. 342 del 1999, sollevata, con riferimento agli artt. 1, 3, 70, 76 e 77 Cost., nella parte in cui, modificando l’art. 120 del predetto t.u., ha attribuito al C.I.C.R. il compito di stabilire modalità e criteri per la produzione dell’anatocismo, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori ”.

La Corte Costituzionale, con la citata sentenza33, ha quindi ritenuto che, in relazione alla disposizione di cui al richiamato art. 25, comma 2, d.lgs. n. 342/1999, che ha inserito nell’art. 120 T.U.B. il comma 2, “…non sussistono né la lamentata disparità di trattamento derivante dalla diversa disciplina applicabile a chi intrattenga rapporti concernenti obbligazioni pecuniarie, a seconda che essi riguardino o meno istituti di credito, stante la differente natura dei soggetti con cui il rapporto è intrattenuto, che rende non comparabili le due situazioni poste a raffronto (in un caso specificamente e professionalmente destinati allo svolgimento della funzione creditizia e alla intermediazione finanziaria, nell’altro caso occasionalmente implicati in un rapporto obbligatorio avente a oggetto una somma di denaro), né la lamentata disparità di trattamento derivante dall’applicazione della nuova normativa ai soli contratti sorti successivamente all’adozione della deliberazione del CICR, ben potendo darsi trattamenti differenziati anche di una medesima categoria se riferiti a momenti diversi del tempo, né la lamentata violazione degli artt. 1, 70, 76 e 77 Cost., posto che la materia su cui incide la norma oggetto della questione di costituzionalità non risulta essere presidiata da alcuna specifica riserva di legge”.

La ulteriore questione pratica rilevante nella gestione delle cause di anatocismo e usura, sempre connessa al contratto di conto corrente (o di apertura di credito su conto corrente), consiste, come accennato, nello stabilire se, accertata la nullità della clausola contrattuale anatocistica, gli interessi debbano essere computati con capitalizzazione annuale, o senza alcuna capitalizzazione.

Su tale questione la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata a Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., con sentenza n. 24418/201034.

Come emerge dalle motivazioni della citata sentenza, la Suprema Corte ha, preliminarmente, tenuto conto del contratto di conto corrente bancario sotto il profilo temporale della costituzione, dello svolgimento e della chiusura del rapporto, e, su tali basi, ha individuato la disciplina applicabile, confermando la impugnata sentenza di merito che aveva dichiarato la nullità della clausola anatocistica contenuta nel contratto di conto corrente bancario stipulato in data anteriore al 22.4.2000 (data di entrata in vigore della delibera del CICR), per violazione dell’art. 1283 c.c.

Infatti, nelle motivazioni della citata sentenza si legge che “…Giova premettere che i rapporti di conto corrente dei quali nella presente causa si discute risultano essersi svolti ed essere stati chiusi in data precedente alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 342 del 1999, con cui è stato modificato il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 120 (testo unico bancario). Ad essi non è quindi applicabile la disciplina dettata, in attuazione della richiamata normativa, dalla delibera emessa il 9 febbraio 2000 dal Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr). Perciò, anche per effetto della declaratoria di incostituzionalità del citato D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 3, pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 425 del 2000, la disciplina cui occorre fare riferimento è esclusivamente quella antecedente al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della menzionata delibera del Cicr). Su tale base è stata dichiarata nelle pregresse fasi del giudizio di merito la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi a carico del cliente, che figurava nei contratti di conto corrente bancario di cui si tratta, in conformità all’orientamento di queste sezioni unite, secondo cui la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista bancario va esclusa anche con riguardo al periodo anteriore alle decisioni con le quali la Suprema Corte, ponendosi in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale sin li seguito, ha accertato la inesistenza di un uso normativo idoneo a derogare al precetto dell’art. 1283 c.c. (Sez. Un. 4 novembre 2004, n. 21095)…35.

Sulla base di tali premesse, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la citata sentenza n. 24418/2010, ha statuito che “dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal correntista bancario, contenuta in un contratto di conto corrente stipulato in epoca anteriore al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della delibera del CICR del 9.2.2000), per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c., il quale osterebbe anche a una eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale, gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna”.

In altri termini, secondo il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 24418/2010 e condiviso dalla dottrina36, a seguito della dichiarazione di nullità della clausola anatocistica contenuta nei contratti di conto corrente stipulati in data anteriore al 22.4.2000 (data di entrata in vigore della delibera del CICR), non sussiste alcuna possibilità di integrazione del contratto bancario, ovvero di sostituzione legale, o di inserzione automatica di clausole che prevedano la capitalizzazione con diversa periodicità, dovendosi escludere anche quella annuale.

Alla luce della richiamata disciplina legislativa applicabile, ratione temporis, ai contratti bancari sorti anteriormente alla data di entrata in vigore della Delibera del CICR (22.4.2000), e dell’orientamento della giurisprudenza citata, è evidente che le clausole anatocistiche contenute nei detti contratti sono nulle per violazione dell’art. 1283 c.c. e non sono suscettibili di integrazione, nel senso che, accertata e dichiarata la nullità della clausola anatocistica, gli interessi vanno computati senza capitalizzazione, nemmeno annuale.

Diversamente, secondo la richiamata disciplina legislativa (art. 120, comma 2, T.U.B., introdotto dall’art. 25, comma 2, d.lgs. 4.8.1999, n. 342) applicabile, ratione temporis, ai contratti bancari sorti successivamente alla entrata in vigore della Delibera del CICR (22.4.2000), e alla luce delle statuizioni della Corte Costituzionale37, le clausole anatocistiche contenute nei detti contratti sono legittime, purchè siano rispettate le condizioni, formali e sostanziali, ovvero le “modalità e i criteri” indicati nella citata delibera.

In particolare, come accennato, l’art. 1 della delibera CICR 9.2.2000 consente la produzione di interessi su interessi nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, poste in essere sia dalle banche, sia dagli intermediari finanziari.

Con riguardo al conto corrente bancario, l’art. 2 della delibera citata introduce, al comma 1, il principio della libertà contrattuale, con l’unico limite, previsto al comma 2, della parità tra i periodi di capitalizzazione degli interessi attivi e passivi.

Infatti, l’art. 2 stabilisce, al comma 1, che “nel conto corrente l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabilite…”, e, al comma 2, che “nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori…”.

Il medesimo principio di libertà contrattuale, in deroga, quindi, alla disciplina di cui all’art. 1283 c.c., vale, ai sensi dell’art. 3 della citata delibera, con riguardo ai contratti di finanziamento con piano di rimborso rateale.

A tale proposito, infatti, l’art. 3 delibera CICR prevede che “nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefiniti, in caso di inadempimento del debitore, l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata, può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica”.

Analogo principio vale, ai sensi del comma 2 dell’art. 3 delibera CICR, per i casi di risoluzione del contratto di finanziamento a causa del mancato pagamento delle rate. In tale ipotesi, infatti, la disposizione citata prevede che “l’importo complessivamente dovuto può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di risoluzione. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica”.

Il comma 3 della norma citata, inoltre, prevede che “quando il pagamento avviene mediante regolamento in conto corrente si applicano le disposizioni di cui all’art. 2”.

Parimenti, con riguardo alle operazioni di raccolta, l’art. 4 della delibera CICR 9.2.2000 prevede che “gli interessi maturati alle scadenze periodiche possono produrre interessi secondo le modalità e i criteri contrattualmente stabiliti”.

Con riguardo ai contratti relativi alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, ivi compresi, quindi, quelli di conto corrente, la delibera CICR 9.2.2000 prevede, all’art. 6, che sia indicata la “periodicità di capitalizzazione degli interessi e il tasso di interesse applicato…” e che “le clausole relative alla capitalizzazione trimestrale degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto”.

Nella gestione delle cause di anatocismo e usura, e quindi nell’adozione dei provvedimenti istruttori e decisori, nonché nella impostazione della c.t.u., va tenuto conto, altresì, delle questioni in materia di usura.

Invero, anatocismo e usura sono istituti collegati essendo entrambi finalizzati a prevenire il pericolo del verificarsi di fenomeni usurari.

Come accennato, infatti, alla luce delle statuizioni della giurisprudenza di legittimità38 e dell’orientamento della dottrina39, può ritenersi pacifico che la finalità della norma che disciplina l’anatocismo si identifichi non solo nella esigenza di protezione del consumatore-debitore (cosiddetto “contraente debole”) dal rischio di un incremento esponenziale e incontrollato del debito, ma anche nella esigenza di prevenzione dalla insorgenza di fenomeni usurari.

L’usura è direttamente sanzionata sia sul piano civilistico, dall’art. 1815, comma 2, c.c., sia sul piano penalistico, dall’art. 644 c.p.

Dal punto di vista pratico, una prima questione sottesa alla gestione delle controversie in esame riguarda l’ambito di applicabilità della disposizione del codice civile in materia di usura, vale a dire l’art. 1815, comma 2, c.c., così come modificato dalla legge 7 marzo 1996, n. 108 (disposizioni in materia di usura).

Infatti, sotto il profilo civilistico, il legislatore si è limitato a disciplinare l’usura con riguardo al contratto di mutuo, stabilendo, all’art. 1815, comma 2, c.c., così come modificato dalla citata legge 7 marzo 1996, n. 108 (disposizioni in materia di usura), che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.

Non ha, invece, dettato una specifica disciplina con riguardo agli interessi usurari nelle altre operazioni di concessione di credito diverse dal mutuo, sebbene queste ultime, ai sensi degli artt. 1 e 2 della citata legge sulla usura n. 108/1996, siano oggetto di classificazione e rilevazione, con espressa indicazione dei tassi soglia, il cui superamento configura il reato di usura ex art. 644 c.p.40

In particolare, ai sensi delle citate norme, le operazioni oggetto di classificazione e rilevazione sono le seguenti: aperture di credito in conto corrente; finanziamenti per anticipi su crediti e documenti e sconto di portafoglio commerciale; factoring; crediti personali e altri finanziamenti alle famiglie; crediti personali e altri finanziamenti effettuati dagli intermediari non bancari; credito finalizzato, ovvero finanziamenti rateali per l’acquisto di uno o più beni di consumo; prestiti contro cessione del quinto dello stipendio; leasing; mutui; credito revolving41.

Può ritenersi, conformemente all’orientamento della dottrina42 e della giurisprudenza43, che, anche con riguardo ai suddetti rapporti, trovi applicazione la disposizione di cui all’art. 1815 c.c., con la conseguenza che le clausole con cui siano stati pattuiti interessi usurari nei suddetti contratti sono nulle.

Altro tema rilevante nella gestione delle cause in materia di anatocismo e usura riguarda la nozione, in ambito civilistico, di interesse usurario, considerato che il codice civile non contiene una definizione di usura, nè di interesse usurario.

Come osservato dalla dottrina44, l’assenza di una nozione civilistica di usura e la omogeneità, sotto il profilo civilistico e penalistico, dell’intervento normativo attuato con la citata legge n. 108/1996 e integrato con il d.l. 29.12.2000, n. 394, convertito, con modificazioni, in legge 28.2.2011, e con il successivo d.l. 29.11.2008, n. 185, art. 2-bis, convertito in l. 28.1.2009, n. 2, hanno condotto a un sostanziale allineamento, ovvero convergenza, tra la fattispecie civilistica e quella penalistica sul piano sia dei presupposti, sia della nozione di usura, la quale, evidentemente, va ricavata dalla definizione contenuta nell’art. 644 c.p.

Ai sensi e per gli effetti dell’art. 644, comma 3, c.p. – che demanda alla “legge” il compito di “stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” -, e dell’art. 2, comma 4, della citata legge n. 108/1996, così come modificato dal recente d.l. 13.5.2011, n. 70, art. 8, comma 5, lett. d), convertito, con modificazioni, in l. 12.7.2011, n. 106, gli interessi sono “sempre usurari” quando superano il cosiddetto tasso – soglia, “corrispondente al tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuale”.

L’art. 644, comma 3, c.p. considera altresì usurari gli interessi, anche inferiori al cosiddetto tasso – soglia, che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.

Sempre con riguardo alla nozione di interessi usurari va tenuto conto, altresì, della norma di “interpretazione autentica” contenuta nell’art. 1, comma 1, del citato d.l. n. 394/2000, convertito, con modificazioni, in legge n. 24/2001, con cui il legislatore ha stabilito che, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, comma 2, c.c., “si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

La giurisprudenza di legittimità45, chiamata a esprimersi sull’applicazione della norma in esame al rapporto bancario esaurito prima della entrata in vigore della citata legge, ha affermato che “la disciplina relativa ai tassi di interesse sui mutui introdotta dalla legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura – e quindi anche quella dettata dall’art. 1 d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito dalla legge 28 febbraio 2001, n. 24, di interpretazione autentica della precedente – non può essere applicata a rapporti completamente esauriti prima della sua entrata in vigore… L’art. 1 d.l. n. 394/2000, convertito dalla legge n. 24/2001, infatti, ha chiarito – con norma avente carattere di interpretazione autentica – che ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e 1815, comma 2, c.c. si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti a qualsiasi titolo, indipendentemente dl momento del loro pagamento”.

Invece, nel caso in cui il rapporto bancario non sia esaurito al momento della entrata in vigore della citata norma “di interpretazione autentica” può ritenersi che il tasso degli interessi divenuti usurari vada ridotto a quello corrispondente al tasso – soglia di volta in volta rilevato, vale a dire sostituito con il tasso – soglia fissato dalla legge, atteso che non si può consentire che in un rapporto bancario di conto corrente continuino a prodursi gli effetti di un pattuizione di interessi superiori alla soglia usuraria.

Ulteriore tema sotteso alla gestione delle cause in materia di anatocismo e usura riguarda la individuazione delle voci che concorrono a determinare il tasso di interesse usurario.

Sotto il vigore della disciplina legislativa anteriore al citato d.l. 29.11.2008, n. 185, convertito in l. 28.1.2009, n. 2, si discuteva, essenzialmente, se nella determinazione del tasso di interesse usurario si dovesse tenere conto anche degli interessi moratori e della commissione di massimo.

La dottrina prevalente46 escludeva la rilevanza degli interessi moratori ai fini della determinazione del tasso di interesse usurario, stante la loro natura di penale per il ritardo nell’adempimento della obbligazione, che li distingue dagli interessi corrispettivi.

Di contrario avviso la giurisprudenza di legittimità47, secondo cui il legislatore, con l’utilizzo del termine “remunerazioni”, di cui agli artt. 644, comma 4, c.p. e 2 l. n. 108/1996, avrebbe inteso riferirsi a ogni utilità pecuniaria richiesta al debitore e quindi anche alle prestazioni con funzione risarcitoria, ivi compresi gli interessi moratori.

Problemi interpretativi suscitava, altresì, come accennato, la commissione di massimo scoperto, normalmente applicata dalle banche nei rapporti con i clienti48.

Le suddette questioni possono considerarsi superate alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale n. 29/2002, della interpretazione letterale e sistematica degli artt. 644, comma 4, c.p. e 2 bis del citato d.l. 29.11.2008, n. 185, convertito in l. 28.1.2009, n. 2, e dell’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità49 e della dottrina50.

La Corte Costituzionale, pronunciandosi sulla legittimità costituzionale delle citata legge n. 24/2001, ha, infatti, affermato che “va in ogni caso osservato – e il rilievo appare in sé decisivo – che il riferimento contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto legge n. 394/2000, agli interessi (a qualunque titolo convenuti) rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità – secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”.

L’art. 644, comma 4, c.p. stabilisce espressamente che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”.

L’art. 2 bis, comma 2, del d.l. 29.11.2008, n. 185, convertito in l. 28.1.2009, n. 2 ha precisato, con riguardo ai contratti bancari, che “gli interessi, le commissioni, le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dalla effettiva durata della utilizzazione dei fondi da parte del cliente…sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e della l. 7 marzo 1996, n. 108, artt. 2 e 3”.

Recentemente, la Suprema Corte di Cassazione, chiamata a esprimersi sulla interpretazione e applicazione delle citata disciplina legislativa, con sentenza n. 12028 del 19.2.2010, ha affermato che “in tema di usura, ai fini della valutazione dell’eventuale carattere usurario del tasso effettivo globale (TEG) di interesse praticato da un istituto di credito deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto praticata sulle operazioni di finanziamento per le quali l’utilizzo del credito avviene in modo variabile51.

La Corte di Cassazione, con le motivazioni della citata sentenza n. 12028/2010, ha chiarito che “…il chiaro tenore letterale dell’art. 644, comma 4, c.p. impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato alla erogazione del credito, giacché ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge da corrispettivo per l’onere, a cui l’intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente. Ciò comporta che, nella determinazione del tasso effettivo globale praticato da un intermediario finanziario nei confronti del soggetto fruitore del credito deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto, ove praticata”.

La giurisprudenza di legittimità, chiamata nuovamente a esprimersi sulla questione in esame, con sentenza n. 28743/2010, ha ribadito che “nella determinazione del tasso di interesse usurari occorre tenere conto, ove il rapporto finanziario rilevante sia con un istituto di credito, di tutti gli oneri imposti all’utente in connessione con la utilizzazione del credito, e quindi anche della <commissione di massimo scoperto>, che è costo indiscutibilmente legato alla erogazione del credito”.52

Sull’argomento si è espressa, recentemente, la dottrina53, la quale ha evidenziato che ai fini della determinazione del tasso soglia va tenuto conto di tutte le commissioni bancarie, ivi compresa la commissione di massimo scoperto, nonché degli interessi ultralegali, delle spese per operazione, delle spese fisse di chiusura, delle spese assicurative, delle spese di revisione fido e degli interessi anatocistici.

Alla luce della disposizioni legislative innanzi richiamate e dell’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità e della dottrina citate può, quindi, ritenersi che nella determinazione del tasso di interesse usurario debba tenersi conto degli interessi, anche moratori e anatocistici, delle commissioni, ivi compresa quella di massimo scoperto, oltre che delle provvigioni derivanti dalle clausole contrattuale, che prevedono una remunerazione a favore della banca, e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.

1.1. Ripartizione dell’onere della prova.

Secondo i noti principi di diritto sostanziale in tema di ripartizione dell’onere della prova tra le parti ex art. 2697 c.c, la banca che domanda il pagamento del saldo debitore del conto corrente, come attrice, o quale parte opposta – ma attrice in senso sostanziale – nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi posti a base della propria pretesa creditoria.

La banca, quindi, ha l’onere di dimostrare la esistenza e la consistenza del preteso credito, mediante la produzione del titolo genetico, ovvero del contratto posto a base della domanda, nonché delle scritture contabili di riferimento, vale a dire degli estratti conto relativi alla intera durata del rapporto, dall’apertura alla estinzione del conto, atteso che soltanto attraverso una compiuta e integrale valutazione continuativa dei singoli saldi trimestrali può pervenirsi all’accertamento dell’ipotetico saldo debitore finale.

La produzione del contratto è necessaria sia per accertare se siano stati rispettati i requisiti, di forma e di sostanza, stabiliti dall’art. 117 T.U.B., il quale prevede che i contratti bancari devono essere redatti in forma scritta e che in caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo; sia per verificare la data di stipulazione, anche al fine di individuare la disciplina legislativa applicabile al caso concreto; sia per accertare e valutare le condizioni del rapporto bancario (tassi di interesse attivi e passivi, anatocismo, spese, valute, c.m.s.); sia per verificare l’ammontare della somma capitale eventualmente affidata al correntista.

A tale riguardo la giurisprudenza ha evidenziato che “è infatti noto che poiché l’efficacia dell’estratto conto quale titolo giustificativo della pretesa dell’importo del saldo attivo dallo stesso risultante…postula l’esistenza di un contratto di conto corrente, il contraente che – deducendo di essere creditore di una somma di denaro a saldo risultante dai complessi rapporti di dare ed avere, produca un estratto conto da lui stesso compilato, nel quale sono indicate le poste dei rispettivi crediti, non soddisfa con ciò l’onere di provare il fondamento della propria pretesa, ma semplicemente ne precisa in forma contabile il dettaglio… E’ noto che la Banca che rivendichi la sussistenza e legittimità del proprio credito pecuniario …. ha l’onere … di fornire la prova della fondatezza di siffatta pretesa, attraverso la produzione in giudizio … del contratto e degli estratti conto relativi all’intero rapporto di conto corrente oggetto della sua rivendicazione e della contestazione dell’ingiunto. L’omessa produzione da parte della Banca … del titolo contrattuale … non consente al Tribunale adito né di conoscere alcunché circa le pattuizioni ivi intercorse tra le parti del rapporto controverso … né di conseguenza di verificare la rispondenza … di quelle pattuizioni ai requisiti inderogabili, di forma e di sostanza, di cui all’art. 117 TUB, né la rispondenza alle medesime pattuizioni … degli addebiti ed accrediti riportati negli estratti conto relativi al periodo di vigenza di siffatto originario contratto, né di vagliare la giustificazione “contabile e negoziale” del saldo finale … asseritamente maturato a debito del correntista in pendenza dell’efficacia dell’originario titolo contrattuale (non prodotto né mai indicato nei suoi contenuti dalla banca) … , né di depurare quel saldo dagli anatocismi passivi invalidamente conteggiati- ex art. 1283 c.c.- dalla Banca … , ossia- in sintesi- non consente al Tribunale di sindacare la effettiva sussistenza di validi “titoli costitutivi”- nella specie contestati dal correntista- della pretesa pecuniaria della banca”54.

E’ altresì onere della banca che domanda gli interessi anatocistici provare, mediante la produzione del titolo genetico, oltre che degli estratti conto, che il contratto bancario di conto corrente, o di apertura di credito su conto corrente, sia stato stipulato in data (certa) successiva al 22.4.2002 (data di entrata in vigore della richiamata delibera del CICR del 9.2.2000); che la clausola contrattuale preveda la cosiddetta condizione di reciprocità, o di simmetria, nel senso che stabilisca la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori, sia creditori; che tale clausola sia stata specificamente approvata in forma scritta; che, nel corso dell’intero rapporto bancario, abbia dato concreta attuazione alle prescrizioni stabilite dalla legge e dal contratto.

Come accennato, sempre ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova del credito azionato, la banca deve produrre, unitamente al contratto, gli estratti conto relativi alla intera durata del rapporto, dall’apertura alla definizione.

A tale riguardo la Suprema Corte di Cassazione55, recentemente, ha ribadito il principio secondo cui la banca al fine di dimostrare la esistenza e la entità del proprio credito “ha l’onere di produrre gli estratti a partire dall’apertura del conto”, dovendosi “escludere la idoneità probatoria del saldaconto, benchè certificato ai sensi dell’art. 50 d.lgs 1°.9.1993, n. 385 (T.U.B.): esso, in caso di contestazione, non può integrare di per sé prova a favore dell’azienda di credito della entità del credito, in quanto atto unilaterale proveniente dal creditore e dovendo ritenersi eccezionale – e per ciò stesso non estensibile al di fuori delle ipotesi espressamente previste – la valenza probatoria ad esso riconosciuta ai fini del conseguimento del decreto ingiuntivo”.

Né la banca può sottrarsi all’assolvimento del suddetto onere probatorio di produrre tutti gli estratti conto, necessari per ricostruire la movimentazione integrale del conto corrente, invocando la insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione, ex artt. 2220 c.c. e 119 T.U.B.

Su tale aspetto, la giurisprudenza si è espressa recentemente, chiarendo, con le motivazioni della sentenza n. 1842/201156, che “il fatto che sia previsto l’obbligo di conservazione delle dette scritture per un periodo di tempo limitato significa soltanto che l’imprenditore (nella specie la banca) non può essere chiamato a rispondere sotto alcun profilo della mancata conservazione delle dette scritture per un periodo più ampio, ma non può certamente comportare … una condizione di favore rispetto ad una posizione creditoria prospettata, sollevandolo dall’onere di dare piena dimostrazione del credito vantato”.

In concreto, può verificarsi, nei giudizi di opposizione allo stato passivo o di opposizione a decreto ingiuntivo, che la banca produca estratti conto parziali, relativi agli ultimi periodi del rapporto di conto corrente.

Si pensi, a titolo esemplificativo, al caso in cui la banca chieda di essere ammessa al passivo del fallimento del cliente – correntista per il saldo debitore relativo al rapporto di conto corrente acceso in data 1°.10.1996 ed estinto il 1°.12.2006, depositando, unitamente al contratto, gli estratti conto relativi al periodo dal 1°.1.1998 al 1°.12.2006 e il saldaconto relativo al periodo antecedente al 1°.1.1998.

In tali ipotesi, applicando i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità57, può ritenersi che l’assenza degli estratti conto per il periodo relativo ai primi quattordici mesi del rapporto (dal 1°.10.1996 a 31.12.1997) non precluda la possibilità di espletamento di c.t.u. contabile, concernente il periodo successivo (dal 1°.1.1998 al 1°.12.2006), finalizzata all’accertamento della consistenza dell’ipotetico credito della banca, potendo l’indagine peritale essere effettuata sulla base di riferimento più sfavorevole per il creditore istante, vale a dire riportando a “zero” il saldo di partenza, quindi senza tenere conto del saldo del primo estratto conto disponibile, in quanto anch’esso da ritenere frutto di anatocismo pregresso.

Nel caso in cui sia il correntista ad agire in giudizio per la ripetizione delle somme indebitamente versate alla banca a titolo di interessi anatocistici e/o usurari, incombe sul correntista – attore, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2697 c.c., l’onere di allegare i fatti posti a base della domanda, vale a dire dimostrare l’esistenza di specifiche poste passive del conto corrente oggetto di causa, rispetto alle quali l’applicazione di interessi anatocistici e/o usurari avrebbe determinato esborsi maggiori rispetto a quelli dovuti.

Tale onere probatorio, secondo l’orientamento pacifico della giurisprudenza58, va assolto mediante la produzione del contratto di conto corrente e degli estratti conto relativi a tutto il rapporto contrattuale, atteso che soltanto la produzione della intera sequenza degli estratti conto consente di ricostruire in maniera puntuale il rapporto contrattuale intercorso tra le parti e, quindi, di verificare la pattuizione e la concreta applicazione di interessi anatocistici e/o usurari.

Pertanto, nel caso in cui il correntista – attore in ripetizione non produca gli estratti conto relativi all’intero rapporto, la ricostruzione dei rapporti di dare e avere sarà circoscritta al periodo in relazione al quale risultano prodotti gli estratti conto.

Così, se in ordine a un rapporto di conto corrente aperto il 10.1.2001 ed estinto il 20.12.2009, siano stati prodotti dall’attore gli estratti dal 1°.1.2005 alla chiusura del conto, l’indagine del c.t.u. dovrà partire dal 1°.1.2005.

A tale riguardo, la giurisprudenza di merito59, muovendo dai principi enunciati dalla Suprema Corte con la citata pronuncia n. 23974/2010, secondo cui, in materia di anatocismo bancario e usura, quando l’onere della prova, non assolto, grava sulla banca che ha agito in giudizio, l’indagine del c.t.u. deve partire dal “saldo zero”, in quanto sfavorevole alla banca attrice, ha affermato, argomentando a contrario, che “nel caso in cui il correntista agisca per la ripetizione delle somme indebitamente versate sul conto corrente, anche in ragione della nullità di determinate clausole contrattuali, qualora non abbia prodotto l’intera sequenza degli estratti conto, il saldo da cui partire per l’analisi contabile deve essere quello a debito risultante dal primo estratto conto disponibile e non <saldo zero>”; ciò in quanto “il mancato assolvimento dell’onere della prova, in tale ipotesi, non può che ricadere su parte attrice”.

1.2. Ammissibilità degli ordini di esibizione.

Nei giudizi in materia di anatocismo bancario e usura, promossi dai correntisti – clienti delle banche per l’accertamento e la declaratoria di nullità delle clausole che prevedono l’applicazione di interessi anatocistici e/o usurari e per la ripetizione delle somme indebitamente versate alle banche, è frequente il caso in cui il correntista – attore, sul quale, come già evidenziato, grava l’onere ex art. 2697 c.c. di provare la esistenza di specifiche poste passive del conto corrente oggetto di causa, rispetto alle quali sarebbe stato applicato l’anatocismo, chieda, in via istruttoria, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., l’emanazione di un ordine giudiziale alla banca di esibizione della documentazione contabile, ovvero degli estratti conto relativi al rapporto di conto corrente intercorso con la convenuta.

La giurisprudenza60 prevalente, muovendo dalla considerazione che l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. è uno strumento istruttorio ufficioso e residuale, utilizzabile soltanto quando la prova del fatto non sia acquisibile aliunde e l’iniziativa non presenti finalità meramente esplorative, vale a dire non sia diretta a indagare se il documento contenga la prova stessa, ha affermato che l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. è inammissibile quando abbia a oggetto documenti direttamente accessibili alla parte istante, vale a dire documenti che la parte – nel diligente assolvimento dell’onere probatorio su di essa gravante – avrebbe potuto e dovuto acquisire e, quindi, allegare agli atti di causa.

In particolare, costituisce ius receptum il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità61, secondo cui “non può essere ordinata, in relazione al disposto dell’art. 210 c.p.c., l’esibizione in giudizio di un documento di una parte o di un terzo, allorquando l’interessato può di propria iniziativa acquisirne una copia e produrla in causa…”.

Con specifico riguardo alla documentazione bancaria, sussiste il diritto del correntista, ex art. 119, comma 4, T.U.B., di ottenere dall’istituto bancario, a proprie spese, la consegna di copia della documentazione relativa a ciascuna operazione registrata sull’estratto conto nell’ultimo decennio, indipendentemente dall’adempimento del dovere di informazione da parte della banca e anche dopo lo scioglimento del rapporto; tale diritto si configura come un diritto sostanziale autonomo, la cui tutela è riconosciuta come situazione giuridica finale e non strumentale, ragione per cui, per il suo riconoscimento, non assume alcun rilievo l’utilizzazione che il cliente intende fare della documentazione, una volta ottenuta62.

Stante, quindi, il diritto sostanziale ex art. 119, comma 4, c.p.c. riconosciuto al correntista di chiedere e ottenere dalla banca tutta la documentazione contabile inerente al rapporto, è evidente che nel caso in cui il correntista – attore non produca la documentazione contabile a sostegno della domanda, né tanto meno dimostri di avere avanzato, prima del giudizio, richiesta alla banca, ai sensi della citata norma, di acquisizione della detta documentazione contabile e di non avere ricevuto riscontro o di avere avuto un diniego alla detta richiesta, tale carenza probatoria non può essere colmata mediante l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. rivolto alla banca e avente a oggetto la documentazione contabile inerente al rapporto bancario.

In altri termini, l’ordine di esibizione ex art. 210 del codice di rito non può supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante.

I suddetti principi enunciati dalla Suprema Corte di Cassazione sono stati, recentemente, richiamati e applicati, nei giudizi in materia di anatocismo bancario, dalla giurisprudenza di merito63, secondo cui:

-“…nel caso in cui l’attore in ripetizione…non produca gli estratti conto relativi all’intero rapporto non è possibile pretendere che tale carenza probatoria venga colmata mediante l’ordine di esibizione rivolto alla banca di tutta la documentazione contabile inerente al rapporto di cono corrente, poiché la giurisprudenza costante ritiene che l’ordine di esibizione non può supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova sussistente a carico della parte istante, oltre ad escludere che tale ordine possa essere emesso al solo fine esplorativo di indagare se il documento contenga la prova stessa…64;

-“è inammissibile l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. volta a ottenere l’ordine nei confronti dell’istituto bancario convenuto di esibire in giudizio della documentazione relativa a rapporto di conto corrente, qualora tale ordine di esibizione abbia a oggetto documenti direttamente accessibili dalla parte ex art. 119 T.U.B., quindi documenti che la parte – nel diligente assolvimento dell’onere probatorio su di essa gravante – avrebbe dovuto previamente acquisire in via stragiudiziale e quindi allegare agli atti di causa65.

Resta fermo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 210 c.p.c. e del pacifico orientamento della giurisprudenza66, che “l’ordine di esibizione di documenti previsto dall’art. 210 c.p.c., provvedimento tipicamente discrezionale del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione, deve riguardare documenti che siano specificamente indicati dalla parte che ne abbia fatto istanza…”.

1.3. Prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito.

Come è noto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1422 c.c., l’azione di nullità è imprescrittibile, mentre la conseguente azione di ripetizione di indebito, o restitutoria, è soggetta a prescrizione.

E’ quindi necessario individuare il dies a quo del termine di prescrizione decennale, ex art. 1946 c.c., applicabile alla condictio indebiti.

A tale riguardo, come accennato, si è discusso se il termine di prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorra dalla data di chiusura del conto corrente, oppure dalla data di annotazione in conto di ciascun addebito per interessi non dovuti.

La Corte di Cassazione67, in passato, con riferimento alla domanda di restituzione degli interessi calcolati in misura superiore a quella legale senza pattuizione scritta, ha sostenuto che “il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute dalla banca indebitamente a titolo di interessi su un’apertura di credito in conto corrente, decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo a un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti della parti tra loro”.

Parimenti, la giurisprudenza di merito prevalente68, con specifico riguardo all’azione di restituzione di somme indebitamente pagate a titolo di capitalizzazione trimestrale degli interessi, ha affermato che tale azione si caratterizza per la sua “natura di azione per indebito oggettivo, con la conseguenza che le somme indebitamente corrisposte a titolo di interessi anatocistici divengono concretamente esigibili nel momento in cui il diritto diviene azionabile, ovverosia alla chiusura del rapporto di conto corrente … , trattandosi di un contratto unitario che dà luogo a un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi … , con conseguente applicabilità della prescrizione decennale decorrente da detto momento”.

In senso contrario si è espressa altra parte della giurisprudenza69, che appare minoritaria, secondo cui il termine di prescrizione decennale dell’azione in questione non decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, ma dalla data del pagamento coincidente con l’annotazione in conto di ogni singola posta.

Sulla questione, recentemente, come accennato al paragrafo sub. 1, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata a Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., in considerazione della particolare importanza della questione, affermando il principio secondo cui “l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo a un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta alla ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nella ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dare vita a una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nella esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens70.

La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con le motivazioni della citata sentenza n. 24418/2010, ha chiarito che “… la unitarietà del rapporto giuridico derivante dal contratto di conto corrente non è, di per sé solo, elemento decisivo al fine di individuare nella chiusura del conto il momento da cui debba decorrere il termine di prescrizione del diritto alla ripetizione d’indebito … La unitarietà del rapporto contrattuale e il fatto che esso sia destinato a protrarsi ancora per il futuro non impedisce di qualificare indebito ciascun singolo pagamento non dovuto, se ciò dipende dalla nullità del titolo giustificativo dell’esborso, sin dal momento in cui il pagamento medesimo abbia avuto luogo; è sempre da qual momento che sorge dunque il diritto del solvens alla ripetizione e che la relativa prescrizione inizia a decorrere …71.

Pertanto, secondo le motivazioni della citata sentenza, “occorre avere riguardo, più ancora che al carattere unitario del rapporto di conto corrente, alla natura e al funzionamento del contratto di apertura di credito bancario, che in conto corrente è regolata …”.

Tenendo conto, quindi, della natura e del funzionamento del contratto di apertura di credito bancario, e mantenendo “ferma la conclusione a cui era pervenuta la giurisprudenza richiamata” con riguardo alla unitarietà del rapporto giuridico derivante dal contratto di conto corrente, la Corte di Cassazione, con le motivazioni della citata sentenza, ha distinto il caso in cui il correntista, in pendenza dell’apertura di credito, non abbia effettuato versamenti, dal caso in cui abbia effettuato versamenti, e, con riguardo a tale ultima ipotesi, ha operato la distinzione funzionale, già in precedenza applicata alla materia della revocatoria fallimentare, tra versamenti aventi natura solutoria e versamenti con funzione ripristinatoria.

Nel primo caso, vale a dire “se, pendente l’apertura di credito, il correntista non si sia avvalso della facoltà di effettuare versamenti”, la Suprema Corte, con le motivazioni della citata sentenza, ha affermato che “pare indiscutibile che non vi sia alcun pagamento da parte sua, prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato. In tale caso, qualora la restituzione abbia ecceduto il dovuto a causa del computo di interessi in misura non consentita, la eventuale azione di ripetizione d’indebito non potrà che essere esercitata in un momento successivo alla chiusura del conto, e solo da quel momento comincerà perciò a decorrere il relativo termine di prescrizione …72.

Nel secondo caso, vale a dire “qualora il correntista, nel corso del rapporto, abbia effettuato non solo prelevamenti, ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da potere formare oggetto di ripetizione ove risultino indebiti, in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale a favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire <scoperto>) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento. Non è così, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può continuare a godere73.

 

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con le motivazioni della citata sentenza, ha quindi chiarito che la distinzione funzionale tra atti ripristinatori della provvista e atti di pagamento compiuti dal correntista per estinguere il proprio debito verso la banca, pure se elaborata ad altri fini, evidentemente ai fini della revocatoria fallimentare, “non può non venire in evidenza anche quando si tratti di stabilire se sia o meno configurabile un pagamento, asseritamente indebito, da cui possa scaturire una pretesa restituoria ad opera del solvens; pretesa che è soggetta a prescrizione solo a partire dal momento in cui si può affermare che essa sia venuta a esistenza. Un versamento eseguito dal cliente su un conto il cui passivo non abbia superato il limite dell’affidamento concesso dalla banca con l’apertura di credito non ha né lo scopo né l’effetto di soddisfare la pretesa della banca medesima di vedersi restituire le somme date a mutuo (credito che, in quel momento, non sarebbe né scaduto né esigible), bensì quello di riespandere la misura dell’affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista. Non è, dunque, un pagamento, perché non soddisfa il creditore, ma amplia (o ripristina) la facoltà d’indebitamento del correntista … Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto …74.

Sulla base di tali motivazioni la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affermato il “seguente principio di diritto: se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per fare dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati75.

Il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 24418/2010 è stato ribadito dalla giurisprudenza di merito più recente76, la quale, chiamata a esprimersi sull’applicazione della norma in esame, ha affermato, con le motivazioni della sentenza n. 991 del 2011, che “…l’azione di ripetizione dell’indebito è soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. e che il dies a quo di tale termine va identificato non già nella data di effettuazione di ogni singola posta contabile astrattamente ripetibile, bensì nella data di chiusura del conto corrente bancario”.

Sul tema della decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito è intervenuto il legislatore, il quale, con il recente d.l. 29.12.2010, n. 225, art. 2, comma 61 (cosiddetto decreto mille proroghe), convertito dalla legge 26.2.2011, n. 10, ha stabilito che “in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione degli importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione…”.

Tale norma ha immediatamente suscitato numerose critiche da parte della dottrina77 e ha indotto numerosi Tribunali78 a sollevare questioni di legittimità costituzionale, sostanzialmente, per violazione dei principi di ragionevolezza, di eguaglianza, ex art. 3 Cost., e per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea.

L’atteso intervento demolitivo della norma in questione è stato effettuato, recentemente, dalla Corte Costituzionale, la quale, con sentenza n. 78 del 5 aprile 201279, ha “dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, per violazione del principio di ragionevolezza delle norme ex art. 3 Cost., nonché per violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost, e per violazione del parametro costituito dall’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo,

La Corte Costituzionale, con le motivazioni della citata sentenza n. 78/2012, dopo aver premesso che la disposizione in questione “… si autoqualifica di interpretazione e, dunque, spiega efficacia retroattiva come, del resto, si evince anche dal suo tenore letterale che rende la stessa applicabile alle situazioni giuridiche nascenti dal rapporto contrattuale di conto corrente e non ancora esaurite alla data della sua entrata in vigore”, ha ritenuto che “la norma censurata, con la sua efficacia retroattiva, lede in primo luogo il canone generale della ragionevolezza delle norme (art. 3 Cost)”, atteso che “essa è intervenuta sull’art. 2935 cod. civ. in assenza di una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, poiché, in materia di decorrenza del termine di prescrizione relativo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, a parte un indirizzo del tutto minoritario della giurisprudenza di merito, si era ormai formato un orientamento maggioritario in detta giurisprudenza, che aveva trovato riscontro in sede di legittimità ed aveva condotto a individuare nella chiusura del rapporto contrattuale o nel pagamento solutorio il dies a quo per il decorso del suddetto termine…80.

Inoltre, la Corte Costituzionale, con la citata sentenza, ha ravvisato la violazione dell’art. 3 Cost., vale a dire del principio di eguaglianza, oltre che di ragionevolezza, in quanto “la efficacia retroattiva della deroga rende asimmetrico il rapporto contrattuale di conto corrente perché, retrodatando il decorso del termine di prescrizione, finisce per ridurre irragionevolmente l’arco temporale disponibile per l’esercizio dei diritti nascenti dal rapporto stesso, in particolare pregiudicando la posizione giuridica dei correntisti che, nel contesto giuridico anteriore alla entrata in vigore della norma denunziata, abbiano avviato azioni dirette a ripetere somme si medesimi illegittimamente addebitate … La norma censurata, facendo retroagire la disciplina in essa prevista, non rispetta i principi generali di eguaglianza e ragionevolezza …81.

Il Giudice delle Leggi ha dichiarato, altresì, la illegittimità costituzionale della norma in questione anche con riferimento “all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo”, atteso che “… non è dato ravvisare quali sarebbero i motivi imperativi d’interesse generale, idonei a giustificare l’effetto retroattivo …” della norma82.

1.4. Impostazione della C.T.U.

In linea generale, nelle cause di anatocismo e usura, la c.t.u. è finalizzata alla ricostruzione, sulla base del contratto e degli estratti conto depositati in atti, dell’intero rapporto di dare e avere e, quindi, alla rideterminazione del saldo finale del conto in contestazione.

La impostazione della c.t.u. contabile, e quindi i quesiti, però, variano in relazione alla disciplina legislativa e ai principi giurisprudenziali applicabili al caso concreto.

In particolare, la ormai pacifica nullità, ex art. 1283 c.c., della clausola anatocistica trimestrale contenuta nei contratti stipulati anteriormente alla entrata in vigore della citata delibera del C.I.C.R. (22 aprile 2000), comporta, nei giudizi, l’ammissione di c.t.u. volta al ricalcolo del saldo, scorporato dalla capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici, e senza applicazione di alcuna capitalizzazione, nemmeno annuale, sugli interessi a debito, conformemente ai citati principi fissati dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 24418/201083.

La legittima pattuizione, ai sensi della disciplina di cui agli artt. 120, comma 2, T.U.B. e 2 delibera C.I.C.R. del 9.2.2000, della clausola anatocistica contenuta nei contratti stipulati successivamente alla entrata in vigore della citata delibera CICR (22 aprile 2000), comporta, nei giudizi, l’ammissione di c.t.u. volta a verificare se sia stata rispettata la cosiddetta condizione di “reciprocità” o “simmetria” stabilita dalle citate norme e contrattualmente pattuita, e quindi se la banca abbia applicato, in concreto, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; in caso di esito negativo di tale accertamento, il c.t.u. dovrà effettuare il ricalcolo del saldo applicando la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia creditori, sia debitori.

Nei casi in cui la parte sulla quale grava l’onere della prova del credito, ex art. 2697 c.c., non abbia prodotto gli estratti conto relativi alla intera durata del rapporto controverso, il c.t.u. dovrà effettuare il ricalcalo del conto sulla base di riferimento più sfavorevole alla parte che non ha assolto il detto onere probatorio, conformemente al noto principio di diritto secondo cui il mancato assolvimento dell’onere della prova non può che ricadere su parte attrice e ai richiamati principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità84 e di merito85; pertanto, qualora la banca, attrice o parte opposta – ma attrice in senso sostanziale – nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, produca estratti conto parziali, relativi agli ultimi periodi del rapporto di conto corrente, il c.t.u. dovrà effettuare il ricalcolo riportando a “zero” il saldo di partenza; viceversa, qualora il correntista – attore in ripetizione non abbia prodotto gli estratti conto relativi all’intero rapporto, il c.t.u. dovrà considerare come base di riferimento il saldo debitore risultante dal primo estratto conto disponibile.

Nelle cause di anatocismo e usura, il c.t.u. dovrà, altresì, verificare se gli interessi applicati dalla banca superino il tasso soglia, in violazione della legge n. 108/1996 e successivi D.M. di attuazione, applicabili, ratione temporis, al rapporto in contestazione, avendo riguardo al momento in cui gli interessi sono stati promessi o comunque pattuiti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento, conformemente al principio stabilito dal legislatore con la norma di “interpretazione autentica” di cui all’art. 1, comma 1, d.l. n. 394/2000, convertito, con modificazioni, in legge n. 24/2001, e all’orientamento espresso dalla giurisprudenza86 di legittimità e di merito, e tenendo conto, ai fini della determinazione del tasso di interesse usurario, di tutti gli oneri connessi al rapporto bancario, quindi degli interessi, moratori, anatocistici e ultralegali, di tutte le commissioni, ivi compresa quella di massimo scoperto, delle spese, escluse soltanto quelle per imposte e tasse, delle provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedano una remunerazione a favore della banca, conformemente ai principi stabiliti dal legislatore con gli artt. 644, commi 3 e 4, c.p., 2, comma 4, l. n. 108/1996, e 1, comma 1, d.l. n. 394/2000 (norma di “interpretazione autentica”), convertito in l. n. 24/2001, e richiamati dalla giurisprudenza di legittimità87 con le citate sentenze nn. 12028/2010, 28743/2010. Il c.t.u. dovrà, quindi, indicare il tasso soglia in relazione a ciascun periodo; quantificare l’importo degli eventuali interessi usurari; procedere al ricalcalo degli interessi nei limiti del tasso soglia; rideterminare il saldo applicando gli interessi nei limiti del tasso soglia. Nei casi in cui il rapporto bancario oggetto di giudizio sia costituito da un contratto di mutuo, o da un contratto a quest’ultimo affine, vale a dire caratterizzato dalla erogazione di denaro con l’obbligo di restituzione, il c.t.u. dovrà rideterminare il saldo, decurtandolo di tutti gli interessi, conformemente a quanto stabilito dall’art. 1815, comma 2, c.c.

 

1 Cfr., per ulteriori approfondimenti sul tema, in dottrina, V. MANZI, Commento sub art. 120 D. Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, in Commentario al D. Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, Padova, 2011, 1755 e ss.; F. GIORGIANNI – C. M. TARDIVO, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, Giuffrè, 2011, 399 e ss.; R. CAFARO, I contenziosi in materia di contratti di conto corrente. Come difendersi dalle banche, Maggioli, 2011, 227 e ss.; P. BONTEMPI, L’anatocismo bancario alla prova del decreto “mille proroghe”, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2011, fasc. 10, 945 e ss.; G. M. CELARDI, L’anatocismo bancario nella giurisprudenza di legittimità, in Giust. civ., 2011, fasc. 10, 2335 e ss.; F. GRECO, Anatocismo bancario e prescrizione: gli effetti del decreto mille proroghe, in Giurisprudenza di merito, 2011, fasc. 3, 974 e ss.; M. SESTA, L’anatocismo bancario tra interventi legislativi e nuovi dubbi di legittimità costituzionale, in Il Corriere giuridico, 2011, fasc. 6, 745 e ss.; F. GRECO, Anatocismo bancario e prescrizione: le Sezioni Unite e la difficile applicabilità del decreto Milleproroghe. Continua il match tra correntisti e banche, in Responsabilità civile e previdenza, 2011, fasc. 4, 810 e ss.; F. OLIVIERO, Anatocismo bancario, in Studiumiuris, 2011, fasc. 3, 303 e ss.; P. BONTEMPI, L’anatocismo bancario torna di attualità, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2011, fasc. 4, 297 e ss.; N. PORTO, L’anatocismo bancario tra conferme e problemi irrisolti, in Rassegna di diritto civile, 2011, fasc. 1, 277 e ss.

2 Corte Costituzionale, 17.10.2000, n. 425, in Fallimento, 2001, 19, con nota di L. PANZANI; Corte Costituzionale, 12.10.2007, n. 341, in Il merito, 2007, 11, 26.

3 Cassazione civile, Sezioni Unite, 4.11.2004, n. 21095, in Giur. comm., 2006, 5, 833; Cassazione civile, Sezioni Unite, 2.12.2010, n. 24418, in Foro it., 2011, 2, 428 e in Guida al diritto, 2011, 1, 74.

4 Corte Costituzionale, 2.4.2012, n. 78, in www.ilcaso.it, 2012.

5 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 4.11.2004, n. 21095, in motivazione, in Riv. dir. comm., 2005, 7/8/9, 163.

6 Corte di cassazione, Sezioni Unite, 2.12.2010, n. 24418, in motivazione, in Banca borsa tit. cred., 2011, 3, 257.

7 Cfr., tra gli altri, M. TRINGALI – L. CASCONE, L’anatocismo, in Il Mutuo. Il sistema delle tutele, a cura di G. CASSANO, Padova, 2009, 320 e ss.

8 Cfr., sul punto, in dottrina, V. MANZI, Commento sub art. 120 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, cit., 1755 e ss.; M. TRINGALI – L. CASCONE, L’anatocismo, in Il Mutuo. Il sistema delle tutele, a cura di G. CASSANO, Padova, 2009, 324 e ss.

9 Corte di Cassazione, sez. I, 16.3.1999, n. 2374, in motivazione, in Giust. Civ., 1999, I, 1301, 1585.

10 Cfr., tra gli altri, A. ZACCARIA, Commento sub. art. 1283 c.c., in Commentario al codice civile, a cura di G. CIAN, IX ed., Padova, 2009, 1335 e ss.; V. MANZI, Commento sub art. 120 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, cit., 1755 e ss.; R. CAFARO, I contenziosi in materia di contratti di conto correnteCome difendersi dalle banche, cit., 227 e ss.; F. GIORGIANNI – C.M. TARDIVO, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, cit., 399 e ss; M. TRINGALI – L. CASCONE, L’anatocismo, in Il Mutuo. Il sistema delle tutele, a cura di G. CASSANO, Padova, 2009, 324 e ss.

11 Cfr., tra le altre, Corte di Cassazione, sez. I, 16.3.1999, n. 2374, cit., in motivazione, secondo cui “… l’art. 1283 c.c. … ammette l’anatocismo a determinate condizioni. La disposizione, che pacificamente è ritenuta di carattere imperativo e di natura eccezionale, contiene due norme: con la prima si limita la possibilità che gli interessi scaduti possano produrre ulteriori interessi alla sola ipotesi di interessi dovuti per almeno un semestre, con la seconda la produzione di ulteriori interessi è subordinata alla proposizione di una domanda giudiziale (che ne determina anche la decorrenza) ovvero al perfezionamento di una convenzione successiva alla scadenza degli interessi stessi. Le finalità della norma sono state identificate, da una parte, nella esigenza di prevenire il pericolo di fenomeni usurai, e, dall’altra, nell’intento di consentire al debitore di rendersi conto del rischio dei maggiori costi che comporta il protrarsi dell’inadempimento (onere della domanda giudiziale) e, comunque, di calcolare, al momento di sottoscrivere l’apposita convenzione, l’esatto ammontare del suo debito. Richiedendo che l’apposita convenzione sia successiva alla scadenza degli interessi, il legislatore mira anche a evitare che l’accettazione della clausola anatocistica possa essere utilizzata come condizione che il debitore deve necessariamente accettare per potere accedere al credito. Finalità, va anche detto, che lungi dall’apparire anacronistiche, per quanto riguarda gli intenti usurari, sono di grandissima attualità…”; Corte di Cassazione n. 5506/1994; Corte di Cassazione, n. 11065/1992; Corte di Cassazione, n. 5423/1992.

12 A. ZACCARIA, Commento sub. art. 1283 c.c., in Commentario al codice civile, a cura di G. CIAN, IX ed., Padova, 2009, 1335 e ss.; V. MANZI, Commento sub art. 120 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, cit., 1755 e ss.; R. CAFARO, I contenziosi in materia di contratti di conto correnteCome difendersi dalle banche, cit., 227 e ss.; F. GIORGIANNI – C.M. TARDIVO, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, cit., 399 e ss.

13 Ex plurimis, Corte di Cassazione, sez. I, 16.3.1999, n. 2374, cit., in motivazione.

14 Cfr., Corte di Cassazione, 15.12.1981, n. 6631, in Riv. dir. comm., 1982, II, 89; Corte di Cassazione, 17.4.1997, n. 3296, in Gius., 1997, 1725; Corte di Cassazione, 1°.9.1995, n. 9227, in Banca borsa tit. cred., 1997, II, 136; Corte di Cassazione, 18.12.1998, n. 12675, in Gius., 1999, 647; Corte di Cassazione n. 5409/1983; Corte di Cassazione, n. 4920/1987; Corte di Cassazione, n. 3804/1988; Corte di Cassazione, n. 2644/1989; Corte di Cassazione, n. 7571/1992.

15 Cfr., tra gli altri, T. ASCARELLI, Delle obbligazioni pecuniarie, in Comm. del cod. civ., a cura di SCIALOJA e BRANCA, Bologna-Roma, 1962, 136; M. LIBERTINI, Interessi, in Enc. Dir., XXIII, Milano, 1972, 136; A. MARINI, Anatocismo e usi bancari, in Riv. dir. comm., 1982, II, 89; G. CAPALDO (a cura di), L’anatocismo nei contratti e nelle operazioni bancarie, Padova, 2010. Per ulteriori approfondimenti sul tema: V. MANZI, Commento sub art. 120 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, cit., 1755 e ss.; F. GIORGIANNI – C. M. TARDIVO, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, cit., 399 e ss.

16 Corte di Cassazione, 15.12.1981, n. 6631, in Riv. dir. comm., 1982, II, 89.

17 In questi termini, tra gli altri, V. MANZI, Commento sub art. 120 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, cit., 1755.

18 In questi termini, tra gli altri, F. GIORGIANNI – C. M. TARDIVO, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, cit., 398 e ss.

19 Corte di Cassazione, sez. I, 16.3.1999, n. 2374, cit., in motivazione.

20 Corte di Cassazione, sez. III, 30.3.1999, n. 3096, in motivazione, in Banca borsa tit. cred., 1999, 389.

21 In questi termini: V. MANZI, Commento sub art. 120 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, cit., 1755; PELLEGRINI, Le controversie in materia bancaria e finanziaria, Padova, 2007, 188.

22 In questo senso: F. GIORGIANNI – C. M. TARDIVO, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, cit., 400; V. MANZI, Commento sub art. 120 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, cit., 1756; M. TRINGALI – L. CASCONE, L’anatocismo, in Il Mutuo. Il sistema delle tutele, a cura di G. CASSANO, Padova, 2009, 337 e ss.

23 Cfr., sul punto, tra gli altri, V. MANZI, Commento sub art. 120 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, cit., 1756.

24 Cfr., tra gli altri, CARBONE, Il salvataggio normativo dell’attuale prassi bancaria sull’anatocismo al centro di un acceso dibattito, in Il Corriere giuridico, n. 3, 2000, 19 e ss.; V. MANZI, Commento sub art. 120 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, cit., 1757 e ss.

25 Ordinanze del Tribunale di Benevento, del 21.10.1999; del Tribunale di Lecce, del 21 e 29.10.1999; del Tribunale di Brindisi dell’8.11.1999; del Tribunale di Lecce, del 10.12.1999; del Tribunale di Brindisi, del 9.12.1999; del Tribunale di Civitavecchia, del 14.1.2000 (due ordinanza); del Tribunale di Bari, del 23.11.1999, pubblicate in Gazzetta Ufficiale, n. 51, prima serie speciale, 1999, 2000, tutte rese nell’ambito di giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo promossi nei confronti di banche da clienti-correntisti.

26 Corte Costituzionale, 17.10.2000, n. 425, in Fallimento, 2001, 19, con nota di PANZANI.

27 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 4.11.2004, n. 21095, in Riv. dir. comm., 2005, 7/8/9, 163.

28 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 4.11.2004, n. 21095, in motivazione, in Riv. dir. comm., 2005, 7/8/9, 163.

29 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 4.11.2004, n. 21095, in Giust. civ. Mass., 2004, 11.

30 Cfr., ex plurimis, Corte di Cassazione, Sez. Un., 26.5.2005, n. 10127, in Riv. dir. comm., 2005, II, 163.

31 Tribunale Catania, ordinanza 9.8.2005, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, n. 17, prima serie, 2006.

32 Corte Costituzionale, 12.10.2007, n. 341, in Il merito, 2007, 11, 26, e in Giur. cost., 5, 3418.

33 Corte Costituzionale, 12.10.2007, n. 341, in Giur. cost., 5, 3418.

34 Corte di cassazione, Sezioni Unite, 2.12.2010, n. 24418, in Banca borsa tit. cred., 2011, 3, 257; in Guida al diritto, 2011, 1, 74.

35 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 2.12.2010, n. 24418, cit., in motivazione.

36 Cfr., tra gli altri, V. MANZI, Commento sub art. 120 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, cit., 1759; RIZZUTI, Gli ultimi progressi in tema di anatocismo bancario, in Giur. it., 2011, 1549; BONTEMPI, L’anatocismo bancario torna di attualità, in Nuova giur. civ. comm., 2011, 291; ROLFI, Le sezioni unite e l’anatocismo: non è tutto oro quello che luccica, in Corr. giur., 2011, 821; MARCELLI, Anatocismo nei conti bancari. Prime riflessioni sui principi fissati dalle S.U. nella sentenza n. 24418/2010, in Banca borsa tit. cred., 2011, 303.

37 Corte Costituzionale, 12.10.2007, n. 341, cit.

38 Corte di Cassazione, sez. I, 16.3.1999, n. 2374, cit., in motivazione, secondo cui “… l’art. 1283 c.c. … ammette l’anatocismo a determinate condizioni. La disposizione, che pacificamente è ritenuta di carattere imperativo e di natura eccezionale, contiene due norme: con la prima si limita la possibilità che gli interessi scaduti possano produrre ulteriori interessi alla sola ipotesi di interessi dovuti per almeno un semestre, con la seconda la produzione di ulteriori interessi è subordinata alla proposizione di una domanda giudiziale (che ne determina anche la decorrenza) ovvero al perfezionamento di una convenzione successiva alla scadenza degli interessi stessi. Le finalità della norma sono state identificate, da una parte, nella esigenza di prevenire il pericolo di fenomeni usurai, e, dall’altra, nell’intento di consentire al debitore di rendersi conto del rischio dei maggiori costi che comporta il protrarsi dell’inadempimento (onere della domanda giudiziale) e, comunque, di calcolare, al momento di sottoscrivere l’apposita convenzione, l’esatto ammontare del suo debito. Richiedendo che l’apposita convenzione sia successiva alla scadenza degli interessi, il legislatore mira anche a evitare che l’accettazione della clausola anatocistica possa essere utilizzata come condizione che il debitore deve necessariamente accettare per potere accedere al credito. Finalità, va anche detto, che lungi dall’apparire anacronistiche, per quanto riguarda gli intenti usurai, sono di grandissima attualità …”; Corte di Cassazione, sez. III, 20.2.2003, n. 2593, in Contratti, n. 6, 2003, 545, secondo cui “l’art. 1283 c.c. è norma imperativa, che presidia l’interesse pubblico a impedire una forma, subdola, ma non socialmente meno dannosa delle altre, di usura. Con la conseguenza che i patti conclusi in sua trasgressione sono nulli ai sensi dell’art. 1418 c.c.”.

39 Cfr., tra gli altri, A. ZACCARIA, Commento sub. art. 1283 c.c., in Commentario al codice civile, a cura di G. CIAN, IX ed., Padova, 2009, 1335 e ss.; V. MANZI, Commento sub art. 120 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, cit., 1755 e ss.; R. CAFARO, I contenziosi in materia di contratti di conto correnteCome difendersi dalle banche, cit., 227 e ss.; F. GIORGIAANI C. M. TARDIVO, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, cit., 399 e ss; M. TRINGALI – L. CASCONE, L’anatocismo, in Il Mutuo. Il sistema delle tutele, a cura di G. CASSANO, Padova, 2009, 324 e ss.; E. CONTE – V. CIERVO, Le patologie delle previsioni convenzionali. L’anatocismo, in Il Mutuo. Il sistema delle tutele, a cura di G. CASSANO, Padova, 2009, 94 e ss.

40 Cfr., sul punto, G. TRABUCCHI – C. SANDEI, Commento sub. artt. 1815 e 1852 c.c., in Commentario al codice civile (a cura di G. CIAN), Padova, 2009, 1928 e ss. e 1966; L. D’APOLLO, Interessi e usura, in Il Mutuo. Il sistema delle tutele, a cura di G. CASSANO, Padova, 2009, 220 e ss.

41 Cfr., sulla classificazione delle operazioni, R. CAFARO, I contenziosi in materia di contratti di conto correnteCome difendersi dalle banche, cit., 265; G. TRABUCCHI – C. SANDEI, Commento sub. artt. 1815 e 1852 c.c., in Commentario al codice civile (a cura di G. CIAN), Padova, 2009, 1928 e ss. e 1966; L. D’APOLLO, Interessi e usura, in Il Mutuo. Il sistema delle tutele, a cura di G. CASSANO, Padova, 2009, 220 e ss.

42 Cfr., sul punto, G. TRABUCCHI – C. SANDEI, Commento sub. artt. 1815 e 1852 c.c., in Commentario al codice civile (a cura di G. CIAN), Padova, 2009, 1928 e ss. e 1966; L. D’APOLLO, Interessi e usura, in Il Mutuo. Il sistema delle tutele, a cura di G. CASSANO, Padova, 2009, 220 e ss.; F. GIORGIANNI – C. M. TARDIVO, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, cit., 403 e ss., secondo i quali la clausola nulla va sostituita con il tasso soglia di volta in volta rilevato; R. CAFARO, I contenziosi in materia di contratti di conto correnteCome difendersi dalle banche, cit., 227 e ss.

43 Corte di Cassazione, sez. I, 12.7.2007, n. 15621, in Giust. civ. Mass., 2007, 9, secondo cui “… la norma prescinde dalla qualificazione del rapporto in cui siano convenuti interessi usurari e il generale richiamo all’art. 644 c.p. ne estende il campo di applicazione a tutte le fattispecie negoziali in concreto penalmente sanzionate …”; Corte di Cassazione, sez. I, 12.11.2008, n. 27009, in Giust. civ. Mass., 2008, 11, 1611, in motivazione, secondo cui “… va rilevato che la legge 28.2.2001, n. 24 … di interpretazione autentica della legge 7.3.1996, n. 108, che ha fissato la valutazione della natura usuraria dei tassi di interesse al momento della convenzione e non a quello della dazione, non si applica solo ai rapporti di mutuo, ma a tutte le fattispecie negoziali che possano contenere la pattuizione di interessi usurari …”.

44 G. TRABUCCHI – C. SANDEI, Commento sub. art. 1815, in Commentario al codice civile (a cura di G. CIAN), Padova, 2009, 1928; F. GIORGIANNI – C. M. TARDIVO, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, cit., 403 e ss.; QUADRI, Usura (dir. civ)Enc. giur. Treccani, 3; SINESIO; Gli interessi usurari, 16.

45 Ex plurimis, Corte di Cassazione, sez. I, 30.11.2007, n. 25016, in Guida al diritto, 2008, 3, 65; in giurisprudenza di merito: Trib. Bari, 27.2.2007, n. 553, in Guida al diritto, 2007, 37, 67, secondo cui “L’art. 1 legge 28 febbraio 2001, n. 24 ha carattere interpretativo e ha chiarito che il momento in cui va valutata la usurarietà del tasso di interesse è quello della pattuizione”.

46 Cfr., sulla questione, G. TRABUCCHI – C. SANDEI, Commento sub. art. 1852, in Commentario al codice civile (a cura di G. CIAN), Padova, 2009, 1966; PALMIERI, in Foro it., I, 1711; OPPO, in Riv. dir. civ., 1999, I, 534.

47 Cfr., Corte di Cassazione n. 5324/2003; n. 5286/2000.

48 Sul punto, G. TRABUCCHI – C. SANDEI, Commento sub. art. 1815, in Commentario al codice civile (a cura di G. CIAN), Padova, 2009, 1928; FERRO – LUZZI, in Giur. comm., 2006, I, 671; Trib. Verona, 21.9.2007, in Corr. mer., 2008, 351).

49 Cassazione penale, sez. II, 19.2.2010, n. 12028, in Cass. pen., 2010, 12, 4133 e in Riv. pen., 2010, 10, 1003; Cassazione penale, sez. II, n. 28743/2010.

50 Tra gli altri, F. GIORGIANNI – C. M. TARDIVO, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, cit., 404 e ss.; G. TRABUCCHI – C. SANDEI, Commento sub art. 1815 c.c., in Commentario al codice civile (a cura di G. CIAN), Padova, 2009, 1928; L. D’APOLLO, Interessi e usura, in Il Mutuo. Il sistema delle tutele, a cura di G. CASSANO, Padova, 2009, 259 e ss.; R. CAFARO, I contenziosi in materia di contratti di conto corrente. Come difendersi dalle banche, cit., 276 e ss.

51 Cassazione penale, sez. II, 19.2.2010, n. 12028, in Cass. pen., 2010, 12, 4133 e in Riv. pen., 2010, 10, 1003.

52 Cassazione penale, n. 28743/2010.

53 F. GIORGIANNI – C. M. TARDIVO, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, cit., 404 e ss., i quali hanno evidenziato che “tale indicazione appare anche nel decreto MEF del 29.3.2011 – Rilevazione dei tassi effettivi globali medi per il periodo: 1° ottobre – 31 dicembre 2010 – Applicazione dal 1° aprile sino al 30 giugno 2011 (legge 7 marzo 1996, n. 108)”; Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, 29.3.2011, in G.U. n. 73 del 30.3.2011; R. CAFARO, I contenziosi in materia di contratti di conto corrente. Come difendersi dalle banche, cit., 257, secondo cui “Il tasso effettivo globale (T.E.G.) medio annuo del denaro (cioè, la determinazione espressa in percentuale annua del costo effettivo globale, che il cliente sostiene per l’utilizzo di una somma di denaro concessagli in credito dalla banca), indica il costo reale, effettivo, non fittizio, che il cliente sopposta per il denaro realmente erogatogli dalla banca … Quindi, interessi ultralegali, c.m.s., spese per operazione, spese fisse di chiusura, spese assicurative, spese revisione fido, giorni di perdita di valuta sulle operazioni di prelevamento e di versamento, interessi anatocistici … , costituiscono il costo effettivo sopportato dal cliente per il credito, costo che viene espresso in una percentuale annua media, riferia alla intera durata del rapporto …”; G. TRABUCCHI – C. SANDEI, Commento sub. art. 1815, in Commentario al codice civile (a cura di G. CIAN), Padova, 2009, 1928, i quali hanno evidenziato che “… sulla commissione di massimo scoperto … è recentemente intervenuto l’art. 2 bis cit., decretando la nullità delle clausole che prevedano l’applicazione della cms anche quando il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni, e, parrebbe, inserendo tale commissione tra le voci che concorrono a formare il corrispettivo rilevante ai sensi della disciplina sulla usura”.

54 Trib. Pescara, 23.11.2005, in motivazione, in Giur. merito, 2006, 7-8, 1660; Trib. Nola, sez. II, 19.2.2009, in motivazione, in Redazione Giuffrè, 2009.

55 Cfr. Corte di Cassazione, sez. III, 3.5.2011, n. 9695, in Giust. civ. Mass., 2011, 5, 685; Corte di Cassazione, sez. I, 25.11.2010, n. 23974, in Giust. civ. Mass., 2010, 11, 1515.

56 Corte di Cassazione, sez. I, 26.1.2011, n. 1842, in motivazione, in Guida al diritto, 2011, 12, 46; Corte di Cassazione, sez. I, 25.11.2010, n. 23974, in motivazione, in Giust. civ. Mass., 2010, 11, 1515, secondo cui l’onere di conservazione della documentazione contabile “non va confuso con l’onere di provare il proprio credito … Il fatto di non essere tenuta a conservare le scritture contabili oltre i dieci anni dalla loro ultima registrazione non esonera la parte che vi è tenuta dall’onere di provare il proprio credito …”; Trib. Latina, sez. II, 25.10.2011, in Redazione Giuffrè, 2011.

57 Corte di Cassazione, sez. I, 26.1.2011, n. 1842, in motivazione, cit.; Corte di Cassazione, sez. I, 25.11.2010, n. 23974, cit.

58 Trib. Bari, 17.11.2011, in Giurisprudenzabarese.it, 2011, in motivazione, secondo cui “… va sottolineato che essendo stata la correntista ad aver avanzato la pretesa creditoria, spetta alla stessa, ex art. 2697 c.c., dare la prova della entità della sua pretesa, prova che scaturisce dagli estratti conto relativi all’intero rapporto …”; Trib. Vicenza, sez. I, 9.2.2009, in Redazione Giuffré, 2009, secondo cui “… spetta al privato l’onere di dimostrare la intervenuta pattuizione o applicazione di interessi usurari, producendo quanto meno gli estratti conto e formulando le opportune istanze di esibizione dal cui accoglimento può discendere l’acquisizione dei dati documentali indispensabili per un verifica tecnica …”; Trib. Napoli, 4.11.2010, in Giur. merito, 2011, 4, 981.

59 Trib. Bari, 17.11.2011, cit.; Trib. Larino, 20.10.2009, in motivazione, in Redazione Giuffré, 2010.

60 Corte di Cassazione, sez. III, 6.10.2005, n. 19475, in Foro it., 2006, 1, 102; Corte di Cassazione, sez. lav., 25.5.2004, n. 10043, in Giust. civ. Mass., 2004, 5; Corte di Cassazione, sez. I, 10.1.2003, n. 149, in Giust. civ. Mass., 2003, 42;

61 Cfr., ex plurimis, Corte di Cassazione, sez. III, 6.10.2005, n. 19475, in Foro it., 2006, 1, 102; Corte di Cassazione, sez. I, 10.1.2003, n. 149, in Giust. civ. Mass., 2003, 42; Corte di Cassazione, sez. I, 8.9.1999, n. 9514, in Dir. e prat. soc., 2000, 1, 74.

62 Cfr., ex plurimis, Corte di Cassazione, sez. I, 12.5.2006, n. 11004, in Foro it., 2007, 11, 3203.

63 Cfr., tra le altre, Trib. Bari, 17.11.2011, in Giurisprudenzabarese.it, 2011; Tribunale Pescara, 4.10.2007, n. 1288, in Giur. merito, 2008, 4, 1042; Trib. Nola, sez. II, 19.2.2009, in Redazione Giuffré, 2009.

64 Trib. Bari, 17.11.2011, in Giurisprudenzabarese.it, 2011, in motivazione.

65 Tribunale Pescara, 4.10.2007, n. 1288, in Giur. merito, 2008, 4, 1042.

66 Cfr., ex plurimis, Corte di Cassazione, sez. lav., 25.5.2004, n. 10043, in Giust. civ. Mass., 2004, 5.

67 Corte di Cassazione, 9.4.1984, n. 2262; Corte di Cassazione, 14.5.2005, n. 10127.

68 Tra le altre, Trib. Pescara, 23.12.2009, in PQM, 2010, I, 43; Trib. Bergamo, 29.5.2006, in Corr. merito, 2006, 981; Corte App. Lecce, 19.2.2009; Trib. Torino, 21.1.2010; Trib. Lecce, 15.12.2009; Trib. Mondovì, 17.2.2009; Corte App. Torino, 14.11.2007; Corte App. Lecce, 22.10.2001.

69 Trib. Mantova, 2.2.2009; Trib. Mantova, 12.7.2008; Trib. Genova, 4.1.2008, in Guida al diritto, 2008, n. 18, 83.

70 Cassazione civile, Sezioni Unite, 2.12.2010, n. 24418, in Foro it., 2011, 2, 428 e in Guida al diritto, 2011, 1, 74.

71 Cassazione civile, Sezioni Unite, 2.12.2010, n. 24418, cit., in motivazione.

72 Cassazione civile, Sezioni Unite, 2.12.2010, n. 24418, cit., in motivazione.

73 Cassazione civile, Sezioni Unite, 2.12.2010, n. 24418, cit., in motivazione.

74 Cassazione civile, Sezioni Unite, 2.12.2010, n. 24418, cit., in motivazione.

75 Cassazione civile, Sezioni Unite, 2.12.2010, n. 24418, cit., in motivazione.

76 Trib. Bari, sez. IV, 15.3.2011, n. 991, in motivazione, in Giurisprudenzabarese.it, 2011 e in Juris data, n. 3, 2012.

77 Tra gli altri, V. MANZI, Commento sub art. 120 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, cit., 1755 e ss.; Anatocismo bancario e prescrizione dell’azione di ripetizione: la disciplina del cd. Decreto mille proroghe e le ripercussioni del contenzioso in corso, in www.cameracivilelamezia.it, 2; GRECO, Anatocismo bancario e prescrizione: le Sezioni Unite e la difficile applicabilità del decreto mille proroghe. Continua il match tra correntisti e banche, in www.ilcaso.it, 2011, 7.

78 Trib. Brindisi, ord. 10.3.2011, in Foro it., 2011, 6, 1921, e pubblicata in G.U. n. 28, prima serie speciale, 2011, secondo cui “non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, aggiunto in sede di conversione dalla l. 26 febbraio 2011, n. 10, in virtù del quale, in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, l’art. 2935 c.c. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa, aggiungendo che in ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione, in riferimento agli artt. 3, 24, 1010, 102, 104, 111, 117 Cost.”; Trib. Benevento, ord. 10.3.2011, in Foro it., 2011, 6, 1921, e pubblicata in G.U. n. 35, prima serie speciale, 2011, secondo cui “non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, aggiunto in sede di conversione dalla l. 26 febbraio 2011, n. 10 … , in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 47 e 102 Cost”; Trib. Lecce, sez. dist. di Maglie, ord. 4.4.2011, pubblicata in G.U. n. 45, prima serie speciale, 2011; Trib. Potenza, ord. 13.4.2011, pubblicata in G.U. n. 50, prima serie speciale, 2011; trib. Catania, ord. 26.7.2011, pubblicata in G.U. n. 51, prima serie speciale, 2011; Trib. Nicosia, ord. 3.7.2011 e Trib. Venezia, ord., 13.4.2011, pubblicate in G.U. n. 52, prima serie speciale, 2011; Trib. Bari, sez. IV, ord. 16.5.2011, in Giurisprudenzabarese.it., 2011 e in Juris data, n. 3, 2012, il quale ha dichiarato “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, conv. in l. 26 febbraio 2011, n. 10, per contrasto con il principio di ragionevolezza e con gli artt. 3, comma 1, 24, comma 1, e 111, commi 1 e 2, cost. In relazione alla violazione dell’art. 3, comma 1, cost., la norma in esame si presenta priva del requisito di ragionevolezza, in quanto viola il principio di certezza delle situazioni giuridiche, prevedendo altresì la decorrenza della prescrizione da un atto (l’annotazione da parte della banca) che, di per sé, non costituisce un pagamento indebito, perché gli addebiti in conto corrente effettuati intra-fido non costituiscono pagamento (trattandosi di mero ripristino della provvista). Pertanto, consentire la decorrenza della prescrizione quando il diritto alla ripetizione dell’indebito non è ancora esigibile, introduce una irragionevole deroga al principio generale della decorrenza della prescrizione, dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, ponendosi la norma in contrasto con l’art. 3, comma 1, cost., determinando per i titolari dei diritti di credito nei confronti di banche per la ripetizione di somme illegittimamente addebitate su conto corrente, una situazione – quanto alla decorrenza del dies a quo della prescrizione – ingiustificatamente differente rispetto agli altri titolari di diritti di credito per ripetizione di somme indebitamente corrisposte…”.

79 Corte Costituzionale, 5.4.2012, n. 78, in www.ilcaso.it, 2012, e in Guida al diritto, 2012, 20, 30. che ha dichiarato “la illegittimità costituzionale per violazione degli art. 3 (principi di ragionevolezza delle norme e di eguaglianza) e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 6 Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, dell’art. 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10”, il quale così recita (va): “in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

80 Corte Costituzionale, 5.4.2012, n. 78, cit., in motivazione.

81 Corte Costituzionale, 5.4.2012, n. 78, cit., in motivazione.

82 Corte Costituzionale, 5.4.2012, n. 78, cit., in motivazione.

83 Corte di cassazione, Sezioni Unite, 2.12.2010, n. 24418, in Banca borsa tit. cred., 2011, 3, 257; in Guida al diritto, 2011, 1, 74.

84 Corte di Cassazione, sez. I, 26.1.2011, n. 1842, in motivazione, cit.; Corte di Cassazione, sez. I, 25.11.2010, n. 23974, in motivazione, cit.

85 Trib. Bari, 17.11.2011, in Giurisprudenzabarese.it, 2011, in motivazione, Trib. Vicenza, sez. I, 9.2.2009, in Redazione Giuffré, 2009; Trib. Napoli, 4.11.2010, in Giur. merito, 2011, 4, 981; Trib. Larino, 20.10.2009, in motivazione, in Redazione Giuffré, 2010.

86 Ex plurimis, Corte di Cassazione, sez. I, 30.11.2007, n. 25016, in Guida al diritto, 2008, 3, 65; Trib. Bari, 27.2.2007, n. 553, in Guida al diritto, 2007, 37, 67.

87 Cassazione penale, sez. II, 19.2.2010, n. 12028, in Cass. pen., 2010, 12, 4133 e in Riv. pen., 2010, 10, 1003; Cass. pen, n. 28743/2010.

Vuoi leggere la versione PDF?

WEBINAR / 30 Maggio
Clausole di fallback e piani di sostituzione nel nuovo 118-bis TUB

ZOOM MEETING
Offerte per iscrizioni entro il 16/05


WEBINAR / 23 Maggio
Titolare effettivo in trust e istituti affini: nuova guida GAFI

ZOOM MEETING
Offerte per iscrizioni entro il 07/05

Iscriviti alla nostra Newsletter