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Attualità

La fiscalità indiretta del patto di famiglia all’esame della Cassazione

28 Dicembre 2018

Gabriele Giusti, Dottore di ricerca in diritto tributario, Tinelli & Associati – Studio legale e Tributario

Di cosa si parla in questo articolo

1. Con l’ordinanza del 19 dicembre 2018, n. 32823 (cfr. contenuti correlati), che qui brevemente si annota, la Suprema Corte si sofferma sulla fiscalità indiretta del patto di famiglia, disciplinato dagli artt. 768-bis e ss. c.c., confermando la soggezione all’imposta sulle successioni e donazioni sia del trasferimento di azienda o partecipazioni a favore dell’assegnatario (salvo il caso in cui ricorrano le condizioni per l’esenzione previste dall’art. 3, comma 4-ter del D.lgs. n. 346/1990) sia delle eventuali liquidazioni da questi effettuate a vantaggio degli altri legittimari. Peraltro, nel confermare la soggezione al prelievo delle liquidazioni a favore dei legittimari, la Corte ne ha riconosciuto l’imposizione secondo le aliquote e le franchigie riferibili al rapporto con l’assegnatario, anziché al rapporto con l’originario disponente.

Si tratta, tuttavia, di una soluzione forse non adeguatamente meditata e che presuppone una ricostruzione civilistica dell’istituto non da tutti condivisa. Inoltre, nell’implicare un consistente aggravio del prelievo sulle quote liquidate ai legittimari rispetto alla misura applicabile ad un più “convenzionale” passaggio generazionale, essa rischia di compromettere il sereno sviluppo dell’istituto.

2. Come noto, il patto di famiglia, introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 55/2006, consente di anticipare il trasferimento di aziende o partecipazioni societarie a vantaggio di uno o più eredi, imponendo al beneficiario di liquidare (in denaro o in natura) gli eventuali ulteriori legittimari, salva l’ipotesi in cui la quota di “legittima” formi oggetto di espressa rinuncia da parte di costoro. In tal modo, il legislatore viene incontro all’esigenza di garantire continuità all’esercizio dell’impresa, senza tuttavia sacrificare i diritti dei legittimari. Alla liquidazione si può, peraltro, provvedere sia al momento dell’assegnazione, sia con contratto successivo necessariamente collegato al patto di famiglia, così confermandosi la versatilità dell’istituto (art. 768-quater, c.c.).

Si tratta, quindi, di una figura negoziale evidentemente ispirata da finalità liberali, e nella quale i diversi trasferimenti paiono caratterizzarsi per una causa unitaria. Tuttavia, vi è anche chi preferisce valutare singolarmente i diversi passaggi, così ravvisando una causa liberale nella trasmissione dell’azienda o delle partecipazioni all’assegnatario, ed una causa solutoria nella liquidazione delle quote spettanti ai legittimari[1].

Le incertezze ora tratteggiate si riflettono anche sul piano tributario, essendo la fiscalità (specie quella indiretta) dei trasferimenti di ricchezza che si perfezionano mediante l’impiego di forme negoziali inevitabilmente condizionata dall’inquadramento delle stesse sul piano del diritto civile.

In particolare, chi valorizza la natura unitaria del patto di famiglia e riconduce nell’ambito di un’unica causa i diversi trasferimenti che con esso si perfezionano, tende a ravvisare una liberalità diretta nella trasmissione dell’azienda o delle partecipazioni all’assegnatario, ed una liberalità indiretta nelle liquidazioni a vantaggio dei legittimari. Di conseguenza, sia il trasferimento dell’azienda (o delle partecipazioni) sia le liquidazioni a favore dei legittimari si ritengono sottoposte all’imposta sulle donazioni con applicazione delle aliquote e delle franchigie previste per i trasferimenti tra il titolare originario ed i diversi beneficiari[2].

Peraltro, al ricorrere delle condizioni (indicate dall’art. 3, comma 4-ter, del D.lgs. n. 346/1990) per l’esenzione dall’imposta dei trasferimenti, anche tramite patti di famiglia, di aziende o di partecipazioni di controllo, laddove il beneficiario si impegni a proseguire l’esercizio dell’impresa per almeno cinque anni, vi è addirittura chi, valorizzando proprio l’unicità della causa che anima i diversi trasferimenti, ha ipotizzato che l’esclusione dal prelievo non debba interessare solo il trasferimento dell’azienda, ma anche la liquidazione delle quote ai legittimari. Solo così potrebbe ottenersi il risultato perseguito dal legislatore, ossia l’esclusione, dall’ambito di rilevanza del prelievo, dell’“intero” valore, dell’azienda ceduta[3].

A conclusioni radicalmente diverse perviene, invece, chi, nella ricostruzione dell’istituto, valorizza distintamente i singoli trasferimenti che si innestano nello schema del patto di famiglia. In tal caso, la liquidazione delle quote è assimilata, quantomeno sul piano fiscale, ad un onere gravante sulla donazione dell’azienda (o delle partecipazioni), che, ai sensi dell’art. 58, comma 1, del D.lgs. n. 346/1990, si considera donazione a favore dei beneficiari. Quale corollario di tale impostazione vi è poi l’applicazione, per codeste liquidazioni, delle aliquote e delle franchigie previste nei rapporti tra assegnatario e legittimari e non di quelle applicabili tra questi ultimi e l’originario titolare dell’azienda[4].

3. La pronuncia che si commenta si inserisce in questa seconda linea interpretativa, come si desume proprio dal richiamo all’art. 58, comma 1, del D.lgs. n. 346/1990, che i Giudici valorizzano nella ricostruzione della natura giuridica delle compensazioni previste dall’art. 768-quater, c.c. Pertanto, la Corte giunge a confermare la soggezione all’imposta per le liquidazioni a favore dei legittimari con le aliquote e delle franchigie applicabili nei rapporti con l’assegnatario anziché con l’originario titolare dell’azienda o delle partecipazioni.

Curiosamente, i Giudici motivano l’adesione a tale impostazione osservando che, ove sottoposte al regime fiscale proprio del trasferimento aziendale o societario a vantaggio dell’assegnatario, alle liquidazioni a favore dei legittimari dovrebbe necessariamente estendersi l’esenzione prevista dall’art. 3, comma 4-ter, del D.lgs. n. 346/1990. Si tratterebbe, tuttavia, di un esito eccedente le finalità per le quali il legislatore avrebbe introdotto il beneficio (da limitare al solo trasferimento dell’azienda o di partecipazioni di controllo)[5], sicché l’unica soluzione coerente con la ratio del beneficio sarebbe proprio la tassazione delle liquidazioni con le aliquote e le franchigie applicabili nei rapporti tra assegnatario e legittimari.

In realtà, ove inquadrate nei termini di liberalità indirette, non si vede per quali ragioni alle liquidazioni disposte a vantaggio dei legittimari non si debba applicare la misura del prelievo riferibile ai rapporti con il titolare originario, senza dover ad esse necessariamente estendere il beneficio dell’esenzione previsto dall’art. 3, comma 4-ter, del D.lgs. n. 346/1990. Con tutta probabilità, infatti, sarebbe proprio questa la soluzione più coerente, da un lato, con l’esigenza di circoscrivere al solo trasferimento di azienda e partecipazioni di controllo l’esclusione dal prelievo, ma, dall’altro, mantenendo un’opportuna valorizzazione unitaria dei diversi trasferimenti, con la necessità di non aggravare la tassazione in capo al legittimario, disincentivando l’impiego dell’istituto nella prassi operativa.

Si auspica, pertanto, una futura rimeditazione delle conclusioni cui è da ultimo pervenuta la Suprema Corte.



[1] Per le varie posizioni cfr. V. Capozzi, Il patto di famiglia e il passaggio generazionale dell’impresa, in AA.VV., Corrispettività, onerosità e gratuità. Profili tributari, a cura di V. Ficari e V. Mastroiacovo, Torino, 2014, 681.

[2] Così V. Capozzi, Il patto di famiglia e il passaggio generazionale dell’impresa, cit. 691.

[3] Così A. Fedele, Profilo fiscale del patto di famiglia, in Riv. dir. trib., 2014, I, 538.

[4] In tal senso cfr. S. Carunchio, Tassazione del patto di famiglia quale atto gratuito, in il fisco, 2018, 3740.

[5] Così si esprime anche l’Agenzia delle Entrate (circ. 22 gennaio 2008, n. 3/E).

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